- La rivoluzione culturale proletaria e le donne - 3° parte: "Le donne non attaccano più i bottoni"
Pubblichiamo gli ultimi capitoli del libro della Maciocchi che parlano del cambiamento/rivoluzionarizzazione della condizione delle donne, sia oggettiva che soggettiva, durante la Rivoluzione culturale proletaria in Cina.
La Maciocchi gira, parla, fa inchiesta e quindi porta fatti, racconti delle donne, che dimostrano come la condizione delle donne in quel periodo si sia capovolta, ma soprattutto, come dice una ragazza parlando con la scrittrice che "Quando le donne sono mobilitate, si possono fare cose enormi".
La Grande rivoluzione culturale proletaria è stata un vero assalto al cielo, la prima realizzata grande esperienza di "rivoluzione nella rivoluzione". Come diceva Mao Tsetung "una nuova rivoluzione culturale avrà come protagoniste le donne nella famiglia e nella società...".
Essa, pertanto, non può essere guardata come se riguardasse solo la Cina, ma riguarda ogni paese, sia oppresso sia imperialista.
E' stata la rivoluzione più moderna che si sia realizzata (tanto da aver anticipato risoluzioni di problemi, nuovi anche per le cittadelle imperialiste - come l'uso degli anticoncezionali, per altro, a differenza dei nostri paesi, sicuri per la salute della donne).
La RCP dimostra che tutto è possibile, ma che non viene "regalato" neanche da uno Stato socialista; e che, quindi, le donne, proletarie, popolari, le ragazze possono e devono ovunque "scatenare la loro ribellione come forza poderosa della rivoluzione".
Le donne del quartiere operaio non attaccano piú i bottoni
Il quartiere operaio di Peng Pu, nato nel '58, ha 130 edifici, e vi abitano 15 mila persone, suddivìse in 3500 famiglie di operai di una fabbrica metallurgica e di una di generatori elettrici. Delle 3500, 2650 sono famig1ie dove lavorano padre e madre. Il resto delle donne, già casalinghe, sono appunto quelle che la rivoluzione culturale ha immesso in compiti nuovi per organizzare la vita del quartiere, e parteciparne alle attività produttive...
La descrizione del quartiere ci è fatta da una ragazza simpatica che ride spesso, e di cui sappiamo che ha avuto l'onore di essere delegata al IX congresso del PCC. "Le casalinghe del quartiere hanno oggi una coscienza piú elevata" ella dice. “Prima a quelle donne interessava soltanto occuparsi dei bambini, avere forni a gas, bei panieri di bambú, e pantaloni di lana. Ora alle casalinghe interessano i grandi affari dello stato. Duecentottanta casalinghe sono organizzate nel lavoro dell'asilo, dove si trovano 500 bambini. Anche se nelle fabbriche vi sono asili, le operaie, quando non allattano piú i figli, preferiscono tenerli nell'asilo del quartiere...
Abbiamo formato diversi gruppi di produzione delle casalinghe... Vi sono donne che stanno costruendo un fabbricato di 440 metri quadri, per il quale esse stesse hanno prodotto i mattoni, fabbricando una fornace con poca spesa, oppure se li sono procurati andandoli a raccog1iere un po' dovunque".
Andiamo a vedere le fabbriche delle donne... Girando nel quartiere, ci si rende conto di come la
rete dei servizi sociali sia estesa. Vi sono lavanderie pubbliche, negozi di sartoria e di tintoria, dove vengono stirati e rammendati i vestiti, e dove vi vengono attaccati i bottoni. Per un vestito, lavato e stirato, le donne pagano 5 centesimi di yuan. Un pasto al ristorante costa 40 centesimi di yuan, e alla mensa 20 centesimi di yuan. All'asilo, con 20 centesimi di 3man i bambini mangiano quattro pasti. “Mangiare e vestirsi costa pochissimo", spiega la compagna. “Io spendo per cinque persone, a casa mia, 60 yuan al mese. Il salario di mio marito è di 114 yuan. Il riso costa 16 yuan e 50 centesimi ogni 50 chilogrammi. Ne consumiamo per 22 yuan al mese. E si può avere carne e pesce tutti i giorni, perché la carne costa 1,80 centesimi al chilogrammo nella qualità migliore, e il pesce O,60 centesimi al chilogrammo"...
...Nel quartiere, c'è una compagna di 75 anni, mamma Hu, la cui vita è stata un tragico esempio della oppressione, e che tutte le settimane parla ai giovani tre o quattro volte. I fabbricati e tutto il resto sono proprietà collettiva; siamo noi del quartiere che decidiamo la costruzione di nuove case. E' lo Stato che sostiene le spese delle costruzioni. I costruttori e gli architetti siamo noi stessi, nel quadro delle nostre imprese collettive".
Questo quartiere segna davvero la "morte della casalinga". Non ve ne è piú una che stia a casa a sfaccendare. Vi si tocca con mano come le donne acquistino la loro piena emancipazione entrando nell'attività produttiva, e uscendo quindi da quella prima forrna di divisione del lavoro che - come diceva Marx - è la famiglia.
Nel nuovo reparto, dove si fabbricheranno piccole macchine utensili, in collegamento con una grande fabbrica, le casalinghe hanno eretto il capannone in muratura con mattoni fabbricati o raccolti da loro. Cinquantasette massaie sono andate a imparare nella fabbrica i metodi di produzione... Un "gruppo di produzione" ha creato una piccola industria per la fabbricazione delle scarpe... l'importante è che escano dalle pareti domestiche, dove prima stavano chiuse a guardare i bambini...
“Quando le donne sono mobilitate, si possono fare cose enormi", dice la nostra intelligente organizzatrice del quartiere... «Mao dice che le donne sono come gli uomini e possono fare lo stesso lavoro".
Andiamo a far visita alla vecchia mamma Hu, in uno degli appartamenti del quartiere. La casa è in perfetto ordine, un ordine addirittura minuzioso... un uomo tiene in braccio un bambino, mentre con il mestolo gira dentro una pentola. E' il marito della figlia della donna. La moglie – casalinga non piú casalinga - è al lavoro. Il marito aiuta a cucinare e si occupa del bimbo piccolo, secondo le direttive del presidente Mao.
A Shanghai, vi sono 120 settori di nuove abitazioni operaie, come questi quartieri vengono chiamati, dove "la rivoluzionarizzazione delle casalinghe" è in pieno corso...
L'amore in Cina
“Esiste l'amore in Cina?" vi domandano, ossessivamente, al ritorno da un viaggio in Cina. «Beh, se fanno tanti bambini, non è che li trovino sotto il cavolo," rispondete voi... Quando si applicano alla Cina taluni nostri diffusi moduli di rapporto fra uomo e donna, non si arriva ad intendersi.
Una volta un italiano, faccio un esempio, si interessò molto alla sua giovane interprete cinese, e quando, pur senza aver avuto da lei il minimo segno di simpatia, le espresse i suoi sentimenti, in tutte lettere, la ragazza ebbe una sola reazione: quella della piú assoluta stupefazione. “Ma che cosa c'entra?" chiese, “non riesco proprio a capire. Io sono un quadro rivoluzionario dello stato cinese."
La donna-oggetto non esiste. Per la donna cinese, chiusa per millenni dentro la morsa di forme, di schemi, di riti, di una crudele convenzione, l'amore con l'uomo nasce dalla sua libera scelta. Marx, dopo aver detto che “... il matrimonio è certamente una forma di proprietà privata..." scriveva (Manoscritti economico-filosofici del 1844: Proprietà privata e comunismo): Nel rapporto verso la-donna, preda sottomessa della libidine della comunità, è espressa la smisurata degradazione in cui l'uomo si trova ad esistere di fronte a se stesso; ché il segreto di tale rapporto si esprime non ambiguamente, ma risolutamente, manifestatamente, scopertamente, nel rapporto dell'uomo [singolo] alla donna [singola] e nel modo in cui è compreso l'immediato, naturale, rapporto generico [cioè pertinente al genere umano]... In questo rapporto appare, dunque, sensibilmente, e ridotto a un fatto intuitivo, che, nell'uomo, l'essenza umana è divenuta natura, e che la natura è divenuta l'umana essenza dell'uomo. Da questo rapporto si può dunque giudicare ogni grado di civiltà dell'uomo.
Dal carattere di questo rapporto consegue quanto l'uomo è divenuto e si è colto come... uomo". L'amore, sia per l'uomo che per la donna, in Cina è fatto di timidezza quasi morbosa, di rossori, di candori infantili, anche se le giovani donne sono spesso vestite da soldatesse, come gli uomini. Nei parchi, ho visto molte coppie, che al massimo si tenevano per mano: tra loro, spesso, c'era una borsetta di plastica, colma di libri... La discrezione dei cinesi nei loro sentimenti interiori è grandissima, ed ecco perché tante volte ci si interroga su quello che provano. Sciorinare questi sentimenti in pubblico, significa sciuparli. Ecco tutto.
In Occidente, si afferma spesso che le cinesi hanno perduto la loro femminilità, perché non corrispondono alla nostra “foemina" eurocentrica...
La bellezza della donna cinese, bella o brutta secondo il nostro unicum che si esprime con la Bardot o la Monroe, è data dal suo stile, quindi la donna cinese è quasi sempre bella, perché in lei lo stile è nel modo di disporsi, nella sua ispirazione, nella sua tensione interiore, questo suo essere umana e dolente, che la fa bella, e qualche volta bellissima... Per giudicare una donna cinese, piú che i nostri parametri abituali, occorre dunque un intuito interiore. Spesso, a quel punto, le si troverà incantevoli, in questo loro perenne moto interiore, quasi una fiamma, di aderire al nuovo, e di scavarvi all'interno un loro cammino, quindi, un loro modello di bellezza.
Le donne e gli uomini in Cina, si sposano attorno ai 25 anni; nel quadro della pianificazione delle nascite, oltre il controllo vero e proprio, c'è il noto suggerimento del "matrimonio tardivo. L'amore, dunque, non è coartato. Quel che si cerca di impedire è che le famiglie prolifichino senza interruzione, soprattutto nelle campagne. Man mano che i sistemi di controllo delle nascite penetreranno nelle campagne il “matrimonio tardivo" non avrà piú ragione di esistere.
Nelle città, le pratiche anticoncezionali sono piú o meno note a tutti Ì giovani. D'altra parte, non si può pensare che gli immensi raduni di guardie rosse a Pechino siano stati, tra ragazzi e ragazze, soltanto scambi di slogan politici.
Dopo le "guardie rosse," le donne
Credo che per Mao la questione femminile si vada ponendo sempre piú all'ordine del giorno nelle sue riflessioni. Egli ha preso a studiare - a quanto pare – le spinte dei movimenti femminili di emancipazione negli Stati Uniti e nelle altre società occidentali... In che consiste questa rivolta femminile che serpeggia nel mondo? Per quanto riguarda la Cina, Mao avverte che le donne cambiano, si evolvono, contano, anche se non abbastanza. Di recente egli ha fatto notare a piú riprese che, adesso, la Cina è un altro universo, e che le donne che sembravano nate per un solo compito - i figli - ora fanno “cose strane”, “mestieri impensabili" - le paracadutiste, i piloti di aerei da caccia, fabbricano congegni elettronici, si addestrano nell'esercito e vi occupano posti dirigenti,
sono capitani di lungo corso... La vecchia autorità maritale, soprattutto nel mondo contadino, vacilla sempre di piú... "I tempi sono cambiati", ha detto Mao alle donne, «l'uomo e la donna sono uguali, quel che l'uomo può compiere anche la donna può farlo"... “...le donne erano le piú sfruttate tra gli sfruttati (nel famoso testo Rapporto dell'inchiesta sul movimento contadino nello Hunan, 1927, Mao descrisse la situazione della donna cinese come una situazione oggettivamente rivoluzionaria, e pronunciò la piú netta condanna del potere maritale e dell'uomo - in genere - sulle donne).
Nella Cina tradizionale occorreva infrangere una terribile discriminazione che risaliva a duemilacinquecento anni prima, a Confucio medesimo, che diceva: “Non vi sono che
due categorie di esseri inferiori: la gentucola (Xiaoren) e le donne". Sulla donna esisteva sempre la tutela dell'uomo, padre marito figlio o qualsiasi altro uomo fosse investito del potere presso questa sorta di minorata a vita che era la donna. E il potere dell'uomo poteva anche essere di vita o di morte. La mutilazione dei piedi ebbe origine nel desiderio di rassomigliare ad una concubina imperiale famosa, e quindi di "piacere" al proprio uomo. Il procedimento di mutilazione dei piedi attraverso le bende si sparse rapidamente perché accentuava lo stato di soggezione della donna, che diventava incapace di muoversi da sola. Perché le donne accettassero la sofferenza di questa mutilazione, se ne fece un marchio distintivo di nobiltà femminea. Infatti, le serve, di cui i signori avevano bisogno, e le contadine al lavoro nei campi, non avevano i piedi bendati, ma esse non potevano aspirare ad un matrimonio conveniente. E cosí accadeva che le donne stesse aspirassero al supplizio del bendaggio dei piedi, e che le madri restassero sorde ai pianti delle loro figlie martirizzate.
La filosofia confuciana non riconosceva la pluralità delle mogli come il Corano. Ma in realtà la monogamia era il segno della povertà, e l'uomo che aveva mezzi, a fianco della moglie legittima, prendeva una o piú concubine. Ma quando il capriccio del signore si spegneva, la concubina diventava una serva. Nella tradizione cinese, le donne erano dunque esseri cosí disprezzabili, cosí condannate all'infelicità che le madri miserissime di Shanghai, spesso, allorché nasceva una femmina l'affogavano come un gatto...
Le donne sono in Cina alla conquista della metà del cielo. La loro situazione è capovolta, oggi. E tuttavia nelle donne esistono ancora tracce di superstizione, e di esagerata considerazione per l'uomo, visto come essere privilegiato, e quindi di timidezza nell'affrontare compiti di direzione
politica. “Nelle campagne" ha detto Mao “le donne vogliono tuttora avere solo figli maschi. Se il primo e il secondo figlio sono femmine, la donna ne metterà al mondo un altro. E se anche il terzo è femmina, la madre ci riprova. Cosí si fa presto ad avere nove figli... «Questa mentalità”, ha concluso Mao, “dev'essere cambiata, ma ci vuole tempo."
L'angustia che le donne assumano una parità piena, che non sia solo giuridica - ma che nasca dalla rivoluzione nella sovrastruttura della donna, e dell'uomo - è talmente forte in Mao, e cosí fermo appare in lui l'interesse a scatenare il torrente delle energie femminili, che ci si può domandare: dopo aver portato i giovani a farsi iniziatori della rivoluzione culturale nella scuola, una nuova rivoluzione culturale non avrà come protagoniste le donne nella famiglia e nella società?...
- La rivoluzione culturale proletaria e le donne - 2° parte: "le casalinghe elettroniche di shangai"
Continuiamo a pubblicare parti del libro di Maria Antonietta Maciocchi 'Dalla Cina - dopo la rivoluzione culturale'.
In queste importanti descrizioni, frutto del viaggio in Cina, degli incontri della Macciocchi con tantissime compagne, operaie cinesi, si mostra evidente come la questione della trasformazione della condizione delle donne - che valeva e vale in Cina ma vale ancora e sempre più oggi per tutto il mondo, compresi i paesi imperialisti come il nostro - non è solo un problema di cambiare aspetti della condizione di infinita oppressione precedente in condizioni nuove, ma, come spiega una donna cinese alla Maciocchi, un problema di potere: 'la ferocia del passato derivava dal fatto che le donne non avevano il potere e tutta la felicità del presente deriva dal fatto che le donne possono avere il potere'.
Ed è, appunto, la questione del potere delle donne nella società, della rivoluzione nella rivoluzione, che diventa il cuore della Rivoluzione culturale proletaria per una effettiva liberazione delle donne.
(Dal libro della Maciocchi) - Le donne sostengono la metà del cielo - ha detto Mao – Ma le donne devono conquistare la metà del cielo,' ha aggiunto. “La rivoluzione culturale ha avuto anche in questo campo uno dei suoi fronti politici e ideologici proprio perché le donne non avevano ancora raggiunto la metà del cielo”.
Il ruolo assunto dalle donne in Cina con la rivoluzione non riguardava solo la Cina ma tutti i “nostri costumi occidentali”, un ruolo che “spazzava via come un ciclone, proveniente da diecimila chilometri di distanza, i vecchi miti di inferiorità...”.
Qual'era la condizione delle donne in Cina prima della rivoluzione?
Le donne erano “ingiuriate, disprezzate, i piedi martirizzati a simbolo della loro schiavitú domestica - secondo il messaggio immutabile di Confucio vecchio di 2500 anni: Restate dove siete e sottomettetevi ai decreti del cielo'...
In ogni villaggio cinese, per combinare un matrimonio, una famiglia rappresentava l'acquirente, l'altra l'offerente, e intermediario, tra l'una e l'altra, era la mezzana, che contrattava il prezzo da pagare per la sposa. La fanciulla non aveva il diritto di conoscere lo sposo fino al giorno della gran festa rossa, cioè quando gli veniva presentata, tutta vestita di rosso. A volte lo sposo era un fanciullo, a volte addirittura un bimbetto in fasce, a volte non era nemmeno nato: la famiglia acquistava una nuova serva, la giovane donna sfioriva aspettando che il marito si facesse adulto. «Maritata aspetta il marito,' si diceva di lei. E se il marito moriva prima di diventare adulto, ella era ugualmente vedova, e come tale costretta alla fedeltà, pena la morte, per tutta la vita.
Al momento della liberazione, le case di tolleranza erano naturalmente state chiuse. Nella sola Pechino furono eliminate 237 e le prostitute vennero ospitate in un grande istituto dove furono curate, e dove venne insegnato loro a leggere e a scrivere, oltre che un mestiere.
In una commedia scritta dalle stesse prostitute, si si narrava come vivevano in una casa di prostituzione, come subivano lo sfruttamento dei padroni e degli sgherri del Kuomintang, e poi, ecco la nuova vita. Essere sane, libere, istruite, avere un'attività di cui non ci si deve piú vergognare... A Shanghai, dove vi erano 800 bordelli, tra grandi e piccoli, la grande massa delle donne soggette alla prostituzione fu immessa nel lavoro. Ovvero, venne distrutta la base prima della loro corruzione: la miseria, la fame, l'ignoranza.
Il vento della Rivoluzione culturale proletaria - 'Le donne vogliono cominciare ad esistere. Le casalinghe elettroniche di Shanghai'.
Dalla liberazione, le donne lavoratrici hanno attraversato parecchi momenti politici ed in particolare la prova della grande rivoluzione culturale; la loro mentalità ha conosciuto grandi cambiamenti e piú numerose si fanno le donne che svolgono la loro funzione nella costruzione del potere.
Alcune rimangono ancora in una situazione per cui escono da casa per coltivare la terra, tornano acasa per far da mangiare e durante le riunioni stanno sedute negli angoli senza parlare. II Comitato di partito ha organizzato le donne in riunioni per ricordarsi del passato, dello sfruttamento atroce della vecchia società, e per rafforzare la concezione della dittatura del proletariato. Tutto questo ha sollevato sentimenti di classe in larghe masse femminili che hanno profondamente capito che la ferocia del passato deriva dal fatto che esse non avevano il potere e tutta la felicità del presente deriva dal fatto che esse possono avere il potere.
Il quartiere Ciapé di Shanghai era un quartiere di sottoproletari... era uno degli esempi piú impressionanti della degradazione umana.
Ora, proprio qui (c'è) una fabbrica di transistor messa in piedi dalle casalinghe del quartiere... L'età media delle donne – sono in tutto 350 - è di 38 anni, e la maggioranza di esse erano casalinghe analfabete. Fino al '68 hanno fatto casse da imballaggio, nel febbraio del '69, nel corso della rivoluzione culturale, avvenne la loro svolta. Le casalinghe, in collegamento con l'ufficio dell'industria di Shanghai, pensarono di poter produrre transistor d'alta qualità.
«Quando prendemmo la decisione di fare congegni elettronici, mandammo dieci compagne ad apprenderne la tecnica in una grande fabbrica. E lí esse si sono familiarizzate con i macchinari, i congegni di precisione. Ne abbiamo mandate altre due all'università; e queste subirono varie umiliazioni perché gli intellettuali revisionisti ironizzavano sulla loro età, e dicevano che avrebbero impiegato almeno quindici anni per imparare, che erano già vecchie, e che in questo modo si sarebbero solo buttati via un sacco di soldi. Questo disprezzo ci fece molto arrabbiare, e decidemmo di fare da sole...
Altre donne del quartiere, che prima lavoravano in casa, che facevano le scarpe, i vestiti o i giocattoli (tipiche attività delle casalinghe) cominciarono ad impiegarsi in fabbrica...
Il loro impegno oltre che ad essere produttivo, oltre che ad utilizzare una forza-lavoro che in altre società sarebbe rimasta disoccupata, è diretto a trasformare l'ambiente sociale... E al centro di questa trasformazione vi è non soltanto la mutata concezione della propria condizione di donne, ma la rivoluzionarizzazione, nel quartiere e nella famiglia, del ruolo femminile.
'E' facile che le donne accettino di diventare lavoratrici?' chiedo. 'Con la rivoluzione culturale abbiamo cercato di risolvere questa contraddizione. Vi è un peso della tradizione che si fa ancora sentire, e dobbiamo elevare la coscienza di classe degli uomini oltre che delle donne.
In connessione con la linea capitalistica, Liu Shao-chi tentava di dare salari alti agli uomini e voleva che le donne restassero a casa. Liu eliminò molte fabbriche di casalinghe, e queste tornarono a fare le donne di casa. Ma, con lo sviluppo della rivoluzione culturale, sono sempre piú numerose le donne che chiedono di partecipare all'attività politica.
Anche nelle famiglie c'è una rivoluzionarizzazione da compiere.
C'è da farvi penetrare la critica rivoluzionaria, fondata sulla distruzione delle cinque vecchie concezioni, e immettervi le cinque nuove concezioni: distruggere la tesi dell'inutilità delle donne; instaurare la tesi che le donne si devono conquistare con coraggio la metà del cielo; distruggere la morale feudale della moglie sottomessa e della buona madre...; distruggere la mentalità della dipendenza e della subordinazione all'uomo, e instaurare la ferrea volontà di liberarsi; distruggere le concezioni della borghesia e instaurare le concezioni proletarie; distruggere la concezione dell'interesse familiare per instaurare nella famiglia la concezione proletaria che tiene presente la nazione e il mondo.'
(Questi cinque principi sono citati in Cina, ininterrottamente, su tutta la questione delle donne, dalla stampa ufficiale del partito e dai documenti.)
“Auguro alle mie figlie – dice un'anziana compagna - che come donne esse possano conquistare la metà del cielo. Che la nostra famiglia faccia ogni sforzo per portare avanti la rivoluzione socialista, per superare ogni forma di egoismo.
Nelle nostre riunioni, in famiglia, insegnamo considerare l'individuo e la famiglia in rapporto con la società. Insegnamo a non temere il dolore fisico e la morte; a non dimenticare il passato; e non dimenticare nemmeno per un momento di difendere la dittatura del proletariato. Anche nelle famiglie vi è una lotta tra vecchio e nuovo. Si può essere della stessa famiglia e non avere le stesse idee. Anche nelle famiglie appaiono spesso contraddizioni, che bisogna risolvere; e nella famiglia stessa bisogna lottare contro l'egoismo, e criticare il revisionismo. Il presidente Mao insegna che per quel che concerne la concezione del mondo nella nostra epoca non vi sono in fondo che due scuole: la scuola proletaria e la scuola borghese, la concezione proletaria e quella borghese.
Per la famiglia, è lo stesso. La rivoluzionarizzazione della famiglia, in Cina, còmincia col mutare il ruolo della casalinga in quello di una donna immessa nel processo produttivo, e dallo sradicare la concezione della famiglia come un tutto egoistico.
Il proletariato, con la rivoluzione culturale, ha fatto la sua irruzione nell'ideologia, rivoluzionarizzando anche l'apparato ideologico della famiglia, superando per sempre
quella condizione che faceva esclamare ad Engels che la donna è proletaria due volte, una della società e l'altra dell'uomo”.
In queste importanti descrizioni, frutto del viaggio in Cina, degli incontri della Macciocchi con tantissime compagne, operaie cinesi, si mostra evidente come la questione della trasformazione della condizione delle donne - che valeva e vale in Cina ma vale ancora e sempre più oggi per tutto il mondo, compresi i paesi imperialisti come il nostro - non è solo un problema di cambiare aspetti della condizione di infinita oppressione precedente in condizioni nuove, ma, come spiega una donna cinese alla Maciocchi, un problema di potere: 'la ferocia del passato derivava dal fatto che le donne non avevano il potere e tutta la felicità del presente deriva dal fatto che le donne possono avere il potere'.
Ed è, appunto, la questione del potere delle donne nella società, della rivoluzione nella rivoluzione, che diventa il cuore della Rivoluzione culturale proletaria per una effettiva liberazione delle donne.
(Dal libro della Maciocchi) - Le donne sostengono la metà del cielo - ha detto Mao – Ma le donne devono conquistare la metà del cielo,' ha aggiunto. “La rivoluzione culturale ha avuto anche in questo campo uno dei suoi fronti politici e ideologici proprio perché le donne non avevano ancora raggiunto la metà del cielo”.
Il ruolo assunto dalle donne in Cina con la rivoluzione non riguardava solo la Cina ma tutti i “nostri costumi occidentali”, un ruolo che “spazzava via come un ciclone, proveniente da diecimila chilometri di distanza, i vecchi miti di inferiorità...”.
Qual'era la condizione delle donne in Cina prima della rivoluzione?
Le donne erano “ingiuriate, disprezzate, i piedi martirizzati a simbolo della loro schiavitú domestica - secondo il messaggio immutabile di Confucio vecchio di 2500 anni: Restate dove siete e sottomettetevi ai decreti del cielo'...
In ogni villaggio cinese, per combinare un matrimonio, una famiglia rappresentava l'acquirente, l'altra l'offerente, e intermediario, tra l'una e l'altra, era la mezzana, che contrattava il prezzo da pagare per la sposa. La fanciulla non aveva il diritto di conoscere lo sposo fino al giorno della gran festa rossa, cioè quando gli veniva presentata, tutta vestita di rosso. A volte lo sposo era un fanciullo, a volte addirittura un bimbetto in fasce, a volte non era nemmeno nato: la famiglia acquistava una nuova serva, la giovane donna sfioriva aspettando che il marito si facesse adulto. «Maritata aspetta il marito,' si diceva di lei. E se il marito moriva prima di diventare adulto, ella era ugualmente vedova, e come tale costretta alla fedeltà, pena la morte, per tutta la vita.
Al momento della liberazione, le case di tolleranza erano naturalmente state chiuse. Nella sola Pechino furono eliminate 237 e le prostitute vennero ospitate in un grande istituto dove furono curate, e dove venne insegnato loro a leggere e a scrivere, oltre che un mestiere.
In una commedia scritta dalle stesse prostitute, si si narrava come vivevano in una casa di prostituzione, come subivano lo sfruttamento dei padroni e degli sgherri del Kuomintang, e poi, ecco la nuova vita. Essere sane, libere, istruite, avere un'attività di cui non ci si deve piú vergognare... A Shanghai, dove vi erano 800 bordelli, tra grandi e piccoli, la grande massa delle donne soggette alla prostituzione fu immessa nel lavoro. Ovvero, venne distrutta la base prima della loro corruzione: la miseria, la fame, l'ignoranza.
Il vento della Rivoluzione culturale proletaria - 'Le donne vogliono cominciare ad esistere. Le casalinghe elettroniche di Shanghai'.
Dalla liberazione, le donne lavoratrici hanno attraversato parecchi momenti politici ed in particolare la prova della grande rivoluzione culturale; la loro mentalità ha conosciuto grandi cambiamenti e piú numerose si fanno le donne che svolgono la loro funzione nella costruzione del potere.
Alcune rimangono ancora in una situazione per cui escono da casa per coltivare la terra, tornano acasa per far da mangiare e durante le riunioni stanno sedute negli angoli senza parlare. II Comitato di partito ha organizzato le donne in riunioni per ricordarsi del passato, dello sfruttamento atroce della vecchia società, e per rafforzare la concezione della dittatura del proletariato. Tutto questo ha sollevato sentimenti di classe in larghe masse femminili che hanno profondamente capito che la ferocia del passato deriva dal fatto che esse non avevano il potere e tutta la felicità del presente deriva dal fatto che esse possono avere il potere.
Il quartiere Ciapé di Shanghai era un quartiere di sottoproletari... era uno degli esempi piú impressionanti della degradazione umana.
Ora, proprio qui (c'è) una fabbrica di transistor messa in piedi dalle casalinghe del quartiere... L'età media delle donne – sono in tutto 350 - è di 38 anni, e la maggioranza di esse erano casalinghe analfabete. Fino al '68 hanno fatto casse da imballaggio, nel febbraio del '69, nel corso della rivoluzione culturale, avvenne la loro svolta. Le casalinghe, in collegamento con l'ufficio dell'industria di Shanghai, pensarono di poter produrre transistor d'alta qualità.
«Quando prendemmo la decisione di fare congegni elettronici, mandammo dieci compagne ad apprenderne la tecnica in una grande fabbrica. E lí esse si sono familiarizzate con i macchinari, i congegni di precisione. Ne abbiamo mandate altre due all'università; e queste subirono varie umiliazioni perché gli intellettuali revisionisti ironizzavano sulla loro età, e dicevano che avrebbero impiegato almeno quindici anni per imparare, che erano già vecchie, e che in questo modo si sarebbero solo buttati via un sacco di soldi. Questo disprezzo ci fece molto arrabbiare, e decidemmo di fare da sole...
Altre donne del quartiere, che prima lavoravano in casa, che facevano le scarpe, i vestiti o i giocattoli (tipiche attività delle casalinghe) cominciarono ad impiegarsi in fabbrica...
Il loro impegno oltre che ad essere produttivo, oltre che ad utilizzare una forza-lavoro che in altre società sarebbe rimasta disoccupata, è diretto a trasformare l'ambiente sociale... E al centro di questa trasformazione vi è non soltanto la mutata concezione della propria condizione di donne, ma la rivoluzionarizzazione, nel quartiere e nella famiglia, del ruolo femminile.
'E' facile che le donne accettino di diventare lavoratrici?' chiedo. 'Con la rivoluzione culturale abbiamo cercato di risolvere questa contraddizione. Vi è un peso della tradizione che si fa ancora sentire, e dobbiamo elevare la coscienza di classe degli uomini oltre che delle donne.
In connessione con la linea capitalistica, Liu Shao-chi tentava di dare salari alti agli uomini e voleva che le donne restassero a casa. Liu eliminò molte fabbriche di casalinghe, e queste tornarono a fare le donne di casa. Ma, con lo sviluppo della rivoluzione culturale, sono sempre piú numerose le donne che chiedono di partecipare all'attività politica.
Anche nelle famiglie c'è una rivoluzionarizzazione da compiere.
C'è da farvi penetrare la critica rivoluzionaria, fondata sulla distruzione delle cinque vecchie concezioni, e immettervi le cinque nuove concezioni: distruggere la tesi dell'inutilità delle donne; instaurare la tesi che le donne si devono conquistare con coraggio la metà del cielo; distruggere la morale feudale della moglie sottomessa e della buona madre...; distruggere la mentalità della dipendenza e della subordinazione all'uomo, e instaurare la ferrea volontà di liberarsi; distruggere le concezioni della borghesia e instaurare le concezioni proletarie; distruggere la concezione dell'interesse familiare per instaurare nella famiglia la concezione proletaria che tiene presente la nazione e il mondo.'
(Questi cinque principi sono citati in Cina, ininterrottamente, su tutta la questione delle donne, dalla stampa ufficiale del partito e dai documenti.)
“Auguro alle mie figlie – dice un'anziana compagna - che come donne esse possano conquistare la metà del cielo. Che la nostra famiglia faccia ogni sforzo per portare avanti la rivoluzione socialista, per superare ogni forma di egoismo.
Nelle nostre riunioni, in famiglia, insegnamo considerare l'individuo e la famiglia in rapporto con la società. Insegnamo a non temere il dolore fisico e la morte; a non dimenticare il passato; e non dimenticare nemmeno per un momento di difendere la dittatura del proletariato. Anche nelle famiglie vi è una lotta tra vecchio e nuovo. Si può essere della stessa famiglia e non avere le stesse idee. Anche nelle famiglie appaiono spesso contraddizioni, che bisogna risolvere; e nella famiglia stessa bisogna lottare contro l'egoismo, e criticare il revisionismo. Il presidente Mao insegna che per quel che concerne la concezione del mondo nella nostra epoca non vi sono in fondo che due scuole: la scuola proletaria e la scuola borghese, la concezione proletaria e quella borghese.
Per la famiglia, è lo stesso. La rivoluzionarizzazione della famiglia, in Cina, còmincia col mutare il ruolo della casalinga in quello di una donna immessa nel processo produttivo, e dallo sradicare la concezione della famiglia come un tutto egoistico.
Il proletariato, con la rivoluzione culturale, ha fatto la sua irruzione nell'ideologia, rivoluzionarizzando anche l'apparato ideologico della famiglia, superando per sempre
quella condizione che faceva esclamare ad Engels che la donna è proletaria due volte, una della società e l'altra dell'uomo”.
- la Rivoluzione culturale proletaria e le donne - 1° parte: "LE DONNE DEVONO CONQUISTARE LA METÀ DEL CIELO"
Avviamo con il libro di Maria Antonietta Maciocchi "Dalla Cina - dopo la rivoluzione culturale", da cui traiamo stralci del capitolo dedicato alla grande questione delle donne, la Formazione rivoluzionaria delle donne sulla "Rivoluzione culturale proletaria e le donne". (La Maciocchi è stata più volte in Cina e in particolare negli ultimi mesi del 1970).
L'assalto al cielo che fecero le donne in Cina non riguardò, e non riguarda tuttora, solo questo grande paese, ma tutto il mondo; ci fornisce lezioni teoriche, politiche, ideologiche per la battaglia odierna perchè la lotta delle donne sia una forza poderosa della rivoluzione e della rivoluzione nella rivoluzione per trasformare la terra e il cielo.
Come si vede già da questa prima parte che pubblichiamo, questo "assalto al cielo" si è dovuto duramente scontrare contro alcuni degli stessi dirigenti comunisti, contro concezioni e pratiche presenti anche tra i militanti del partito comunista - Lenin diceva "Gratta un comunista e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".
Anche questo è un insegnamento per l'oggi.
Ma per vincere le donne non devono delegare in nessun fronte della lotta rivoluzionaria, meno che mai in quello della teoria.
A questo vogliamo che serva questa Formazione rivoluzionaria.
Essa, su questo importante tema "Rivoluzione culturale proletaria e le donne" proseguirà per un periodo lungo. E questa volta pubblicheremo ogni settimana (di lunedì).
PER CUI DIAMO APPUNTAMENTO AI PROSSIMI LUNEDI'.
Morte della casalinga
“La dittatura del proletariato è una lotta testarda contro tutte le forze e le tradizioni del passato... Lenin sapeva bene che, preso il potere, la rivoluzione non è che agli inizi... E' come con le donne: beninteso, era necessario dare loro in primo luogo l'eguaglianza giuridica. Ma a partire di qui, tutto resta da fare. Bisogna che scompaiano l'ideologia, la cultura e i costumi che hanno condotto la Cina dove noi l'abbiamo trovata, e occorre che facciano la loro comparsa il pensiero, la cultura, e i costumi della Cina proletaria, che non esiste ancora.
La donna cinese non esiste ancora nemmeno lei, in massa; ma comincia a voler esistere. E poi liberare le donne non significa fabbricare le lavatrici elettriche...”
Dal colloquio di Mao Tse-tung con Malraux, luglio 1965, in Antimémoires, p. 549, Ed. Gallimard.
Liberare le donne significa quel che Lenin aveva pronosticato: che una semplice cuoca sia in grado di dirigere lo Stato. In Cina non erano a questo punto alla vigilia della rivoluzione culturale...
Il feudalesimo - una delle tre montagne che opprimono la Cina - ha continuato a pesare nella sovrastruttura per ciò che concerne le donne. Un problema aperto è in Cina quello di «valorizzare la funzione rivoluzionaria delle donne, come scrive 'Bandiera Rossa'... la lotta di classe
non è finita. Durante la rivoluzione e l'edificazione socialista, esiste ancora una grave lotta di classe sul problema delle donne... alcune donne sono state utilizzate dal nemico per ostacolare i quadri; alcune donne sono state colpite dalle concezioni diffuse dal nemico di classe; altre non hanno ancora risolto il problema: per chi coltivare la terra, e si concentrano nei piccoli calcoli in favore della propria famiglia, e di se stesse. Tuttavia, alcuni quadri di fronte a questa lotta di classe assumono l'atteggiamento: 'non ce la facciamo con i lavori principali; i problemi delle suocere e delle madri possono aspettare'; o sostengono: 'il lavoro delle donne non riguarda l'insieme del
partito,' e perciò danno un peso insufficiente al lavoro delle donne.
Queste situazioni dimostrano che dare o no importanza alle donne, afferrarne bene il lavoro o no, considerare le donne come una semplice forza-lavoro o considerarle come una grande forza rivoluzionaria, non è una questione qualunque, bensí un problema sulla base del quale si può vedere se si afferra o no la lotta di classe, se si applica o meno la linea rivoluzionaria del presidente Mao: ...”Bisogna lottare ancora contro le concezioni che disprezzano il movimento delle donne”, e hanno incitato i compagni a valutare l'importanza del lavoro delle donne partendo da tre aspetti: 1) muovere dalla concezione della lotta di classe per affrontare il lavoro delle donne: ...la borghesia userà allora del pensiero corrotto delle classi sfruttatrici per nuocere alle donne; 2) le donne sono piú della metà della popolazione, e senza una loro piena mobilitazione non può esistere un vero movimento di massa; 3) le donne rappresentano un grande potenziale umano.
Attraverso questi 'tre aspetti' tutti hanno capito meglio che per fare la rivoluzione è essenziale mobilitare le donne. II ritenere “le donne inutili”, o che “il lavoro delle donne non incide sull'insieme”, e consimili opinioni errate, è in realtà una manifestazione del veleno del traditore Liu
Shao-chi secondo il quale “le masse sono arretrate”, “la lotta di classe è estinta"...
“Si tratta di mobilitare le donne perché spezzino le catene spirituali e dispieghino uno spirito rivoluzionario.
Attraverso l'influenza della millenaria ideologia feudale, fra le donne, colpite dal veleno della linea revisionista controrivoluzionaria di Liu Shao-chi, c'era una minoranza ancora incatenata alle vecchie concezioni tradizionali."
I cinesi parlano con discrezione di questo argomento scottante, cosí come non parlano volentieri del controllo delle nascite". Ma ambedue questi temi, fortemente legati alla funzione rivoluzionaria delle donne, cominciano a prendere apertamente posto negli organi ufficiali del partito... (1 nota)
La condizione femminile, ovvero il ruolo rivoluzionario della donna, è stato uno dei temi di quella rivoluzionarizzazione della ideologia, che ha caratterizzato la rivoluzione culturale. Strettamente connessa ad esso, è la rivoluzionarizzazione nella famiglia. Pare che Liu Shao-chi,
piú che antifemminista, fosse ostile ad una scelta che “ponesse le donne in primo piano nella produzione, fuori dal focolare domestico, in coerenza con la scelta di un modo di accumulazione capitalistico, quale si è tradizionalmente sviluppato nel mondo, relegando la donna in immagini casalinghe ben precise...
Dopo l'ingresso tumultuoso delle donne cinesi nella lotta politica fin,dall'inizio del secolo, la loro partecipazione esemplare alla lunga marcia, alla lotta armata antigiapponese, dopo lo slancio di massa nella guerra di liberazione, e quindi nella fondazione della repubblica socialista che getta le basi di una nuova realtà che intanto si esprime, immediatamente, con nuove leggi che sanciscono la parità giuridica della donna... - un lento riflusso delle donne cinesi verso la famiglia aveva preso ad abbozzarsi. Ma negli anni del balzo in avanti venne da Mao una nuova spinta a rompere il cordone ombelicale donna-lavoro domestico. Le cinesi presero a impiantare, soprattutto nelle grandi città, attività produttive anche di carattere industriale.
Liu Shao-chi, che irrideva al modo di far le cose alla guerrigliera da parte degli operai, trovava
l'intervento delle donne quasi grottesco, e fece chiudere molte di queste fabbriche... Liu Shao-chi era per una politica di incentivi e di alti salari che consentissero all'uomo il mantenimento economico della donna ripristinata nel suo ruolo tradizionale di casalinga...
Nel corso della rivoluzione culturale, la Federazione delle donne cinesi è saltata via come un turacciolo, ovvero è stata disciolta... perché essa aveva assunto a propria volta strumenti rivendicativi queruli, non faceva politica, e rischiava di essere un'organizzazione femminile di “protezione della donna", una sorta di esercito della salvezza...
Liu Shao-chi, con il suo orientamento verso le donne, era giunto ad influenzare anche molti dirigenti del partito perché le loro mogli tornassero in casa, assolvendo al loro ruolo tradizionale di ospiti e di brave massaie...
(1 nota)
Dal recentissimo articolo del “Quotidiano del Popolo" del 3 marzo 1971... risulta come il problema delle donne sia in gran parte legato con quello piú generale delle campagne...
Nella campagna, infatti, l'arretratezza “data" della condizione femminile era particolarmente pronunciata, perché “1'intensità del lavoro, la povertà della vita, l'igiene insufficiente e infine le influenze negative sulla salute dovute ai numerosi bambini e ai parti fatti in modo tradizionale - ovvero “le tre montagne della vecchia società": imperialismo, capitalismo, feudalesimo - avevano reso molte donne adulte malate, riducendone o addirittura annullandone la capacità lavorativa. Si sono potute investire le campagne di un'azione generalizzata non solo di diagnosi e di cura, ma soprattutto di prevenzione delle malattie femminili, soltanto promuovendo, con la rivoluzione culturale, un movimento di massa, che affrontasse questi problemi su una base politica; non limitandosi ad “appoggiarsi su forze specializzate... ma associando le masse in questo lavoro" e coinvolgendovi il settore della medicina, con l'istituzione delle “dottoresse dai piedi nudi"; e superando così le difficoltà, dovute anche a talune opinioni errate tendenti a considerare “il preoccuparsi dei mali del popolo" come opposto allo spirito rivoluzionario “non temere né la morte né i sacrifici”...
L'assalto al cielo che fecero le donne in Cina non riguardò, e non riguarda tuttora, solo questo grande paese, ma tutto il mondo; ci fornisce lezioni teoriche, politiche, ideologiche per la battaglia odierna perchè la lotta delle donne sia una forza poderosa della rivoluzione e della rivoluzione nella rivoluzione per trasformare la terra e il cielo.
Come si vede già da questa prima parte che pubblichiamo, questo "assalto al cielo" si è dovuto duramente scontrare contro alcuni degli stessi dirigenti comunisti, contro concezioni e pratiche presenti anche tra i militanti del partito comunista - Lenin diceva "Gratta un comunista e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".
Anche questo è un insegnamento per l'oggi.
Ma per vincere le donne non devono delegare in nessun fronte della lotta rivoluzionaria, meno che mai in quello della teoria.
A questo vogliamo che serva questa Formazione rivoluzionaria.
Essa, su questo importante tema "Rivoluzione culturale proletaria e le donne" proseguirà per un periodo lungo. E questa volta pubblicheremo ogni settimana (di lunedì).
PER CUI DIAMO APPUNTAMENTO AI PROSSIMI LUNEDI'.
Morte della casalinga
“La dittatura del proletariato è una lotta testarda contro tutte le forze e le tradizioni del passato... Lenin sapeva bene che, preso il potere, la rivoluzione non è che agli inizi... E' come con le donne: beninteso, era necessario dare loro in primo luogo l'eguaglianza giuridica. Ma a partire di qui, tutto resta da fare. Bisogna che scompaiano l'ideologia, la cultura e i costumi che hanno condotto la Cina dove noi l'abbiamo trovata, e occorre che facciano la loro comparsa il pensiero, la cultura, e i costumi della Cina proletaria, che non esiste ancora.
La donna cinese non esiste ancora nemmeno lei, in massa; ma comincia a voler esistere. E poi liberare le donne non significa fabbricare le lavatrici elettriche...”
Dal colloquio di Mao Tse-tung con Malraux, luglio 1965, in Antimémoires, p. 549, Ed. Gallimard.
Liberare le donne significa quel che Lenin aveva pronosticato: che una semplice cuoca sia in grado di dirigere lo Stato. In Cina non erano a questo punto alla vigilia della rivoluzione culturale...
Il feudalesimo - una delle tre montagne che opprimono la Cina - ha continuato a pesare nella sovrastruttura per ciò che concerne le donne. Un problema aperto è in Cina quello di «valorizzare la funzione rivoluzionaria delle donne, come scrive 'Bandiera Rossa'... la lotta di classe
non è finita. Durante la rivoluzione e l'edificazione socialista, esiste ancora una grave lotta di classe sul problema delle donne... alcune donne sono state utilizzate dal nemico per ostacolare i quadri; alcune donne sono state colpite dalle concezioni diffuse dal nemico di classe; altre non hanno ancora risolto il problema: per chi coltivare la terra, e si concentrano nei piccoli calcoli in favore della propria famiglia, e di se stesse. Tuttavia, alcuni quadri di fronte a questa lotta di classe assumono l'atteggiamento: 'non ce la facciamo con i lavori principali; i problemi delle suocere e delle madri possono aspettare'; o sostengono: 'il lavoro delle donne non riguarda l'insieme del
partito,' e perciò danno un peso insufficiente al lavoro delle donne.
Queste situazioni dimostrano che dare o no importanza alle donne, afferrarne bene il lavoro o no, considerare le donne come una semplice forza-lavoro o considerarle come una grande forza rivoluzionaria, non è una questione qualunque, bensí un problema sulla base del quale si può vedere se si afferra o no la lotta di classe, se si applica o meno la linea rivoluzionaria del presidente Mao: ...”Bisogna lottare ancora contro le concezioni che disprezzano il movimento delle donne”, e hanno incitato i compagni a valutare l'importanza del lavoro delle donne partendo da tre aspetti: 1) muovere dalla concezione della lotta di classe per affrontare il lavoro delle donne: ...la borghesia userà allora del pensiero corrotto delle classi sfruttatrici per nuocere alle donne; 2) le donne sono piú della metà della popolazione, e senza una loro piena mobilitazione non può esistere un vero movimento di massa; 3) le donne rappresentano un grande potenziale umano.
Attraverso questi 'tre aspetti' tutti hanno capito meglio che per fare la rivoluzione è essenziale mobilitare le donne. II ritenere “le donne inutili”, o che “il lavoro delle donne non incide sull'insieme”, e consimili opinioni errate, è in realtà una manifestazione del veleno del traditore Liu
Shao-chi secondo il quale “le masse sono arretrate”, “la lotta di classe è estinta"...
“Si tratta di mobilitare le donne perché spezzino le catene spirituali e dispieghino uno spirito rivoluzionario.
Attraverso l'influenza della millenaria ideologia feudale, fra le donne, colpite dal veleno della linea revisionista controrivoluzionaria di Liu Shao-chi, c'era una minoranza ancora incatenata alle vecchie concezioni tradizionali."
I cinesi parlano con discrezione di questo argomento scottante, cosí come non parlano volentieri del controllo delle nascite". Ma ambedue questi temi, fortemente legati alla funzione rivoluzionaria delle donne, cominciano a prendere apertamente posto negli organi ufficiali del partito... (1 nota)
La condizione femminile, ovvero il ruolo rivoluzionario della donna, è stato uno dei temi di quella rivoluzionarizzazione della ideologia, che ha caratterizzato la rivoluzione culturale. Strettamente connessa ad esso, è la rivoluzionarizzazione nella famiglia. Pare che Liu Shao-chi,
piú che antifemminista, fosse ostile ad una scelta che “ponesse le donne in primo piano nella produzione, fuori dal focolare domestico, in coerenza con la scelta di un modo di accumulazione capitalistico, quale si è tradizionalmente sviluppato nel mondo, relegando la donna in immagini casalinghe ben precise...
Dopo l'ingresso tumultuoso delle donne cinesi nella lotta politica fin,dall'inizio del secolo, la loro partecipazione esemplare alla lunga marcia, alla lotta armata antigiapponese, dopo lo slancio di massa nella guerra di liberazione, e quindi nella fondazione della repubblica socialista che getta le basi di una nuova realtà che intanto si esprime, immediatamente, con nuove leggi che sanciscono la parità giuridica della donna... - un lento riflusso delle donne cinesi verso la famiglia aveva preso ad abbozzarsi. Ma negli anni del balzo in avanti venne da Mao una nuova spinta a rompere il cordone ombelicale donna-lavoro domestico. Le cinesi presero a impiantare, soprattutto nelle grandi città, attività produttive anche di carattere industriale.
Liu Shao-chi, che irrideva al modo di far le cose alla guerrigliera da parte degli operai, trovava
l'intervento delle donne quasi grottesco, e fece chiudere molte di queste fabbriche... Liu Shao-chi era per una politica di incentivi e di alti salari che consentissero all'uomo il mantenimento economico della donna ripristinata nel suo ruolo tradizionale di casalinga...
Nel corso della rivoluzione culturale, la Federazione delle donne cinesi è saltata via come un turacciolo, ovvero è stata disciolta... perché essa aveva assunto a propria volta strumenti rivendicativi queruli, non faceva politica, e rischiava di essere un'organizzazione femminile di “protezione della donna", una sorta di esercito della salvezza...
Liu Shao-chi, con il suo orientamento verso le donne, era giunto ad influenzare anche molti dirigenti del partito perché le loro mogli tornassero in casa, assolvendo al loro ruolo tradizionale di ospiti e di brave massaie...
(1 nota)
Dal recentissimo articolo del “Quotidiano del Popolo" del 3 marzo 1971... risulta come il problema delle donne sia in gran parte legato con quello piú generale delle campagne...
Nella campagna, infatti, l'arretratezza “data" della condizione femminile era particolarmente pronunciata, perché “1'intensità del lavoro, la povertà della vita, l'igiene insufficiente e infine le influenze negative sulla salute dovute ai numerosi bambini e ai parti fatti in modo tradizionale - ovvero “le tre montagne della vecchia società": imperialismo, capitalismo, feudalesimo - avevano reso molte donne adulte malate, riducendone o addirittura annullandone la capacità lavorativa. Si sono potute investire le campagne di un'azione generalizzata non solo di diagnosi e di cura, ma soprattutto di prevenzione delle malattie femminili, soltanto promuovendo, con la rivoluzione culturale, un movimento di massa, che affrontasse questi problemi su una base politica; non limitandosi ad “appoggiarsi su forze specializzate... ma associando le masse in questo lavoro" e coinvolgendovi il settore della medicina, con l'istituzione delle “dottoresse dai piedi nudi"; e superando così le difficoltà, dovute anche a talune opinioni errate tendenti a considerare “il preoccuparsi dei mali del popolo" come opposto allo spirito rivoluzionario “non temere né la morte né i sacrifici”...
- la Rivoluzione culturale proletaria e le donne: La rivoluzione nella rivoluzione
Riprendiamo la Formazione rivoluzionaria delle donne, pubblicando dal 12 dicembre una serie di scritti che affrontano una questione decisiva soprattutto nella lotta di liberazione rivoluzionaria delle donne, che hanno non una, ma mille catene della società borghese attuale da spezzare, che hanno necessità, perchè subiscono doppio sfruttamento e oppressione a tutti i livelli, di rovesciare e trasformare non solo la terra ma anche il cielo, non solo la struttura ma anche la sovrastruttura e ogni idea, abitudine, ecc. che riproducano, anche nella società socialista, le idee della borghesia, tra cui l'ideologia maschilista: la questione decisiva della rivoluzione nella rivoluzione.
Questa lotta si è affrontata in Cina e per almeno un decennio ha vinto, trasformando la condizione delle donne dal buio di prima della rivoluzione all'assalto al cielo dopo la rivoluzione.
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina, avviata nel 1966 è stata l’esperienza più moderna del proletariato, che ha indicato come portare la lotta rivoluzionaria in ogni ambito, non solo della struttura ma anche della sovrastruttura. Le donne durante gli anni precedenti la Rcp, con la rivoluzione democratica e socialista e la Repubblica popolare avevano già acquisito grandi cambiamenti sociali: l’ingresso massiccio nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, la riforma della legge sul matrimonio, la riforma del sistema d’istruzione, vedi i corsi di istruzione gratuita per le contadine, la riforma agraria ecc., che avevano portato le donne da una condizione di nera oppressione a “liberare i loro piedi, i loro corpi, il loro spirito”; ma è con la Grcp che le donne vengono chiamate per diventare loro protagoniste dell'assalto al cielo, per portare avanti in prima persona la “rivoluzione nella rivoluzione”.
Durante il vento della Grcp le donne dovettero lottare su tutti i campi per conquistare la metà del cielo. Dalle case e fuori dalle case, ai quartieri, alle fabbriche, ad una nuova educazione dei bambini; contro la violenza sessuale organizzarono comitati di quartiere in cui facevano processi popolari contro i mariti, i padri violentatori; furono distribuite le pillole anticoncezionali tra le donne che potevano iniziare a decidere della propria vita e maternità…
“Le donne sostengono la metà del cielo. Ma le donne devono conquistare la metà del cielo" – diceva Mao Tse tung.
Come questo è avvenuto – e come ci serve nella lotta di liberazione rivoluzionaria delle donne oggi anche nel nostro paese – cercheremo di approfondirlo nella Formazione rivoluzionaria.
- Formazione rivoluzionaria delle donne: La Rivoluzione culturale proletaria e le donne
Formazione
rivoluzionaria delle donne:
La
Rivoluzione culturale proletaria e le donne
Iniziamo
col testo “Sviluppare appieno la funzione della donna nella
Rivoluzione e nella costruzione del socialismo” (1 agosto 1972),
uscito durante la Rivoluzione culturale proletaria in Cina, diretta e
possiamo dire “scatenata” da Mao Tse Tung, con un ruolo decisivo
di Chiang Ching, articoli
sulla RCP e le donne, sul ruolo delle donne nell'assalto al cielo.
Proprio
sul ruolo rivoluzionario delle donne e la trasformazione della loro
vita da una condizione di profondissima oppressione a una di
effettiva emancipazione di milioni di donne, in un immenso paese,
dalle più lontane zone di campagna alle città, come forza decisiva
nella rivoluzione proletaria e nella costruzione del socialismo, si
può comprendere la grandezza dirompente della Rivoluzione culturale;
essa è stata anche una sfida, quasi “impossibile”, contro la
mentalità arretrata, conservatrice, patriarcale presente anche nei
compagni, nel Partito comunista cinese – come questo testo spiega
bene.
Il
testo di cui riportiamo ampi stralci è tratto dal libro “A 50 anni
dalla Rivoluzione Culturale” – Antologia di documenti – redatto
dalla Redazione di “Proletari Comunisti”.
Da
“Sviluppare appieno la funzione della donna nella Rivoluzione e
nella costruzione del socialismo” (1 agosto 1972) – stralci.
“...la
classe operaia ha sempre associato strettamente il problema delle
donne con la rivoluzione, considerando la loro emancipazione come una
componente importante della rivoluzione proletaria, ed è decisamente
contro la mentalità e il costume arretrato che sottovaluta la donna.
Dobbiamo quindi lottare coscientemente e accanitamente contro la
concezione tradizionale “l'uomo non si occupa delle faccende di
casa e la donna non si cura degli affari fuori di casa” ed essere i
promotori del movimento di emancipazione femminile.
Se
si pensasse (come alcuni compagni) che le faccende domestiche debbano
essere svolte unicamente dalle donne, e che in esse gli uomini non
hanno alcuna responsabilità, ciò significherebbe in realtà
limitare le donne al piccolo ambiente familiare e non permettere loro
di partecipare ai tre movimenti rivoluzionari. Evidentemente bisogna
prima di tutto cambiare la mentalità di questi compagni secondo cui
l'uomo prevale sulla donna. Vari problemi reali derivano proprio da
questa mentalità: per esempio, alcuni compagni non pianificano le
nascite, e pur avendo già due, tre figlie femmine, desiderano ancora
un figlio maschio; in tal modo facendo figli uno dietro l'altro si
arriva ad averne troppi e quindi viene appesantito l'onere familiare
cosicchè le donne difficilmente potranno evadere dalla piccola
cerchia della famiglia...
Ci
sono altri che non credono alla coscienza rivoluzionaria della gran
massa delle donne lavoratrici e pensano che le donne possono, sì,
partecipare al lavoro produttivo, ma non dedicarsi alle attività
politiche: questa concezione non appartiene certamente al marxismo.
...“Le
donne costituiscono la metà della popolazione: la condizione
economica delle donne lavoratrici così come la loro situazione
particolarmente oppressa, non soltanto dimostrano l'urgente necessità
della loro opera per la rivoluzione ma confermano che esse sono una
forza decisiva per la vittoria della rivoluzione” (Mao Tse Tung).
La grande massa delle donne lavoratrici del nostro paese è la
padrona della nazione r la forza motrice della rivoluzione. Dedicarsi
alle attività politiche e partecipare alla lotta di classe è un
loro diritto e un loro dovere; e quindi non è questione di essere
capaci o no, e non è nemmeno questione che qualcuno glielo permetta
o no...
Altri
compagni pensano che la capacità delle donne è inferiore e che esse
possano soltanto lottare, ma non dirigere; una simile concezione che
disprezza le donne non può, evidentemente, stare in piedi... “Ora
i tempi sono cambiati, uomini e donne sono uguali. Tutto ciò che può
fare l'uomo lo può fare anche la donna” (Mao Tse Tung). L'abilità
di ognuno non è innata, ma conquistata attraverso lotte ed
esperienze...
Alcune
compagne dopo essere entrate a far parte del gruppo dirigente, non
conoscendo a fondo la situazione, mancando di esperienza, durante il
lavoro si imbattono inevitabilmente in alcuni problemi? Ma forse che
i compagni uomini non incontrano i medesimi problemi? Di fronte a
questa situazione, quale decisione prendere? Interessarsi con premura
e aiutarle attivamente, o criticarle da cima a fondo, lamentarsi e
preoccuparsi senza fine? Lasciarle al posto di guida a lavorare e
contemporaneamente imparare, o forse metterle da parte?
L'atteggiamento giusto può essere solo il primo non il secondo...
C'è
ancora un altro tipo di di persone le quali, pur ammettendo da una
parte che la capacità delle donne non è inferiore a quella dei
compagni uomini, dall'altra dice cose di questo genere: “le donne
giovani devono maritarsi, le donne di mezza età devono allevare i
bambini, le donne possono fare la rivoluzione solo per metà, la loro
formazione non ha prospettive future”. Questo è un altro genere di
pretesto contro la formazione dei quadri femminili ed è un'altra
manifestazione della mentalità antiquata che disprezza le donne.
Forse che le donne dopo essersi maritate e dopo aver avuto dei figli
non possono più fare la rivoluzione e progredire? No, le cose non
stanno assolutamente così, in fondo, fare la rivoluzione significa
farla per tutta la vita non solo per un breve periodo...
Tra
il popolo sussistono ancora molti pregiudizi nei confronti della
donna che impediscono alla sua forza rivoluzionaria di svilupparsi;
perciò organizzare bene il lavoro femminile è una seria lotta di
classe, ed è anche una lotta per cambiare il costume, pertanto non
deve prendersi alla leggera...
“Il
giorno in cui tutte le donne della nazione risorgeranno, sarà
proprio quello il giorno della vittoria della rivoluzione cinese”
(Mao Tse Tung)...
- FORMAZIONE RIVOLUZIONARIA DELLE DONNE - CHIANG CHING "LA RIVOLUZIONE NELLA RIVOLUZIONE" (conclusione)
Pubblichiamo, in conclusione del lungo testo/opuscolo su Chiang Ching - di cui abbiamo nei due mesi precedenti riportato ampi stralci - altri passi importanti, che riguardano in particolare il ruolo decisivo avuto da Chiang Ching per e durante la Rivoluzione Culturale Proletaria - che portò l'"altra metà del cielo" dal profondo abisso in cui stava prima della rivoluzione al "cielo" appunto.
Nella GRCP Chiang Ching si rivelò ancora di più la compagna determinata, amata dalle masse, soprattutto dai giovani, dalle donne, e odiata dai vecchi e nuovi borghesi, che alla fine la incarcerarono e uccisero.
Chiang Ching è un esempio luminoso della forza dirompente e rivoluzionaria delle donne. Per questo la sua vita va conosciuta e divulgata.
Noi abbiamo cercato di farlo con la Formazione Rivoluzionaria. Ma invitiamo tutte le compagne, le donne che vogliono ribellarsi alla loro doppia, tripla oppressione ed essere in prima fila nella battaglia rivoluzionaria ad approfondire questa importante conoscenza.
L'opuscolo integrale su Chiang Ching si può richiedere a MFPR scrivendo a: mfpr.naz@gmail.com
Riprenderemo a fine settembre la Formazione Rivoluzionaria.
Nella GRCP Chiang Ching si rivelò ancora di più la compagna determinata, amata dalle masse, soprattutto dai giovani, dalle donne, e odiata dai vecchi e nuovi borghesi, che alla fine la incarcerarono e uccisero.
Chiang Ching è un esempio luminoso della forza dirompente e rivoluzionaria delle donne. Per questo la sua vita va conosciuta e divulgata.
Noi abbiamo cercato di farlo con la Formazione Rivoluzionaria. Ma invitiamo tutte le compagne, le donne che vogliono ribellarsi alla loro doppia, tripla oppressione ed essere in prima fila nella battaglia rivoluzionaria ad approfondire questa importante conoscenza.
L'opuscolo integrale su Chiang Ching si può richiedere a MFPR scrivendo a: mfpr.naz@gmail.com
Riprenderemo a fine settembre la Formazione Rivoluzionaria.
"...Per più di un decennio di potere proletario si erano fatti giganteschi passi avanti verso la trasformazione della Cina arretrata, semifeudale e semicoloniale le proprietà privata aveva subito una profonda trasformazione mediante la collettivizzazione e la nazionalizzazione dell'industria... la perversa spirale di miseria e indebitamento era stata interrotta e la fame e l'analfabetismo erano stati in gran parte eliminati. Le donne cominciavano in gran numero ad entrare nelle scuole e a prendere parte attivamente alla vita produttiva ed politica.
Allo stesso tempo, importanti progressi in molte sfere furono bloccati, in parte o del tutto, dalla linea revisionista e dall'oppressivo peso del passato... In alcune fabbriche l'amministrazione, nelle mani dei revisionisti, invitava gli operai a limitare le discussioni politiche a 30 minuti al giorno, perchè non si interrompesse la produzione...
Questa contraddizione tra il socialismo e le vestigia del semifeudalesimo, assieme al nascente capitalismo, emerse con chiarezza nella lotta, intenza e difficile, per la liberazione della donna cinese,
che iniziava sì ad integrarsi nell'industria, nell'educazione e nei livelli inferiori del Partito e del governo, ma che ancora aveva di fronte le enormi barriere delle idee feudali e dei ruoli tradizionali di oppressione domestica. Solo scatenando la lotta cosciente nel campo della sovrastruttura si poteva cominciare a rompere questi anelli ideologici e, allo stesso tempo, favorire una maggiore trasformazione socialista della base economica.
La lotta divampata nel campo dell'arte era un riflesso di tutto questo processo...
Chiang Ching fece molta ricerca, intervistando molte compagnie di teatro, parlando con interpreti, vedendo film e assistendo ad opere teatrali e musicali in tutto il paese. Vi trovò non innovazioni socialiste, che esaltassero le imprese e l'eroismo delle masse, bensì o un asfissiante miscuglio di nuovo revisionismo e vecchie opere tediose e oppressive, che difendevano privilegi e differenze di classe, mettendo in scena ridondanti e superstiziosi personaggi tradizionali, o la totale imitazione di opere straniere di scrittori borghesi... Nell'arco di pochi anni furono creati 37 opere e drammi, nuovi e rivisitati... Chiang Ching adottò nelle arti il metodo della combinazione di “tre in uno”, coinvolgendo quadri di Partito, soggettisti (che erano stati inviati a vivere tra i contadini, soldati e operai per comprendere meglio l'esperienza che dovevano rappresentare) e masse rivoluzionarie, che assistevano e criticavano per migliorare in corsa le produzioni. Per esempio nel 1963 Chiang Ching assistette alla rappresentazione di un'opera di Pechino. Sulle banchine... Fu inizialmente elaborata con la collaborazione entusiasta degli operai dei moli di Shanghai: “Ai vecchi tempi eravamo solo coolies (servi), non avevamo diritto di far parte del pubblico, tanto meno salire in scena”. Ma il teatro dell'opera di Pechino di Shanghai era una roccaforte revisionista e i suoi scrittori cominciarono immediatamente a modificare il copione, per affievolirne l'internazionalismo ed elevare “personaggi medi” ai ruoli principali. I lavoratori portuali erano furiosi: “Ognuna delle nostre famiglie ha una storia di amara sofferenza... Quando aderiamo alla causa rivoluzionaria del Partito, noi operai e veterani siamo viviu, pronti e decisi. La vostra opera ci presenta stupidi e fiacchi... Non approveremo mai un'opera così”...
Queste lotte fra le due linee nelle arti annunciavano le tormente ancora maggiori a venire, quando la cultura e la sovrastruttura in generale si trasformeranno in un'importante arena della lotta di classe, nella travolgente decennale battaglia della Rivoluzione Culturale...
...Con l'apparizione del manifesto a grandi caratteri (tatsebao) nell'Università di Pechino nel maggio del 1966, pienamente appoggiato da Mao, tutte le chiuse del flusso della Rivoluzione Culturale furono aperte. Chiang Ching è sul campo fin dai primi assalti. Nel luglio 1966 circola all'Università di Pechino e in altre scuole per parlare agli studenti e seguire il dibattito che si sviluppava. Denunciò subito il ruolo controrivoluzionario svolto dai “gruppi di lavoro” che cercavano di soffocare la ribellione degli studenti...
Una delle cose di Chiang Ching, come dello stesso Mao, che sempre si ricorderanno e illoro forte legame con i giovani... sostenendo con energia e audacia la ribellione della gioventù...
Le Guardie Rosse fecero il loro trionfale ingresso a Pechino tra l'agosto e il settembre del 1966, preparando l'ormai imminente partecipazione di operai e contadini al movimento... Chiang Ching la si riconosceva subito con il suo berretto...
L'esempio di Chiang Ching fu di sprono perchè altri osassero essere come lei, osassero dare tutto di sé per il potere politico del proletariato, evitando ogni esitazione di fronte ad astuti e calcolatori controrivoluzionari... Essa dimostrò una straordinaria capacità di combinare fiducia rivoluzionaria nelle masse e disprezzo per il nemico, in una direzione pratica che guidò la trattazione delle complesse e molteplici contraddizioni che irrompevano da ogni parte mentre il popolo scatenava la sua lotta per strappare il potere ai seguaci della via capitalista...
(Alcuni effetti della Rivoluzione Culturale)... Una miriade di cose nuove... operai, contadini e soldati che andavano a studiare nelle università; giovani acculturati che andavano nelle campagne; quadri di Partito che partecipavano al lavoro produttivo; operai che partecipavano all'amministrazione e alla riforma di vecchie regole e regolamenti... cambiamenti comprese innovazioni tecnologiche nelle fabbriche e nelle zone rurali, e scoperte scientifiche in generale; parole d'ordini quali “rosso ed esperto” o “la politica al comando sui professionisti” unirono chi era in possesso di una corretta linea politica e chi aveva conoscenze specialistiche; le donne raggiunsero posti di comando nel Partito... si mise al servizio delle campagne una rete di cliniche gratuite, del tutto o in parte, grazie ai “medici scalzi” formatisi tra i contadini....
Allo stesso tempo, importanti progressi in molte sfere furono bloccati, in parte o del tutto, dalla linea revisionista e dall'oppressivo peso del passato... In alcune fabbriche l'amministrazione, nelle mani dei revisionisti, invitava gli operai a limitare le discussioni politiche a 30 minuti al giorno, perchè non si interrompesse la produzione...
Questa contraddizione tra il socialismo e le vestigia del semifeudalesimo, assieme al nascente capitalismo, emerse con chiarezza nella lotta, intenza e difficile, per la liberazione della donna cinese,
che iniziava sì ad integrarsi nell'industria, nell'educazione e nei livelli inferiori del Partito e del governo, ma che ancora aveva di fronte le enormi barriere delle idee feudali e dei ruoli tradizionali di oppressione domestica. Solo scatenando la lotta cosciente nel campo della sovrastruttura si poteva cominciare a rompere questi anelli ideologici e, allo stesso tempo, favorire una maggiore trasformazione socialista della base economica.
La lotta divampata nel campo dell'arte era un riflesso di tutto questo processo...
Chiang Ching fece molta ricerca, intervistando molte compagnie di teatro, parlando con interpreti, vedendo film e assistendo ad opere teatrali e musicali in tutto il paese. Vi trovò non innovazioni socialiste, che esaltassero le imprese e l'eroismo delle masse, bensì o un asfissiante miscuglio di nuovo revisionismo e vecchie opere tediose e oppressive, che difendevano privilegi e differenze di classe, mettendo in scena ridondanti e superstiziosi personaggi tradizionali, o la totale imitazione di opere straniere di scrittori borghesi... Nell'arco di pochi anni furono creati 37 opere e drammi, nuovi e rivisitati... Chiang Ching adottò nelle arti il metodo della combinazione di “tre in uno”, coinvolgendo quadri di Partito, soggettisti (che erano stati inviati a vivere tra i contadini, soldati e operai per comprendere meglio l'esperienza che dovevano rappresentare) e masse rivoluzionarie, che assistevano e criticavano per migliorare in corsa le produzioni. Per esempio nel 1963 Chiang Ching assistette alla rappresentazione di un'opera di Pechino. Sulle banchine... Fu inizialmente elaborata con la collaborazione entusiasta degli operai dei moli di Shanghai: “Ai vecchi tempi eravamo solo coolies (servi), non avevamo diritto di far parte del pubblico, tanto meno salire in scena”. Ma il teatro dell'opera di Pechino di Shanghai era una roccaforte revisionista e i suoi scrittori cominciarono immediatamente a modificare il copione, per affievolirne l'internazionalismo ed elevare “personaggi medi” ai ruoli principali. I lavoratori portuali erano furiosi: “Ognuna delle nostre famiglie ha una storia di amara sofferenza... Quando aderiamo alla causa rivoluzionaria del Partito, noi operai e veterani siamo viviu, pronti e decisi. La vostra opera ci presenta stupidi e fiacchi... Non approveremo mai un'opera così”...
Queste lotte fra le due linee nelle arti annunciavano le tormente ancora maggiori a venire, quando la cultura e la sovrastruttura in generale si trasformeranno in un'importante arena della lotta di classe, nella travolgente decennale battaglia della Rivoluzione Culturale...
...Con l'apparizione del manifesto a grandi caratteri (tatsebao) nell'Università di Pechino nel maggio del 1966, pienamente appoggiato da Mao, tutte le chiuse del flusso della Rivoluzione Culturale furono aperte. Chiang Ching è sul campo fin dai primi assalti. Nel luglio 1966 circola all'Università di Pechino e in altre scuole per parlare agli studenti e seguire il dibattito che si sviluppava. Denunciò subito il ruolo controrivoluzionario svolto dai “gruppi di lavoro” che cercavano di soffocare la ribellione degli studenti...
Una delle cose di Chiang Ching, come dello stesso Mao, che sempre si ricorderanno e illoro forte legame con i giovani... sostenendo con energia e audacia la ribellione della gioventù...
Le Guardie Rosse fecero il loro trionfale ingresso a Pechino tra l'agosto e il settembre del 1966, preparando l'ormai imminente partecipazione di operai e contadini al movimento... Chiang Ching la si riconosceva subito con il suo berretto...
L'esempio di Chiang Ching fu di sprono perchè altri osassero essere come lei, osassero dare tutto di sé per il potere politico del proletariato, evitando ogni esitazione di fronte ad astuti e calcolatori controrivoluzionari... Essa dimostrò una straordinaria capacità di combinare fiducia rivoluzionaria nelle masse e disprezzo per il nemico, in una direzione pratica che guidò la trattazione delle complesse e molteplici contraddizioni che irrompevano da ogni parte mentre il popolo scatenava la sua lotta per strappare il potere ai seguaci della via capitalista...
(Alcuni effetti della Rivoluzione Culturale)... Una miriade di cose nuove... operai, contadini e soldati che andavano a studiare nelle università; giovani acculturati che andavano nelle campagne; quadri di Partito che partecipavano al lavoro produttivo; operai che partecipavano all'amministrazione e alla riforma di vecchie regole e regolamenti... cambiamenti comprese innovazioni tecnologiche nelle fabbriche e nelle zone rurali, e scoperte scientifiche in generale; parole d'ordini quali “rosso ed esperto” o “la politica al comando sui professionisti” unirono chi era in possesso di una corretta linea politica e chi aveva conoscenze specialistiche; le donne raggiunsero posti di comando nel Partito... si mise al servizio delle campagne una rete di cliniche gratuite, del tutto o in parte, grazie ai “medici scalzi” formatisi tra i contadini....
- Formazione rivoluzionaria delle donne: Chiang Ching - 2 parte
Continuiamo la pubblicazione di stralci dell'opuscolo:
Chiang Ching
La rivoluzione nella rivoluzione di una donna comunista
(tratto da A World To Win 1993)
"...Sebbene
Chiang Ching fosse entrata nel Partito già alcuni anni prima, tutto
nella sua storia indica che è stato il periodo delloYenan che ha
costituito per lei il reale salto politico e ideologico.
Seguì
le conferenze di Mao Tse Tung ed entrò nella Scuola di Partito,
mentre lavorava e frequentava corsi all' Accademia d'Arte e
Letteratura Lu Sin (che, fra l'altro, preparava le compagnie di
teatro per servire al fronte). Recitare,ormai, non era più la sua
attività principale: ricevette anche mesi
di
addestramento militare e, appena vi fosse un momento di calma
relativa nella guerra, si dedicava molto seriamente allo studio del
marxismo leninismo. Mao, molto interessato alle questioni culturali
cercava
costantemente la discussione su arte e politica anche con i compagni
appena arrivati, Chiang Ching, a sua volta, divenne presto allieva
entusiasta di Mao. Alla fine del 1938 si sposarono.
Ebbero
una figlia, Li Na, che allevarono insieme all'altra figlia di Mao,
Lin Min.
Sulla
corona di fiori per il funerale di Mao, nel 1976 la dedica di Chiang
Ching diceva: “Dalla sua discepola e compagna in armi”. Per tutti
i 38 anni del loro matrimonio, fu questa la caratteristica della sua
relazione con il Presidente e, se molte e diverse furono le tormente
politiche che affrontarono uniti, fu negli anni intensi che
condivisero nelle caverne dello Yenan e negli ultimi anni
anni
della Guerra di Liberazione che Mao stava dirigendo nel Nordest della
Cina, che si forgiò quel loro legame tanto stretto. Molti
osservatori stranieri hanno descritto l'animata atmosfera radicale del ' comunismo di guerra' di quei vigorosi giorni nello
Yenan, in cui alti dirigenti comunisti vivevano fianco a fianco con i
contadini, giovani e vecchi ballavano insieme e i soldati aiutavano a
coltivare il raccolto, dove la vita era relativamente semplice,
organizzata intorno all'unico obbiettivo di scatenare la guerra
rivoluzionaria del popolo.
Come diceva uno degli slogan di
Mao, sulle antiche pareti dello Yenan: “Con una zappa su una spalla
e un fucile nell'altra, saremo autosufficienti nella produzione e
proteggeremo il Comitato Centrale del Partito.
Non è
chiaro fino a che punto il PCC si sia intromesso nel matrimonio di
Mao e di Chiang Ching, è stato però più volte affermato che alcuni
capi del Partito lo accettarono solo a condizione che a Chiang Ching
non fosse permesso di svolgere un ruolo politico pubblico. Ciò
avrebbe più volte frenato la sua iniziativa negli anni successivi,
dopo la liberazione, quando i compiti della rivoluzione socialista e
la costruzione del socialismo divennero concreti.
Chiang
Ching si unì ad un gruppo che partì per le montagne di Nanniwan per
un programma di lavoro manuale semestrale, parte di un progetto di
recupero di terre e di comunità autosufficienti,
lanciato
da Mao nel 1939 per dare impulso alla produzione della zona.
Nonostante stesse lottando
contro la tubercolosi, agli inizi degli anni 40 Chiang Ching insegnò
arte drammatica all'Accademia Lu Sin e diresse la produzione di opere
che chiamavano le masse a resistere all'aggressione giapponese,
rappresentate per il popolo della regione e al fronte.
Nel
marzo del 1947 Chiang Kai Shek faceva bombardare lo Yenan,
costringendo la direzione del Partito a trasferirsi. Chiang Ching si
ritirò, quale istruttrice politica del Terzo Reggimento, nel Nordest
dove, a suo dire, iniziarono gli anni più difficili della guerra di
Liberazione, dal marzo
del
1947 al giugno del 1949. E' questo il periodo delle famose opere nuove,
sviluppate durante la Rivoluzione Culturale: il Concerto per piano
del Fiume Giallo e due delle opere rivoluzionarie, La lanterna rossa
e Shachiapang. Ella ricorda la sua commozione quando, assieme a Mao,
attraversava i villaggi lungo il tragitto, e le precauzioni che
dovettero prendere per proteggerlo, evitando di dire il suo nome in
pubblico.
Coerentemente
con il “Manifesto del doppio dieci” di Mao (pubblicato il 10
ottobre del 47), che esortava il popolo a rovesciare Chiang Kai Shek
e a unire la nazione, uno dei suoi compiti fu quello di organizzare
una campagna per ricordare le sofferenze sopportate dalle truppe e
condurre la lotta per fare dell'Esercito Rosso, un esercito al servizio del popolo.
Chiang
Ching racconta di come approfittasse di ogni intervallo tra i
combattimenti con il nemico per apprendere di più sulla situazione
politica e sociale dei contadini, base per il lancio della riforma
agraria. Un episodio è esemplare della condizione della donna in una
provincia costiera in quel periodo, quando il concubinato era
comunemente diffuso. Un proprietario terriero, particolarmente
odiato, aveva obbligato le sue tante concubine a svolgere compiti
servili, come quello di trasportarlo
da
una parete all'altra su una portantina di vimini, e a sobbarcarsi
tutto il lavoro dei campi.
Durante
la riforma agraria, le 'sue 'concubine lo denunciarono davanti a
tutta la comunità, distruggendolo; ognuna di esse, allora, ricevette
una parte della sua terra perchè la lavorasse come propria...."
- Formazione rivoluzionaria delle donne: Chiang Ching - 1 parte
Dopo
il lavoro, da gennaio ad aprile, su “L'origine della famiglia,
della proprietà privata e dello Stato” di Engels, da questo mese
di maggio, nel 50° anniversario della Grande rivoluzione culturale
proletaria in Cina, cominciamo a pubblicare stralci di un opuscolo su
Chiang Ching, la cui vita e grande lotta rivoluzionaria è dai più
sconosciuta o mistificata, più
altri materiali sulla Rivoluzione culturale proletaria.
Si
tratta spesso di materiali per la maggiorparte introvabili o,
volutamente, insabbiati. Essi ci fanno scoprire come le donne nella
rivoluzione abbiano tentato e possano fare “l'assalto al cielo”.
Chiang Ching
la
rivoluzione nella
rivoluzione di una donna comunista
(tratto
da A World To Win 1993)
*****
Una ribelle contro la tradizione
Fin
da quando, ragazzina, si strappò le bende dai piedi, Chiang Ching fu
una ribelle. Crebbe in una Cina stretta tra gli artigli delle potenze
imperialiste, in barbari giorni di miseria in cui, come diceva Mao,”gli
alberi, come la gente , erano nudi, perchè la gente era occupata a
mangiarseli “ , in condizioni di oppressione feudale nelle quali “le
contadine speravano di rinascere sotto forma di cani, perchè così,
almeno, sarebbero state meno miserabili”. Le zone già controllate dai
tedeschi della provincia di Shantung, dove Li Ching (come allora si
chiamava) nacque nel 1914, da una famiglia di artigiani poveri, durante
la I Guerra Mondiale furono occupate dai giapponesi, come base per
l'espansione in tutta la Cina. Suo padre, un fabbricante di ruote,
sfogava la rabbia di essere povero bastonando la moglie e i figli, fino a
quando sua madre lo abbandonò per andare a lavorare a servizio presso
un proprietario terriero.
Chiang Ching ricorda di aver patito spesso la fame ma di essere stata più fortunata di molti altri, perchè potè andare a scuola. In un' intervista disse che le lezioni che più odiava a scuola erano quelle di morale confuciana (o come obbedire alle autorità) e di essere stata picchiata spesso per essersi distratta in classe. Ricorda la nausea e il terrore quando, bambina, vedeva le teste dei debitori decapitati issate sulle pertiche e il crepitio delle esecuzioni dei ladri che avevano rubato cibo risuonava nelle sue orecchie.
Chiang Ching s' interessò per la prima volta di recitazione quando all'età di quindici anni, studiò in una scuola di teatro sperimentale di stato, cui era stata ammessa solo perchè non vi era un numero sufficiente di ragazze iscritte. La scuola, però, chiuse poco dopo, a causa della pressione dell'esercito di un signore della guerra accampato nella città di Tsinan, e lei, alcuni dei professori ed altri studenti, raggiunsero Pechino come compagnia teatrale itinerante. L'incidente a di Mukden del 18 settembre del 1931, quando gli imperialisti giapponesi occuparono la Manciuria, rappresentò per Chiang Ching il primo punto di svolta politico. Sin da giovane aveva odiato l'occupazione straniera del suo paese, ma fu allora che decise che doveva prendere una posizione.
Si unì subito alla Lega dei Drammaturghi di sinistra (diretta dal Partito Comunista) di Tsingtao, dove lavorò come impiegata nella biblioteca dell'Università, cominciando a leggere le opere di Lenin.
Con alcuni amici, formò la Società Drammatica della Costa, che si recava nelle zone rurali a rappresentare opere anti giapponesi e a propagandare le zone “Sovietiche” che erano state fondate dall'Esercito Rosso della Cina. Scoprirono una miseria che mai avevano visto nelle città e capirono che la differenza tra gli obbiettivi delle forze nazionalistiche del Kuomitang e quelli dei comunisti non era affatto una questione accademica. Contro l'aggressione giapponese, Chiang Ching appoggiò la linea di “Resistenza totale”, guadagnandosi la reputazione di “agitatrice” tra i circoli universitari in cui si muoveva.
Effettivamente, Chiang Ching aveva ricevuto solo otto anni di educazione formale, compresi i cinque anni della scuola elementare, anche se molto spesso aveva seguito corsi universitari che la interessavano. Come lei dice, la maggior parte di quello che apprese proveniva “dall'educazione sociale “, dalla scuola dell'esperienza per lei iniziata nel 1933, quando conobbe e fu poi ammessa nell'allora clandestino PCC. Nei turbolenti anni 30, decise che fare la rivoluzione era molto più importante che scrivere saggi e poesie.
Nondimeno, quando fu inviata a lavorare a Shangai nella primavera del 1933, Chiang Ching potè scoprire che diventare membro attivo del Partito era anche molto più difficile. Lì, dominata dal principale avversa rio politico di Mao , Wang Ming, e dalla sua linea insurrezionalista urbana, la struttura del Partito fu quasi completamente dissolta e prevalse l'opportunismo. Molti di questi capi del PCC, quando non collaboravano direttamente con il KMT, si servivano le forze nuove attratte dal comunismo, le centinaia di migliaia di intellettuali di sinistra che riparavano nella cosmopolita Shangai, per proteggersi dalle continue retate del Kuomitang.
Il primo incarico di Chiang Ching a Shangai fu presso la locale Compagnia di Lavoro e Studi.
Divenne attrice teatrale, recitando in numerose opere progressiste che chiamavano il popolo alla difesa della Cina contro il Giappone. Successivamente, lavorando come insegnante nei corsi serali per operai, visitò molte fabbriche, acquisendo stretta familiarità con le miserabili condizioni del sistema di lavoro a contratto in fabbrica, specie nei grandi stabilimenti tessili, di proprietà nipponica e in quelle di sigarette, di proprietà britannica. Fu arrestata dal KMT (“grazie ad un suo vecchio amico del PCC rinnegato entrato nella polizia segreta ) e incarcerata per otto mesi. Se non altro, raccontò poi, nel tempo trascorso in carcere prese lezioni su come ingannare, recitando, i suoi carcerieri del KMT.
Essere un'attrice di cinema negli anni 30 a Shangai significava andare contro la tradizione, su tutti i fronti. La tradizione disprezzava questa occupazione, considerandola una professione per donne 'facili' e socialmente radicali. Le attrici erano oggetto di di spietate persecuzioni personali, volte a risvegliarne gli 'istinti' feudali e spingerle al suicidio (esito molto frequente). Il noto scrittore rivoluzionario Lu Sin, allora molto influente, che simpatizzava con i comunisti, fu uno dei suoi maestri. Egli scrisse diversi saggi su questo problema e sull'emancipazione della donna in generale;
in particolare “il pettegolezzo è qualcosa di spaventoso”, che criticava le ingiuste calunnie contro le donne impegnate nelle ar ti sceniche e gli attacchi della stampa misogina.
A metà degli anni 30 Mao e l'Esercito Rosso intrapresero la Lunga Marcia, Chiang Ching era spesso impegnata, per sopravvivere, in riprese cinematografiche e potè constatare che le produzioni erano ancora completamente dominate da Hollywood, ad eccezione di pochi film democratici. Scrisse anche alcuni articoli sulla rivista di sinistra Illustrazione. Quando la stampa diffuse la falsa notizia del suo rapimento (per spingerla al suicidio), denunciò questa minaccia personale in un articolo dal titolo”La mia lettera aperta”, pubblicato in un periodico di Shangai, Chiang Ching si recò al nord, nei quartieri dell' VIII Corpo dell'Esercito del PCC nel Sian, dove lei e molti altri giovani radicali accorrevano per unirsi alle truppe dell'Esercito Rosso nello Yenan, dopo un viaggio di circa 500 Km attraverso le montagne.
Chiang Ching ricorda di aver patito spesso la fame ma di essere stata più fortunata di molti altri, perchè potè andare a scuola. In un' intervista disse che le lezioni che più odiava a scuola erano quelle di morale confuciana (o come obbedire alle autorità) e di essere stata picchiata spesso per essersi distratta in classe. Ricorda la nausea e il terrore quando, bambina, vedeva le teste dei debitori decapitati issate sulle pertiche e il crepitio delle esecuzioni dei ladri che avevano rubato cibo risuonava nelle sue orecchie.
Chiang Ching s' interessò per la prima volta di recitazione quando all'età di quindici anni, studiò in una scuola di teatro sperimentale di stato, cui era stata ammessa solo perchè non vi era un numero sufficiente di ragazze iscritte. La scuola, però, chiuse poco dopo, a causa della pressione dell'esercito di un signore della guerra accampato nella città di Tsinan, e lei, alcuni dei professori ed altri studenti, raggiunsero Pechino come compagnia teatrale itinerante. L'incidente a di Mukden del 18 settembre del 1931, quando gli imperialisti giapponesi occuparono la Manciuria, rappresentò per Chiang Ching il primo punto di svolta politico. Sin da giovane aveva odiato l'occupazione straniera del suo paese, ma fu allora che decise che doveva prendere una posizione.
Si unì subito alla Lega dei Drammaturghi di sinistra (diretta dal Partito Comunista) di Tsingtao, dove lavorò come impiegata nella biblioteca dell'Università, cominciando a leggere le opere di Lenin.
Con alcuni amici, formò la Società Drammatica della Costa, che si recava nelle zone rurali a rappresentare opere anti giapponesi e a propagandare le zone “Sovietiche” che erano state fondate dall'Esercito Rosso della Cina. Scoprirono una miseria che mai avevano visto nelle città e capirono che la differenza tra gli obbiettivi delle forze nazionalistiche del Kuomitang e quelli dei comunisti non era affatto una questione accademica. Contro l'aggressione giapponese, Chiang Ching appoggiò la linea di “Resistenza totale”, guadagnandosi la reputazione di “agitatrice” tra i circoli universitari in cui si muoveva.
Effettivamente, Chiang Ching aveva ricevuto solo otto anni di educazione formale, compresi i cinque anni della scuola elementare, anche se molto spesso aveva seguito corsi universitari che la interessavano. Come lei dice, la maggior parte di quello che apprese proveniva “dall'educazione sociale “, dalla scuola dell'esperienza per lei iniziata nel 1933, quando conobbe e fu poi ammessa nell'allora clandestino PCC. Nei turbolenti anni 30, decise che fare la rivoluzione era molto più importante che scrivere saggi e poesie.
Nondimeno, quando fu inviata a lavorare a Shangai nella primavera del 1933, Chiang Ching potè scoprire che diventare membro attivo del Partito era anche molto più difficile. Lì, dominata dal principale avversa rio politico di Mao , Wang Ming, e dalla sua linea insurrezionalista urbana, la struttura del Partito fu quasi completamente dissolta e prevalse l'opportunismo. Molti di questi capi del PCC, quando non collaboravano direttamente con il KMT, si servivano le forze nuove attratte dal comunismo, le centinaia di migliaia di intellettuali di sinistra che riparavano nella cosmopolita Shangai, per proteggersi dalle continue retate del Kuomitang.
Il primo incarico di Chiang Ching a Shangai fu presso la locale Compagnia di Lavoro e Studi.
Divenne attrice teatrale, recitando in numerose opere progressiste che chiamavano il popolo alla difesa della Cina contro il Giappone. Successivamente, lavorando come insegnante nei corsi serali per operai, visitò molte fabbriche, acquisendo stretta familiarità con le miserabili condizioni del sistema di lavoro a contratto in fabbrica, specie nei grandi stabilimenti tessili, di proprietà nipponica e in quelle di sigarette, di proprietà britannica. Fu arrestata dal KMT (“grazie ad un suo vecchio amico del PCC rinnegato entrato nella polizia segreta ) e incarcerata per otto mesi. Se non altro, raccontò poi, nel tempo trascorso in carcere prese lezioni su come ingannare, recitando, i suoi carcerieri del KMT.
Essere un'attrice di cinema negli anni 30 a Shangai significava andare contro la tradizione, su tutti i fronti. La tradizione disprezzava questa occupazione, considerandola una professione per donne 'facili' e socialmente radicali. Le attrici erano oggetto di di spietate persecuzioni personali, volte a risvegliarne gli 'istinti' feudali e spingerle al suicidio (esito molto frequente). Il noto scrittore rivoluzionario Lu Sin, allora molto influente, che simpatizzava con i comunisti, fu uno dei suoi maestri. Egli scrisse diversi saggi su questo problema e sull'emancipazione della donna in generale;
in particolare “il pettegolezzo è qualcosa di spaventoso”, che criticava le ingiuste calunnie contro le donne impegnate nelle ar ti sceniche e gli attacchi della stampa misogina.
A metà degli anni 30 Mao e l'Esercito Rosso intrapresero la Lunga Marcia, Chiang Ching era spesso impegnata, per sopravvivere, in riprese cinematografiche e potè constatare che le produzioni erano ancora completamente dominate da Hollywood, ad eccezione di pochi film democratici. Scrisse anche alcuni articoli sulla rivista di sinistra Illustrazione. Quando la stampa diffuse la falsa notizia del suo rapimento (per spingerla al suicidio), denunciò questa minaccia personale in un articolo dal titolo”La mia lettera aperta”, pubblicato in un periodico di Shangai, Chiang Ching si recò al nord, nei quartieri dell' VIII Corpo dell'Esercito del PCC nel Sian, dove lei e molti altri giovani radicali accorrevano per unirsi alle truppe dell'Esercito Rosso nello Yenan, dopo un viaggio di circa 500 Km attraverso le montagne.
- Formazione rivoluzionaria delle donne 4^ parte:
La monogamia viene meno con la scomparsa
delle cause economiche...
Il testo di Engels “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” è fondamentale perchè ci mostra che ogni passaggio, ogni descrizione della condizione della donna è sempre legata alle fasi storiche. Questa analisi è importante anche per l'oggi. La proprietà privata, lo Stato, la famiglia sono tre elementi fondamentali da cui partire per analizzare anche oggi i cambiamenti.
A che punto è il sistema capitalistico? Che forma si dà lo Stato? Che forma e che ruolo assume oggi la famiglia rispetto alle esigenze di oggi della borghesia, del capitalismo italiano.
Detto questo, partire dall'analisi delle condizioni di produzione non deve però portare ad una sorta di determinismo. Nonostante queste condizioni rappresentano il fattore base, principale, che determina la persona, non è l'unico, perchè poi a loro volta gli uomini e le donne agiscono, e nell'agire essi stessi sono un fattore di cambiamento. Però negare che le condizioni di produzione siano le base è veramente arrivare all'idea di Dio. Chi è l'uomo? Come è determinato l'uomo? Se non è determinato dal modo di produzione, allora lo è da qualcosa che sta al di sopra dell'uomo...
Questo analisi storico materialistico dialettica è importante per la critica all'idealismo.
L'intellettuale pensa che sia lui a determinare le idee e che per mezzo delle sue idee determina la condizione materiale di vita, e non che lui stesso è il prodotto della condizione materiale.
Questo rovesciamento lo ritroviamo anche nel pensiero femminile.
Le femministe piccolo borghesi pensano che si può cambiare l'ideologia maschilista con le idee, con la battaglia ideologica-culturale. Ma queste idee sono il prodotto di questo tipo di società, non possono essere sradicate se no cambiamo questa società, la base materiale, economica su cui si fondano quelle idee. Le parole da sole non bastano se non si fa la rivoluzione, se non cambia la maniera materiale di vivere. Le idee, anche quelle presenti nel proletariato, sono,come dice Marx, le idee della classe dominante: la gente non nasce con la cultura, gli viene imposta da chi ha il potere, da chi organizza la scuola, da chi organizza tutta la società, usando anche la religione...
Quindi tutte le forme e i prodotti della coscienza non possono essere eliminati mediante la critica intellettuale, ma solo mediante il rovesciamento dei rapporti sociali che le hanno determinate.*****
DA “L'ORIGINE DELLA FAMIGLIA, PROPRIETA'PRIVATA E DELLO STATO” DI ENGELS:
LA MONOGAMIA VIENE MENO CON LA SCOMPARSA DELLE CAUSE ECONOMICHE...
“...Andiamo ora verso uno sconvolgimento sociale in cui le basi economiche della monogamia, come sono esistite finora, scompariranno tanto sicuramente quanto quelle della prostituzione che ne è il
complemento. La monogamia sorse dalla concentrazione di grandi ricchezze nelle stesse mani, e precisamente in quelle di un uomo, e dal bisogno di lasciare queste ricchezze in eredità ai figli di questo uomo e di nessun altro. Perciò era necessaria la monogamia della donna e non quella dell'uomo; cosicché questa monogamia della donna non era affatto in contrasto con la poligamia aperta o velata dell'uomo. Ma il sovvertimento sociale imminente, mediante trasformazione... dei mezzi di produzione in proprietà sociale, ridurrà al minimo tutta questa preoccupazione della trasmissione ereditaria. Poiché dunque la monogamia è sorta da cause economiche, scomparirà se queste cause scompaiono...La posizione degli uomini in ogni caso subirà un grande cambiamento. Ma anche quella delle donne, di tutte le donne, subirà un notevole cambiamento. Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la famiglia singola cessa di essere l'unità economica della società. L'amministrazione domestica privata si trasforma in un'industria sociale. La cura e la educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse...
Ma ciò che sicuramente scomparirà della monogamia sono tutti i caratteri che le sono stati impressi con la sua nascita dai rapporti di proprietà: cioè, primo, il predominio dell'uomo; secondo, l'indissolubilità. Il predominio dell'uomo nel matrimonio è una semplice conseguenza del suo predominio economico e cadrà da sé con la scomparsa di questo. L'indissolubilità del matrimonio è, in parte, conseguenza della situazione economica nella quale è sorta la monogamia, in parte tradizione proveniente dall'epoca in cui il nesso di questa situazione economica con la monogamia non era ancora ben compreso ed era spinto troppo oltre per motivi religiosi. Oggi essa è stata già infranta migliaia di volte. Se è morale solo il matrimonio fondato sull'amore, è anche vero che lo è soltanto quello in cui l'amore persiste. Ma la durata dell'impeto d'amore sessuale individuale è molto diversa, a seconda degli individui, specialmente negli uomini, e una positiva cessazione di una inclinazione o la sostituzione di essa con una nuova passione amorosa, fa del divorzio un beneficio sia per le due parti che per la società. Solo sarà risparmiato alla gente il guazzare nell'inutile sudiciume di un processo di divorzio. Quello che noi oggi possiamo dunque presumere circa l'ordinamento dei rapporti sessuali, dopo che sarà spazzata via la produzione capitalistica... è principalmente di carattere negativo, e si limita per lo più a quel che viene soppresso. Ma che cosa si aggiungerà? Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione d'uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all'uomo che amano per timore delle conseguenze economiche. E quando ci saranno questi uomini, non importerà loro un corno di ciò che secondo l'opinione d'oggi dovrebbero fare; essi si creeranno la loro prassi e la corrispondente opinione pubblica sulla prassi di ogni individuo...”
Il testo di Engels “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” è fondamentale perchè ci mostra che ogni passaggio, ogni descrizione della condizione della donna è sempre legata alle fasi storiche. Questa analisi è importante anche per l'oggi. La proprietà privata, lo Stato, la famiglia sono tre elementi fondamentali da cui partire per analizzare anche oggi i cambiamenti.
A che punto è il sistema capitalistico? Che forma si dà lo Stato? Che forma e che ruolo assume oggi la famiglia rispetto alle esigenze di oggi della borghesia, del capitalismo italiano.
Detto questo, partire dall'analisi delle condizioni di produzione non deve però portare ad una sorta di determinismo. Nonostante queste condizioni rappresentano il fattore base, principale, che determina la persona, non è l'unico, perchè poi a loro volta gli uomini e le donne agiscono, e nell'agire essi stessi sono un fattore di cambiamento. Però negare che le condizioni di produzione siano le base è veramente arrivare all'idea di Dio. Chi è l'uomo? Come è determinato l'uomo? Se non è determinato dal modo di produzione, allora lo è da qualcosa che sta al di sopra dell'uomo...
Questo analisi storico materialistico dialettica è importante per la critica all'idealismo.
L'intellettuale pensa che sia lui a determinare le idee e che per mezzo delle sue idee determina la condizione materiale di vita, e non che lui stesso è il prodotto della condizione materiale.
Questo rovesciamento lo ritroviamo anche nel pensiero femminile.
Le femministe piccolo borghesi pensano che si può cambiare l'ideologia maschilista con le idee, con la battaglia ideologica-culturale. Ma queste idee sono il prodotto di questo tipo di società, non possono essere sradicate se no cambiamo questa società, la base materiale, economica su cui si fondano quelle idee. Le parole da sole non bastano se non si fa la rivoluzione, se non cambia la maniera materiale di vivere. Le idee, anche quelle presenti nel proletariato, sono,come dice Marx, le idee della classe dominante: la gente non nasce con la cultura, gli viene imposta da chi ha il potere, da chi organizza la scuola, da chi organizza tutta la società, usando anche la religione...
Quindi tutte le forme e i prodotti della coscienza non possono essere eliminati mediante la critica intellettuale, ma solo mediante il rovesciamento dei rapporti sociali che le hanno determinate.*****
DA “L'ORIGINE DELLA FAMIGLIA, PROPRIETA'PRIVATA E DELLO STATO” DI ENGELS:
LA MONOGAMIA VIENE MENO CON LA SCOMPARSA DELLE CAUSE ECONOMICHE...
“...Andiamo ora verso uno sconvolgimento sociale in cui le basi economiche della monogamia, come sono esistite finora, scompariranno tanto sicuramente quanto quelle della prostituzione che ne è il
complemento. La monogamia sorse dalla concentrazione di grandi ricchezze nelle stesse mani, e precisamente in quelle di un uomo, e dal bisogno di lasciare queste ricchezze in eredità ai figli di questo uomo e di nessun altro. Perciò era necessaria la monogamia della donna e non quella dell'uomo; cosicché questa monogamia della donna non era affatto in contrasto con la poligamia aperta o velata dell'uomo. Ma il sovvertimento sociale imminente, mediante trasformazione... dei mezzi di produzione in proprietà sociale, ridurrà al minimo tutta questa preoccupazione della trasmissione ereditaria. Poiché dunque la monogamia è sorta da cause economiche, scomparirà se queste cause scompaiono...La posizione degli uomini in ogni caso subirà un grande cambiamento. Ma anche quella delle donne, di tutte le donne, subirà un notevole cambiamento. Col passaggio dei mezzi di produzione in proprietà comune, la famiglia singola cessa di essere l'unità economica della società. L'amministrazione domestica privata si trasforma in un'industria sociale. La cura e la educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse...
Ma ciò che sicuramente scomparirà della monogamia sono tutti i caratteri che le sono stati impressi con la sua nascita dai rapporti di proprietà: cioè, primo, il predominio dell'uomo; secondo, l'indissolubilità. Il predominio dell'uomo nel matrimonio è una semplice conseguenza del suo predominio economico e cadrà da sé con la scomparsa di questo. L'indissolubilità del matrimonio è, in parte, conseguenza della situazione economica nella quale è sorta la monogamia, in parte tradizione proveniente dall'epoca in cui il nesso di questa situazione economica con la monogamia non era ancora ben compreso ed era spinto troppo oltre per motivi religiosi. Oggi essa è stata già infranta migliaia di volte. Se è morale solo il matrimonio fondato sull'amore, è anche vero che lo è soltanto quello in cui l'amore persiste. Ma la durata dell'impeto d'amore sessuale individuale è molto diversa, a seconda degli individui, specialmente negli uomini, e una positiva cessazione di una inclinazione o la sostituzione di essa con una nuova passione amorosa, fa del divorzio un beneficio sia per le due parti che per la società. Solo sarà risparmiato alla gente il guazzare nell'inutile sudiciume di un processo di divorzio. Quello che noi oggi possiamo dunque presumere circa l'ordinamento dei rapporti sessuali, dopo che sarà spazzata via la produzione capitalistica... è principalmente di carattere negativo, e si limita per lo più a quel che viene soppresso. Ma che cosa si aggiungerà? Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione d'uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all'uomo che amano per timore delle conseguenze economiche. E quando ci saranno questi uomini, non importerà loro un corno di ciò che secondo l'opinione d'oggi dovrebbero fare; essi si creeranno la loro prassi e la corrispondente opinione pubblica sulla prassi di ogni individuo...”
- Formazione rivoluzionaria delle donne 3^ parte:
“Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta
il proletario”
Continuiamo nello studio del testo fondamentale di Engels.
In esso emerge, e vogliamo sottolineare, come l'origine dell'oppressione femminile sta nella proprietà privata e la prima divisione del lavoro è stata quella della divisione tra uomo e donna. Ciò è molto importante anche per criticare quelle posizioni nel campo del femminismo borghese, che rovesciano questa priorità, affermando che l'origine è la divisione sessuale. Invece la divisione sessuale è una conseguenza della divisione del lavoro che a sua volta deriva dalla proprietà privata. Non è vero che “naturalmente” l'uomo è oppressore e la donna è l'oppressa. Questa presunta “naturalità” potrebbe apparentemente apparire come una posizione più radicale, infatti alcune dicono che non basta cambiare il sistema di produzione capitalista, perchè sempre l'uomo opprimerà la donna. Ma questa posizione, in realtà, afferma una sorta di immutabilità dell'oppressione della donna, perchè, se è un fatto “biologico” come potrebbe cambiare?
La risposta a questa obiezione “non basta cambiare...” la fornisce lo stesso marxismo-leninismo e soprattutto il maoismo con la Grande rivoluzione culturale proletaria, in cui si affermò la linea teorica e pratica della “rivoluzione nella rivoluzione”, il cui cuore sono proprio le donne.
Partire dall'analisi delle condizioni materiali di produzione non deve portare ad una sorta di determinismo economico. Queste condizioni rappresentano il fattore di base, principale, che determina la persona, l'essere sociale; ma come afferma lo stesso Engels, non è l'unico, perchè poi gli uomini e le donne a loro volta agiscono e nell'agire, essi stessi sono un fattore di cambiamento. Però nebìgare che le condizioni materiali di produzione siano la base è veramente arrivare all'idea di Dio. Chi è l'uomo? Come è determinato l'uomo? Se non è determinato essenzialmente dal modo di produzione, allora lo sarebbe da qualcosa che sta sopra di lui...
Continuiamo nello studio del testo fondamentale di Engels.
In esso emerge, e vogliamo sottolineare, come l'origine dell'oppressione femminile sta nella proprietà privata e la prima divisione del lavoro è stata quella della divisione tra uomo e donna. Ciò è molto importante anche per criticare quelle posizioni nel campo del femminismo borghese, che rovesciano questa priorità, affermando che l'origine è la divisione sessuale. Invece la divisione sessuale è una conseguenza della divisione del lavoro che a sua volta deriva dalla proprietà privata. Non è vero che “naturalmente” l'uomo è oppressore e la donna è l'oppressa. Questa presunta “naturalità” potrebbe apparentemente apparire come una posizione più radicale, infatti alcune dicono che non basta cambiare il sistema di produzione capitalista, perchè sempre l'uomo opprimerà la donna. Ma questa posizione, in realtà, afferma una sorta di immutabilità dell'oppressione della donna, perchè, se è un fatto “biologico” come potrebbe cambiare?
La risposta a questa obiezione “non basta cambiare...” la fornisce lo stesso marxismo-leninismo e soprattutto il maoismo con la Grande rivoluzione culturale proletaria, in cui si affermò la linea teorica e pratica della “rivoluzione nella rivoluzione”, il cui cuore sono proprio le donne.
Partire dall'analisi delle condizioni materiali di produzione non deve portare ad una sorta di determinismo economico. Queste condizioni rappresentano il fattore di base, principale, che determina la persona, l'essere sociale; ma come afferma lo stesso Engels, non è l'unico, perchè poi gli uomini e le donne a loro volta agiscono e nell'agire, essi stessi sono un fattore di cambiamento. Però nebìgare che le condizioni materiali di produzione siano la base è veramente arrivare all'idea di Dio. Chi è l'uomo? Come è determinato l'uomo? Se non è determinato essenzialmente dal modo di produzione, allora lo sarebbe da qualcosa che sta sopra di lui...
***
CONTINUANDO CON “L'ORIGINE DELLA FAMIGLIA, PROPRIETA' PRIVATA E DELLO STATO”
DI ENGELS, RIPORTIAMO ALTRI PASSI IMPORTANTI SULLA FAMIGLIA MONOGAMICA… il matrimonio [nella famiglia monogamica] viene determinato
dalla condizione di classe degli interessati e, in quanto tale, è sempre un matrimonio di convenienza. Questo matrimonio di convenienza si
trasforma abbastanza spesso nella piu’ crassa prostituzione, talvolta da tutte e due le parti, molto piu’ comunemente da parte della donna, la
quale si distingue dalla comune cortigiana solo perché essa non affitta il proprio corpo come una salariata che lavori a cottimo, ma lo vende in
schiavitu’ una volta per tutte (p.98 ediz. Editori Riuniti).Vera regola nei rapporti con la donna diventa l’amore sessuale e puo’ diventarlo solo tra
le classi oppresse, dunque al giorno d’oggi nel proletariato: sia o non sia questo un rapporto sanzionato ufficialmente (p.99).Nell’antica
amministrazione comunistica che abbracciava parecchie coppie di coniugi e i loro figli, l’amministrazione domestica affidata alle donne era
un’industria di carattere pubblico, un’industria socialmente necessaria, cosi’ come lo era l’attività con cui gli uomini procacciavano gli alimenti.
Con la famiglia patriarcale, a ancor piu’ con la famiglia singola monogamica, le cose cambiarono. La direzione dell’amministrazione domestica
perdette il suo carattere pubblico. Non interesso’ piu’ la società. Divenne un servizio privato; la donna diventa la prima serva, esclusa dalla
partecipazione alla produzione sociale. Soltanto la grande industria dei nostri tempi le ha riaperto, ma sempre limitatamente alla donna
proletaria, la via della produzione sociale. Ma in maniera tale che se essa compie i propri doveri nel servizio privato della sua famiglia, rimane
esclusa dalla produzione pubblica e non ha la possibilità di guadagnare nulla; se vuole prendere parte attiva all’industria pubblica e vuole
guadagnare in modo autonomo, non è piu’ in grado di adempiere ai doveri familiari. E come accade nella fabbrica, cosi’ procedono le cose per la
donna in tutti i rami della attività, compresa la medicina e l’avvocatura. La moderna famiglia singola è fondata sulla schiavitu’ domestica della
donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole.
Al giorno d’oggi, l’uomo, nella grande maggioranza dei casi, deve essere colui che guadagna, che alimenta la famiglia, per lo meno nelle classi
abbienti; il che gli dà una posizione di comando che non ha bisogno di alcun privilegio giuridico straordinario. Nella famiglia egli è il borghese, la
donna rappresenta il proletario. Nel mondo dell’industria lo specifico carattere dell’oppressione economica gravante sul proletariato, spicca in
tutta la sua acutezza soltanto dopo che tutti i privilegi legali particolari della classe capitalistica sono stati eliminati, e dopo che la piena
eguaglianza di diritti delle due classi è stata stabilita in sede giuridica. La repubblica democratica non elimina l’antagonismo tra le due classi:
offre al contrario per prima il suo terreno di lotta. E cosi’ anche il carattere peculiare del dominio dell’uomo sulla donna nella famiglia moderna, e
la necessità, nonché la maniera, di instaurare un’effettiva eguaglianza sociale dei due sessi, appariranno nella luce piu’ cruda solo allorché
entrambi saranno provvisti di diritti perfettamente eguali in sede giuridica. Apparira’ allora che l’emancipazione della donna ha come prima
condizione preliminare la reintroduzione dell’intero sesso femminile nella pubblica industria, e che cio’ richiede a sua volta l’eliminazione della
famiglia monogamica in quanto unità economica della società (p.100-101).
- Donne e Resistenza 3^ parte
Dedicato alle donne della
Resistenza Antifascista - in uscita lavoro di documentazione del MFPR
Ma molti uomini, soprattutto i ˂
guerrieri˃, avevano questi atteggiamenti maschilisti…..”
L’aprile del 1944 è il mese in cui il motivo unificante di queste agitazioni diventa più chiaramente politico, attraverso la protesta contro la precettazione di lavoratori: scioperi di questo tipo se ne contano a Forlì il 12, a Parma il 17, il 5 e l’8 a Modena (dove già nel marzo c’era stata una lunga agitazione alla Maserati), il 13 e ancora il 22 a Bologna. Nel maggio, 150 operaie di Casalecchio scioperano ancora contro le deportazioni, mentre le donne addette alla sarchiatura e alla zappatura nel ferrarese, come le 200 mondine di Argenta, sostengono con le loro rivendicazioni sindacali il movimento antitedesco; il motivo della rivendicazione economica, la protesta contro la guerra, la difesa dei giovani destinati alla deportazione, si fondono nella manifestazione delle numerose operaie che il 4 maggio si portano davanti alla Casa del fascio di Ravenna.(...)
25 aprile 2016: 71° della
Liberazione dal nazifascismo
dedichiamo questo lavoro
alle donne della Resistenza antifascista.
dedichiamo questo lavoro
alle donne della Resistenza antifascista.
Oggi pubblichiamo alcuni stralci
perchè il materiale raccolto è tanto. Nei prossimi giorni cercheremo di
rendere tutto il materiale in forma organica e lo metteremo a
disposizione in un opuscolo.
A proposito delle obiezioni
sollevate sul nome GDD: “…la definizione
“Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai volontari della
libertà” può apparire inadeguata a rappresentare la ricchezza di
manifestazioni autonome e il significato di promozione ideale, civile e
politica che fu realizzata sotto l’egida dei gruppi. Essa deve essere
calata nella mentalità di una società che usciva dal fascismo e che
prima del fascismo non aveva conosciuto una diffusa e chiara coscienza
paritaria, neppure attraverso la predicazione socialista; e la
definizione va riferita all’obiettivo che si poneva di
mobilitare e
organizzare le più diverse componenti sociali, facendo anche appello
alle motivazioni più elementari e ai bisogni più urgenti e immediati
della lotta armata”.
Sottolineiamo qui che la spontanea ed estesa presa di iniziativa delle
donne porta alla necessità di organizzarle e dare un senso collettivo al
loro contributo, ma, soprattutto, è importante sottolineare la
comprensione da parte del Pci di cogliere e dare concreta attuazione a
tale esigenza. Soprattutto dopo oltre un ventennio di revisionismo che,
da un lato, ha cercato di sminuire il ruolo del Pci nella Resistenza
antifascista, dall’altro, ha cercato di ricondurre l’azione dei
partigiani come a mero supporto degli alleati :” Le donne dunque non
sono entrate in massa nella Resistenza perché il Pci ha creato i Gdd,
ma, piuttosto, il Pci – o alcune donne dei partiti di sinistra – hanno
creato i Gdd perché se ne sentiva l’esigenza, perché occorreva dare una
struttura organizzata alle donne che già erano scese in lotta o che non
chiedevano che di farlo……”
Come funzionava, quale struttura si erano data le donne organizzate nei
Gdd? “…I gruppi sono composte di cinque donne, di cui una soltanto tiene
il collegamento con un’appartenente a un altro gruppo e così via;
all’inizio soprattutto, il primo compito era quello di allargare la rete
delle aderenti e non è cosa facile avvicinare le donne, spiegare loro
l’apporto che potrebbero dare alla lotta di liberazione: manca
l’abitudine ad affrontare argomenti come libertà, giustizia, è persino
arduo trovare le parole; è invece più facile organizzare la raccolta di
indumenti, viveri, medicinali.
(..) insieme a quello molto più
pericoloso di avvicinare i giovani per convincerli ad andare in montagna(…)
Ma la cosa più originale dei Gruppi è che fin dalle prime riunioni si
parla, sia pure in modo embrionale, di ˂emancipazione˃ e su molte è un
argomento che esercita fascino perché mai inteso prima…”
Insomma è indubitabile che, qualsiasi sia stata la motivazione di
partenza, la partecipazione delle donne è stata molto estesa ed
articolata, a tutti i livelli. Nelle testimonianze si coglie bene
l’orgoglio, la gioia: “E’ stato il periodo più bello della mia vita”
diranno in tante nelle testimonianze orali. Le avanguardie ne
stimolavano la partecipazione guardando al futuro, al “dopo”: senza una
partecipazione diretta delle donne nella lotta contro il nazifascismo
come si potrebbe pensare di cambiare concezioni, ruoli imposti,
sfruttamento..? Partecipazione che, spesso non verrà riconosciuta,
“ufficializzata” con l’attribuzione di attestati, medaglie etc oppure
verrà riconosciuto un grado inferiore rispetto al ruolo effettivamente
svolto. Tantissime non si presenteranno per ricevere il riconoscimento
del loro contributo, da un lato, perché esse stesse, sminuiranno il loro
ruolo e contributo, dall’altro, per le concezioni sulle donne pur
ancora dominanti.
D’ altronde già durante la Resistenza molti dubbi venivano sollevati
sull’opportunità che le donne diventassero gappiste o entrassero nelle
“bande” in montagna, in alcuni casi c’era un divieto esplicito.
“…Quante volte le donne hanno dovuto ricorrere all’astuzia, alla
fantasia per passare un posto di blocco: libri di filosofia o di latino
oppure cavoli e carote nella borsa che nel doppio fondo celava
importanti documenti, per confondere i militi; biglietti o armi nascosti
nelle fasce dei bimbi. Ma oltre a questi rischi per la propria vita, le donne ne correvano altri, che oggi possono sembrare persino
ridicoli (in realtà sappiamo bene che le concezioni oscurantiste, maschiliste non sono mai “morte” ,ndr),
ma che allora avevano un peso: la vita che conducevano, sempre in giro
da una parte all’altra della città nelle ore più strane, anche durante
il coprifuoco, l’essere sorprese in compagnia maschile da qualche
conoscente, generava pettegolezzi, metteva in pericolo l’ ˂onorabilità˃,
un problema in più per chi doveva rendere conto a padri e fratelli, non
sempre al corrente della vera attività. Ma generalmente non se ne
curavano, pensavano che a liberazione avvenuta le cose si sarebbero
chiarite, contavano sui compagni, su quelli con i quali oeravano e alla
cui stima tenevano in modo particolare. In realtà certi pregiudizi erano
talmente radicati che anche chi avrebbe dovuto avere idee aperte ne era
condizionato, tanto è vero che in montagna le donne generalmente non le
volevano: ˂ I comandanti di bande preferiscono non avere donne tra i
piedi, le donne in banda sono un imbroglio, una responsabilità troppo
grossa.˃ Infatti Angelica Casile che tentò di entrare in una formazione
perché ricercata, si sentì dire: ˂ Non ti possiamo prendere perché sei
una donna.˃ E vane furono le sue proteste: le fecero presente che era in
gioco la sua reputazione e no servì neppure che lei assicurasse che era
stata settimane in una stalla con quindici uomini senza che le fosse
successo niente. ( anche oggi a quanti casi di sessismo, maschilismo si assiste ad opera di
“compagni”?ndr) Quando
i comandanti sono costrette ad accettarle, arrivano a trattarle in
maniera sprezzante e la testimonianza di Alba Dell’ Acqua ne è un
esempio:˂ Dopo il rastrellamento in Valsesia fui inviata all’ospedale di
Varallo, dove lavorava il dottor pino Rossi, per sentire che cosa
pensava di fare dei partigiani feriti e anche di se stesso, ormai troppo
compromesso per aspettare l’arrivo dei nazifascisti. Mentre ero a
Varallo, cadeva Borgosesia e allora mi unii a Rossi che aveva deciso di
rifugiarsi con malati e feriti sulle montagne di Alagna. Passammo il
mese di luglio del 1944 nascosti nei boschi, soffrendo la fame e
dormendo sotto gli alberi. Soltanto alla fine di luglio si potè
riannodare i contatti con Moscatelli che ci mandò a dire di scendere a
Gozzano e organizzarvi un ospedaletto. Andammo a piedi per i monti: come
arrivammo ci fu un altro rastrellamento; nuova fuga sui monti dove
Rossi incontrò due partigiani che lo consigliarono di dirigersi a Boleto
a un comando partigiano. Ci andammo; mentre Rossi si intratteneva con
gli amici, entrai nella casetta del comando; il comandante della brigata
(un monarchico) mi interroga e, a bruciapelo, mi chiede: “ma tu sei qui
per fare la partigiana o per fare la puttana?”˃ (…)
Riprendiamo anche la testimonianza di Carla Capponi che svolse la sua
attività nella Resistenza prevalentemente a Roma , svolgendo diversi
compiti, ma principalmente nei GAP, partecipa all’azione di via Rasella
di cui i nazisti si vendicheranno in maniera atroce con le barbare
uccisioni delle Fosse Ardeatine:”….Anch’io volevo procurarmi un’arma che
mi veniva costantemente negata dai compagni dei GAP perché, secondo
loro, noi donne dovevamo limitarci a mascherare la loro presenza nei
luoghi degli attacchi fingendo di essere le fidanzate: erano convinti
che, così, avrebbero corso meno rischi. A me riuscì di rubarne una
sull’autobus a un giovane della GNR: era nuovissima, una Beretta 9 con
relativo caricatore, che il ragazzo teneva stretta ai fianchi col
cinturone..”
Si diceva prima, che lo sbarco degli alleati al Sud, insieme alla
differente storia operaia, una coscienza sociale radicata, a partire da
prima dell’ affermazione del fascismo, hanno determinato una diseguale
possibilità di partecipazione delle donne che, pure, hanno partecipato,
ad esempio a Napoli, all’insurrezione, anzi il loro ruolo viene
ampiamente riconosciuto come determinante per la cacciata dei nazisti
dalla città, ma altra cosa è la partecipazione organizzata e prolungata
alla lotta per la liberazione dal nazifascismo. Anche in altre aree le
donne partecipano alle proteste contro il carovita, mancanza di beni di
prima necessità, nell’impedire il richiamo sotto le armi dei giovani,
dopo l’8 settembre e quando in tanti erano tornati e la guerra si
credeva finita. Partecipazione diseguale che permarrà negli anni
successivi.
A questo proposito riportiamo da “Guerra popolare e liberazione delle
donne in Nepal” di Hisila Yami pochi brani significativi, che aiutano a
comprendere la specificità della partecipazione delle donne: “…E un
altro punto di attrazione è il campo dell’esercito popolare. La milizia e
l’esercito di liberazione popolare (EPL) sono diventati un punto di
attrazione per le donne. Prima il punto di ingresso per le donne nel
movimento era soprattutto il fronte culturale. Ma adesso il fronte
militare è diventato un punto d’attrazione d’ingresso delle donne che si
uniscono alla guerra popolare. L’azione che le porta ad entrare nel
campo militare ha un effetto di trasformazione tremendo per le donne.
All’improvviso una donna totalmente sconosciuta e remissiva si trasforma
in una fiduciosa e indipendente combattente. Appare non meno
intelligente delle donne cresciute in città. Sempre più diventa esperta
in politica e in filosofia. Quando si affronta la vita e la morte per la
maggior parte del tempo, ciò può succedere.
La natura prolungata della guerra popolare permette alle donne non solo
di cambiare la società ma anche di cambiare se stesse. In un paese
precapitalistico come il Nepal dove la monarchia assoluta domina il
potere statale, la via verso il comunismo è lunga! La natura prolungata
della guerra popolare permette ai rivoluzionari, in particolare alle
donne rivoluzionarie che hanno un livello culturale più basso di quello
degli uomini rivoluzionari, un lungo periodo di
trasformazione”…..…(certo non è semplice, il pericolo del ritorno a casa
delle donne è sempre molto alto ad esempio in caso di maternità,
ndr)…..”E infine tutto questo dà come risultato l’arretramento delle
donne nel movimento rivoluzionario..”..”In generale si è trovato che le
donne si sono unite in gran numero alla guerra popolare e si sono
sacrificate in tante, ma devono ancora essere ben formate dal punto di
vista delle capacità organizzative, ideologiche e militari. Anche quando
hanno mostrato queste qualità, devono ancora essere accettate e
considerate dirigenti all’interno di varie organizzazioni del partito.
Per affermare la direzione delle donne, devono ancora essere combattute
la forza dell’abitudine e una certa attitudine negativa a tutti i
livelli”..
Riprendiamo il percorso della Resistenza antifascista con la Toscana
dove la Liberazione dai nazifascisti avviene progressivamente otto-dieci
mesi prima dell’ Italia del Nord e vede attestarsi i nazisti nella
Linea Gotica.
Particolarmente emozionante, di grande forza e impatto è ripercorrere gli eventi di Massa e Carrara.
“….A Massa e Carrara le donne si mossero soprattutto in modo collettivo,
arrivando, come scrisse il comandante partigiano Brucellaria, a
costringere ˂uno degli eserciti più forti del mondo a cedere
all’eroismo, alla lotta, alla determinazione delle donne del popolo
carrarese˃.
Questo avvenne il 7 luglio 1944 quando il comando tedesco, visto che la
vita per loro diventava sempre più difficile in una zona peraltro di
primaria importanza strategica, emanò un decreto in base al quale la
popolazione doveva evacuare la città. Le donne si ritrovarono al
mercato, dove per tutto il giorno tennero comizi, finchè alcune
proposero di andare a bersagliare i tedeschi con i pomodori. Si formò
allora un grandioso corteo di donne di tutti i ceti e di tutte le età
che, gridando slogan, raggiunse il comando. La truppa intervenne ad armi
spianate, tuttavia esse non si mossero e resistettero minacciose finchè
l’ordine non fu revocato.
Ma la ˂grande epopea delle donne˃, come fu chiamata, era appena agli
inizi. Vediamo che cosa dice in proposito un altro comandante
partigiano, lo scultore Nardo Dunchi: ˂La pianura in faccia era occupata
dagli alleati e dietro c’erano le montagne; quindi noi, partigiani e
popolazione, non avevamo di che vivere per restare lassù in attesa di
aggirare la linea Gotica, il giorno opportuno, come poi si fece. Furono
ancora le donne a levarci da questo pasticcio. Noi, già dall’ 8
novembre, avevamo scacciato dalla città i fascisti e avevamo solo
permesso che ci restassero venti territoriali tedeschi, i quali avevano
la funzione di concedere i lasciapassare per le donne che si recavano a
Parma, come dicevano, ma in realtà andavano nella pianura padana a
comperare farina. [Come merce di scambio usavano il sale, genere di cui
nelle zone interne c’era grande scarsità, e che ricavavano facendo
lungamente bollire l’acqua del mare in grandi pentole su fuochi di legna
delle pinete – N.D.AA.] Le donne si misero in marcia, in tante, coi
carretti come usavano allora, con le ruote di legno. Dal mese di luglio
sino ad aprile, viaggiando esclusivamente di notte, e non solo per il
caldo d’estate, ma anche per evitare i mitragliamenti alleati, salirono i
tornanti della Cisa; prima nel clado estivo, poi nel freddo
dell’inverno, con le montagne e le strade coperte di neve e di ghiaccio.
Siccome, poi, non c’erano in funzione gli spazzaneve, la strada della
Cisa, a furia di calpestarla, era diventata una vera lastra di ghiaccio.
E’ facile comprendere a che razza di fatiche erano sottoposte queste
donne; per non parlare dei bombardamenti, che avvenivano anche di notte,
alla luce dei bengala. Molte ci lasciarono la vita.
˂Fu dunque grazie alla loro abnegazione che noi potemmo, come avevamo
promesso al generale alleato, quel 9 aprile, prendere alle spalle
l’esercito tedesco, facendolo prigioniero; tanto da consegnare agli
alleati, al loro arrivo in città, non solo i prigionieri, ma le strade
sgomnre e intatte per farli correre, senza trovare più resistenza
alcuna, fin sulla pianura padana.˃
Non occorrono commenti. Rispetto a quello che hanno fatto le donne, noi non abbiamo fatto niente˃, dice ancora
Brucellaria.
Ma vediamo un po’ chi erano, come la pensavano, chi le guidava. Mogli di
cavatori di pietre e dunque casalinghe popolane, ma anche bottegaie,
maestre, qualche operaia e tante contadine. L’appartenenza politica era
prevalentemente comunista e anarchica, secondo la tradizione locale, ma
in realtà c’erano tutte, anche le suore del Sacro Cuore, che giunsero
persino a fare, approfittando dell’abito che vestivano,, da staffette
fra i partigiani e il Cln in più di una occasione. Al di sopra delle pur
forti motivazioni politiche, a tenerle unite c’erano due cose: fame e
desiderio di libertà.
Citiamo i pochi nomi emergenti: la famosa anarchica Lina Del Papa, la
professoressa Raffaella Gervasio, l’azionista Ilva Babboni, Sandra
Gatti, Maria Bertocchi, Nella Bedini, Renata Bacciola, Cesarina e
mercede menconi, Odilia Brucellaria, Renata Brizzi, Elena Pensierini,
Irma e Vittoria Grassi.
I Gruppi di difesa nel febbraio 1945 contavano su 133 attiviste, di cui
95 comuniste. E poi ci furono le partigiane in montagna….”
“..Non è stato facile né scontato costruire una organizzazione femminile
di massa della Resistenza e ancora meno facile è stato riconoscerle un
posto al fianco delle altre forze, che in quel momento combattevano,
nonostante il grande contributo che le donne davano quotidianamente alla
lotta. Su vari terreni e in vari modi si è cercato di impedire questa
partecipazione femminile organizzata autonomamente, ma di questo non
troviamo traccia nei discorsi o nei libri sulla resistenza.
Troviamo invece, largamente documentato, il doppio lavoro che le donne
hanno compiuto nel vecchi ruolo imposto e in quello nuovo che si erano
scelte: madri, spose, sorelle e, insieme, combattenti di un esercito
popolare…..Abbiamo sempre parlato con orgoglio, e lo facciamo ancora
oggi, dei Gruppi di difesa della donna, per ciò che hanno saputo essere
nel movimento partigiano e siamo convinte che, senza quel tipo di
organizzazione, la Resistenza non sarebbe stata vincente. Dobbiamo
riconoscere che, proprio con quello strumento, si fece il primo
tentativo di organizzazione autonoma delle donne per porre i problemi
specifici della condizione femminile.
E, tuttavia, è proprio nella impostazione del programma e
dell’organizzazione dei GDD che si rivelò la prima, profonda
contraddizione.
I partiti della borghesia, presenti nel CLN……non potevano tollerare che
si mettesse in discussione il ruolo delle donne nella famiglia e nella
società e intendevano la loro presenza nella Resistenza come un momento
di supporto….
..La seconda contraddizione andò facendosi sempre più profonda man mano
che cresceva l’impegno delle donne. La contraddizione di sesso, più
difficile da riconoscere e da combattere perché sorretta dal costume e
dalle tradizioni secolari, si delineava anche là dove le donne si erano
schierate: i nemici, coscienti e incoscienti della sua liberazione,
erano i suoi stessi compagni di lotta….”
Emilia Romagna: la regione in cui la partecipazione delle donne alla
Resistenza è ampia ed articolata, ma anche con una continuità con le
lotte antifascista e del movimento operaio e contadino prima e durante
il fascismo. In particolare le lotte delle mondine, delle operaie nelle
fabbriche, nelle campagne non si fermano praticamente mai del tutto,
come anche il contributo di giovani intellettuali sarà significativo. Ma
è anche la regione attraversata dalla Linea Gotica (da Rimini a La
Spezia) e in cui i bombardamenti saranno pesantissimi, come la presenza
opprimente dei nazifascisti. Anche la Liberazione, quindi, avverrà in
momenti diversi.
“..Richiamando gli uomini al fronte (10 giugno 1941, data di entrata in
guerra dell’ Italia, ndr), il fascismo ha dovuto ricorrere in maniera
sistematica alla mano d’opera femminile, e con ciò stesso la
contraddizione tra la sua pratica sociale e la sua ideologia diventa
perceepibile in ambito assai largo, che oltrepassa i confini politici e
ideologici della cultura antifascista precedente. Il carattere
regresssista e quello pretestuoso dell’antifemminismo fascista appaiono
così evidenti nello stesso tempo: le donne, cui è stato in tempi normali
negato il diritto al lavoro come base di indipendenza, sono ora
costrette al lavoro sostanzialmente forzato, per la più elementare
sussistenza dell’intera famiglia. I discorsi sulla forza degli uomini e
sulla fragilità delle donne, di moda nel ventennio, ne vengono di colpo
illuminati: l’orario è più lungo, la fatica maggiore del normale, il
salario resta quasi sempre intorno alla metà di quello maschile. Prima
ancora che il tema della parità salariale entri in gioco, il
sottosalario viene denunciato per la sua insufficienza: in questo
momento iniziale, le lavoratrici sanno solo che il salario non basta per
nutrire i vecchi e i bambini che pesano su di loro, e cominciano a
chiedersi se sia naturale – per i sessi come per le classi – che
guadagni di meno chi lavora di più, in questo caso la donna. Il concetto
del salario femminile come salario ˂d’aggiunta˃ subisce un duro colpo, a
livello di massa.
Dal 3 al 7 di giugno del 1940, a Spilamberto, le operaie della Sipe
scioperano per aumenti salariali, e la lotta appare subito durissima: ai
fermi e agli arresti, si accompagnano 122 licenziamenti e 224
sospensioni. Di lì a qualche mese l’operaia Barbolini, alla ceramica
Marazzi, prende in pubblico la parola, durante un’agitazione contro le
multe, presentando le rivendicazioni delle compagne. A carpi, le operaie
della fabbrica Menotti sospendono il lavoro chiedendo aumenti
salariali, metre quattro di loro, denunciate e condannate a tre mesi per
direttissima, ottengono la condizionale, ma vengono licenziate in
tronco (una di loro, Laura Solieri, ha quattro figli). Il 12 aprile del
’42, 129 operaie del calzificio Milano, a Reggio, vengono licenziate
durante uno sciopero.
Non sono che esempi scelti a caso da una fitta serie di episodi
analoghi: tornano, nel linguaggio, le parole tipiche
dell’associazionismo operaio, ˂diritti˃, ˂rivendicazioni˃, quelle che la
pesante mistificazione del linguaggio corporativistico aveva, negli
anni precedenti, proibito e sepolto. La fabbrica, del resto, non è un
luogo isolato, ma il punto dove arrivano e si rifrangono le ondate della
protesta popolare: nell’ottobre del ’40, per esempio, lo sciopero delle
operaie dello Jutificio Montecatini, a Ravenna, non è che il
proseguimento di una manifestazione già avviata da mondine e braccianti
contro il razionamento del pane; quasi un anno dopo, le operaie di
alcune fabbriche di Parma innestano uno sciopero su un’agitazione
cittadina scoppiata per il pane;…..
…..Ma il processo di maturazione politica investe anche la generazione
che il fascismo aveva tenuto all’oscuro delle emancipazioni possibili.
Scrive Alfea Selva, di Conselice: ˂ Prima della resistenza facevo la
bracciante, poi soltanto la staffetta, andavo in risaia, nel collettivo,
e a casa di contadini.
Orario di lavoro, 8 ore giornaliere, la paga era di 8 franchi e 8 soldi
al giorno. Sono diventata antifascista a causa della brutta situazione
in cui era piombato il paese, una guerra dopo l’altra, miseria, morti,
orfani, e allora dentro di noi maturò la ribellione˃.”
Dopo l’8 settembre, l’occupazione nazista fa rapidamente comprendere
come l’aspirazione alla fine della guerra, alla libertà si allontanano.
“…Le lavoratrici che vengono precettate nelle fabbriche per il lavoro
coatto in Germania, sono in situazione, come si è notato, peggiore degli
uomini: spesso le operaie sono mogli di soldati al fronte, e la
deportazione, per loro, vuol dire lasciare a casa bambini senza
genitori. Per questo le donne nelle fabbriche sono più decise degli
uomini nella lotta contro la deportazione…”
“..l’8 settembre, appena fu chiaro che i tedeschi non avrebbero lasciato
liberi gli italiani neppure di proseguiree o meno la guerra, le donne
insegnarono ai soldati come si poteva cambiare una divisa con un abito
civile, e come le strade verso i monti permettessero di sottrarsi alla
complicità con i nazisti. Fra quelle donne, chi continuò a svolgere
quella funzione anche dopo le repressioni naziste, diventò un centro
organizzativo. Questo fu, a livello collettivo, il principio del loro
partigianato. Va intanto notato che, in un curioso rovesciamento di
funzioni rispetto alla tradizione, furono le donne a ˂difendere˃ gli
uomini.
Un episodio per tutti: Lina vacchi, un’operaia che aveva già guidato,
anni prima, uno sciopero alla fabbrica Callegari (e che sarebbe morta
più tardi fucilata dai nazisti) riuscì a salvare Arrigo Boldrini
dall’arresto durante una manifestazione davanti alla questura per la
distribuzione delle armi alla popolazione. D’altra parte Boldrini non
avrebbe fatto l’errore di sottovalutare il contributo femminile, reduce
com’era dalla Jugoslavia, dove la Resistenza antifascista gli aveva
rivelato anche questa sua (per l’ Italia, insolita) componente.”
“..Ma com’è che le donne vennero coinvolte, di là dall’organizzazione,
anche nel partigianato vero e proprio’ Racconta Norma Barbolini (…)che
un cero numero di ˂sbandati˃ di Sassuolo fu orientato dai comunisti
locali, poco dopo l’8 settembre, verso la Resistenza in montagna e che
alcuni tra loro entrarono nelle Brigate nere, dalle quali disertarono di
lì a poco, costituendo con le armi così ottenute un distaccamento
partigiano. In casi come questo spesso le donne raggiungevano i
partigiani sui monti per evitare, fra l’altro, le rappresaglie che i
nazisti esercitavano verso i familiari dei ˂renitenti alla leva˃..”
“.. A Reggio (…) era stato il gruppo formato dalle comuniste Gualdi,
Taglini e da altre, che durante il ventennio fascista aveva tenuto vivo
un embrione d’organizzazione. Più tardi, l’intervento decisivo di Lucia
Sarzi e l’impegno di altri compagni, incaricati dal PCI di affrontare la
questione femminile, sono aspetti di un’azione che spiega i motivi
profondi della crescita comunista in certe zone della popolazione: il
PCI è l’unico che affronta il problema della condizione delle donne –
pur con tutte le contraddizioni – con animo, come si è visto, non
provinciale, proprio per la sua esperienza internazionale..”
“..Nel modenese (…) si contano a centinaia i prigionieri inglesi, usciti
dal campo di concentramento sulla via Nonantolana, che vengono salvati
dopo l’8 settembre dalle donne: alcune di loro, Derna Malagoli, Vera
Righetti, Ines Gallini, Chiarina Rognoni, saranno arrestate nel gennaio
insieme ai soldati italiani antinazisti. Questi episodi di solidarietà
hanno già un senso politico, se, come nota la Cronaca Pedrazzi, ˂dargli
un sorso d’acqua può essere già motivo per una condanna capitale˃. Una
ragazza di 16 anni, lalla Malavolti, insieme a un suo coetaneo, porta
fuori dalle case popolari, l’8 settembre attraverso scale e passaggi, un
numero incalcolabile di soldati braccati dai tedeschi, salvandoli dalla
prigionia e avviandoli alla Resistenza; è in questo clima che prendono
inizio esperienze garibaldine, come quella di Norma Barbolini, già
ricordata, che sarà vice comandante partigiana sul campo di battaglia,
dopo il ferimento del fratello Armando, e protagonista della conquista
di Montefiorino; sarà sempre lei, infatti, a correre dopo la battaglia
in paese, braccata e sorvegliata com’è, per trovare un medico
necessario ai compagni feriti…”
“..Il capoluogo regionale presenta lo stesso processo di coagulo:
mentre il CLN si riunisce il 16 settembre (…)le donne, come ricorderà
Ruggero Zangrandi, riescono spesso a farsi consegnare le armi dai
soldati provenienti dalla Jugoslavia. (…) L’atteggiamento popolare si
chiarisce attraverso episodi come quello di Castenaso, dove, il 15
settembre, donne e ragazzi forano i recipienti dell’olio che viene
trasportato dai tedeschi in germania, lungo la strada, provocando la
reazione dei nazifascisti.
Partigiane si trovano già nella formazione di Stella Rossa che si
costituisce nel tardo autunno, come ha ricordato L. Bergonzini, tra il
Setta e il Reno. Certo è che, in generale, la storiografia tende a
cancellare i nomi femminili: neppure di Francesca Edera, massacrata con
altri 5 antifascisti in via della Certosa il 31 marzo del ’44, così
consapevole dell’imminente crollo del fascismo (˂ Anche un ragazzo, oggi
può farvi paura˃ si dice rispondesse ai suoi persecutori), gli storici
della resistenza bolognese, in generale assi più precisi degli altri,
riescono sempre a ricordare il nome. (…)
Intanto, si andavano orientando verso la partecipazione diretta alla Resistenza alcune studentesse e giovani laureate
(…)
Quando nell’aprile fu fondato il CUMER (braccio militare del CLN Alta
Italia e comando regionale delle formazioni partigiane, ndr), Ena
Frazzoni fu invitata dal comunista Dario Barontini, che lo dirigeva, a
organizzare, dal centro bolognese, tutto il lavoro delle staffette.(…)
(riportiamo una sua breve frase della sua testimonianza, ndr) :˂Ci
sentivamo parte di un esercito clandestino, e ne sentivamo la
responsabilità(..)˃
Un breve cenno, ora, sugli scioperi operai e sulle manifestazioni
agrarie, promosse da donne o di cui le donne sono state gran parte. Nota
il Bergonzini che ˂l’ampiezza dei contenuti politici nelle fabbriche a
prevalente mano d’opera femminile˃ è il dato particolarmente
significativo della situazione: tradizione antifascista più profonda e
continua che altrove, leggi abnormi come quella sul lavoro obbligatorio
dai 16 ai 60 anni per il reclutamento di operai (che talvolta era il
primo passo per la deportazione in Germania), sono tutti elementi che
concorrono a una rapida acquisizione dei termini politici della
Resistenza da parte delle lavoratrici.
Certo è che il ‘44 vede 300 donne accanto ai 400 uomini della Battistoni
di Reggio scioperare in febbraio, altre (quasi un migliaio) nello
stesso periodo alla Arrigoni di Cesena, per la riassunzione di
un’operaia antifascista che era stata licenziata. Così nel gennaio
scioperano gli operai, uomini e donne della Barbieri di Bologna, a
sostegno di una manifestazione di donne a Castelmaggiore di Reno,
secondo un’intelligente formula organizzativa che infatti sarà ripresa
nel febbraio con uguale successo. Scioperi di lavoratrici già nel marzo
si registrano a Ravenna, contro le norme che proibivano la circolazione
in bicicletta, ecc., mentre uno sciopero allo Jutificio Ravennate, in
aprile, si inserisce in un contesto di grande vitalità operaia.
L’aprile del 1944 è il mese in cui il motivo unificante di queste agitazioni diventa più chiaramente politico, attraverso la protesta contro la precettazione di lavoratori: scioperi di questo tipo se ne contano a Forlì il 12, a Parma il 17, il 5 e l’8 a Modena (dove già nel marzo c’era stata una lunga agitazione alla Maserati), il 13 e ancora il 22 a Bologna. Nel maggio, 150 operaie di Casalecchio scioperano ancora contro le deportazioni, mentre le donne addette alla sarchiatura e alla zappatura nel ferrarese, come le 200 mondine di Argenta, sostengono con le loro rivendicazioni sindacali il movimento antitedesco; il motivo della rivendicazione economica, la protesta contro la guerra, la difesa dei giovani destinati alla deportazione, si fondono nella manifestazione delle numerose operaie che il 4 maggio si portano davanti alla Casa del fascio di Ravenna.(...)
Quante sono
state le
donne che hanno
partecipato alla Resistenza?
I dati ufficiali:
- 35.000 partigiane, sappiste e gappiste
- 512 comandanti e commissarie di guerra
- 4.633 arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti
- 2750 deportate in Germania
- 623 fucilate e cadute in combattimento
- 1.750 ferite
- 70.000 organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna
Dati
ufficiali
che si discostano in maniera significativa dalle considerazioni
di
Arrigo Boldrini- famoso comandante- nome di battaglia Bulow-
della guerra di
Liberazione ed esperto militare che ebbe a dire: “ Se in un
esercito normale il
rapporto fra combattenti e addetti ai servizi è di uno a sette,
nella guerra
partigiana è di uno a quindici; intorno a ogni patriota ci sono
quindici
persone che in grande maggioranza sono donne”(3)
Il
dato numerico
è straordinario in sé, come straordinario, e contro la vulgata che
vorrebbe le
donne spinte da spirito materno, è il ruolo delle donne, già dai
primi giorni.
Come giustamente ricostruito (4), dopo l’8 settembre i soldati, sbandati, senza direttive, in tantissimi abbandonano le divise e tentano
di tornare a casa evitando treni e strade per non imbattersi nei tedeschi che, intanto, avevano avuto tutto il tempo per riorganizzarsi e
rastrellavano gli uomini da mandare a lavorare in Germania. Sono le donne che si rendono conto della situazione e li nascondono, forniscono
abiti civili, in qualche modo “danno indicazioni”, nello smarrimento generale. La parola d’ordine “basta con la guerra” accomuna da nord a Sud,
militari e civili, soprattutto le donne che, in tantissime sono rimaste da sole con i vecchi e i bambini“.
A
Castelfranco Emilia circa mille marinai, provenienti da La
Spezia, trovano al
loro passaggio ai lati della via Emilia donne munite di abiti
borghesi, scarpe
e viveri. A Sassuolo, in piazza della Libertà, i tedeschi
avevano concentrato i
militari prigionieri, circondandoli con mitragliatrici:le donne
non esitano,
passando tra i tedeschi e le mitragliatrici per raggiungere i
militari, a
incoraggiarli a tentare la fuga..”(4)
Come
mai
tante donne?
Il
fascismo aveva
rappresentato per le donne un “ritorno indietro”: dalle
affermazioni sulle
“caratteristiche” delle donne alla doppia morale, sul loro ruolo
nella società: o madri prolifiche, successivamente meglio se di morti in
guerra o strumenti
di piaceri del maschio fascista; ma è soprattutto con leggi
apertamente
discriminatorie, in primis sul lavoro, verso le donne che si dà
applicazione
pratica a queste concezioni, ricacciando le donne nel “focolare”
e verso una
condizione di sempre maggiore oppressione. Insomma, l’oppressione aumenta la
ribellione: “..Si può avanzare l’ipotesi che, poiché qui le
leggi fasciste si
erano sommate a una tradizionale arretratezza culturale, a una
borghesia più
reazionaria e a una Chiesa più potente – che nella sottomissione
della donna
trovavano ciascuno il suo tornaconto - proprio il maggior peso
dell’oppressione
abbia provocato la maggiore ribellione..” “..E’ facile perché..Perchè il
fascismo alle donne, non aveva proprio nulla
da offrire, mentre
c’era da temere che gli restasse sempre ancora qualcosa da
togliere..”(2).
In
tutti i
lavori su donna e Resistenza si mette in evidenza come le donne
abbiano scelto di partecipare alla Resistenza,
andando spesso contro genitori, mariti, vicini e/o, spesso,
nascondendo la vera
attività che svolgevano fuori casa. Ma si coglie che tante sono
state le
motivazioni, la spinta iniziale: motivazioni di classe, lo
sdegno per le
persecuzioni degli ebrei, la solidarietà umana, l’aspirazione,
forte, a un
mondo diverso senza discriminazioni, migliore per le donne,
senza sfruttamento…ma
comunque già per se stesso un fatto dirompente. La
partecipazione fa maturare rapidamente, insieme alla
preparazione politica e
teorica che sarà impartita dalle “vecchie” militanti, anche
le regole
della clandestinità. Soprattutto se si pensa al clima di terrore
instaurato dai
nazifascisti che significava carcere, torture, stupri,
deportazione nei campi
di concentramento, morte.
Quel
che è
certo che non fu un gruppo ristretto di donne a partecipare, ma,
in mille
forme, contribuendo in vario modo perché tutto è indispensabile, un numero
enorme: la rete di informazioni sui movimenti del nemico,
l’organizzazione
delle fughe dagli ospedali e dalle carceri, la cura dei feriti,
l’approvvigionamento,
il trasporto di viveri e armi, il sostegno alle famiglie dei
deportati, dei
prigionieri politici, informare le famiglie dei lutti, portare
direttive..
Un
altro
aspetto da tenere in considerazione è lo sviluppo ineguale che
si è avuto nelle
diverse regioni della Resistenza, ma anche la durata
dell’occupazione
nazifascista, oltre che una diversa coscienza nelle regioni in
cui si erano
sviluppate le lotte contadine ed operaie. La partecipazione per
un più lungo
tempo, la consuetudine con le lotte e l’organizzazione hanno permesso di
sviluppare una maggiore coscienza, come appare bene dalle
testimonianze nelle diverse Regioni. E, allora, cosa furono i Gruppi
di difesa della
donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà, quale
ruolo, attività
svolsero?
Intanto,
la
scelta del nome creò più di una perplessità, soprattutto non si
comprendeva la
necessità di un’organizzazione specifica delle donne (ancora
oggi sentiamo ”quando
si lotta si lotta per le donne e gli uomini”, in una visione
idealista – vedi
in proposito La scintilla dello sciopero delle donne a cura del
mfpr), ma
anche perché sembra voler relegare le donne a un ruolo “di
genere” o a un lavoro trasversale di donne appartenenti ad
organizzazione
diverse. Viene, invece, ben accolta dalle più giovani e dalle
donne non
appartenenti a un partito, perché dà loro la possibilità di
partecipare in modo
concreto ed, appunto, organizzato, visto che spontaneamente e/o
a piccoli
gruppi tante donne già si erano mobilitate. Diventerà, inoltre,
la base per
sviluppare - con non poche “defezioni”- una piattaforma sui problemi specifici
delle donne per il
dopo Liberazione.
Dal
citato Rapporto che
ricordiamo è stato redatto nel
corso della Resistenza, già, questo, basta a rendere conto della
rete
clandestina efficientissima, dell’enorme lavoro svolto in
condizioni proibitive:
“Nel novembre 1943(a
Milano, ndr) si
riunirono alcune donne (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e
Rina Picolato
comuniste; Laura Conti e Lina Merlin socialiste; Elena Dreher
e Ada Gobetti,
azioniste (4)), appartenenti ai vari partiti aderenti al CLN,
per gettare le
basi di una organizzazione femminile, unitaria e di massa. Venne così elaborato ed approvato
il programma dei
“Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai
combattenti della
libertà”;…..
L’organizzazione che
stava per
sorgere doveva essere aperta alle donne di ogni ceto sociale:
operaie,
impiegate, massaie, intellettuali e contadine, alle donne di
ogni fede
religiosa e di ogni tendenza politica e a tutte le donne senza
partito,
persuase di unire le loro forze nella lotta contro i tedeschi
e i traditori
fascisti, disposte a dare la propria opera per la liberazione
della patria e
decise a far valere le proprie rivendicazioni.
I compiti fissati
erano i seguenti:
organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e
nelle campagne la
resistenza alle violenze tedesche, il sabotaggio della
produzione, il rifiuto
dei viveri agli ammassi, raccogliere viveri, denaro, indumenti
per i
combattenti della libertà ed aiutarli in ogni modo; assistere
le famiglie dei
partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in
germania e tutte le
vittime della reazione nazifascista.
Inoltre, si doveva
esigere con gli
scioperi, con le fermate di lavoro, e con le dimostrazioni di
massa: l’aumento
delle razioni alimentari insufficienti a garantire il minimo
indispensabile
alla vita; l’aumento dei salari adeguato all’aumento del
costo della vita; l’alloggio alle famiglie degli sfollati e dei sinistrati; i
combustibili, i
vestiti, le scarpe; i locali necessari per le scuole, il loro
riscaldamento, e
le refezioni, i vestiti e le scarpe per i bimbi, la
proibizione del lavoro a
catena, del lavoro notturno, dell’impiego nelle lavorazioni
nocive; un salario
uguale, per un uguale lavoro, a quello degli uomini; delle
vacanze sufficienti
e l’assistenza nel periodo che precede e segue il parto…
ATTIVITA’ SVOLTA
Le difficoltà
causate dalla
situazione esistente, i vent’anni di fascismo durante i quali
fu negato alla
donna il diritto di partecipare alla vita politica, la
necessità di osservare
le più strette norme cospirative, rendevano oltremodo
difficile il nostro
lavoro, inoltre gli elementi più sicuri e capaci svolgevano
altra attività
politica... La prima campagna iniziata dai gruppi fu quella
delle mondariso e la
preparazione dell’8 marzo….
Nei grandi scioperi
del marzo 1944 i
Gruppi erano già presenti, benchè in numero ristretto, nelle
principali
fabbriche e seppero tenere degnamente il loro posto accanto
alle altre
organizzazioni di lotta… I Gruppi furono presenti e attivi in
tutte le
agitazioni, in tutti gli scioperi. Per una settimana le donne
di Parma
manifestarono e si scagliarono contro i carnefici dei patrioti
riuscendo così a
salvare dalla morte alcune decine di giovani italiani. Qui si
ebbero le nostre
prime vittime. A Forlì durante una dimostrazione fu uccisa una
madre di cinque
figli e ferita gravemente un’altra madre di tre bambini.
Queste donne
chiedevano pane per sfamare i loro bambini
Fu poi organizzato
il grande sciopero
delle mondine, sciopero vittorioso al quale partecipavano più
di diecimila
donne.
Ovunque le aderenti
alla nostra
organizzazione hanno tenuto valorosamente il loro posto di
lotta. Nelle
fabbriche, delegazioni femminili hanno chiesto ai padroni:
viveri, vestiti,
scarpe, carbone e legna, aumenti di paghe e miglioramenti
delle mense
aziendali. Le nostre donne sono state attivissime e piene
d’entusiasmo e spesse
volte esse riuscivano a scuotere l’apatia di certe masse
maschili e a
trascinarle nella lotta
Nel mese di
settembre fu inviata al
cardinale Schuster una lettera che ha riscosso l’approvazione
e la firma di
diecimila donne milanesi, lettera che chiedeva l’intervento
del cardinale
contro le deportazioni di donne in Germania.
Nel
mese di novembre a
Schio delle giovani ragazze venivano aggredite da militi
ubriachi e veniva loro
usata violenza.
Sparsasi la notizia,
il giorno dopo,
i Gruppi di difesa, d’accordo col Comitato d’agitazione delle
fabbriche, dove
le ragazze lavoravano, proclamavano
lo
sciopero di protesta per l’inaudita violenza, reclamando il
castigo dei
delinquenti. Tutte le fabbriche della città aderirono allo
sciopero che divenne
così generale assumendo il carattere di grande
manifestazione antifascista.
Lo
sciopero durò due
giorni e cessò solo dopo aver avuta l’assicurazione che i
colpevoli sarebbero
stati puniti. (grassetto a cura
del r.)
Casi analoghi
avvennero in altri
luoghi.
Le manifestazioni di
piazza per
reclamare viveri sono state e sono numerose. In questi ultimi
tempi poi, in
alcuni posti esse assumono un carattere veramente
insurrezionale.
A Torino le donne si
recano in gran
numero al Doche- Dora e alla Venchi – Unica per reclamare
zucchero che viene
loro concesso e si recano dal prefetto chiedendo viveri e
combustibili.
Assalgono poi vari depositi di legna e di carbone.
Anche a milano e
provincia
delegazioni femminili, appoggiate da centinaia di donne si
recano ai municipi e
alle prefetture reclamando il necessario per vivere.
Durante l’ultimo
sciopero generale
del mese scorso, al quale hanno partecipato compatte le
maestranze di
oltre cento fabbriche milanesi, le nostre organizzazioni
non solo hanno
aderito allo sciopero con entusiasmo, guidando le masse
femminili, ma hanno
parlato a folle di popolo: nelle fabbriche, nelle mense
rionali, sulle piazze,
al “Corriere della Sera” ecc. spiegando alle compagne di
lavoro che lo sciopero
aveva questo significato: esigere senza indugio pane, viveri,
la cessazione del
terrore nazifascista, la liberazione dei prigionieri politici,
il ritorno dei
fratelli e delle sorelle deportate nell’interno della
Germania.
Il 14 aprile i
Gruppi organizzano una
manifestazione di donne e di popolo nelle piazze. Dai vicoli e
nelle piazze
della città le donne gridano il loro basta contro
l’affamamento e gli
affamatori mentre i patrioti armati di mitra sono schierati
pronti a
difenderle. Circa mille e cinquecento donne hanno partecipato
alle
manifestazioni.
Ma in modo
particolare è in Emilia
che i gruppi organizzano quasi tutti i giorni delle
manifestazioni che si
concretizzano con l’ assalto agli ammassi ed ai magazzini di
viveri destinati
ai tedeschi e ai fascisti.
Tutti i viveri
vengono poi
distribuiti, in modo equo, a tutta la popolazione, da
commissioni femminili
nominate dalle dimostranti.
In certi paesi del
bolognese le
nostre dirigenti sono divenute coi CLN le vere autorità
riconosciute dal
popolo. Esse dirigono ospedali e ospizi di vecchi, organizzano
in unione agli
altri organismi di massa le cooperative, e provvedono alla
distribuzione di
viveri, legna ecc.
GRANDI
MANIFESTAZIONI
POLITICHE
I novembre – La
manifestazione
organizzata dai Gruppi per rendere omaggio agli eroici
fucilati è riuscita in
ogni luogo in un modo grandioso e commovente. In quei
giorni, tante e tante
donne hanno sfilato dinnanzi alle tombe dei cari caduti, ed
ogni fiore che esse
deponevano era accompagnato da una promessa. Promessa di
continuare la lotta
per vendicarli e vincere…
Settimana pro
partigiano – Nelle
vallate prossime alle zone partigiane, le contadine si sono
molto prodigate
nell’assistenza ai patrioti, ricoverandoli nelle loro case,
curando i feriti e
gli ammalati, fornendoli di tutti i viveri necessari,
sfidando coraggiosamente
il terrore e la brutale reazione nazista e fascista. Le
donne di città hanno
sempre aiutato e aiutano con grande entusiasmo tutti i
partigiani: hanno
raccolto viveri, denari, indumenti, confezionano maglie,
calze, guanti ecc.
Questa attività non è mai cessata, ma si è maggiormente
sviluppata e ha preso
carattere di grande manifestazione politica in occasione
delle varie “settimane
pro partigiano” organizzate in ogni città e in ogni paese.
Le donne italiane
hanno in tale occasione scritto ai volontari della libertà
centinaia di lettere
per far sentire di quanto affetto e di riconoscenza sono
circondati.
All’inizio di
questa settimana pro
partigiano nei luoghi di lavoro, nelle officine, negli
uffici ecc. gli operai,
gli impiegati, i tecnici e le donne, i giovani hanno sospeso
il lavoro per
alcuni minuti ricordando in silenzio e a capo scoperto gli
eroici caduti nella
lotta per la liberazione della patria.
Furono esposti nei
reparti fotografie
di caduti ornati di fiori e del tricolore e sulle torrette
di alcune fabbriche
vennero messi grandi cartelli inneggianti i partigiani……
Migliaia e
migliaia di manifestini
sono stati distribuiti con lanci per le strade, grandi
manifesti affissi ai
muri della città annunciavano ogni giorno l’ elenco degli
oggetti offerti…
IL
NATALE DEL
PARTIGIANO (Natale rosso) – Migliaia e
migliaia di pacchi sono
stati inviati ai partigiani, portati dalle nostre donne alle
loro famiglie, ai
carcerati, e a tutte le famiglie colpite dalla reazione
nazifascista. Si è poi
pensato in modo speciale ai bambini.
Alcuni orfani,
figli di fucilati,
sono stati adottati dai Gruppi di fabbrica che provvedono al
loro mantenimento,
alla loro istruzione, all’ assistenza ecc. Tutti i bambini
delle vittime nel
giorno di Natale sono stati ricordati; ognuno ebbe il suo
pacco contenente
dolci, giocattoli, indumenti, libri ecc…
GIORNATA
INTERNAZIONALE
DELLA DONNA – La celebrazione di
questo giorno è
svolta in una atmosfera di giubilo per la vittoria
dell’esercito rosso e delle
armate angloamericane sul suolo tedesco. Le donne italiane
hanno fatto dell’8
marzo una giornata di mobilitazione e di lotta di tutte le
forze femminili
antifasciste ed antitedesche. All’appello e sotto la
direzione dei Gruppi di
difesa della donna, in tutte le città, nei grandi e nei
piccoli centri, tutte
le operaie, le impiegate, le casalinghe e le intellettuali,
sono scese in campo
agitando tutte le rivendicazioni immediate contro la fame e
le violenze
nazifasciste.
In questo giorno
sono state ricordate
tutte le donne cadute eroicamente sulla breccia e le
combattenti che lottano
clandestinamente, sfidando ogni giorno la deportazione, il
carcere, le torture
ed anche la morte.
A Milano alcune
centinaia di donne si
sono recate al cimitero ricoprendo di fiori le tombe dei
nostri eroici caduti.
I mazzi di fiori erano legati con nastro tricolore portando
i nomi dei Gruppi
di difesa della donna. Dopo qualche minuto di raccoglimento
e fra la commozione
di tutti i presenti un’ aderente lesse l’elenco delle nostre
eroine cadute per
la liberazione dell’ Italia e commemorò tutte le vittime.
Un’altra donna
prese pure la parola
incitando alla lotta; un cieco vittima del fascismo,
presente alla
manifestazione, volle prendere la parola. Mentre parlava
copiose lacrime
scendevano dai suoi occhi spenti, suscitando ancora più la
commozione dei
presenti.
Sempre a Milano,
una grande
manifestazione avvenne alla prefettura ed alla SEPRAL, dove
centinaia di donne
reclamavano viveri e combustibili. “Siamo la rappresentanza
di tutte le donne
milanesi”, esse dissero, “vogliamo viveri perché abbiamo
fame e della legna
perché manca il gas.”
Le donne si
batterono coraggiosamente
contro il prefetto e i dirigenti della SEPRAL che cercavano
di calmarle e
lasciarono gli uffici solo in seguito alla promessa che
sarebbe avvenuta subito
una distribuzione di viveri.
Quasi in tutte le
fabbriche vi furono
alcune ore di sciopero e la presentazione a mezzo di
delegazione, di
rivendicazioni salariali; distribuzione di manifestini che
spiegavano il
significato dell’8 marzo, affissione di manifestini con i
nomi delle eroine
cadute e grandi cartelli con le scritte a stampatello
inneggianti alla giornata
della donna, ai Gruppi di difesa, ai partigiani.
In alcune
fabbriche furono esposte
fotografie di donne fucilate, con la dedica: “Gloria e onore
alle eroine
cadute”. L’ esposizione è durata tre ore e durante tutto
questo tempo due
aderenti ai “Gruppi della donna”, a turno, con i nastri
tricolori puntati sul
petto, montarono la guardia d’ onore. Tutte le maestranze
riverenti e commosse
hanno sfilato dinanzi alle fotografie. Gli stabilimenti
furono imbandierati un
po’ dappertutto. Bandierine su ogni macchina, sugli orologi
dei reparti, nastri
tricolori sui capelli e sul petto delle donne. Furono
raccolte somme a favore
dei Gruppi e del nostro giornale “Noi donne” e pro
partigiani.
In vari
stabilimenti nostre aderenti,
venute da fuori, hanno parlato alle maestranze, nei
refettori e nei reparti,
sollevando ovunque vivissimo entusiasmo.
I comizi
terminavano al canto di inni
e inneggiando ai Gruppi di difesa della donna. Anche a
torino ebbero luogo
manifestazioni al cimitero e nelle fabbriche. Così in
Liguria, in Emilia,
veneto e dovunque, l’ 8 marzo è stato per le donne dell’
Italia occupata un
giorno di lotta contro i nemici della patria.
(della
manifestazione al cimitero di Torino abbiamo riportato sopra).
ASSISTENZA
L’ assistenza è
uno dei compiti più
importanti della nostra organizzazione.
In un primo tempo
l’assistenza veniva
praticata quasi tutta attraverso ai vari partiti e solo in
piccola parte a
mezzo delle organizzazioni femminili e dei comandi militari.
Ora quasi tutto il
lavoro assistenziale è svolto dai Gruppi di difesa:
assistenza morale e
materiale alle famiglie colpite dalla reazione, assistenza
sanitaria alle
famiglie sussidiate, distribuzione di generi vari oltrechè
di denaro ai più
bisognosi (scarpe, indumenti, viveri ecc.). Nostre
insegnanti si prestano a
dare lezioni ai bambini che ne abbisognano, offrendo loro
libri e quaderni. E’
svolta inoltre l’assistenza ai carcerati con l’invio di
pacchi, denaro, scambio
di lettere tra famiglie e carcerati.
Per pasqua erano
stati inviati ai
carcerati pacchi collettivi. A Milano per esempio furono
inviati cinquantasei
pacchi contenenti ognuno cento ravioli, due salami, diciotto
uova sode, cinque
pacchi di sigarette, un chilogrammo di formaggio grana, tre
etti di burro, due
etti di sale, quattro etti di zucchero, tre colombe dolci da
mezzo chilogrammo
l’una, un vaso di marmellata, un vaso estratto di carne. La
merce in alcuni
posti è stata offerta dal CLN ed i pacchi confezionati dalle
donne dei Gruppi.
Sempre per opera dei gruppi in varie località viene svolto
abbastanza bene il
servizio postale fra partigiani e famiglie.
Si aiutano poi i
malati e i
tubercolosi ritornati dalla deportazione in Germania. Ormai
tutti i partiti
apprezzano l’attività e il grande lavoro svolto dalla nostra
organizzazione nel
campo dell’ assistenza. Si riconosce che tutti i compiti
assistenziali devono
essere affidati a questo organismo femminile che ha già dato
tante buone prove.
Ogni mese milioni e milioni di lire vengono distribuite in
modo equo fra
migliaia di famiglie.
VOLONTARIE
DELLA
LIBERTA’
Già prima che si
costituissero le
brigate e i distaccamenti delle “Volontarie della libertà”,
per iniziativa dei
Gruppi, le donne lavoravano attivamente con le
organizzazioni armate
(partigiani, GAP, SAP, ecc.) come infermiere nelle
formazioni, staffette,
portaordini ecc.
Il primo
distaccamento si è
costituito in Piemonte sei o sette mesi fa. Composto di
spose, di mamme e di
sorelle di partigiani.
Le componenti
questo distaccamento
che lavoravano sulla montagna accanto alla II brigata
Garibaldi, “Giambone”,
avevano vari compiti: qualcuna funzionava come collegatrice
o staffetta, ma in
maggioranza esse davano la loro opera come cuoche, lavandaie
e stiratrici.
In Liguria, poco
dopo, furono
costituite tre brigate cittadine di SAP femminili con i nomi
di “Alice Noli”
prima donna genovese fucilata; “Irma Bandiera”, fucilata a
Bologna; “Anita
Garibaldi”. Gruppi di volontarie funzionano poi in Piemonte,
in Lombardia, in
Emilia ecc. In questi ultimi tempi si stanno organizzando
pronte a partecipare
all’attacco finale. Le volontarie sono inquadrate in
squadre di pronto
soccorso di sanità, in squadre per il recupero di armi e
munizioni, per i tagli
dei fili telegrafici, per asportare pali indicatori tedeschi
e per il lancio di
chiodi sulle strade camminabili. Vi sono delle squadre di
informatrici,
staffette, collegatrici. Abbiamo alcune commissarie
politiche nelle formazioni
partigiane.
Delle audaci
volontarie hanno portato
via dagli ospedali i partigiani feriti che erano in attesa
di essere fucilati.
In alcuni posti se li sono caricati sulle spalle, non
potendo i feriti
camminare, trasportandoli in luoghi più sicuri.
Le nostre
volontarie espongono
continuamente la vita e lo fanno con grande coraggio.
Sovente vengono elogiate
e citate all’ ordine del giorno per atti d’audacia e
abnegazione.
Molte di esse
arrestate e torturate
si sono comportate magnificamente non pronunciando una
parola che potesse recar
danno alle loro compagne e all’organizzazione. Fra di esse
vi sono delle
fanciulle come Edera Francesca (19anni), la Irma Bandiera,
le sorelle Arduino e
tante altre, delle spose e delle mamme come la Clelia
Corradini, Alice Noli
ecc., che lasciarono dei bimbi in tenera età, e vi sono
delle donne come la
Binda Teresa, una vecchia mamma di 70 anni, fucilata perché
riforniva di viveri
il figlio partigiano e i suoi compagni.
Le nostre eroine
cadute raggiungono
già un numero rilevante: Edera Francesca, Irma Bandiera,
Alice Noli, Clelia
Corradini, Binda Teresa, Sante Adele, Negri Ines, Paola
Garelli, Franca
Lanzoni, Arduino Libera, Arduino Vera e tante altre delle
quali non abbiamo
ancora i nomi.
STAMPA
E PROPAGANDA
Il giornale
nazionale è “Noi Donne”;
il primo numero è uscito nel mese di marzo del 1943. Nel
1944 sono usciti dieci
numeri e due numeri speciali dedicati alle Volontarie della
libertà. Quattro
numeri sono stati redatti quest’anno (1945), un numero
speciale è stato
dedicato alla giornata dell’8 marzo.
Come tutte le
agitazioni, gli
scioperi, le manifestazioni sono state dirette alla lotta
contro i
nazifascisti, così anche la linea del giornale ha avuto la
stessa impronta. Vi
era chi pensava che si potesse pubblicare maggiormente
articoli programmatici e
educativi, noi eravamo invece convinte che si dovesse
mantenere ad esso il suo
principale carattere di agitazione e di battaglia. Infatti
“Noi Donne” ha
finora questo specifico carattere. Dai primi numeri in poi
il giornale ha
sempre migliorato specialmente ora che ha la collaborazione
delle donne di
tutti i partiti. Le nostre aderenti inviano spesso
corrispondenze e
articoletti.
Nelle regioni noi
inviamo gli
articoli dattilografati e il giornale viene poi riprodotto e
stampato o
ciclostilato secondo le possibilità tecniche del luogo. Agli
articoli e alle
notizie che noi inviamo ognuno aggiunge il notiziario e le
corrispondenze
locali. Altri giornali vengono poi pubblicati nelle varie
regioni. A Torino
(“La difesa della lavoratrice”, che tratta specialmente i
problemi sindacali);
a Genova (“Le donne in lotta”); in Emilia (“Le donne in
lotta” e “La rinascita
della donna”); nel Veneto (“La donna friulana”); a Milano
(“Bollettino” per le
organizzate e la rivista del centro studi “Il pensiero
femminile”).
Tutti questi
periodici seguono i
caratteri e gli scopi dell’organizzazione, cioè: unità delle
forze femminili,
lotta accanita contro gli oppressori, lotta per la libertà e
la democrazia.
L’organizzazione è
intervenuta nei
villaggi e nelle città con migliaia di manifestini, di
volantini ciclostilati,
dattiloscritti, stampati che hanno volta per volta invitato
la massa femminile
a dimostrare: contro i tedeschi e i fascisti a causa dei
bombardamenti aerei
della città, contro le deportazioni in Germania di operai e
operaie, contro le
rapine della nostra produzione, per l’aumento delle razioni
viveri e delle
paghe, contro gli ammassi, per l’appoggio ai renitenti e
disertori, per il
sabotaggio della produzione bellica, contro il terrore e i
massacri. Manifestini
furono diretti alle operaie, alle massaie, alle contadine,
alle intellettuali,
alle mamme per tutte le questioni economiche e politiche,
per preparare la
campagna delle mondine, per incitare tutte le donne alla
campagna contro il
freddo e la fame, per esaltare la cnquista del voto delle
donne, per l’aiuto ai
partigiani e alle vittime della reazione.
Anche nelle
regioni e provincie i
comitati locali e spesse volte anche i singoli settori hanno
per proprio conto
parlato alle donne attraverso la stampa. Non sempre però ci
è stato possibile
fare quanto avremmo voluto, per deficienze tecniche. Troppo
poche sono ancora
le copie del nostro giornale, troppo poco si riesce a
stampare. Sappiamo quanto
proselitismo si possa fare attraverso la stampa. Dovremmo
perciò in questo
campo fare di più e mentre finora ricorriamo all’ aiuto dei
partiti, cercare
d’ora in poi nel limite del possibile di creare un nostro
apparato tecnico
anche per questa attività. Sono stati stampati alcune
migliaia di opuscoli con
nozioni di infermeria. “L’assistenza al ferito”, che serve
di guida alle nostre
aderenti che seguono i corsi di infermeria organizzati dai
Gruppi.
E’ merito dei
Gruppi se le donne
hanno acquistato interessamento alla vita politica ed hanno
ora il desiderio di
sapere e di imparare più.
SVILUPPO
POLITICO E
ORGANIZZATIVO
Abbiamo cercato
fin dall’inizio di
svolgere la nostra attività in modo tale da fare dei Gruppi
di difesa della
donna l’organizzazione unitaria di tutte le donne italiane.
Essa non doveva
avere carattere federativo, ma di massa, non doveva essere
solo l’unione dei
gruppi di partito ma unione di tutte le donne antifasciste e
antitedesche.
Lungo il cammino
abbiamo incontrato
molte difficoltà, ma senza scoraggiarci abbiamo continuato
la strada
intrapresa, convinte che saremmo giunte alla meta. Infatti i
nostri sforzi sono
stati coronati da successo. Mentre i Gruppi di difesa
incominciavano a sorgere
e ad affermarsi, altri gruppi femminili si costituivano,
alcuni con carattere
prettamente di partito, altri, come i gruppi di Giustizia e
libertà, pur
essendo sotto la influenza di un partito, tendevano ad avere
carattere più
largo, aperti cioè alle non iscritte al partito.
Nel mese di agosto
dello scorso anno,
mentre già alla base dell’organizzazione i nostri gruppi
erano composti di
donne appartenenti a tute le ideologie politiche e religiose
e nella
maggioranza donne senza partito, dall’altro nei comitati
dirigenti non si era
ancora raggiunto l’accordo con le aderenti ai vari partiti
politici. Un
concreto e sincero accordo si realizzò nel mese di settembre
tra le
rappresentanti del Partito d’ azione, le socialiste e le
comuniste. Poco dopo
anche le democristiane accettarono di entrare a far parte
delle direzioni
generali, provinciali ecc., con qualche riserva circa la
fusione delle loro
forze.
Fa ora parte della
Direzione centrale
anche la rappresentante del partito repubblicano italiano.
Due mesi fa, dopo
aver avuto
disposizioni da Roma, i democristiani deliberavano di non
partecipare più alla
direzione dei Gruppi.
Questo però
avvenne quasi
esclusivamente al Comitato nazionale, poiché alla base ed in
varie direzioni
regionali e provinciali le donne democristiane continuarono
a farvi parte, anzi
intensificarono la loro attività. Infatti a Torino, la
rappresentante dei
Gruppi nel CLN è una democristiana.
La questione è
stata ripresa in esame
in questi giorni e pare che anche in campo nazionale essa
venga risolta in modo
favorevole all’unione.
Abbiamo ora nella
nostra
organizzazione una grande massa di donne, quelle che si
svegliano adesso alla
vita politica. Queste donne non sanno ancora ben distinguere
tra il programma
comunista e quello socialista, tra il liberale, il
democristiano e quello del
partito d’azione, ma sentono che alcune cose le uniscono a
tutte le loro
sorelle, qualunque sia il partito al quale appartengono.
L’organizzazione
ha dimostrato coi
fatti l’utilità e la necessità della propria esistenza e si
è affermata come
organismo unitario di massa. Questa utilità è stata
riconosciuta dal CLNAI e
dai CLN regionali e periferici. E’ stato altresì
riconosciuto ai Gruppi il
diritto di partecipare ai CLN stessi in rappresentanza
dell’organizzazione
femminile. Siamo ormai rappresentati nel CLN delle
principali città e provincie
e in quasi tutti quelli periferici.
ORGANIZZAZIONE
Ogni gruppo di
fabbrica, di massaie,
di intellettuali, di contadine ecc. si è dato un nome.
Generalmente è stato
scelto il nome di un eroe, di un’eroina e di qualche
martire.
Il Gruppo è
diretto da un comitato di
tre o quattro o cinque membri a seconda del numero delle
aderenti. Esso è
articolato in nuclei di cinque o sei donne; la responsabile
del nucleo è a
contatto con una dirigente del comitato. Funzionano inoltre
i comitati di zona,
di settore, di provincia, di regione e il comitato
nazionale. Accanto ai
comitati nazionale, regionali, provinciali, di settore etc.
operano delle
commissioni di lavoro per l’organizzazione, la stampa, la
propaganda e per
l’assistenza. L’organizzazione funziona dalla base al centro
attraverso
collegamenti fra i vari comitati. Nelle principali città si
sono creat dei
“centri studi” col compito di studiare i compiti famigliari
di oggi e di
domani; col compito di studiare i problemi della
ricostruzione in modo
concreto, come potranno essere risolti dal punto di vista
democratico, e quale
è il contributo che le donne potranno portarvi come
collaboratrici e dirigenti.
Si studiano perciò le questioni che riguardano la maternità
e l’infanzia, le
mense popolari, il problema delle scuole, del lavoro, della
casa,
dell’assistenza ecc.
Settimanalmente i
comitati di settore
e di zona inviano un rapporto del lavoro svolto e di quello
in programma al
comitato provinciale. Così mensilmente avviene lo stesso
dalla provincia alla
regione, e dalla regione al centro.
Abbiamo poi delle
ispettrici
nazionali che periodicamente si recano nelle regioni, e le
ispettrici regionai
per il controllo delle provincie. Queste ispezioni sono
state sempre proficue e
ci hanno dato buonissimi risultati. Una di queste ispettrici
si è recata nelle
zone controllate dai partigiani portando da svolgere in tali
luoghi ed
orientando nel giusto modo l’attività delle donne entrate
nelle giunte popolari
a rappresentare l’organizzazione.
Siamo presenti e
teniamo a esserlo
sempre in numero maggiore nei CLN centrali e periferici, nei
comitati
d’agitazione, nei comitati sindacali, nelle giunte popolari
e in tutti gli
organi di direzione delle masse.
Buoni sono i
nostri rapporti con il
fronte della gioventù, assieme al quale abbiamo organizzato
varie
manifestazioni e realizzato in comune alcune iniziative.
Nelle città, il
reclutamento è stato
fatto, in gran parte, tra le operaie; in Emilia invece molte
sono le contadine
iscritte. Aumentano i gruppi di massaie, di studentesse, di
insegnanti e
professioniste, ma troppo poco si è ancora fatto in questo
campo.
L’organizzazione è
costituita da
aderenti e collegate. Le aderenti pagano una quota mensile
variante da L. 2 a
L. 5. Le collegate sono quelle che pur non pagando una quota
fissa aderiscono a
tutte le iniziative dei Gruppi, leggono e distribuiscono la
nostra stampa,
sottoscrivono per l’organizzazione, per il giornale, per i
partigiani ecc.,
sono attive in tutte le manifestazioni e partecipano in
parte in pratica alla
vita dei gruppi.
Ci
mancano
i collegamenti con molte provincie, molti Gruppi sono in via
di
costituzione ed i dati che riusciamo ad avere non sono mai
completi perché
variano ogni giorno. Il numero delle collegate è
ancora più
difficile da stabilire.
Appena ora arrivano le prime risposte ai questionari nei
quali richiedevano
appunto cifre esatte.
Il totale generale
risulta essere
39.028. Calcolando però a 50.000 il numero complessivo delle
facenti parte
dell’organizzazione, siamo ancora al di sotto del numero
esatto.
DIRIGENTI
Mentre
l’organizzazione in quest’anno
e più di vita si è sviluppata e le sue file si sono
ingrossate, i quadri non
sono aumentati proporzionalmente. Sappiamo benissimo che
formare una
dirigente non è così facile come reclutare
una aderente, ma questa nostra deficienza ci preoccupa e
cerchiamo di trovare i
mezzi per rimediarvi.
Ora però tutti i
nostri sforzi e la
nostra attività sono concentrati verso un unico scopo:
preparare le masse
femminili a combattere, con tutto il popolo, l’ultima
battaglia, orientando
tutto il nostro lavoro per la insurrezione nazionale.
Abbiamo inviato, a
questo proposito,
delle direttive a tutti i comitati regionali e provinciali
dei Gruppi, dove
l’insurrezione è vista attraverso tre suoi momenti.
PRIMA – DURANTE –
DOPO
Prima – Tutte le
manifestazioni e le
agitazioni di massa devono essere intensificate; le fermate
di lavoro e gli
scioperi devono assumere un ritmo più accelerato; si devono
porre continuamente
rivendicazioni economiche; protestare contro gli arresti e
le fucilazioni di
patrioti, impedire i licenziamenti; si devono intensificare
tutte le azioni
preparatorie che dovranno culminare nel grande sciopero
insurrezionale.
Le donne dei
Gruppi di difesa
segnaleranno i depositi di viveri e di combustibili, le
giacenze degli ammassi
e dei magazzini di vettovagliamento fascista, che saranno
messi a disposizione
del CLN per un’ equa distribuzione alla popolazione.
Alle contadine è
stato affidato il
compito di proteggere, a fianco dei loro uomini, i campi e
le semine dalle
distruzioni, di difendere i prodotti dalle rapine
nazifasciste. Abbiamo fatto
comprendere la necessità di creare uno stretto collegamento
tra Gruppi di città
e quelli di campagna per il trasporto dei viveri occorrenti
sia durante sia
dopo l’insurrezione.
All’organizzazione
è stato inoltre
affidato il seguente compito di assistenza ai combattenti in
ogni campo.
Le nostre donne in
quei giorni
dovranno dare tutta la loro opera come: infermiere,
portaferiti, staffette,
collegatrici, vivandiere ecc.
In ogni
casa si dovrà apprestare un posto di pronto soccorso, vi
dovrà essere un letto
e un piatto di minestra per un ferito o per un combattente.
Si creeranno le
“cucine del combattente”. Si provvederà ai bimbi che
resteranno senza
assistenza, si provvederà ad alloggiare ed assistere i
liberati dal carcere e
dai campi di concentramento. I Gruppi di fabbrica faranno
funzionare le mense
aziendali. I CLN hanno incaricato i gruppi di confezionare i
bracciali
tricolori, distintivo dei dirigenti dell’insurrezione.
Distintivo dei gruppi
sarà una coccarda tricolore.
DURANTE – Sono
pochi i consigli che
ci è stato possibile dare perché non si possono prevedere
gli sviluppi della
situazione alla quale ogni comitato regionale e provinciale
adeguerà la sua
azione.
Abbiamo potuto
solo fissare questi
punti :
- Difendere i depositi di viveri come cosa sacra, come bene del popolo;
- Coadiuvare i CLN nella distribuzione delle merci alla popolazione;
- Impedire la fuga dei criminali fascisti che dovranno essere giudicati dai tribunali del popolo;
- Prendere possesso delle sedi di istituzioni fasciste femminili, ricreative e assistenziali, scegliere anche una sede in un edificio privato nel caso che quella occupata non possa rimanere definitivamente assegnata ai Gruppi.
- Occupare, d’accordo con le altre organizzazioni, tutte le sedi di istituzioni popolari fasciste (dopolavoro, nidi per l’infanzia, mense, cooperative ecc.) e collaborare alla gestione a favore del popolo.
Dopo – I problemi
che si
presenteranno l’indomani dell’insurrezione saranno
innumerevoli ma solo per
alcuni ci è stato possibile dare suggerimenti: ricevere le
truppe alleate come
amici e liberatori, con manifestazione di giubilo per la
liberazione avvenuta,
ma con dignità nazionale.
Le rappresentanti
femminili
entreranno a far parte degli organi di governo popolare e
collaboreranno a far
funzionare i servizi di assistenza, quelli ospitaleri,
quelli del trasporto dei
viveri e della loro distribuzione ecc.; contribuiranno
all’epurazione con la
partecipazione delle donne ai tribunali del popolo e
procurando gli elementi
femminili di sostituire gli elementi notoriamente fascisti
in tutti gli uffici
statali e comunali, nelle amministrazioni d’interesse
pubblico, nelle scuole,
negli ospedali ecc.
Appena liberati, i
gruppi
organizzeranno una grande manifestazione per rendere il
doveroso omaggio alle
vittime cadute sotto il piombo nemico. Un grande corteo
dovrà muovere da ogni
città, da ogni paese verso i cimiteri che racchiudono le
tombe dei nostri
martiri, e verso i luoghi delle fucilazioni.
Tale
manifestazione costituirà la
prima grande rassegna delle forze femminili e della nostra
organizzazione.
Organizzeremo
inoltre delle settimane
della “solidarietà nazionale” a favore delle famiglie delle
vittime e dei
reclusi nei campi di concentramento e delle prigionie.
PROBLEMI DELLA
RICOSTRUZIONE
A liberazione
avvenuta, conscie di
aver fatto tutto il possibile per contribuire alla
liberazione della patria,
volgeremo le nostre energie e tutta la nostra attenzione
allo studio delle
questioni che ci interessano particolarmente e collaboreremo
con tutti gli
organi di governo popolare per la risoluzione dei problemi
della ricostruzione.
Molte attività i gruppi potranno svolgere nel campo della
ricostruzione
democratica e progressiva della nazione.
Nell’istante in
cui viscriviamo,
poche ore ci separano dal momento in cui il popolo
dell’Italia ancora occupata
scatterà per scacciare per sempre i tedeschi e i fascisti
dal suolo patrio. La
certezza della vittoria ci fa sentire che ogni sacrificio
non è stato vano,
ogni fatica non è stata e non sarà inutile.
Abbiamo ricevuto
il vostro manifesto
di programma che ci descrive l’UDI come organismo di massa,
ma da notizie che
ci sono giunte in seguito ci sembra di aver capito che
invece esso abbia il
carattere di un organismo federale di gruppi di partito.
Avremmo tanto
desiderio di avere
notizie precise in merito, un poco più esaurienti e
complete, appena vi sarà
possibile. Anche del vostro giornale “Noi donne” abbiamo
ricevuta una sola
copia, non sufficiente per darci un’idea esatta del suo
ordinamento e del suo
programma. E’ la seconda volta che i Gruppi di difesa della
donna stabiliscono
contatti con voi, sorelle dell’Italia liberata.
La prima volta fu
in occasione dell’8
marzo, giornata internazionale della donna, in cui vi
inviammo un messaggio.
Il rapporto che vi
inviamo della
nostra attività passata e presente, sul programma e
sull’orientamento politico
dei gruppi, anche se incompleto vi servirà ad orientarvi nei
confronti della
nostra organizzazione e del nostro lavoro.
Il
Comitato nazionale
Dei
“gruppi di difesa
della donna
e per
l’ assistenza
ai
combattenti della
libertà”
- Formazione rivoluzionaria delle donne 2^ parte:
Per una analisi materialistico storico
dialettica della condizione della donna.
Da “L'origine della famiglia, della
proprietà privata e dello Stato” di Engels
Dal dominio della donna al suo
asservimento.
IL DOMINIO DELLA DONNA
“... E' una delle idee più assurde di derivazione illuministica del secolo XVIII, che la donna all'inizio della società sia stata schiava dell'uomo. La donna invece... aveva una posizione non solo libera, ma anche di alta considerazione” (e qui Engels riporta quanto scriveva un missionario americano A. Wright).
“... al tempo (delle) antiche case lunghe (amministrazioni comunistiche di più famiglie)... prevaleva quivi sempre un clan (una gens), cosicchè le donne prendevano i loro uomini dagli altri clan (gentes)... Abitualmente la parte femminile dominava la casa... le provviste erano comuni ma guai a disgraziato marito o amante troppo pigro o maldestro nel portare la sua parte alla provvista comune. Qualunque fosse il numero di figli o delle cose da lui personalmente possedute nella casa, in un qualsiasi momento poteva aspettarsi l'ordine di far fagotto e andarsene. Ed egli non poteva tentare di resistere, la vita gli veniva resa impossibile... le donne erano nei clan, e del resto dovunque, la grande potenza. All'occasione esse non esitavano a deporre un capo e degradarlo a guerriero comune.”
Continua Engels “...la mole eccessiva di lavoro svolto dalle donne tra i selvaggi e i barbari, non sono affatto in contraddizione con quanto è stato detto. La divisione del lavoro tra i due sessi è condizionata da cause diverse dalla posizione della donna nella società... (la donna) lavorava duramente, ma era considerata presso il suo popolo come una vera signora, ed era tale anche per il suo carattere...”.
IL PASSAGGIO
“...l'addomesticamento degli animali e l'allevamento degli armenti avevano sviluppato una fonte di ricchezza fino ad allora sconosciuta ed avevano creato condizioni del tutto nuove... a chi apparteneva questa ricchezza? Senza dubbio originariamente alla gens. Ma già presto deve essersi sviluppata la proprietà privata degli armenti... Tali ricchezze, una volta passate nel possesso privato delle famiglie e qui rapidamente moltiplicate, dettero alla società fondata sul matrimonio di coppia e sulla gens matriarcale un colpo potente... Secondo la divisione del lavoro nella famiglia allora in vigore, toccava all'uomo procacciare gli alimenti, come anche i mezzi di lavoro a ciò necessari, e quindi anche la proprietà di questi ultimi. L'uomo poi in caso di separazione se li portava con sè, come la donna conservava le sue suppellettili domestiche. Secondo l'uso d'allora, dunque, l'uomo era anche proprietario delle nuovi fonti di alimentazione, del bestiame e, più tardi, dei nuovi strumenti di lavoro: gli schiavi. Secondo l'uso di quella stessa società, però, i suoi figli non potevano ereditare da lui.... secondo il diritto matriarcale... la discendenza fu calcolata soltanto in linea femminile...”
(Ma) “...le ricchezze, nella misura in cui si accrescevano, da una parte davano all'uomo una posizione nella famiglia più importante di quella della donna, dall'altra lo stimolavano ad utilizzare la sua rafforzata posizione per abrogare, a vantaggio dei figli, la successione tradizionale. Ma ciò non poteva essere finchè era in vigore la discendenza matriarcale. Era necessaria dunque l'abrogazione di essa, ed essa infatti fu abrogata”.
L’ASSERVIMENTO DELLA DONNA
Il rovesciamento del matriarcato segnò la sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile. L’uomo prese nelle mani anche il timone della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli… il primo effetto del dominio esclusivo degli uomini, fondato allora, si mostra nella forma intermedia della famiglia patriarcale, che affiora in questo momento. Ciò che lo caratterizza principalmente (è)… l’organizzazione di un numero di persone libere e non libere in una famiglia sotto la patria potestà del capofamiglia… La parola familia non esprime originariamente l’ideale del filisteo d’oggigiorno… famulus significa schiavo domestico e familia è la totalità degli schiavi appartenenti ad un uomo… un nuovo organismo sociale, il cui capo aveva sotto di sé moglie, figli, e un certo numero di schiavi…”.
Marx aggiunge: La moderna famiglia contiene in germe, non solo la schiavitù, ma anche la servitù della gleba, poiché questa, fin dall’inizio, è in rapporto con i servizi agricoli. Essa contiene in sé, in miniatura, tutti gli antagonismi che si svilupperanno più tardi largamente nella società e nel suo Stato...
…Per assicurare la fedeltà della donna, e perciò la paternità dei figli, la donna viene sottoposta incondizionatamente al potere dell’uomo; uccidendola egli non fa che esercitare il suo diritto”.
“… (la monogamia) fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche, precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune… essa appare come soggiogamento di un sesso da parte dell’altro, come proclamazione di un conflitto tra i sessi sin qui sconosciuto in tutta la preistoria… “la prima divisione del lavoro è quella tra uomo e donna per la procreazione dei figli” (Marx)… Il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte del sesso maschile.
La monogamia fu un grande progresso storico, ma contemporaneamente essa, accanto alla schiavitù e alla proprietà privata, schiuse quell’epoca che ancora oggi dura, nella quale ogni progresso è, ad un tempo, un relativo regresso, e in cui il bene e lo sviluppo degli uni si compie mediante il danno e la repressione degli altri. Essa fu la forma cellulare della società civile, e in essa possiamo già studiare la natura degli antagonismi e delle contraddizioni che nella civiltà si dispiegano con pienezza”.
“... E' una delle idee più assurde di derivazione illuministica del secolo XVIII, che la donna all'inizio della società sia stata schiava dell'uomo. La donna invece... aveva una posizione non solo libera, ma anche di alta considerazione” (e qui Engels riporta quanto scriveva un missionario americano A. Wright).
“... al tempo (delle) antiche case lunghe (amministrazioni comunistiche di più famiglie)... prevaleva quivi sempre un clan (una gens), cosicchè le donne prendevano i loro uomini dagli altri clan (gentes)... Abitualmente la parte femminile dominava la casa... le provviste erano comuni ma guai a disgraziato marito o amante troppo pigro o maldestro nel portare la sua parte alla provvista comune. Qualunque fosse il numero di figli o delle cose da lui personalmente possedute nella casa, in un qualsiasi momento poteva aspettarsi l'ordine di far fagotto e andarsene. Ed egli non poteva tentare di resistere, la vita gli veniva resa impossibile... le donne erano nei clan, e del resto dovunque, la grande potenza. All'occasione esse non esitavano a deporre un capo e degradarlo a guerriero comune.”
Continua Engels “...la mole eccessiva di lavoro svolto dalle donne tra i selvaggi e i barbari, non sono affatto in contraddizione con quanto è stato detto. La divisione del lavoro tra i due sessi è condizionata da cause diverse dalla posizione della donna nella società... (la donna) lavorava duramente, ma era considerata presso il suo popolo come una vera signora, ed era tale anche per il suo carattere...”.
IL PASSAGGIO
“...l'addomesticamento degli animali e l'allevamento degli armenti avevano sviluppato una fonte di ricchezza fino ad allora sconosciuta ed avevano creato condizioni del tutto nuove... a chi apparteneva questa ricchezza? Senza dubbio originariamente alla gens. Ma già presto deve essersi sviluppata la proprietà privata degli armenti... Tali ricchezze, una volta passate nel possesso privato delle famiglie e qui rapidamente moltiplicate, dettero alla società fondata sul matrimonio di coppia e sulla gens matriarcale un colpo potente... Secondo la divisione del lavoro nella famiglia allora in vigore, toccava all'uomo procacciare gli alimenti, come anche i mezzi di lavoro a ciò necessari, e quindi anche la proprietà di questi ultimi. L'uomo poi in caso di separazione se li portava con sè, come la donna conservava le sue suppellettili domestiche. Secondo l'uso d'allora, dunque, l'uomo era anche proprietario delle nuovi fonti di alimentazione, del bestiame e, più tardi, dei nuovi strumenti di lavoro: gli schiavi. Secondo l'uso di quella stessa società, però, i suoi figli non potevano ereditare da lui.... secondo il diritto matriarcale... la discendenza fu calcolata soltanto in linea femminile...”
(Ma) “...le ricchezze, nella misura in cui si accrescevano, da una parte davano all'uomo una posizione nella famiglia più importante di quella della donna, dall'altra lo stimolavano ad utilizzare la sua rafforzata posizione per abrogare, a vantaggio dei figli, la successione tradizionale. Ma ciò non poteva essere finchè era in vigore la discendenza matriarcale. Era necessaria dunque l'abrogazione di essa, ed essa infatti fu abrogata”.
L’ASSERVIMENTO DELLA DONNA
Il rovesciamento del matriarcato segnò la sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile. L’uomo prese nelle mani anche il timone della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli… il primo effetto del dominio esclusivo degli uomini, fondato allora, si mostra nella forma intermedia della famiglia patriarcale, che affiora in questo momento. Ciò che lo caratterizza principalmente (è)… l’organizzazione di un numero di persone libere e non libere in una famiglia sotto la patria potestà del capofamiglia… La parola familia non esprime originariamente l’ideale del filisteo d’oggigiorno… famulus significa schiavo domestico e familia è la totalità degli schiavi appartenenti ad un uomo… un nuovo organismo sociale, il cui capo aveva sotto di sé moglie, figli, e un certo numero di schiavi…”.
Marx aggiunge: La moderna famiglia contiene in germe, non solo la schiavitù, ma anche la servitù della gleba, poiché questa, fin dall’inizio, è in rapporto con i servizi agricoli. Essa contiene in sé, in miniatura, tutti gli antagonismi che si svilupperanno più tardi largamente nella società e nel suo Stato...
…Per assicurare la fedeltà della donna, e perciò la paternità dei figli, la donna viene sottoposta incondizionatamente al potere dell’uomo; uccidendola egli non fa che esercitare il suo diritto”.
“… (la monogamia) fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche, precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune… essa appare come soggiogamento di un sesso da parte dell’altro, come proclamazione di un conflitto tra i sessi sin qui sconosciuto in tutta la preistoria… “la prima divisione del lavoro è quella tra uomo e donna per la procreazione dei figli” (Marx)… Il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte del sesso maschile.
La monogamia fu un grande progresso storico, ma contemporaneamente essa, accanto alla schiavitù e alla proprietà privata, schiuse quell’epoca che ancora oggi dura, nella quale ogni progresso è, ad un tempo, un relativo regresso, e in cui il bene e lo sviluppo degli uni si compie mediante il danno e la repressione degli altri. Essa fu la forma cellulare della società civile, e in essa possiamo già studiare la natura degli antagonismi e delle contraddizioni che nella civiltà si dispiegano con pienezza”.
- Donne e Resistenza 2^ parte: il Piemonte
Riportiamo ampi
stralci della vivida testimonianza di Anna Fenoglio vedova Gaia, in cui
si vede bene la miseria portata dalla guerra nelle case operaie, il
lavoro femminile e minorile che sostituisce gli uomini richiamati al
fronte, rappresentando, spesso, l’unico salario “ufficiale” della
famiglia perché, poi, c’era il lavoro a nero, a domicilio, la rinuncia
ad una istruzione, a vivere la stagione della fanciullezza, per capire
anche cosa ha rappresentato il fascismo, in particolare per le donne PROPRIO PERCHE’ NON POSSIAMO PERMETTERE CHE IL
CONTRIBUTO DELLE DONNE VENGA RIDOTTO A UN RIGO :”Io
provengo da una famiglia di operai, sono torinese. Quando è venuta la
guerra del ’15-18 è stato richiamato mio papà e i miei fratelli a
soldato; ne avevo tre, uno più piccolo, ma due erano al fronte e io ero
l’unica che poteva dare un aiuto alla famiglia, avevo undici anni:
Allora mia mamma mi ha messo a lavorare in una filatura da Tollegno al
Regio Parco.
Avevo fatto la sesta e ho dovuto smettere la scuola per poter andare
a lavorare.
In filatura sono
entrata bambina con undici anni, ma ho fatto l’apprendista e poi mi
hanno messo nei telai…..Era un lavoro pesante, per il movimento che
dovevamo far fare ai telai e perché poi c’era la polvere…Andavo da
sola……Per forza bisognava andare da soli a lavorare, perché…la mamma non
poteva accompagnarmi
Per mangiare,
dato che c’era la tessera perché c’era la guerra, allora si andava con
quel pezzo di pane che ci restava dalla tessera a testa, perché mancava
il burro, mancava l’olio, mancava tutto…
Lì ho cominciato a capire che cosa era lo sfruttamento….In quell’epoca lì si prendeva
poco stipendio….
Io ho lavorato
alla manifattura di Tollegno fino a dopo l’occupazione delle fabbriche; a
quindici anni mi hanno messo nella Commissione interna…E’ capitato che
mio padre e i miei fratelli che erano più vecchi di me erano iscritti al
partito socialista….
Poi mi è morto
un fratello sul fronte e allora mio padre lo hanno mandato a casa con
l’esonero; portava la fascia…Poi nel ’17 viene la rivolta contro la
guerra.
Allora c’era il
sindacato del partito socialista e eravamo tutti organizzati e
dichiarano uno sciopero generale….Davanti alla fabbrica c’era una
cooperativa e alla mattina alle sei arrivava il camion con il pane nelle
ceste. Una mattina non ci hanno più potuto fermare, tutti sono saliti
su quel camion a prendere il pane…
E poi tutti in
corteo si doveva andare alla Camera del lavoro. Perché lì a Regio Parco
c’era la fabbrica delle tabacchine, poi c’era un’altra filatura che si
chiamava Gianotti e poi c’era la filatura Tollegno..c’era diverse
fabbriche. Ci siamo uniti tutti insieme per andare alla Camera del
lavoro in corteo. Quando siamo stati in corso Palermo, alla barriera di
Milano, dove c’è la chiesa della Pace, noi si gridava tutti in
coro:-Abbasso la guerra, non vogliamo più la guerra, dateci pane,
abbiamo fame! -..tutte quelle cose lì.
Allora il parroco dal campanile si mette a gridare: - Viva la guerra!
Allora non si è
più visto niente; sono andati sotto nelle cantine del parroco e lì hanno
trovato tutto il ben di Dio…si è preso tutta quella roba e si è portato
tutto in mezzo alla strada. Le donne..sono venute lì con dei sacchetti;
una ha preso la farina, l’altra ha preso il pane….
Però mentre si
faceva quel lavoro lì è arrivata la cavalleria e le guardie regie e si
sono messe a sparare e ci sono stati dei morti.
E allora si sono
fatte le barricate per le strade…..Solo che dopo abbiamo dovuto
arrenderci perché se no ci ammazzavano tutti…..Il giorno dopo le
barricate non sono più state fatte..Poi abbiamo ripreso a lavorare.
Quando è finita
la guerra del ’18 siamo andati avanti a lavorare, ma certo c’era
miseria; arrivavano a casa i soldati, chi ferito, chi..Mi è arrivato
solo un fratello….Mio padre gli ha girato un pò il cervello tra quella
disgrazia e tra tutte le punture che gli avevano fatto da soldato…
Dopo è venuta
un’ altra..si doveva organizzare l’occupazione delle fabbriche. Io ero
sempre nella filatura a Tollegno, perché ero ancora da sposare. Ero del
comitato di coordinamento delle commissioni interne alla Camera del
lavoro; ci siamo organizzati bene e abbiamo tenuto le fabbriche occupate
per più di quindici giorni. Avevamo le guardie rosse sul muretto..sul
tetto … lì a Regio Parco..non c’erano case, c’era tutti prati, campi
dove seminavano il grano. Io con diverse donne dovevo passare tutto in
mezzo a quei campi lì. Si andava alla Grandi motori, alla Fiat, a
prendere le armi e le munizioni per portarle alle guardie rosse nella
nostra fabbrica…perché se non si rifornivano di roba potevano anche
darci l’assalto. Perché dal ’20 cominciava già ad esserci qualche
squadraccia fascista; non erano tanto in vista, però cominciavano già ad
esserci….Ci eravamo fatte delle borse lunghe..e ce le legavamo sotto
alle vesti..e si metteva le munizioni dentro.. si passava dove c’era le
guardie regie..
Però dopo
quindici giorni il sindacato socialista ha tradito un po’ e allora
abbiamo dovuto lasciare le fabbriche. Prima ci hanno scaldati…E così
abbiamo dovuto lasciare le fabbriche e sono entrati i padroni.
Dopo due giorni il padrone licenzia tutta la commissione interna e io sono stata
licenziata.
Combinazione mi
sono sposata nel ’20, una settimana dopo l’occupazione delle fabbriche.
Mi sono sposata e sono rimasta senza lavoro. Mio marito, che era anche
lui della Commissione interna delle Ferriere Fiat della barriera di
Milano…è stato licenziato anche lui. Così abbiamo subito nove anni di
disoccupazione tra me e mio marito…Ci siamo sposati lo stesso…tanto
bambini non ce n’era.
..andavo a
prendere delle calze per rimagliarle, rifinirle..Facevo lavoro a
domicilio, però ci davano poco e non si poteva andare avanti.
Nel ’22 viene su
il fascismo e io e mio marito abbiamo dovuto subire le conseguenze…Noi
dalla scissione di Livorno nel 1921 dal partito socialista siamo passati
al partito comunista. E quelli della squadraccia fascista della
barriera di Milano lo sapevano….Fin che mio marito un giorno lo hanno
aspettato e gli hanno dato una manganellata in testa e gliel’hanno
spaccata la testa…..E prendono mio padre che veniva una sera a casa da
lavorare e gli hanno dato due litri di olio e lo hanno buttato dentro
una buca di calce…Mio padre gli è venuto male al cuore…
Io ero alla Casa
del popolo alla barriera di Milano..ero del direttivo giovani e mio
marito anche, e c’era anche Montagnana; veniva Negarville, veniva Longo
Giuseppe, erano tutti dirigenti giovanili. E allora, ricordo, che una
sera eravamo in riunione, arriva una squadraccia di fascisti e hanno
dato fuoco.
Noi eravamo
dentro e non si poteva più uscire, perché se si usciva c’erano lorro
fuori che ci ammazzavano..poi non si poteva uscire perché sotto bruciava
già. E allora siamo saliti all’ultimo piano nelle soffitte e siamo
passati sul tetto dell’altra casa e siamo scappati.
Mi ricordo le
“stragi di dicembre”…..Gennaro Gramsci..Arturo Gozzi..li hanno bastonati
fuori, mentre andavano via…..Il corpo di Pietro Ferrero è stato
rinvenuto tutto pieno di contusioni e con il cranio sfracellato..Alla
mattina abbiamo saputo tutto questo; allora abbiamo perfino fatto una
fermata, solo di cinque minuti, perché non si poteva fare di più e cci
andava di mezzo altri compagni…Il coro lo hanno messo in Corso Vittorio
Emanuele a poche centinaia di etri dalla Camera del lavoro. Lo avevano
preso, legato ad un camion e fatto girare in mezzo alla notte…Quasi
tutte le vittime della strage di dicembre sono state sequestrate nelle
loro case…
E poi è venuto
che io nel ’32 ho fatto domanda e sono entrata alla Fiat…Sono entrata a
lavorare in fonderia e poi ogni tanto mi mandavano a chiamare in ufficio
e mi dicevano: Ma questa tessera quando la fa?...Ero alla Lingotto..Poi
quando hanno fatto la Fiat Mirafiori nuova l’hanno portata a
Mirafiori..Quando l’hanno inaugurata tutti i capisquadra, i capireparto
erano in divisa nera, divisa da fascisti, anche tra le donne c’era una
gran parte che aveva la divisa da donna fascista. Invece noi eravamo un
bel gruppo di donne che non avevamo nessuna divisa perché eravamo già
tutti uniti, tutti d’accordo. Mussolini è arrivato a inaugurare la Fiat
Mirafiori e gli hanno fatto un incudine..col martello..Arriva
Mussolini…gli hanno fatto il saluto e noi niente…I suoi si mettono a
cantare Giovinezza e noi…”Vento portami via con te”….Mussolini inizia il
suo discorso e dice:…..Ricordate operai il discorso fatto nel 1935..?- e
il nostro gruppo tutti insieme:-NOOOOO!
Allora lui arrabbiato non è più andato avanti…
Dal ’42 al ’43
eravamo già in collegamento col partito, perché si cominciava ad
organizzarsi nelle fabbriche; prima non si poteva….nelle fabbriche non
si poteva perché era troppa la reazione fascista. Avevamo i
capiofficina e i capireparti che erano fascisti. Non si poteva muovere e
fare propaganda. Però dal ’42…si iscriveva già i compagni al partito
..però si iscrivevano non con nome e cognome, ma con numeri. E allora lì
abbiamo cominciato un’altra bella battaglia perché si doveva nascondere
sempre tutto..E allora..abbiamo formato una cellula. Si cominciava ad
organizzarci sfruttando il malumore che c’era per i cottimi individuali,
per i tempi che erano bassi, per tutto. E allora lì noi avevamo formato
un comitato di agitazione.
E ci trovavamo,
quando avevamo qualche cosa da discutere dentro alla fabbrica, sotto nel
rifugio; c’era sempre un compagno o una compagna che guardava che non
venisse nessuno.
Già, in tutte le officine c’era il suo comitato di agitazione e avevamo il
collegamento…
Nel ’42, siccome
avevamo lo stipendio piccolo…abbiamo organizzato, noi donne
specialmente, una manifestazione di tutte le officine.
Tutte donne e
siamo andate davanti alla palazzina a reclamare che ci aumentassero lo
stipendio e l’anticipo alla settimana, così non si poteva più andare
avanti, e abbiamo gridato. I compagni, un pochi, sono venuti anche loro,
dopo di noi.
I capiofficina
dicevano: - ma siete matti? Andate là e c’è i fascisti..vi prendono la
fotografia e poi dopo vi mandano via, restate senza lavoro – e tutte
quelle paure.
E noi invece niente, noi siamo andate e abbiamo reclamato.
E là c’era
Genero e Valletta e allora sono venuti e hanno detto: - Ma sì, state
brave, vediamo di aggiustarvi, vediamo – e ad ogni modo ci hanno
aumentato qualche cosa.
Però hanno già prenotati quelli che hanno parlato e io ero sempre in prima
fila…
E poi si
preparava lo sciopero del ’43: contro la guerra, per i prezzi, per i
cottimi individuali, contro le dodici ore, perché mancava tutto, perché
eravamo stufi e ne avevamo a basta.
Prima dello
sciopero il capofficina mi manda a chiamare in ufficio e mi dice:-Ma
come si spiega Fenoglio, che la sua produzione non va più avanti?
Io gli ho
detto:- Ma cosa vuole, per chi lavoriamo? Lei deve capire non abbiamo
più l’interesse a lavorare tanto ci viene i tedeschi e ci portano via
tutto.
Lui stava un po’ zitto e poi un giorno mi dice: - Guardi che io vado avanti a fare delle righe rosse; quando ce n’è tante avete poi da pensare….Sempre prima dello sciopero del ’43, una volta sono venuti i tedeschi e guardavano le macchine..Dentro non c’erano ancora…Noi si diceva: - Questa gente qui se vengono loro in Italia, si portano via tutto.
Nella mia
officina eravamo ventitrè in lista dei sospettati..E’ successo che si
lavorava tutta la notte, si faceva il turno della notte, anche noi
donne, e capitava che la mattina andando a casa, venivano prelevati
e…alle Nuove. Ma prelevavano uno per uno. Quando sono arrivati i
tedeschi quella lista nera era ancora in giro.
Noi avevamo
avuto già un collegamento da diversi mesi per questo sciopero del ’43.
La direzione dubitava qualche cosa. E allora in quella mattina alle
dieci, si doveva avere una prova di quello che poteva essere la massa
operaia unita.
Ma alle dieci la
sirena non è suonata perché qualcheduno aveva già riportato alla
direzione che noi si voleva fare questo sciopero, quando suonava la
sirena.
E allora, vicino alle macchine, tutti ci guardiamo: - Bè, qui c’è qualcosa che non
funziona.
Abbiamo detto: - Eh no, bisogna fare questo sciopero, ormai siamo
decisi.
Allora con un cenno di testa, macchina per macchina, ci siamo fermati tutti. Ci siamo
fermati alle dieci del ’43.
Siamo usciti dai reparti e siamo andati nel cortile davanti alla palazzina della Mirafiori
per protestare.
Dalle finestre
degli uffici c’era il professor Genero e Valletta con i poliziotti che
prendevano le fotografie per individuare gli operai e per denunziare
quelli che erano più in vista.
Dopo è andato
giù il duce e allora dentro alla Fiat eravamo tutti sotto sopra perché i
fascisti scappavano, non ce n’erano più; i capireparti e i capiofficina
cominciavano ad avere un po’ paura perché lo sapevano tutti che loro
erano neri e quello che avevano fatto. Per dirtene una siccome c’era la
guerra e mancavano i viveri, la Fiat faceva la minestra e mandava in
ogni reparto i bidoni per quelli che la prendevano e la prendevano tutti
perché tutti ne avevano bisogno.
Quando si
faceva lo sciopero erano d’ accordo i capireparto e i capiofficina
insieme con la direzione, di non darci la minestra. E la mandavano a
quella cascina che aveva la Fiat, per andare a Mirafiori, dove aveva i
maiali; la minestra ai maiali piuttosto che darcela a noi.
Però noi, dato
che c’era questo comitato di agitazione, abbiamo sempre scritto tutto:
della minestra, delle rappresaglie e che la mattina quando si entrava i
cassetti dove c’era i ferri, che i ferri non erano suoi della Fiat erano
nostri..tutte le mattine c’era sempre i lucchetti scassinati. Perché
loro, con le spie che c’era dentro andavano a scassinare per vedere se
c’era volantini, se c’era qualcosa di propaganda..
Sempre quel
comitato di agitazione che andava avanti ci siamo organizzati e dopo l’8
settembre sono state formate le squadre, e allora io e la Donini e un
gruppo di compagne abbiamo avuto il collegamento con le brigate della
val di Susa.
Io e la Donini
eravamo nella 12^ brigata di Tullio Robotti della val Susa, che aveva il
collegamento come Sap; noi dovevamo prendere la roba e portarla ai
partigiani su a Susa quando si usciva dal lavoro……
L’ordine di occupare le fabbriche per l’insurrezione, è arrivato al 23. Prima c’era stato il
18 lo sciopero generale grosso.
La sera prima…il
capofficina viene vicino alla mia macchina e mi dice: - Signora
Fenoglio, guardi domani mattina quando esce, non vada a casa, perché se
va a casa non viene più a lavorare; mi ascolti, ha visto i suoi compagni
che non sono più tornati……
E ad ogni modo
non siamo più andati il giorno dopo a fare la notte, ma siamo andati di
giorno, noi del comitato; perché si sapeva già che si doveva restare in
fabbrica….E allora verso le quattro e mezza arriva la staffetta,
l’ordine di occupare le fabbriche chè c’era l’ insurrezione.
Allora noi,
messo il fazzoletto rosso al collo con la stella, e i compagni anche, si
va nell’ufficio del capofficina e del caporeparto…
Mirafiori è
stata occupata; Valletta è andato via, non è più stato lì, e ai
dirigenti, però, una parte, prima di andare via gli hanno dato una
bella..eh sì….
Quando abbiamo
occupato la fabbrica, non avevamo armi, non avevamo niente; avevamo una
mitragliatrice rotta sui tetti..avevamo due o tre fucili che non
funzionavano.
Allora i
compagni sono usciti, sono andati fuori a prenderli dove c’erano i
partigiani. Poi sono arrivati i partigiani e hanno portato le loro
armi…..
Arrivano i
tedeschi con i fascisti che volevano far saltare la centrale elettrica
alla Mirafiori che era su, proprio vicino al sanatorio . E c’era tre che
erano armati e che sparavano da matti….Mentre questi carri armati
girano, questo giovane dice: - Guardate datemi solo una bottiglia con
due bombe a mano e io li faccio saltare in aria tutti e due quei carri
armati. Difatti…
Dopo tre
giorni…allora a casa avevo una figlia malata. E’ morta nel ’46, è stata
due anni ammalata perché era stata presa sotto i bombardamenti nel
’44…Aveva 22 anni…..
Ma, a proposito, del vuoto sui Gdd , la lacuna da colmare “..All’interno
della resistenza, infatti, hanno assunto rilievo alcuni episodi che non
sono forse i più importanti rispetto alla guerra guerreggiata, ma che
hanno avuto un peculiare significato per il loro carattere di movimento e
di azione organizzata condotta da donne in quanto tali, senza
riscontro, credo, nel passato. Mi riferisco alle diverse manifestazioni
dei Gdd e fra queste, esemplare a Torino, quella che avvenne al cimitero
in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino, che
appartenevano ai Gdd e che furono trucidate dai fascisti nella notte tra
il 12 e il 13 marzo 1945.
Questa
manifestazione per la data in cui avvenne, il 16 marzo 1945, per
l’adesione che ottenne (raccogliere pubblicamente qualche centinaio di
donne in pubblica protesta non era, allora, fatto indifferente, per le
conseguenze che ne seguirono (un centinaio di arresti), per le finalità
cui era destinata, ha assunto nel ricordo di molte particolare rilievo.
Rappresentava infatti il risultato di un lungo e tenace lavoro condotto
per tanti mesi, tendente a unificare la partecipazione delle donne.
E le donne vennero e con degli evidenti simboli comuni: mazzi di fiori, corone con
“scritte”, “tutte con qualcosa di rosso”.
Espressione di
un movimento femminile organizzato che pur muovendosi nel contesto
generale, ha saputo esprimere anche un’ autonoma capacità di lotta…” (1)
E’ il caso di
rendere onore alle sorelle Vera e Libera Arduino – Dal
ricordo/commemorazione contenuto nel “Rapporto dei Gruppi di difesa
della donna”(2)
“Barbara uccisione di due giovani dirigenti - A
Torino verso la fine di marzo il padre e due giovani ragazze erano
prelevate da una squadra di fascisti, portate alla Pellerina e
barbaramente uccise. Vera e Libera Arduino, due giovani di diciannove e
ventun anni, lavoravano per l’organizzazione con tanta fede e volontà,
riscuotendo le simpatie e l’ammirazione di tutte le donne con le quali
erano in contatto. Una grande manifestazione di affetto verso le vittime
e di esacrazione per l’atroce delitto ebbe luogo al cimitero. Una
fiumana di popolo, più di duemila persone, si recarono con fiori e
corone ad attendere le salme per dar loro l’estremo saluto….” (2)
- Formazione rivoluzionaria delle donne 1^ parte:
ENGELS: "L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello stato"
- Premessa
Scopo
di questo studio è rafforzare la teoria, le basi storico
materialistiche della condizione delle donne, come indispensabile arma
di lotta della battaglia rivoluzionaria, teorica, ideologica, pratica,
delle donne.Ma appunto perchè lo studio per noi è un arma di lotta esso
ha lo scopo anche di criticare altre teorie o idealiste o parziali, che o
vedono la lotta contro la condizione di doppio sfruttamento e
oppressione delle donne principalmente e a partire dal campo delle idee,
e quindi, in ultima analisi lasciano alle intellettuali borghesi il
ruolo principale; o vedono l'albero e non la foresta di cui l'albero è
parte e prodotto, l'effetto (il maschilismo) e non le cause (il sistema
sociale che lo produce); o che vedono il genere e non la classe (come
altre concezioni e politiche vedono la classe e nascondono e soffocano
la condizione delle donne). Teorie che in ultima analisi portano ad una
stessa conseguenza politica e pratica: il riformismo, che nel campo del
movimento delle donne è ancora più criminale.Senza lo studio di questo
importante testo di Engels (come di altri testi di Engels, Marx, primo
tra tutti “Il Manifesto del partito comunista”), la questione femminile
viene posta in genere in modo totalmente rovesciato: prima ci deve
essere il pensiero e poi questo pensiero deve produrre una pratica. Il
problema è che la stessa ideologia, le concezioni non provengono dal
cielo o da fatti individuali o sono innate, ma sono legate ad un
processo storico, a una condizione di classe.
Engels
tratta in primis dell'”origine della famiglia”. Nel libro la questione
centrale è la dimostrazione storico materialistico di come l'evoluzione
della famiglia e della condizione della donna, siano andate di pari
passo con la nascita e lo sviluppo della proprietà privata; e, di
conseguenza, di come l’oppressione della donna e il suo ruolo
subordinato nella famiglia rispetto all'uomo siano andate altrettanto di
pari passo con l'”origine della proprietà privata” e della divisione
del lavoro, in cui l'uomo è il proprietario e la donna è ad esso
asservita.
Questo
da un lato dimostra come l'oppressione della donna, la famiglia, come
luogo centrale di questa oppressione, non nascano “dal cielo”, non sono
una “maledizione” inevitabile, non hanno la loro origine nella
contraddizione, biologica, di genere; dall'altro indica le condizioni
materialistico dialettiche del loro superamento e fine.
Il
periodo in cui c'è una divisione dei sessi, che implica l'oppressione
della donna e il suo ruolo subordinato, tutto sommato è un periodo molto
piccolo, tanto rispetto al periodo precedente quanto rispetto al
periodo futuro. In questo senso non è una situazione immutabile ma
transitoria.
L'analisi
storico materialistica di Engels ne “L'origine della famiglia, della
proprietà privata e dello Stato” dimostra che c'è stato tutto un lungo
periodo in cui questa divisione dei sessi fondata sulla subordinazione
della donna non c'era perchè non c'era una divisione del lavoro, la
proprietà privata. C'è stato tutto un periodo, dallo stato selvaggio
alle barbarie, in cui era affermato il diritto materno e veniva
riconosciuto il ruolo centrale della donna, come determinante nel
sistema sociale.
Quando
appare la proprietà privata subentra il patriarcato. Per cui c'è un
cambiamento, dal diritto materno si passa a quello paterno, perchè nasce
la necessità di tramandare la proprietà individuale. E la prima
divisione del lavoro è la divisione tra uomo e donna.
Engels
quindi dimostra che non è la divisione sessuale origine della
condizione di subordinazione della donna; ma che essa è conseguente alla
divisione del lavoro.
Questo ha
profonde conseguenze. Una tra tutte: L'oppressione della donna non è immutabile.
Nella prossima
formazione rivoluzionaria delle donna – tra un mese – entreremo all'interno del testo di Engels.
- Nuovo Lavoro su "donne e Resistenza" a cura del Mfpr - presentazione e introduzione
Iniziamo, quindi, a
presentare un lavoro su donne e Resistenza, una sorta di work in progress. Certamente
un lavoro non ordinato, in questa prima
fase, ma necessario per non ricominciare sempre da zero. Senza memoria non c’è
futuro e questo, per le donne, vale doppiamente. Ci baseremo su raccolte di
testimonianze orali, atti di convegni, memorialistica delle operaie,
studentesse, casalinghe, intellettuali che hanno dato il loro contributo nella
lotta contro il fascismo e nella Resistenza partigiana, testi che, oggi, a 70
anni di distanza dalla Liberazione sono di fondamentale importanza per la
ricchezza di elementi di conoscenza, la comprensione anche delle contraddizioni
interne, la doppia, tripla lotta che le
donne hanno dovuto fare sia all’interno della famiglia e contro le convezioni
sociali sia contro la diffidenza
nell’accettarle nella lotta partigiana. Del resto le concezioni oscurantiste e
reazionarie contro le donne profuse a piene mani dal regime fascista avevano
avuto tutto il tempo di attecchire e permeare profondamente la società.
In molti dei racconti
orali si dipana un filo rosso da inizio secolo con le lotte contro la guerra,
la miseria, i bassi salari, le condizioni di lavoro, insomma un forte conflitto
di classe sia nelle campagne che nelle fabbriche, sfociato nelle occupazioni
delle fabbriche- il biennio rosso-, con una successiva forte repressione con
licenziamenti delle avanguardie e le “liste nere”, gli attacchi squadristi, la
repressione fino a carcere, confino, messa fuori legge dei partiti, censura
della stampa, il lavoro clandestino durante il fascismo con un grosso sforzo di
propaganda. Ritroveremo le comuniste, le donne comunque che avevano riferimenti
ideologici ed organizzativi prima del fascismo attive e instancabili nell’
attività clandestina e poi, appena uscite dal carcere o “liberate” dal confino
o rientrate dall’estero, nell’organizzare la Resistenza. A tante di loro
dobbiamo il lavoro teorico fatto negli anni successivi la Liberazione sul ruolo
delle donne nella Resistenza.
Serve, quindi, inquadrare
brevemente, per comprendere l’enorme contributo che le donne diedero alla lotta
contro il fascismo, come il regime fascista abbia intrecciato la difesa degli
interessi della borghesia con l’impianto ideologico dell’inferiorità delle
donne, la centralità della famiglia e il ruolo, in essa delle donne, di mere
riproduttrici della razza italica (si veda anche il dossier Donne fascismo
Resistenza a cura del mfpr). Le donne della Resistenza portano un forte vento
di ribellione contro l’odiosa oppressione subita durante il fascismo e istanze
di un mondo migliore, contro le discriminazioni, vita misera dal punto di vista
economico e sociale, negazione di accesso alla cultura, orizzonti angusti in
cui sprecare le proprie vite.
Naturalmente, il fascismo
organizzò anche il consenso femminile. Inizialmente “attrae” il femminismo
democratico con l’ accoglimento delle istanze del diritto di voto alle donne e
del divorzio: con le leggi speciali successive viene definitivamente smentito;
sarà soprattutto con l’ Unione delle massaie rurali, prima, e della Sezione
Operaie e Lavoratrici a Domicilio poi, che il regime “irreggimenta” le grandi
masse femminili, ma, soprattutto, sarà l’opera del femminismo cattolico con la
mistica della “missione materna” a dare al fascismo un pieno sostegno assumendo un ruolo attivo
di diffusione degli “ideali fascisti”. “L’ organizzazione”, l’indottrinamento
dei giovani, invece, avviene attraverso la scuola.
Queste brevi note
basterebbero già da sole a far comprendere la necessità, oggi, di riprendere
gli insegnamenti che ci vengono dalla Resistenza: gli attacchi ai diritti al
lavoro e sul lavoro non hanno precedenti; gli attacchi al diritto d’aborto non
si sono mai fermati; la centralità della famiglia viene tutti i giorni evocata
e il suo ruolo di ammortizzatore sociale è un fatto materiale, “normale”,
ancora una volta, soprattutto in tempi di crisi.
Nel primo dopoguerra, al
ritorno dei soldati dal fronte, si scatena la prima “guerra” contro le operaie,
lavoratrici che avevano sostituito gli uomini nelle fabbriche, nelle campagne,
in diversi comparti. La disoccupazione, anche per effetto della crisi, oltre
che per il ritorno dei soldati dal fronte si cerca di “risolverla” prima con il
dimezzamento del salario delle operaie che, in questo modo venivano spinte a
lasciare il lavoro agli uomini poi con le famose leggi discriminatorie verso il
lavoro delle donne, ma, soprattutto, con la centralità della famiglia e la
divisione dei ruoli in essa. Non è un caso che, durante il regime fascista, si
hanno scioperi nelle fabbriche tessili, delle tabacchine e delle mondariso. Ricordiamo,
pertanto, l’ esclusione delle donne dall’insegnamento delle lettere e della
filosofia nei licei, perché non idonee alla formazione ideologica della nuova
gioventù littoria, a cui farà seguito l’esclusione delle donne dal ruolo di
preside e direttore delle scuole; l’aumento delle tasse universitarie per le
donne che contribuirà ad aumentare il divario nell’ accesso all’ istruzione; il
Codice Rocco che istituzionalizza l’inferiorità della donna e il suo ruolo
subordinato nella famiglia, introducendo la distinzione tra adulterio e concubinato
con cui le donne che tradivano venivano condannate a pene molto più severe
dell’uomo; ma, soprattutto nell’ambito della politica demografica, l’aborto
viene considerato un crimine contro lo Stato. Un insieme di eventi
contribuiscono a creare malcontento, a incrinare il consenso al fascismo.
Le leggi razziali, la
partecipazione alla guerra di Spagna prima e alla seconda guerra mondiale poi
con i soldati morti, ma anche i bombardamenti delle città con morti, fame,
mancanza di legna e carbone-tutte le risorse devono essere canalizzate al
sostegno dello “sforzo bellico”- mancanza di case…sempre più il fascismo viene
riconosciuto come responsabile del disastro verso cui sempre più rapidamente
stava precipitando un intero paese.
Ma sono soprattutto gli
scioperi del marzo 1943, le proteste di gruppi di donne sempre più numerosi
contro la penuria di viveri danno visibilità, diremmo oggi, alla volontà di
farla finita col fascismo. Il 10 luglio 1943 gli americani sbarcano in Sicilia
e in breve tempo la conquistano. Il 16 luglio il re chiama Badoglio e gli
prospetta la possibilità di sostituire Mussolini. Il 24 luglio viene
presentato, durante la riunione del Gran Consiglio l’ordine del giorno per
chiedere le dimissioni di Mussolini. Il 25 luglio il governo viene affidato a
Badoglio, Mussolini arrestato. Le manifestazioni di gioia popolare sono
immediate con assalti alle case del fascio. I fascisti cercano di rendersi
invisibili. Cortei, manifestazioni per chiedere la liberazione immediata dei
detenuti politici. In tutte c’è una grande partecipazione delle donne. Già il
27 luglio il generale Roatta emana una circolare contro queste manifestazioni e
si hanno arresti di manifestanti, in alcuni casi la forza pubblica spara contro
i dimostranti.
Partiamo dal lavoro di Bianca
Guidetti Serra e la sua preziosissima raccolta di testimonianze orali di
partigiane, tutte proletarie e che hanno vissuto ed operato in Piemonte. “Nei
libri di Storia della Resistenza, e sono ormai molti, si legge che nel dicembre
del 1943 si costituirono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai
combattenti per la libertà. Non si dice però che cosa fossero, che cosa
facessero, quali finalità perseguissero…” (1)
Già questa considerazione
basta a spiegare, da un lato, il fiorire, in particolare, intorno agli anni ’70
di lavori con al centro la partecipazione delle donne alla Resistenza,
l’urgenza e la necessità di salvaguardare la memoria storica, dall’ altro
dimostra che le donne devono lottare doppiamente, sempre, per non essere ricacciate
indietro, marginalizzate, sminuite nel loro contributo e ruolo effettivo; parte
della necessaria lotta contro la sottovalutazione delle donne, anche nel
contesto di una guerra di popolo, come fu la Resistenza. L’aspetto che accomuna
tutte le testimonianze, anche di dirigenti di alto livello, che generosamente,
da subito hanno scritto pagine importantissime ed impareggiabili non solo sulla
loro diretta esperienza e contributo alla lotta, è il contestualizzare il loro
racconto riportando anche la loro vita vissuta che non è separata dall’attività
ora sindacale ora più squisitamente politica
“..Hanno raccontato
queste cose per la prima volta, almeno ai fini di una pubblicazione e hanno
accettato di farlo perché convinte che la loro esperienza poteva servire ad
altri, ai giovani soprattutto..”(1)
“La scelta antifascista,
infatti, nata negli anni remoti per le più anziane, nel 1943-1945 per le più
giovani, aveva trovato ragione d’impegno prima della “resistenza”, durante e,
per quasi tutte, anche dopo. La militanza nei Gdd o in altre organizzazioni
appariva insomma il naturale e necessario anello di un’unica catena
rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo..”(1)
Guidetti Serra raccoglie
le testimonianze di operaie, comuniste, socialiste e, in un caso, di una donna
anarchica, tutte di origine proletaria della Torino industriale; un filo rosso
si dipana dalle testimonianze, nell’intreccio tra storia personale ed eventi
storici di cui sono state parte attiva, delle più anziane che, ancora giovanissime,
partecipano alle lotte contro la guerra, la miseria, della 1^ Guerra mondiale,
alle occupazioni delle fabbriche, molte subiscono la repressione del regime
fascista con licenziamenti, carcere, esilio, confino, ma anche gli assalti, le
aggressioni delle squadre fasciste, in
condizioni durissime continuano con la costruzione della rete clandestina in
primis del PCI clandestino, la diffusione della stampa che avrà, negli anni bui
del fascismo prima e del nazifascismo poi, un’ importanza straordinaria.. le
stesse fabbriche degli scioperi del ’43 e dello sciopero insurrezionale del 18
aprile del ’45. Testimonianze “che tengono a dare prova della non passiva
accettazione delle donne, di certe donne, dei fatti della storia, come singole
e come collettività..” (1)
Ma anche un racconto vivo
della vita delle proletarie: tutte smettono giovanissime di andare a scuola per
occuparsi dei fratelli più piccoli e/o per andare a lavorare troppo
precocemente. “..Destino di donne che da un lato inibisce loro di formarsi
culturalmente, dall’altro le costringe però a contribuire al sostentamento
della famiglia. Ma neppure la relativa autonomia economica le rende più libere.
Il condizionamento sociale le costringe all’accettazione di regole di costume
mutuate o imitate, tra l’altro, dalla classe di cui sono subalterne… Destino di
donne che si perpetua nell’età matura. A “casa” dal lavoro con destinazione
“casalinga”, resteranno molte, dopo il matrimonio e, in un certo senso, le più
fortunate. Il numero delle ore lavorate infatti, cumulato a quelle necessarie
per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale
mancanza di servizi di sostegno erano tali da rendere angoscioso il
contemporaneo espletamento dei due ruoli…….quale era la scelta alternativa al lavoro
di fabbrica? Quello artigianale o il lavoro cosidetto terziario, talvolta
quello a domicilio”(1)
(1) Bianca Guidetti Serra, Compagne (Einaudi), La Resistenza italiana spiegata ai ragazzi (NdA
press)
- Dalla formazione operaia on line, su Proletari Comunisti
Effetti immediati dell’industria meccanica
sull’operaio… donne e bambini, famiglia, contratti formali, atrofia morale, desolazione intellettuale…
In questo capitolo, “Prima di vedere da vicino come
a questo organismo obiettivo” e cioè al “sistema organizzato delle macchine nella fabbrica”, “venga incorporato materiale umano, esaminiamo
alcuni effetti generali coi quali quella rivoluzione reagisce sull’operaio stesso.”
Ricordiamoci sempre che Marx analizza fin nei particolari l’essenza del Capitale, di questo sistema sociale, e l’essenza è ancora questa e questa sarà finché vive il sistema capitalistico. Come si può ben comprendere quelle che sono cambiate sono le dimensioni e le forme del fenomeno… ma gli “Effetti immediati” sono sempre lì.
Ricordiamoci sempre che Marx analizza fin nei particolari l’essenza del Capitale, di questo sistema sociale, e l’essenza è ancora questa e questa sarà finché vive il sistema capitalistico. Come si può ben comprendere quelle che sono cambiate sono le dimensioni e le forme del fenomeno… ma gli “Effetti immediati” sono sempre lì.
Torino, 1917. Operaie nello stabilimento FIAT di via Cigna |
3. EFFETTI IMMEDIATI DELL’INDUSTRIA MECCANICA
SULL’OPERAIO
Uno degli effetti è l’”Appropriazione di forze-lavoro addizionali da parte del capitale. Lavoro
delle donne e dei fanciulli.”
“In quanto le macchine permettono di fare a meno della forza muscolare, esse
diventano il mezzo per adoperare operai senza forza muscolare o di sviluppo fisico immaturo, ma di membra più flessibili.”
Quindi… un’affermazione molto importante: “Quindi lavoro delle donne e dei fanciulli è stata la prima parola dell’uso
capitalistico delle macchine!”
Con questa affermazione cadono i luoghi comuni che
pretendono in maniera interessata che le donne siano entrate nel mondo
del lavoro “tardi” - a parte il fatto che le donne hanno sempre lavorato
nelle forme in cui si sono sviluppate tutte le società - per esempio
quando si mette l’accento sulle cause scatenate dalle guerre mondiali…
per non parlare del lavoro dei fanciulli le cui statistiche odierne ci
danno ancora una visione orribile in cui sono costretti a “produrre”…
“Questo potente surrogato del lavoro e degli operai si è così trasformato subito in un
mezzo per aumentare il numero degli operai salariati irreggimentando
sotto l’imperio immediato del capitale tutti i membri della famiglia
operaia, senza differenza di sesso e di età. Il lavoro coatto a vantaggio del capitalista ha usurpato non solo il posto dei giuochi
fanciulleschi, ma anche quello del libero lavoro nella cerchia domestica, entro limiti morali, a vantaggio della famiglia
stessa.”
Come abbiamo già visto, dice Marx: “Il valore della forza-lavoro era determinato dal
tempo di lavoro necessario non soltanto per mantenere l’operaio adulto individuale, ma anche da quello necessario per il
mantenimento della famiglia dell’operaio.
Le macchine, gettando sul mercato del lavoro tutti i membri della
famiglia operaia, distribuiscono su tutta la famiglia il valore della
forza-lavoro dell’uomo, e quindi svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo. L’acquisto della famiglia frazionata p. es. in quattro
forze-lavoro costa forse più di quanto costasse prima l’acquisto della forza-lavoro del capofamiglia, ma in cambio si hanno ora
quattro giornate lavorative invece di una, e il loro prezzo diminuisce in proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul pluslavoro
dell’uno. Ora, affinché una sola famiglia possa vivere, quattro persone devono fornire al capitale non solo lavoro, ma
pluslavoro.”
È così che “le macchine allargano fin dal principio anche il grado di sfruttamento, assieme al
materiale umano da sfruttamento che è il più proprio campo di sfruttamento del capitale.”
E ora tutta la famiglia è “sotto contratto”. E su questo Marx
introduce un altro argomento forte dell’effetto della grande industria
anche sul “contratto” che si stipula tra padrone e operaio…
“Le macchine rivoluzionano dalle fondamenta la mediazione formale del rapporto
capitalistico, cioè il contratto fra operaio e capitalista.” Ricordiamo dai primi capitoli che “Finché si rimase sul fondamento dello
scambio di merci, il primo presupposto era che il capitalista e l’operaio stessero di fronte l’uno all’altro come persone libere,
come possessori di merci, indipendenti, l’uno possessore di denaro e di
mezzi di produzione, l’altro possessore di forza-lavoro. Ma ora il
capitale acquista dei minorenni o dei semimaggiorenni. Prima l’operaio vendeva la propria forza-lavoro della quale disponeva come
persona libera formalmente.” (Ricordiamolo ancora una volta: formalmente! Perché ancora oggi c’è chi fa finta di credere che l’operaio
sia libero).
“Ora vende moglie e figli. Diventa mercante di schiavi.”
Marx continua: “La richiesta di lavoro infantile rassomiglia spesso
anche nella forma alla richiesta di schiavi negri, come si era avvezzi a
leggerla nelle inserzioni dei giornali americani. Un ispettore di
fabbrica inglese racconta per esempio: «La mia attenzione fu richiamata
su un annuncio del giornale locale d’una delle più importanti città
industriali del mio distretto; ed eccone la trascrizione: “Abbisognasi di dodici-venti ragazzi, non più giovani di quel che può passare per
tredici anni. Salario, quattro scellini alla settimana. Rivolgersi ecc..”». La frase «di quel che può passare per tredici anni» si riferisce al
fatto che, secondo il Factory Act, [Legge sulle fabbriche] fanciulli al di sotto dei tredici anni potevano lavorare soltanto sei ore. [E questa
era una conquista! - ndr]. Un medico ufficialmente qualificato (certifying surgeon) deve attestare l’età. Dunque il fabbricante pretende
dei ragazzi che abbiano l’aspetto
di esser già tredicenni. Quella diminuzione talvolta saltuaria del
numero dei fanciulli al di sotto dei tredici anni impiegati dai
fabbricanti, che sorprende nelle statistiche inglesi degli ultimi venti
anni, è stata in gran parte, a detta degli stessi ispettori di fabbrica,
opera di certifying surgeons i quali spostavano l’età dei
fanciulli in conformità della brama di sfruttamento dei capitalisti e
del bisogno di sordido traffico dei genitori.”
Oggi
i capitalisti, le multinazionali, questo continuano a farlo nei paesi
del Terzo Mondo, ma non solo, nascondendo le loro responsabilità
dietro i fabbricanti locali.
Nel capitalismo come si sa è tutto un gran mercato:
“Nel famigerato distretto londinese di Bethnal Green si tiene ogni
lunedì e martedì mattina pubblico mercato dove i fanciulli di ambo i
sessi, dai nove anni in su, si dànno in affitto alle manifatture
londinesi di seta. «Le condizioni abituali sono uno scellino e otto pence alla settimana (che appartengono ai genitori), e due
pence per me, oltre il tè». I contratti valgono solo per una settimana.
Le scene e il linguaggio, mentre si svolge questo mercato, sono
veramente rivoltanti. In Inghilterra accade sempre ancora che delle
donne prendano «dei ragazzi dalla workhouse (“case di lavoro”
dove si rinchiudevano poveri, soprattutto ragazzi,) e li affittino poi
al primo acquirente che capita per due scellini e sei pence alla
settimana». Nonostante la legislazione, [nonostante la legislazione!!!
Quante volte da allora dobbiamo ripetere ancora questa frase! - ndr] ci
sono ancora per lo meno duemila ragazzi in Gran Bretagna che sono
venduti dai propri genitori come macchine viventi per spazzare i camini (benché esistano macchine per sostituirli). La rivoluzione
operata dalle macchine nel rapporto giuridico fra compratore e venditore della forza-lavoro, tale che l’intera transazione perde
perfino la parvenza di un contratto fra persone libere, offrì in seguito al parlamento inglese il pretesto giuridico per
l’intervento dello Stato nelle fabbriche.” Lo Stato ha bisogno dei “pretesti”, degli “scandali”, degli “orrori” per intervenire con delle
leggi!
“Tutte le volte che la legge sulle fabbriche limita a
sei ore il lavoro dei fanciulli in branche d’industria fino ad allora
lasciate tranquille tornano a risuonare le lamentose grida dei fabbricanti:
una parte dei genitori sottrae ora i fanciulli alla industria
disciplinata per legge e li vende a quelle dove domina ancora la «libertà del lavoro», ossia dove fanciulli al di sotto dei tredici anni sono
costretti a lavorare come adulti e dove quindi si possono anche vendere a prezzo più caro. Ma poiché il capitale è per natura un
leveller
(Livellatore. Allusione al movimento puritano integrale con tendenze di
comunismo agrario nella rivoluzione di Cromwell), cioè pretende come
proprio innato diritto dell’uomo l’eguaglianza delle condizioni di sfruttamento del lavoro in tutte le sfere della produzione, la
limitazione legale del lavoro infantile in una branca dell’industria diventa causa della stessa limitazione nell’altra.”
Uno dei sicuri effetti che saltano agli occhi è quello del deterioramento fisico dei
lavoratori: “Abbiamo già accennato in precedenza al deterioramento fisico
dei fanciulli e degli adolescenti, come pure delle operaie, che le
macchine assoggettano allo sfruttamento del capitale, prima direttamente
nelle fabbriche, che sulla base delle macchine spuntano rapidamente, e
poi indirettamente in tutte le altre branche dell’industria. Qui ci fermeremo quindi su un punto solo: la enorme mortalità tra i figli degli
operai nei loro primi anni di vita.”
E la causa, dice Marx, è proprio il modo in cui il
capitale fa lavorare le donne nell’industria, che assorbendole e
abbrutendole, trasforma in donne impossibilitate a prendersi cura dei
propri bambini, sia per le donne delle città che per le donne di
campagna, laddove arriva il “il sistema industriale” che rivoluziona il modo di coltivare.
«Donne sposate, che lavorano in bande assieme ad adolescenti e ragazze, vengono
messe a disposizione del fittavolo, in cambio di una certa somma, da un uomo che è chiamato il “capobanda“
[ma guarda quanto è vecchio il nostro “caporale”! - ndr] che affitta la
banda in blocco. Queste bande vanno spesso lontano dai loro villaggi
per molte miglia, e si possono incontrare la mattina e la sera sulle
strade maestre, le donne vestite di corte sottovesti e sottane e stivali
corrispondenti, talvolta in calzoni, molto robuste e sane d’aspetto, ma
rovinate dalla scostumatezza abituale, e senza preoccupazioni per le
conseguenze disastrose che la loro preferenza per questa vita attiva e indipendente
porta ai loro rampolli che deperiscono a casa». [Questo è il commento
“scandalizzato” di un ispettore del lavoro che non condivide la
“preferenza per questa vita attiva e indipendente”!]
“L’atrofia morale che deriva dallo
sfruttamento capitalistico del lavoro delle donne e dei fanciulli è
stata esposta in maniera così esauriente da F. Engels nella sua Situazione della classe operaia in Inghilterra e da altri scrittori che qui
basta farne menzione. Ma la desolazione intellettuale, prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in
semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore, da tenersi ben distinta da quella ignoranza naturale e spontanea che tiene a
maggese senza corromperne la capacità di sviluppo, cioè la stessa fecondità naturale, ha finito per costringere perfino il parlamento
inglese a fare dell’istruzione elementare condizione obbligatoria per legge
del consumo «produttivo» di fanciulli al di sotto dei quattordici anni
di età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche.”
Ma come ha ben spiegato Marx la “legge” non basta: “Lo spirito della produzione
capitalistica traluce splendidamente dalla sciatta formulazione delle cosiddette clausole sull’istruzione delle leggi sulle fabbriche,
dalla mancanza di un meccanismo amministrativo, la quale rende a sua volta in gran parte illusoria questa istruzione obbligatoria,
dalla opposizione dei fabbricanti perfino contro quella
legge sull’istruzione, e dai loro trucchi e sotterfugi pratici per
eluderla. «Il biasimo va esclusivamente alla legislazione perché ha
emanato una legge illusoria (delusive law), la quale, sotto l’apparenza di curare l’educazione dei fanciulli, non contiene
neppure una disposizione singola per garantire il raggiungimento di quello scopo che professa
di avere. Non dispone nient’altro che questo: i fanciulli debbono venir
chiusi per un determinato numero di ore (tre ore) al giorno fra le
quattro pareti di un luogo chiamato scuola, e colui che impiega il
fanciullo deve ricevere ogni settimana un certificato attestante questo
fatto da una persona che come maestro o maestra sottoscrive con il
proprio nome».
Prima che fosse emanato l’Atto sulle fabbriche emendato del 1844, non erano rari certificati di frequenza scolastica firmati con una croce da maestri o maestre che non sapevano essi stessi scrivere. «Nella visita che feci a una di queste scuole che rilasciavano certificati, rimasi così colpito dalla ignoranza del maestro che gli dissi: Scusi, signore, Lei sa leggere? La risposta fu: Aye, summat (Sì, un poco. La risposta del maestro è in dialetto). A giustificazione, aggiunse: in ogni caso sono più avanti dei miei scolari». Durante la preparazione dell’Act del 1844, gli ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge dovevano accettare come validi … Si aggiunga lo scarso mobilio scolastico, la mancanza di libri e di altro materiale didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza scolastica, e questi bambini figurano come educati (educated) nella statistica ufficiale».” Si rimane senza parole, ma ancora non basta: “In Scozia i fabbricanti cercano di escludere in tutti i modi i ragazzi soggetti all’obbligo scolastico. «Questo basta per dimostrare il grande sfavore dei fabbricanti nei confronti delle clausole sull’istruzione». Questo si vede in maniera orribile e grottesca nelle stamperie di cotonine e simili, che sono regolate da una propria legge sulle fabbriche. Secondo le disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore durante i sei mesi che precedono immediatamente il primo giorno del suo impiego…"
Prima che fosse emanato l’Atto sulle fabbriche emendato del 1844, non erano rari certificati di frequenza scolastica firmati con una croce da maestri o maestre che non sapevano essi stessi scrivere. «Nella visita che feci a una di queste scuole che rilasciavano certificati, rimasi così colpito dalla ignoranza del maestro che gli dissi: Scusi, signore, Lei sa leggere? La risposta fu: Aye, summat (Sì, un poco. La risposta del maestro è in dialetto). A giustificazione, aggiunse: in ogni caso sono più avanti dei miei scolari». Durante la preparazione dell’Act del 1844, gli ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge dovevano accettare come validi … Si aggiunga lo scarso mobilio scolastico, la mancanza di libri e di altro materiale didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza scolastica, e questi bambini figurano come educati (educated) nella statistica ufficiale».” Si rimane senza parole, ma ancora non basta: “In Scozia i fabbricanti cercano di escludere in tutti i modi i ragazzi soggetti all’obbligo scolastico. «Questo basta per dimostrare il grande sfavore dei fabbricanti nei confronti delle clausole sull’istruzione». Questo si vede in maniera orribile e grottesca nelle stamperie di cotonine e simili, che sono regolate da una propria legge sulle fabbriche. Secondo le disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore durante i sei mesi che precedono immediatamente il primo giorno del suo impiego…"
- Dalla formazione operaia on line, su Proletari Comunisti
LAVORATRICI DOMANDANO - POI UN PO' DI
CAPITALE A FUMETTO
Una
lavoratrice di Milano - Rileggendo
la prima parte della Formazione Lavoro quella su "lavoro
salariato e capitale" di Marx.
Qui si scrive: "..Ora
l'operaio ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista... Ma come
viene determinato il salario, cioè il prezzo della forza-lavoro? il
salario è il prezzo di una merce determinata, del lavoro. Il salario
è dunque determinato dalle stesse leggi che determinano il prezzo di
qualsiasi merce"... Ma quali sono i costi di produzione della
forza-lavoro? Sono i costi necessari per conservare l'operaio come
operaio e per formarlo come operaio..."
In merito ai
costi necessari per formare l'operaio: l'alternanza scuola-lavoro
(potremmo dire l'apprendistato in forma mascherata) non rappresenta,
oltre al ruolo di "addomesticamento" dei giovani, una sorta
di scaricare i costi della formazione, che dovrebbero essere dei
capitalisti, sulla società?
Effettivamente
è così. Il capitalista una parte dei costi per la riproduzione della
forza lavoro li scarica sullo Stato, essendo questo al servizio del
capitale.
Su questo riportiamo un breve estratto da Libro di
Engels "Antiduhring" dal VI capitolo su "lavoro semplice e lavoro composto:
"...Nella società dei produttori privati, i privati o le
loro famiglie fanno
fronte alle spese per l'istruzione dell'operaio qualificato; spetta
allora anzitutto ai privati il più alto prezzo della forza-lavoro
qualificata: lo schiavo abile è comprato a più caro prezzo, il salariato
abile ha un salario più alto. Nella società organizzata
socialisticamente queste spese sono affrontate dalla società, ad essa
appartengono perciò anche i frutti, i valori maggiori che vengono
prodotti dal lavoro composto...".
Una lavoratrice precaria di Taranto
- Marx dice che l'operaio deve essere
assunto a tempo determinato, poichè se viene assunto a tempo
indeterminato diventa schiavo per tutta la vita. La domanda che
mi pongo è: quale differenza c'è tra le due tipologie di contratto,
in rapporto alla schiavitù? E come si può rapportare questa analisi
di Marx con il concetto odierno applicato al mondo del lavoro,
dove lo sfruttamento passa direttamente da un lavoro determinato,
quindi precario mentre l'operaio o il proletariato in genere è alla
ricerca spasmodica di un lavoro indeterminato. Quindi vorrei capire
in ambedue i casi non vedo di quale libertà si stà parlando.
Di questo concetto di "libertà" dell'operaio ne
abbiamo già parlato. Ci torniamo con questa domanda.
Marx quando parla che il
proprietario di denaro deve trovare sul mercato il lavoratore libero,
intende "libero" nel senso che disponga della propria forza-lavoro e che
sia sprovvisto di mezzi di sussistenza e di produzione, dalla cui
mancanza è obbligato a cedere l'unica merce di cui dispone la sua
forza-lavoro; quindi un lavoratore "libero" venditore della sua
forza-lavoro.
Lo schiavo non era
libero di vendere la sua forza lavoro, perchè non ne era proprietario,
dato che di tutta la sua esistenza, della sua vita come della sua morte,
era proprietario il suo padrone.
Quindi la prima
questione non è tra "tempo determinato" e "tempo indeterminato", ma tra
un uomo che non è libero di vendere le sue braccia - perchè, ripetiamo,
non sono "sue" ma del suo padrone, che, quindi, non è affatto tenuto a
pagare allo schiavo un salario perchè è come se pagasse qualcosa che è
già suo; è un uomo che l'unica cosa che ha da vendere sono le sue
"braccia" - la forza-lavoro, che il capitalista deve pagare e paga.
Certo che nel periodo,
un giorno, un mese, un anno, in cui l'operaio viene messo a lavorare per
il capitalista è sfruttato, quindi si può dire non è "libero". Ma,
tornando al discorso "tempo determinato e tempo indeterminato", se
l'operaio si vendesse per sempre, torneremmo paradossalmente nella
condizione di "schiavitù"
Per arrivare al concetto
odierno: in entrambi i contratti di lavoro l'operaio è sfruttato; non è
che nel lavoro a tempo determinato l'operaio non è libero, mentre in
quello a tempo indeterminato sarebbe libero. La differenza, per cui
l'operaio è alla ricerca di un lavoro indeterminato, sta
fondamentalmente (a parte alcuni maggiori diritti contrattuali) nella
garanzia per l'operaio di tornare il giorno, il mese dopo a lavorare.
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