I fatti sono sempre più duri e più veri delle
parole - e ci riferiamo ai "buoni fatti" della combattiva opposizione
al governo e alle politiche fasciste/razziste/populiste del movimento
Nonunadimeno.
Ma le parole non vanno sottovalutate e anche quando in parte sembrano, o sono, superate dai fatti, occorre mantenere una lotta critica affinchè o nuove parole corrispondano ai nuovi fatti o si elevi la coscienza della necessità della lotta anche rispetto alle parole, alle ideologie, alle teorie che le accompagnano e che prima o poi, in un'altra fase, possono tornare ad influire i fatti, perchè sono espressioni di classi, e in questo caso della piccola borghesia.
In questo senso pubblichiamo un commento critico al "piano femminista di Nonunadimeno", fatto a fine estate scorsa dall'Mfpr de L'Aquila.
Ma le parole non vanno sottovalutate e anche quando in parte sembrano, o sono, superate dai fatti, occorre mantenere una lotta critica affinchè o nuove parole corrispondano ai nuovi fatti o si elevi la coscienza della necessità della lotta anche rispetto alle parole, alle ideologie, alle teorie che le accompagnano e che prima o poi, in un'altra fase, possono tornare ad influire i fatti, perchè sono espressioni di classi, e in questo caso della piccola borghesia.
In questo senso pubblichiamo un commento critico al "piano femminista di Nonunadimeno", fatto a fine estate scorsa dall'Mfpr de L'Aquila.
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Premessa
Prima di passare all’analisi critica del Piano femminista antiviolenza di NUDM - analisi che comunque conferma quanto già sintetizzato sul documento del MFPR dello scorso anno “"Piano femminista" di NUDM....? Riformismo e illusioni di cambiare dall'interno il sistema si danno la mano - Le donne proletarie devono avere un altro "PIANO"...” - credo di dover fare accenno, per le compagne che non sono state iscritte nella lista NUDM, alla breve polemica innescata in quella lista, dalla notizia della manifestazione indetta dalla Camusso per il 30 settembre 2017 - a 2 giorni di distanza da quella indetta da Nudm - a cui aderirono anche firme note di Nudm. Quella polemica, seppur breve e circoscritta, ha messo di nuovo a nudo l’internità delle correnti riformiste e paraistituzionali (snoq, ossia sindacati concertativi, centri antiviolenza, ecc) nel percorso politico di Nudm. La polemica nacque nel metodo e non nel merito dell’appello della CGIL, che anzi fu accusata da Nudm, di averne usato contenuti e immagine per ottenere consensi.
Quella polemica, tuttavia, si fermò con l’emissione di un blando comunicato ufficiale di Nudm Milano, per rilanciare le manifestazioni del 28 settembre u.s. e distinguerle da quella della Camusso.
Ma anche da quel comunicato era assente qualsiasi critica, anche nel metodo, all’appello della CGIL, che ciclicamente si ripropone come interlocutore in Nudm all’avvicinarsi dell’8 marzo, sebbene abbia già dimostrato in più occasioni da che parte stia, soprattutto con la questione dello sciopero delle donne.
Prima di passare all’analisi critica del Piano femminista antiviolenza di NUDM - analisi che comunque conferma quanto già sintetizzato sul documento del MFPR dello scorso anno “"Piano femminista" di NUDM....? Riformismo e illusioni di cambiare dall'interno il sistema si danno la mano - Le donne proletarie devono avere un altro "PIANO"...” - credo di dover fare accenno, per le compagne che non sono state iscritte nella lista NUDM, alla breve polemica innescata in quella lista, dalla notizia della manifestazione indetta dalla Camusso per il 30 settembre 2017 - a 2 giorni di distanza da quella indetta da Nudm - a cui aderirono anche firme note di Nudm. Quella polemica, seppur breve e circoscritta, ha messo di nuovo a nudo l’internità delle correnti riformiste e paraistituzionali (snoq, ossia sindacati concertativi, centri antiviolenza, ecc) nel percorso politico di Nudm. La polemica nacque nel metodo e non nel merito dell’appello della CGIL, che anzi fu accusata da Nudm, di averne usato contenuti e immagine per ottenere consensi.
Quella polemica, tuttavia, si fermò con l’emissione di un blando comunicato ufficiale di Nudm Milano, per rilanciare le manifestazioni del 28 settembre u.s. e distinguerle da quella della Camusso.
Ma anche da quel comunicato era assente qualsiasi critica, anche nel metodo, all’appello della CGIL, che ciclicamente si ripropone come interlocutore in Nudm all’avvicinarsi dell’8 marzo, sebbene abbia già dimostrato in più occasioni da che parte stia, soprattutto con la questione dello sciopero delle donne.
Anche nella stesura del piano femminista antiviolenza, fatta
eccezione per lo sciopero delle donne, ripreso dalle argentine, e l’abolizione
della “buona scuola”, sull’onda delle proteste e degli scioperi delle
insegnanti, si riflettono contenuti, limiti e obbiettivi della componente
concertativa e paraistituzionale di Nudm.
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Siamo la luna che muove le maree, cambieremo il mondo con le nostre idee.
“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee
dominanti” e Nudm non sfugge a questa legge, ecco perché, nonostante si dica
che la violenza è strutturale, sistemica, la si affronta dal frutto e non dalle
radici, dalla sovrastruttura e non dalla struttura, potando la mala pianta e
non estirpandola, col risultato di farla crescere più vigorosa e spargendo
illusioni sulla possibilità di cambiare dall’interno questo marcio sistema
capitalistico.
E’ con questa filosofia che è stato anche redatto il piano femminista contro la violenza, dando centralità alla formazione e ai centri antiviolenza (CAV), per i quali si richiedono e si ottengono, almeno come impegno istituzionale, finanziamenti pubblici e strutturali, salvo poi eccepire che i documenti finali prodotti dall’Osservatorio nazionale contro la violenza non siano stati condivisi con i CAV.
Sulla questione delle “alleanze” e dei CAV, per i quali si
richiede un ulteriore supporto sotto questo esecutivo, è bene aprire adesso
un’altra parentesi sulle trattative tra i cav e il governo (di allora) sul
piano nazionale antiviolenza governativo approvato lo scorso anno.
Il 23 marzo 2018 è stato diffuso il comunicato congiunto
preparato da Cgil, Cisl, Uil, D.i.Re, Associazione Nazionale Volontarie del
Telefono Rosa – onlus, Udi Nazionale, Pangea, Rete per la Parità, che chiede al
governo di rendere effettivo quel Piano nazionale antiviolenza che stanzia 31
milioni di euro per i centri antiviolenza. Inoltre, nell'incontro di luglio
c.a. col dipartimento per le pari opportunità, queste associazioni (Telefono
Rosa, D.I.R.E, Udi, Differenza Donna, Maschile Plurale, Pangea Onlus e
Cam.) ottengono l'impegno del sottosegretario di stato Spadafora, a costituire,
entro settembre, una Cabina di regia politico-programmatica ed un Comitato
tecnico di supporto, per dare concretezza a quanto previsto dal Piano
strategico nazionale 2017-2020, e a predisporre un piano operativo su cui far
convergere nuovi fondi da destinare, non solo ai centri antiviolenza ma anche
ad altre realtà impegnate sul tema della violenza sulle donne (forze
dell’ordine ecc.)
Sul piano
Al di là degli obiettivi dichiarati in premessa, anche
suggestivi e condivisibili - “Questo Piano non chiede aiuto, è uno strumento
di lotta e di rivendicazione, un documento di proposta e di azione. Questo
Piano domanda piuttosto a ciascuno di posizionarsi, ognuno a partire da sé, di
prendere parte a un processo di trasformazione radicale della società, della
cultura, dell’economia, delle relazioni, dell’educazione, per costruire una società
libera dalla violenza maschile e di genere. Non ci basteranno poche e mal
distribuite risorse per combattere l’impatto della violenza nella sua
strutturalità, chiediamo e ci prenderemo molto di più.” - sono gli
obiettivi non dichiarati che ne orientano la scrittura e limitano,
qualitativamente e quantitativamente la portata e la radicalità di Nudm,
arginando questo movimento, nella teoria e nella prassi, dentro un recinto
riformista e opportunista.
In ogni periodo storico, ma ancor di più oggi, in una fase di marcia verso il moderno fascismo, di intensificazione della guerra contro le donne, le riforme non possono essere che il sottoprodotto della paura della classe dominate del conflitto sociale, della rivoluzione.
Ma le esponenti di Nudm, soprattutto romane, hanno operato un rovesciamento, tipico del riformismo borghese, per cui le lotte sono diventate il sottoprodotto, l'accompagnamento “festoso” alle riforme (che ora più che mai il governo, il parlamento non può e non vuole dare).
In ogni periodo storico, ma ancor di più oggi, in una fase di marcia verso il moderno fascismo, di intensificazione della guerra contro le donne, le riforme non possono essere che il sottoprodotto della paura della classe dominate del conflitto sociale, della rivoluzione.
Ma le esponenti di Nudm, soprattutto romane, hanno operato un rovesciamento, tipico del riformismo borghese, per cui le lotte sono diventate il sottoprodotto, l'accompagnamento “festoso” alle riforme (che ora più che mai il governo, il parlamento non può e non vuole dare).
Ciò che è emerso con forza nella manifestazione a Roma del 25
novembre scorso - dove a fronte della decisione assembleare di Pisa di
manifestare con rabbia sotto i palazzi del potere si è preferita una rituale
sfilata pacifica lontano da essi (che solo la presenza del MFPR ha messo
apertamente in discussione) - è la centralità della Capitale, non solo per la
presenza dei simboli del potere istituzionale, ma anche per l’influenza delle
posizioni paraistituzionali e concertative di esponenti di Nudm, che hanno
operato una sorta di colonizzazione politica dell’intero movimento,
comprimendone le potenzialità rivoluzionarie sia nella gestione della piazza,
sia nella stesura del piano.
Oggi più che mai è necessario, invece, che le donne proletarie, che sono la maggioranza, tornino ad essere centrali nel movimento delle donne, le loro lotte e le loro analisi trainanti e non codiste. Solo così smetteremo di essere “marea” e saremo, finalmente, Luna.
Oggi più che mai è necessario, invece, che le donne proletarie, che sono la maggioranza, tornino ad essere centrali nel movimento delle donne, le loro lotte e le loro analisi trainanti e non codiste. Solo così smetteremo di essere “marea” e saremo, finalmente, Luna.
Il linguaggio
Le parole sono pietre, perché esprimono concetti. L’uso che se
ne fa può portare a negare, nascondere o affermare certe contraddizioni e non
altre. Bene fa quindi Nudm a porre l’accento sul linguaggio nella stesura del
piano. Il problema è che lo fa solo in termini antisessisti, molto poco o
affatto in termini classisti.
Si usa, anzi, la retorica del “posizionamento”, della
“intersezionalità” e della “inclusione”, per minimizzare il conflitto contro
Stati e padroni, per dire che le differenze tra le donne ci sono, ma che è
possibile connetterle e valorizzarle grazie a questo piano. Un piano che in
realtà è il frutto di una mediazione fra posizionamenti inconciliabili, in cui
si prova a dire tutto e il contrario di tutto, per cercare di tenere unite le
anime più radicali del femminismo ad un’élite di femministe di professione, che
va dai CAV all’intera avvocatura femminista, alle giornaliste, alle femministe
della piccola e media borghesia, a quelle dei sindacati confederali, che si
guardano bene dal mettere in discussione i propri privilegi.
L’agilità con cui queste femministe borghesi saltano dal carro
di Nudm a quello del governo (che sia del PD o dei giallo/verdi poco importa -
vedi le premesse all’inizio di questa relazione) e viceversa, la noncuranza con
cui Nudm ripropone a tutto il movimento delle donne un supporto a queste
femministe nella loro competizione dialettica con il governo, impone a tutte
noi il compito di dissezionare e decostruire l’immaginario e le
aspettative collettive createsi intorno a questo piano, che, di fatto, non
vuole sovvertire proprio niente, ma stabilire una linea di interlocuzione con
lo Stato, magari per dei miseri finanziamenti pubblici ad uso “esclusivo” di
una élite di “femministe di professione”.
Il problema non è un piano femminista contro la violenza maschile sulle donne, ma un piano femminista proletario rivoluzionario per assaltare il cielo (maschio, azzurro, ricco e potente… ma popolato di stelle)
Il problema non è un piano femminista contro la violenza maschile sulle donne, ma un piano femminista proletario rivoluzionario per assaltare il cielo (maschio, azzurro, ricco e potente… ma popolato di stelle)
Per un’autonomia di classe delle donne proletarie, è necessaria
una rete autonoma da Nudm, una rete delle donne operaie e proletarie, che parta
realmente dai propri bisogni e non si lasci confondere/distrarre, da sirene
riformiste e opportuniste.
Circa i ¾ dell’intero piano femminista contro la violenza maschile sulle donne, sono incentrati su una trasformazione culturale e politica della società, attraverso il potenziamento di consultori e CAV “laici e femministi”, il riconoscimento di quelli autogestiti dalle donne e il loro intervento formativo/educativo a vari livelli (scuole, dai nidi alle università, istituzioni politiche, media e industria culturale, aziende, luoghi di lavoro, ASL, magistratura, avvocati, consulenti, forze dell’ordine, polizia penitenziaria ecc.). Si definiscono i Centri Antiviolenza (CAV) “tutti i centri, gli sportelli, le case rifugio, le case di semiautonomia, gli spazi occupati e autogestiti delle donne. Questi sono luoghi di elaborazione politica, autonomi, laici e femministi al cui interno operano esclusivamente donne e il cui obiettivo principale è attivare processi di trasformazione culturale e politica e intervenire sulle dinamiche strutturali da cui origina la violenza maschile e di genere sulle donne (con donne si intende donne cisgender, transessuali e lesbiche). In quest’ottica i CAV accolgono e sostengono i singoli percorsi di fuoriuscita dalla violenza, intervengono sulla formazione e sulla prevenzione sensibilizzando il territorio, e strutturano un sistema complesso di reti al cui centro c’è il vantaggio per le donne.”
Poco o nulla si dice, in realtà, sulle dinamiche strutturali da
cui origina la violenza maschile e di genere.
Manca soprattutto un’analisi di classe di questa società. Non si spiega mai, in maniera esplicita, l’origine del patriarcato. Certo, si “riconosce l’intreccio tra la matrice patriarcale e quella capitalista delle oppressioni”, ma lo si fa in una nota in premessa per descrivere il transfemminismo. Non si denuncia che è questo sistema capitalista la causa principe della violenza sulle donne. Al massimo si dice che “la violenza di genere non è un’eccezione o un’emergenza del momento, ma il prodotto del patriarcato che ha una storia millenaria. Patriarcato che nel sistema capitalistico ha trovato nuova linfa vitale, a partire dalla divisione sessuale del lavoro che ha relegato le donne dapprima nella dimensione domestica - facendo così della famiglia etero-normata e mononucleare il cardine della riproduzione sociale -, in secondo luogo includendole nel mercato del lavoro a mezzo di nuove violenze, disparità e ingiustizie.”. Questa affermazione è in realtà un insidioso sofisma, che crea confusione, sia sull’origine del patriarcato, sia su quella del sistema capitalistico, e stride con l’analisi storico-materialistico-dialettica della condizione di oppressione delle donne.
Questa ambiguità di fondo è corroborata anche dalla parte introduttiva del piano, quando si afferma che “La violenza maschile è espressione diretta dell’oppressione che risponde al nome di patriarcato, sistema di potere maschile che a livello materiale e simbolico ha permeato la cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private. Oppressione e ineguaglianza di genere non hanno quindi un carattere sporadico o eccezionale: al contrario, strutturale. Non sono fenomeni che riguardano la sola sfera delle relazioni interpersonali, piuttosto pervadono e innervano l’intera società. Da femministe abbiamo sempre denunciato le catene imposte dal patriarcato alla nostra autodeterminazione e libertà di scelta - attraverso gli stereotipi sessuali, il diritto, la chiesa o altri istituti religiosi e, soprattutto, attraverso la famiglia - evidenziando la connessione intima tra questi strumenti di dominio e l’imposizione della norma eterosessuale. Il patriarcato, e dunque la violenza maschile, sono inoltre da sempre funzionali alle logiche del profitto e dell’accumulazione capitalistica, all’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento”. Con questo paralogismo, sembrerebbe che la divisione della società in classi, e quindi l’origine del patriarcato, sia in realtà slegata da esso, quasi fosse un “di più”, che merita di essere menzionato solo a fine discorso.
Il sistema capitalista, quando viene citato, è sempre aggettivato nella sua espressione neoliberista, non lo si attacca mai come tale. Non se ne chiede un rovesciamento, ma un miglioramento, un’umanizzazione, attraverso un welfare universale e pubblico che, se pur venisse accordato (e siamo nel campo delle illusioni), sarebbe solo un palliativo, funzionale alla ristrutturazione capitalistica nel suo complesso.
Manca soprattutto un’analisi di classe di questa società. Non si spiega mai, in maniera esplicita, l’origine del patriarcato. Certo, si “riconosce l’intreccio tra la matrice patriarcale e quella capitalista delle oppressioni”, ma lo si fa in una nota in premessa per descrivere il transfemminismo. Non si denuncia che è questo sistema capitalista la causa principe della violenza sulle donne. Al massimo si dice che “la violenza di genere non è un’eccezione o un’emergenza del momento, ma il prodotto del patriarcato che ha una storia millenaria. Patriarcato che nel sistema capitalistico ha trovato nuova linfa vitale, a partire dalla divisione sessuale del lavoro che ha relegato le donne dapprima nella dimensione domestica - facendo così della famiglia etero-normata e mononucleare il cardine della riproduzione sociale -, in secondo luogo includendole nel mercato del lavoro a mezzo di nuove violenze, disparità e ingiustizie.”. Questa affermazione è in realtà un insidioso sofisma, che crea confusione, sia sull’origine del patriarcato, sia su quella del sistema capitalistico, e stride con l’analisi storico-materialistico-dialettica della condizione di oppressione delle donne.
Questa ambiguità di fondo è corroborata anche dalla parte introduttiva del piano, quando si afferma che “La violenza maschile è espressione diretta dell’oppressione che risponde al nome di patriarcato, sistema di potere maschile che a livello materiale e simbolico ha permeato la cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private. Oppressione e ineguaglianza di genere non hanno quindi un carattere sporadico o eccezionale: al contrario, strutturale. Non sono fenomeni che riguardano la sola sfera delle relazioni interpersonali, piuttosto pervadono e innervano l’intera società. Da femministe abbiamo sempre denunciato le catene imposte dal patriarcato alla nostra autodeterminazione e libertà di scelta - attraverso gli stereotipi sessuali, il diritto, la chiesa o altri istituti religiosi e, soprattutto, attraverso la famiglia - evidenziando la connessione intima tra questi strumenti di dominio e l’imposizione della norma eterosessuale. Il patriarcato, e dunque la violenza maschile, sono inoltre da sempre funzionali alle logiche del profitto e dell’accumulazione capitalistica, all’organizzazione della società secondo rapporti di sfruttamento”. Con questo paralogismo, sembrerebbe che la divisione della società in classi, e quindi l’origine del patriarcato, sia in realtà slegata da esso, quasi fosse un “di più”, che merita di essere menzionato solo a fine discorso.
Il sistema capitalista, quando viene citato, è sempre aggettivato nella sua espressione neoliberista, non lo si attacca mai come tale. Non se ne chiede un rovesciamento, ma un miglioramento, un’umanizzazione, attraverso un welfare universale e pubblico che, se pur venisse accordato (e siamo nel campo delle illusioni), sarebbe solo un palliativo, funzionale alla ristrutturazione capitalistica nel suo complesso.
Certo, molti punti del piano sono condivisibili, come lo
sciopero delle donne, che ancora una volta si conferma come la forma più adatta
della lotta delle donne proletarie. Ma oggi, per tornare ad impugnare
quest’arma, si pone con urgenza la necessità di un’autonomia di classe delle
operaie e delle proletarie. Un’autonomia necessaria per agire oltre
l’opportunismo del riformismo.
Diciamo le cose come stanno
Diciamo le cose come stanno
Il patriarcato è la prima manifestazione della divisione in
classi, determinata dalla nascita della proprietà privata, circa 10000 anni fa.
L'analisi storico materialistica di Engels e Marx dimostra che
c'è stato tutto un lungo periodo, dallo stato selvaggio alla fase barbara, in
cui era affermato il diritto materno e veniva riconosciuto il ruolo centrale
della donna, come determinante nel sistema sociale. I mezzi di produzione
(terra, strumenti rudimentali) erano di proprietà collettiva e i beni equamente
distribuiti.
Con l’affermazione del principio della proprietà privata tra gli
elementi maschili, nasce la necessità di tramandare la proprietà individuale.
Dal diritto materno si passa a quello paterno e la prima divisione del lavoro è
la divisione tra uomo e donna.
La condizione della donna, quindi, non è immutabile; l'origine e
la base dell’oppressione delle donne è la proprietà privata e la prima
divisione di classe ha visto lo sfruttamento dell'uomo sulla donna.
Dire questo a chiare lettere, è il passo necessario per affrontare il problema della violenza sulle donne alla radice e rimetterle con i piedi per terra e non per aria, perché senza l’analisi materialistico dialettica di Marx, Engels, anche le riforme, seppur concesse, hanno le gambe corte.
Dire questo a chiare lettere, è il passo necessario per affrontare il problema della violenza sulle donne alla radice e rimetterle con i piedi per terra e non per aria, perché senza l’analisi materialistico dialettica di Marx, Engels, anche le riforme, seppur concesse, hanno le gambe corte.
Contro la concezione idealistico borghese che porta al
riformismo, occorre operare un totale rovesciamento di queste teorie, per le
quali i cambiamenti sarebbero possibili solo se avvengono nel mondo delle idee,
della cultura, del diritto ecc. Idee che tra l’altro sono appannaggio di una
ristretta rosa di elette, di “filosofe”, di “femministe di professione”.
Dire questo vuol dire porre, in maniera chiara, che la
contraddizione di sesso è frutto della contraddizione di classe, che non si può
chiedere al sistema capitalistico di non essere tale, e che la liberazione
delle donne non è possibile senza la rivoluzione proletaria e il ruolo centrale
in essa delle donne.
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