Fine
pena mai, 41 bis. E poco a poco chiude le porte al mondo...
Indifferenza alla
vita e alle condizioni del carcere duro come difesa. Talvolta rinuncia
all'unico colloquio mensile concesso dal 41 bis. All'ora d'aria... Alterna
periodi di tranquillità a momenti di rifiuto della vita.
Passa
intere giornate a letto rintanata sotto le coperte tirate fin sopra il viso.
Sguardo nel vuoto, mimica spenta. Dormiveglia esistenziale. Voglia di farla
finita...
La
sua mente scivola in un'altra realtà. Il fragile equilibrio psicologico è
legato a un filo sottile. Basta poco per romperlo. Il sequestro di un elaborato
lavoro a maglia che ordiva da mesi, l'annullamento di un colloquio con i
familiari per un'ispezione ministeriale. Li vive come tradimento di affetti.
Ancora
il 26 settembre 2007 il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, le rinnova
il regime di carcere duro. Ci sono state varie iniziative a sostegno dei
prigionieri politici. "Afronte di tale ondata di consensi un'eventuale
mancata proroga dell'art. 41 bis nei confronti della Blefari potrebbe essere
interpretato dal variegato movimento antagonista come un attestato
dell'efficacia della campagna di solidarietà condotta, e dai terroristi in
carcere come un segnale della ripresa della capacità rivoluzionaria della
classe". Il guardiasigilli specifica. Non vi è stato "alcun attestato
di dissociazione o di rifiuto della lotta armata" da parte della
brigatista.
Due mesi dopo viene accolto il ricorso della difesa. Non vi sono
elementi per valutare la persistenza della sua pericolosità...
"Soffro
molto di questo regime, tanto da non riuscire a scrivere e da non riuscire più
a distinguere il giorno dalla notte e la mano destra da quella sinistra. Ormai
è chiaro che ne uscirò malissimo".
La
declassificazione dal regime di carcere duro arriva nel 2008. Troppo tardi.
Diana inizialmente non vuole uscire dalla sezione speciale poi accetta
passivamente la situazione, ma continua a rifiutare qualsiasi forma di
socialità. Una mattina di primavera in preda a una crisi di ira aggredisce una
vigilatrice. Viene denunciata.
All'inizio
del 2009 a
Sollicciano, dove è detenuta in una sezione comune dopo l'ennesimo periodo nel
reparto psichiatrico, le vengono autorizzati i colloqui con un suo ex compagno.
Un affetto forte, un legame profondo. Lui le è stato vicino per tutto il
periodo della detenzione. Il permesso è probabilmente concesso su
sollecitazione della Digos a scopi investigativi... L'Amico verrà arrestato con
l'accusa di banda armata un mese prima della morte di Diana e assolto dopo 18
mesi di carcere. Reato di solidarietà verso una persona "colpevole".
Con
il passare dei mesi Diana appare sempre più prostrata. Dopo anni trascorsi
senza scrivere affida alla penna i momenti di disperazione. Le senzazioni
ispiegabili. L'impossibilità di gestirle. Vomito, crampi, vampate di calore,
giramenti di testa, dolore, paresi alle mani, voci interne, allucinazioni
visive. Lo sente, lo scrive... Ripete di voler morire...
Il
21 ottobre viene riportata a Rebibbia... Gli inquirenti spingono su di lei.
Puntano a un colloquio investigativo. Un tentativo subdolo e martellante di
usare i cedimenti per ottenere una collaborazione. Diana è debole, schiacciata
dalla malattia ma continua a dire no...
Nel
pomeriggio del 31 ottobre le arriva la notifica scritta della sentenza di
ergastolo.
Rimane
sola con il peso della condanna a vita e i fantasmi della mente.
Il
volto in fiamme. Il freddo dentro. Vibrazioni interiori. Scintille nel
cervello. Voci silenziose che tuonano nella testa. Senza tregua, senza pietà.
Intrusioni invisibili, impalpabili. Rimbalzano tra le pareti della cella.
Pensieri estranei e appuntiti. Sentimenti laceranti. Immagini martellanti.
Crescono, si moltiplicano, invadono ogni angolo del corpo. Si accumulano in un
magma che tutto travolge, miscela, confonde. Capogiro, sensazione di
svenimento. Corpo bloccato, paralizzato. Solo le mani si muovono. La testa, un
poco. Solitudine. Debolezza. Colpa. Nausea. Un vortice cupo. Stretto. Un tunnel
chiuso. Senza possibilità di luce. Il foglio, il disegno. Disperazione. Le
celle sono chiuse, la notte è insopportabile. Spegnere il cervello. Chiuderlo a
interventi esterni. Tagliare il lenzuolo. La finestra, le sbarre. Il buio
fuori, il buio dentro. Annodare il lenzuolo. Un ultimo salto. Verso la fine.
Verso la quiete.
"Quello
che ti succede fa parte della guerra, che non è solo con e contro le Br-Pcc e i
militanti a essa associati come me, ma è anche contro tutto il campo proletario
e rivoluzionario, ogni istanza rivoluzionaria, comunista e di classe.... Si
dice, ed è reale, mai come ora, che i prigionieri rivoluzionari sono ostaggi
che vengono utilizzati dal nemico contro tutto il proletariato per intimorirlo
e tenerlo a bada".
Da "Sebben che siamo donne, storie di rivoluzionarie" di Paola Staccioli