31/10/18

Come lo Stato ha ucciso Diana Blefari Melazzi, 9 anni fà



Fine pena mai, 41 bis. E poco a poco chiude le porte al mondo...

Indifferenza alla vita e alle condizioni del carcere duro come difesa. Talvolta rinuncia all'unico colloquio mensile concesso dal 41 bis. All'ora d'aria... Alterna periodi di tranquillità a momenti di rifiuto della vita. 

Passa intere giornate a letto rintanata sotto le coperte tirate fin sopra il viso. Sguardo nel vuoto, mimica spenta. Dormiveglia esistenziale. Voglia di farla finita...

La sua mente scivola in un'altra realtà. Il fragile equilibrio psicologico è legato a un filo sottile. Basta poco per romperlo. Il sequestro di un elaborato lavoro a maglia che ordiva da mesi, l'annullamento di un colloquio con i familiari per un'ispezione ministeriale. Li vive come tradimento di affetti.

Ancora il 26 settembre 2007 il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, le rinnova il regime di carcere duro. Ci sono state varie iniziative a sostegno dei prigionieri politici. "Afronte di tale ondata di consensi un'eventuale mancata proroga dell'art. 41 bis nei confronti della Blefari potrebbe essere interpretato dal variegato movimento antagonista come un attestato dell'efficacia della campagna di solidarietà condotta, e dai terroristi in carcere come un segnale della ripresa della capacità rivoluzionaria della classe". Il guardiasigilli specifica. Non vi è stato "alcun attestato di dissociazione o di rifiuto della lotta armata" da parte della brigatista.

Due mesi dopo viene accolto il ricorso della difesa. Non vi sono elementi per valutare la persistenza della sua pericolosità...

"Soffro molto di questo regime, tanto da non riuscire a scrivere e da non riuscire più a distinguere il giorno dalla notte e la mano destra da quella sinistra. Ormai è chiaro che ne uscirò malissimo".

La declassificazione dal regime di carcere duro arriva nel 2008. Troppo tardi. Diana inizialmente non vuole uscire dalla sezione speciale poi accetta passivamente la situazione, ma continua a rifiutare qualsiasi forma di socialità. Una mattina di primavera in preda a una crisi di ira aggredisce una vigilatrice. Viene denunciata.

All'inizio del 2009 a Sollicciano, dove è detenuta in una sezione comune dopo l'ennesimo periodo nel reparto psichiatrico, le vengono autorizzati i colloqui con un suo ex compagno. Un affetto forte, un legame profondo. Lui le è stato vicino per tutto il periodo della detenzione. Il permesso è probabilmente concesso su sollecitazione della Digos a scopi investigativi... L'Amico verrà arrestato con l'accusa di banda armata un mese prima della morte di Diana e assolto dopo 18 mesi di carcere. Reato di solidarietà verso una persona "colpevole".

Con il passare dei mesi Diana appare sempre più prostrata. Dopo anni trascorsi senza scrivere affida alla penna i momenti di disperazione. Le senzazioni ispiegabili. L'impossibilità di gestirle. Vomito, crampi, vampate di calore, giramenti di testa, dolore, paresi alle mani, voci interne, allucinazioni visive. Lo sente, lo scrive... Ripete di voler morire...

Il 21 ottobre viene riportata a Rebibbia... Gli inquirenti spingono su di lei. Puntano a un colloquio investigativo. Un tentativo subdolo e martellante di usare i cedimenti per ottenere una collaborazione. Diana è debole, schiacciata dalla malattia ma continua a dire no...
Nel pomeriggio del 31 ottobre le arriva la notifica scritta della sentenza di ergastolo.

Rimane sola con il peso della condanna a vita e i fantasmi della mente.


Il volto in fiamme. Il freddo dentro. Vibrazioni interiori. Scintille nel cervello. Voci silenziose che tuonano nella testa. Senza tregua, senza pietà. Intrusioni invisibili, impalpabili. Rimbalzano tra le pareti della cella. Pensieri estranei e appuntiti. Sentimenti laceranti. Immagini martellanti. Crescono, si moltiplicano, invadono ogni angolo del corpo. Si accumulano in un magma che tutto travolge, miscela, confonde. Capogiro, sensazione di svenimento. Corpo bloccato, paralizzato. Solo le mani si muovono. La testa, un poco. Solitudine. Debolezza. Colpa. Nausea. Un vortice cupo. Stretto. Un tunnel chiuso. Senza possibilità di luce. Il foglio, il disegno. Disperazione. Le celle sono chiuse, la notte è insopportabile. Spegnere il cervello. Chiuderlo a interventi esterni. Tagliare il lenzuolo. La finestra, le sbarre. Il buio fuori, il buio dentro. Annodare il lenzuolo. Un ultimo salto. Verso la fine. Verso la quiete.

"Quello che ti succede fa parte della guerra, che non è solo con e contro le Br-Pcc e i militanti a essa associati come me, ma è anche contro tutto il campo proletario e rivoluzionario, ogni istanza rivoluzionaria, comunista e di classe.... Si dice, ed è reale, mai come ora, che i prigionieri rivoluzionari sono ostaggi che vengono utilizzati dal nemico contro tutto il proletariato per intimorirlo e tenerlo a bada".

Da "Sebben che siamo donne, storie di rivoluzionarie" di Paola Staccioli

30/10/18

FIGLI PER LA PATRIA


Nell'ultima bozza della legge di bilancio è previsto che il governo concederà terreni gratis e in cambio chiederà di fare un terzo figlio tra il 2019 e il 2021.
Nel tentativo di implementare la crescita demografica e il ripopolamento delle campagne nella bozza della «manovra del popolo» ieri è spuntata una norma che punta alla riscoperta della famiglia contadina e garantisce la concessione gratuita di terreni demaniali agricoli per almeno 20 anni. Previsto anche un mutuo ventennale a tasso zero fino a 200 mila euro per l’acquisto della prima casa a chi vorrà insediarsi per coltivare i terreni nelle vicinanze.
Sembra, come scrivono alcuni, un ritorno alla memoria della battaglia del grano nel ventennio.

Questo provvedimento si alimenta, e alimenterà a sua volta evidentemente, dell'attacco al diritto d'aborto, della concezione di una famiglia quanto più conservatrice, del ruolo della donna come sfornatrice di figli.

Dal Brasile per Margherita!

ITÁLIA - LIBERDADE PARA MARGUERITA CALDERAZZI

Repudiamos veemente a arbitraria prisão domiciliar da defensora dos direitos do povo Margherita Calderazzi, detida em sua casa no dia 16 de outubro, sob a acusação de falta de pagamento de uma multa governamental.  
A companheira Marguerita além de uma destacada dirigente do movimento feminino de seu país tem uma destacada trajetória de organizadora do movimento operário da cidade de Taranto, sendo coordenadora nacional do Slai Cobas (sindicato de classe), e uma ativa defensora dos direitos dos migrantes da cidade.
Durante uma jornada de lutas em defesa dos direitos dos desempregados da cidade de Taranto em 2010, a companheira Marguerita foi acusada de insultar um funcionário público e foi multada em 2.500 
Claramente a prisão da companheira expressa a repressão aos que lutam e defendem os direitos do povo. Nos do CEBRASPO condenamos sua absurda detenção e exigimos sua imediata liberdade. Convocamos todos os movimentos democráticos e revolucionários a se solidarizarem com a companheira Marguerita.
LIBERDADE PARA MARGUERITA CALDERAZZI!
LUITAR NÃO É CRIME!
CENTRO BRASILEIRO DE SOLIDARIEDADE AOS POVOS – BRASIL


Il mondo verso il suicidio, "Questa è una missione di Dio!" in nome del profitto

Brasile - Il fascio/golpista Jair Bolsonaro esce vincitore dalla farsa elettorale con le congratulazioni di Salvini e di tutto il populismo mondiale, compresi Maduro e Morales.
"Questa è una missione di Dio!" ha dichiarato nel suo primo discorso da presidente.
Ecco la missione di Dio: distruggere il pianeta, le libertà, difendere un unico diritto, quello del profitto, della rapina del capitale e della proprietà privata, fondato sulla “sacra famiglia”.

Misogino, omofobo, razzista, anticomunista e golpista, Jair Bolsonaro è l’ennesimo esponente dell’onda nera, che da Trump all’Italia, passando per Colombia, Latino America, Europa orientale e India, ha cambiato la geopolitica mondiale. Ma l’elemento di Bolsonaro che più di tutti deve far riflettere sulla natura del sistema che lo ha portato al potere, è il suo sovranismo anti-ambientalista, con il quale il sistema capitalista potrà trarre il massimo profitto con la completa distruzione dell’ultimo grande polmone del mondo, la foresta amazzonica.

Privatizzare i profitti, socializzare le perdite, anche in termini di vite umane. Ecco perché Bolsonaro è l’uomo gradito ai mercati, che tanto piace ai padroni di tutto il mondo. Come ha fatto notare Hamilton Nolan, commentando l’editoriale del Wall Street Journal, «Il fascista terrà al sicuro gli interessi dei capitalisti. Non li si potrà giustificare dicendo che non sapevano chi stavano sostenendo. Sanno esattamente quale sarà il prezzo della legge e dell’ordine. Semplicemente non gli interessa.»

...Già in campagna elettorale Bolsonaro ha rilasciato varie dichiarazioni incendiarie sui temi ambientali. «Usciremo dall’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico» (facendo solo un passetto indietro a tre giorni dalle elezioni per conquistare qualche voto in più, ma giurando che la sua intenzione è reale). «Basta agli eccessivi controlli nelle aree forestali, la polizia deve difendere la gente, non gli alberi». E ancora: «Ogni riserva indigena ha un tesoro sepolto sotto i piedi, un tesoro da essere sfruttato a qualsiasi costo».
Ogni frase e commento degli ultimi sei mesi del “Messia”, come ama farsi chiamare Bolsonaro, fa presagire tutto tranne che un nuovo Paradiso Terrestre. Piuttosto un’apocalisse verde. Sussiste un serio rischio di un nuovo elemento di disturbo per l’Accordo di Parigi, dopo Donald Trump, e una grave minaccia ad un patrimonio ambientale dell’umanità, la foresta Amazzonica.
Già negli anni passati le emissioni di CO2del Brasile sono aumentate pesantemente (+9% nel 2016) a causa di una forte ripresa delle pratiche di disboscamento illegali dovute alla prolungata crisi politica. Con la presidenza di Bolsonaro, la situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi, riportando praticamente il Brasile indietro di vent’anni nella lotta alla deforestazione.
Dietro Bolsonaro si scorge la potente lobby dell'agrobusiness brasiliana (sostenuta dalle immense esportazioni di carne, soia, riso e zucchero verso Europa, Usa e Cina) e il settore minerario, in particolare oro, alluminio, ferro e bauxite. La strategia del neo eletto Presidente per favorire questi due settori è dichiarata: aprire le aree indigene, attualmente protette dal governo, allo sfruttamento agricolo e commerciale; deregolamentare i controlli ambientali sul settore minerario; aprire nell’Amazzonia nuove aree per l’agrobusiness; realizzare un numero esorbitante di dighe anche in aree protette; fermare la lotta alla deforestazione (attualmente il taglio di alberi dovrebbe azzerarsi entro il 2030) e probabilmente privatizzare il settore idrico.
Il programma di Bolsonaro dei primi 100 giorni include persino l’eliminazione del Ministero dell’Ambiente con trasferimento di poteri e competenze al Ministero dell’Agricoltura. Il Brasile dunque è destinato a diventare l’ennesimo ostacolo per la decarbonizzazione dell’economia globale, rendendo più difficile anche solo il raggiungimento dell’obiettivo “light” dell’Accordo di Parigi, ovvero l’aumento medio di 2°C. Il suo lassez-faire comporterà la perdita di una quota importante di biodiversità, distruggerà innumerevoli comunità indigene e ipotecherà ulteriormente il futuro di tutti noi.

Ecco cosa rappresenta Bolsonaro, un altro governo del cambiamento ... climatico.

E a proposito di clima, è triste constatare che, anche in questo caso come lo è stato per Salvini, “l’ottimismo dei mercati” ha avuto la meglio sulla preoccupazione circa le affermazioni raccapriccianti dell’uomo nero brasiliano. 
Ma come in ogni farsa che si rispetti, ci sono sempre tanti utili idioti a fare da comparsa per il copione di un film già scritto, che neanche sanno leggere.

Dovranno imparare per forza e per sangue, che purtroppo non sarà solo il loro.

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»


Di seguito alcune “perle” di Bolsonaro:

«I delinquenti rossi, questa gentaglia, saranno cacciati dalla nostra patria»

«i contadini senza terra (Sem terra) sono scuole per guerriglieri. Se continueranno con le occupazioni illegali di proprietà privata, nel mio governo applicheremo loro le leggi antiterrorismo»

«Basta con le politiche per i ”poverini”. Adesso sono tutti da proteggere, le donne, i neri, i gay, i nordestini… Tutto questo con me finirà»

«Ho avuto quattro figli maschi, poi ho avuto un cedimento ed è nata una femmina»

«Se io diventerò presidente, gli indios non avranno un solo centimetro quadrato in più di riserva. Hanno già a disposizione troppa terra»

«Dobbiamo farla finita con questa lagna del femminicidio. C’è solo l’omicidio e io infilerei un’arma in tutte le cinture» (8 marzo 2017)

«Non assumerei donne e uomini con lo stesso stipendio. E poi una donna può restare incinta»

«sono a favore della tortura, e anche il popolo lo è»

«Durante la dittatura militare non si è ucciso abbastanza»

«La popolazione africana a Eldorado non serve a nulla, neanche a procreare»

Durante il dibattito sull’impeachment di Dilma Rousseff: «Contro il comunismo e in memoria del colonnello Brilhante Ustra, il mio voto è sì!»

Sulla possibilità di avere un figlio gay: «Preferirei un figlio morto, piuttosto. Ma i miei non corrono questo pericolo, sono stati educati come si deve. Con un padre presente il problema non si pone»

«Io evado tutto quel che è possibile. Se posso, non pago nulla perché è tutto denaro che va a finire nelle fogne, a finanziare schifezze»

«E se diventassi presidente? Ah, non ho dubbi. Chiuderei il Congresso il primo giorno!»

Alle avversarie politiche: «non ti stupro perché non te lo meriti»


«i rifugiati di Haiti, Africa e Medio Oriente sono la merda dell'umanità.»

29/10/18

ANCORA SOLIDARIETA' A MARGHERITA. DA JE SO' PAZZO E POTERE AL POPOLO DI ROMA

Ex OPG Occupato - Je so' pazzo
Margherita è una di quella che Brecht avrebbe messo tra gli “imprescindibili”: proprio per questo si ritrova a scontare un mese di arresti domiciliari, senza poter comunicare con l’esterno.
Margherita è “pericolosa” perché da sempre punto di riferimento nelle lotte per i diritti delle donne, dei lavoratori, dei disoccupati, contro l’arroganza dei potenti che si arricchiscono distruggendo l’ambiente e la salute di milioni di persone. Mai si è fermata dinanzi alle difficoltà quotidiane che si incontrano quando si ha a che fare con la disperazione e l’ingiustizia, mai di fronte agli ostacoli repressivi: nemmeno questo ingiusto colpo potrà fermarla.
MARGHERITA LIBERA!
In questo articolo viene spiegata bene la storia e l’assurdità del tutto
Qui il nostro comunicato di solidarietà: https://urly.it/3rhj


Potere al Popolo - Roma
La legge è uguale per tutti, si per tutti quelli che stanno dalla stessa parte!
Così, nel paese dei condoni fiscali, delle offese gratuite da parte dei nostri ministri verso donne ed immigrati, nel paese dove dichiarazioni che incitano all'odio razziale non fanno più scandalo, c'è chi deve scontare un mese di arresti domiciliari per un "sei un fascista!" rivolto contro un vigile urbano durante una protesta sotto al municipio.

Restiamo al fianco di Margherita e di tutte quelle donne “pericolose” per l’ordine costituito, ma punti di riferimento nelle proprie città e nei propri paesi, per chi subisce torti e abusi! 

28/10/18

Continua la mobilitazione dello Slai cobas sc per il rientro al lavoro delle 17 operaie nello stabilimento della Montello - Video: parlano le lavoratrici

Dopo la manifestazione di venerdì 26 ottobre per le vie cittadine in occasione della giornata nazionale contro governo, razzismo e sfruttamento che ha visto la partecipazione visibile e determinata anche delle operaie della Montello in lotta per la difesa del posto di lavoro e che si è conclusa sotto la sede della Cgil di Bergamo con la denuncia pubblica dell'immobilismo di questo sindacato che è stato con le mani in mano a guardare le 17 operaie buttate in strada dal 1 ottobre, in aperta violazione dell'accordo sindacale di cambio appalto che loro stessi avevano firmato e che prevedeva il passaggio di tutte le lavoratrici della cooperativa uscente.
Ora per cercare di correre ai ripari sabato 27 ottobre i delegati della Cgil, che contano la stragrande maggioranza degli iscritti alla Montello, si sono inventati una raccolta di firme tra le operaie, una toppa peggiore del buco che hanno fatto.
Un segnale di debolezza segno che la denuncia e la mobilitazione di questi giorni comincia a fare effetto e aprire contraddizioni al loro interno.


Lo Slai cobas sc toglie ogni alibi ai giochi di questi delegati, che ora cercano di mostrarsi come quelli che vogliono aiutare le lavoratrici, quando invece dentro la Montello hanno sempre cercato di intimorire e fermare la lotta delle operaie (vedi diffida allegata), e rilancia la proposta di organizzare uno sciopero unitario per la settimana entrante in cui venga messo al centro il rientro immediato alla Montello delle 17 operaie.




Le operaie di Montello sono tutte noi - un articolo

Nel Bergamasco, diciassette immigrate licenziate in lotta per il lavoro
Occupate nel ciclo dei rifiuti dalla Montello perdono il posto col cambio d'appalto, battaglia in tribunale

Emanuela Carucci - Dom, 28/10/2018 - 18:04

Una situazione davvero particolare quella di un gruppo di lavoratrici di Montello, un Comune in provincia di Bergamo di appena 3mila anime.


Diciassette operaie impiegate nella fabbrica - che porta lo stesso nome del paese - a dividere i rifiuti per il riciclo, tutte immigrate, sono state licenziate dopo il cambio dell'appalto. Erano occupate nella piccola azienda di rifiuti da oltre dieci anni. Provengono da diverse nazioni: Pakistan, India, Gambia, Senegal, Burkina Faso, Marocco, Albania, Brasile.
Lavoravano insieme ad altre cinquecento persone. Un lavoro duro: in piedi durante tutta la turnazione a seguire i ritmi dei nastri trasportatori per separare plastica o materiale anche pericoloso. Nella fabbrica Montello SpA circa il 90% del personale è assunto attraverso l'adesione a una società cooperativa.
Si tratta di un'ex acciaieria riconvertita, nel 1996, a fabbrica per il riciclo di rifiuti organici e plastica, con un investimento di 300 milioni di euro in vent'anni. Oggi tratta 600mila tonnellate l'anno di organico e 200mila di plastica con un fatturato, solo nel 2017, di 125 milioni di euro.
Secondo quanto dichiarano le ex lavoratrici, oggi licenziate, il lavoro è stato negato "perché abbiamo deciso di lottare per i nostri diritti, come quello del riconoscimento delle otto ore di lavoro che devono essere pagate per otto ore effettive. Inoltre la pausa di mezz’ora, a differenza di altre fabbriche, non ci viene retribuita. Con altre decine di operaie abbiamo lottato in fabbrica e fuori, abbiamo scioperato". Lo sciopero non ha portato a nessun accordo, ma solo ad una vertenza davanti al giudice del lavoro per il recupero della mezz’ora di pausa.
Durante la causa, però, la cooperativa EkoVar si è sciolta e Montello ha affidato l’appalto ad un’altra cooperativa, la Selection. Anche se nell’accordo sindacale per il cambio appalto c’è scritto, nero su bianco, che tutte le operaie della cooperativa EkoVar devono passare alla nuova società, la Selection da due settimane si rifiuta illegittimamente di assumere le diciassette operaie con la vertenza aperta. Trattandosi, inoltre, di immigrate, queste, senza lavoro, rischierebbero anche di non poter rimanere in Italia.


Il Fatto quotidiano scrive di Margherita


Taranto, oltraggiò vigile urbano: sindacalista Cobas agli arresti domiciliari per una condanna a un mese

Nel 2010 Margherita Calderazzi fu tra le organizzatrici di un movimento di lotta dei disoccupati tarantini e si oppose allo sgombero di una tenda montata in piazza come presidio. Allo sgombero seguì la protesta sotto al Municipio e una parola, “fascista”, urlata contro un vigile che le fece causa


Nell’Italia dei condoni per evasori fiscali e abusivisti edilizi, lo Stato si dimostra inflessibile verso una sindacalista colpevole di aver oltraggiato un vigile urbano e quindi meritevole, secondo il Tribunale di Sorveglianza, di scontare la pena di un mese agli arresti domiciliari. Senza condizionale, senza affidamento ai servizi sociali. Agli arresti. Provvedimento in vigore dal 15 ottobre. E col cellulare che squilla a vuoto perché la condanna è accompagnata dal divieto di comunicare con l’esterno. E’ la storia di Margherita Calderazzi, sindacalista di base Slai Cobas per il sindacato di classe, una delle tante parti civili nel processo Ilva, coordinatrice di 120 persone tra operai, familiari di vittime del lavoro, famiglie della zona dei Tamburi e di altri quartieri, per i quali ha messo in piedi un pool di avvocati di Torino esperti in materia, provenienti dai processi Eternit.
La signora Calderazzi è un punto di riferimento di battaglie e movimenti per il lavoro e la salute. Una compagna, nel sapore antico del termine. Anzi no: una pregiudicata alla quale negare l’affidamento ai servizi sociali, che pure si dà praticamente a chiunque non sia clamorosamente pericoloso, perché, dicono fonti a lei vicine, “le hanno spiegato che il periodo di affidamento sarebbe troppo breve per le finalità rieducative che ne sono alla base”. Ed anche perché la signora ha altri piccoli precedenti per le sue attività di lotta (affissioni abusive, ad esempio) con i quali si è bruciata la sospensione condizionale della pena che si applica in automatico per i reati meno gravi quando si è incensurati. “Vicende concluse con esiti esigui – ricordano i sindacalisti che la assistono in questi giorni difficili – e già scontati, o ancora in corso. Motivano gli arresti persino con altri procedimenti penali successivi alla condanna o per i quali non c’è nemmeno un rinvio a giudizio, mai notificati e sconosciuti all’indagata, e che comunque non c’entrano nulla con questa storia”. La sentenza è passata in giudicato nel febbraio 2017. A sette anni dai fatti, dopo un’assoluzione in primo grado ribaltata in Appello: nel 2010 la Calderazzi fu tra le organizzatrici di un movimento di lotta dei disoccupati organizzati tarantini e si oppose allo sgombero di una tenda montata in piazza come presidio. Una occupazione abusiva, che ebbe degli strascichi: la tenda fu smantellata con la forza, la concitata, successiva protesta sotto al Municipio e quella parola, “fascista”, pronunciata contro un esponente dei caschi bianchi. Che denunciò, dando il via al processo.
Dal febbraio 2017 all’ottobre 2018 la Calderazzi ha vissuto venti mesi nel limbo della condanna non eseguita. Con le conseguenze del caso: impossibilità di ottenere il passaporto, difficoltà nel viaggiare, nel rapporto con enti e istituzioni pubbliche. Lei non ha smesso di fare battaglie. Contro l’accordo Ilva, contro il decreto sicurezza e le politiche salviniane, contro la precarietà del lavoro. Ora deve fermarsi per un mese, come un calciatore squalificato dopo aver insultato l’arbitro. Poi, assicurano gli amici, tornerà in campo più agguerrita di prima.


MONTELLO: GRANDE SOLIDARIETA'. FIRME, MESSAGGI DA TANTE CITTA' - IMPEGNO DI POTERE AL POPOLO


AL FIANCO DELLE 17 OPERAIE DELLA MONTELLO, BUTTATE FUORI DALLA NUOVA COOPERATIVA!
MOBILITIAMOCI PER AFFERMARE I LORO DIRITTI, CHE SONO QUELLI DI TUTTE E TUTTI NOI!
Fabbrica Montello. 500 lavoratori che operano ai nastri trasportatori, ne seguono i ritmi, separano la plastica dagli altri rifiuti, per il riciclo.
Nella stragrande maggioranza sono donne. Tantissime sono immigrate. Quasi tutte assunte tramite cooperative. E la storia è sempre la stessa. Le gare si ripetono negli anni, una nuova cooperativa sostituisce la vecchia. Nel cambio appalto chi lavora è sempre a rischio. A rischio la continuità lavorativa, i diritti, le condizioni contrattuali. È quanto sta accadendo anche alla Montello.
La cooperativa EkoWar si è sciolta e l’appalto è stato affidato ora alla Selection. Il tutto è avvenuto - guarda caso - nel corso di una vertenza: alcune operaie stanno lottando per vedersi riconosciuto il diritto alla retribuzione della mezz’ora di pausa. 8 ore di lavoro vanno pagate per quello che sono: 8 ore, non un minuto di meno. 17 di loro hanno avviato una vertenza legale per vedersi riconosciuto questo diritto. Sono le stesse che, insieme a decine di altre colleghe, hanno scioperato l’8 marzo scorso, unendosi alle centinaia di migliaia di lavoratrici che in tutto il mondo si sono rese protagoniste dello “sciopero delle donne”.
Nell’accordo sindacale per il cambio appalto si parla - nero su bianco - del passaggio di tutte le lavoratrici della EkoVar alla Selection. Peccato che la Selection abbia deciso di “selezionarne” solo alcune. Coincidenza ha voluto che fino ad oggi siano state tenute fuori dal posto di lavoro 17 lavoratrici. Indovinate quali? Sì, proprio quelle che stanno portando avanti la vertenza legale!
A questa, che denunciano come “ritorsione”, si associa una condizione di debolezza, conseguenza delle leggi sull’immigrazione che i governi italiani hanno approvato nel corso degli anni. Il permesso di soggiorno è infatti legato al mantenimento del posto di lavoro. Morale della favola? Se perdono il lavoro rischiano di perdere anche il diritto a rimanere sul territorio italiano!
Potere al Popolo è uno strumento al servizio delle lotte, di chi resiste. Per questo siamo accanto a queste lavoratrici e invitiamo tutte e tutti a inviare messaggi di solidarietà a loro e di far sentire le nostre voci alla cooperativa Selection e alla Montello, rivendicando l’immediato reintegro del posto di lavoro delle 17 lavoratrici!

La solidarietà può essere un’arma potente: dimostriamolo!

Firmiamo la petizione qui: https://chn.ge/2D7HORc





27/10/18

Comunicato di proletari comunisti per Margherita


Proletari comunisti saluta la grande solidarietà che si va esprimendo nei confronti della compagna Margherita Calderazzi, agli arresti domiciliari per 1 mese, per aver organizzato e diretta la lotta dei Disoccupati Organizzati a Taranto nel 2010.
Operai, donne proletarie, organizzazioni sindacali di base e di classe, organizzazioni comuniste rivoluzionarie, organizzazioni popolari, un gran numero di donne del movimento femminista, intellettuali marxisti hanno espresso in varie forme la loro solidarietà, denunciando questa azione repressiva.
Margherita è comunista maoista e dirigente militante di proletari comunisti ed è in questa veste che svolge il suo grande lavoro di organizzazione dei proletari, delle masse, delle donne, contro governo, padroni, Stato, contro ogni attacco ai diritti, ai salari, alle condizioni di lavoro; è in questa veste che è conosciuta e riconosciuta dai tanti che hanno in questo giorni solidarizzato.
La solidarietà è un'arma dei proletari contro la repressione e dimostra che la repressione non ferma ma alimenta la ribellione.
Le militanti e i militanti di proletari comunisti è in questo modo che intendono e che devono intendere la costruzione del partito e della lotta rivoluzionaria in questo paese.

Il marxismo-leninismo-maoismo si incarna nel fuoco della lotta di classe in stretto legame con le masse.
La via della rivoluzione è una guerra di popolo di lunga durata e solo quando il lavoro quotidiano dei comunisti è in funzione di questa prospettiva, non a parole ma nei fatti, non per autoproclamazione ma riconosciuto, esso si può considerare autenticamente maoista.

Se pure questo episodio di repressione è un piccolo episodio, parte dei tanti atti repressivi che colpiscono la stessa compagna, i compagni di proletari comunisti; se pur esso è parte della più ampia e generale repressione di Stato che colpisce tutti coloro che lottano, questa dialettica tra repressione e solidarietà è un bene prezioso, in questa difficile fase di lotta e di riorganizzazione del movimento operaio e comunista nel nostro paese.

Proletari comunisti e la compagna Margherita colgono questa opportunità per dichiararsi al fianco di tutti i compagni e le compagne colpiti dalla repressione e in particolare dei prigionieri politici rivoluzionari che sono nelle carceri dello Stato imperialista italiano.

La lotta non si arresta! La solidarietà non si arresta!
La rivoluzione non si arresta!

Proletari comunisti/PCm Italia
27 ottobre 2018


ROMA: IN PIAZZA PER DESIREE!



Ecco San Lorenzo, il quartiere dove qualche giorno fa è stato trovato il corpo senza vita, abusato e martoriato della giovane Desiree. Non lasceremo le strade delle nostre città a chi vuole più ronde e controlli perchè pensa che le donne abbiano bisogno di protezione.
Vogliamo invece che nessuno, in qualsiasi circostanza si trovi, si senta mai più in diritto di abusare del corpo e della condizione di una donna!
Non una di meno!

L'ONU CONTRO IL DDL PILLON - LA DENUNCIA DEL MFPR

Affido condiviso, l’Onu contro il ddl Pillon: “È una grave regressione che alimenta discriminazione di genere”

di F. Q. | 26 ottobre 2018


In una lettera inviata al governo italiano le relatrici speciali delle Nazioni Unite, Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, esprimono "profonda preoccupazione" per la proposta presentata dal senatore della Lega, che è attualmente all'esame della commissione Giustizia del Senato:
“Disposizioni che potrebbero comportare una grave regressione, alimentando la disuguaglianza e la discriminazione basate sul genere, e privando le vittime di violenza domestica di importanti protezione”. 

La missiva di sei pagine, pubblicata dall’Huffington Post e inviata dal Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra, afferma che il decreto sarebbe “in contrasto con la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia il 10 Settembre 2013″ e renderebbe “la mediazione obbligatoria problematica per un certo numero di motivi... secondo il ddl “sarà richiesto che il bambino, anche se vittima di violenza, veda/incontri il genitore violento o maltrattante come previsto dal testo, secondo il quale al bambino deve essere garantita una doppia genitorialità”. Inoltre “l’articolo 14 del ddl rende impossibile per le vittime di violenza, che siano genitore o figlio, fuggire dal luogo in cui si è verificata la violenza per trovare protezione e sicurezza”. L’Onu conclude spiegando all’esecutivo che apprezzerebbe “ricevere una risposta entro 60 giorni” 

IL DDL SULL'AFFIDO CONDIVISO ATTACCA FORTEMENTE LE DONNE - NON DEVE PASSARE!

Il disegno di legge avviato l'11 settembre a Palazzo Madama, primo firmatario Simone Pillon, che introduce l‘affido condiviso dei figli minori per i genitori divorziati, presentato insieme da Lega e M5S, è un esplicito attacco alle donne.
Esso è pienamente interno alle aberranti concezioni, posizioni politiche da moderno medioevo, alle minacce familiste, di attacco all'aborto, ecc. già espresse in varie occasioni, prima e all'atto della composizione del governo, in particolare da Salvini, dal Ministro della famiglia, Fontana, e condivise dal M5S. 
Con questo ddl alle donne, rese da questo Stato, da questi governi della borghesia, dai padroni, sempre più subordinate, discriminate, dipendenti economicamente, con condizioni di vita sempre più precarie, difficili, si vuole togliere anche l'assegno di mantenimento, scaricando di fatto tutto sulle donne, anche economicamente, il peso dei figli.
Un ddl che di fatto è uno strumento per impedire il divorzio. Per condizionare fortemente nelle scelte di libertà dai vincoli maritali le donne. Tante di più ora si troverebbero costrette a sopportare la relazione, anche se brutta, opprimente, violenta, per paura di non poter mantenere i figli. 
Così come è una chiara azione antidivorzio l'istituzione della figura del "mediatore". "I coniugi - dice il ddl - con figli minori per ottenere la separazione dovranno essere, per legge, seguiti da un mediatore familiare, che sarà a pagamento, con tariffe fissate dal ministero della Giustizia".
Ancora soldi che tante donne avranno difficoltà a pagare, in una situazione assurda in cui le donne dovrebbero pagare una figura istituzionale che ha il compito principale di non fare divorziare. 

Ipocritamente in nome del pari diritto a tenere i figli, di un rapporto "equilibrato e continuativo con entrambe le figure genitoriali", viene esaltata la concezione patriarcale che concede all'uomo diritti sulle donne, sui figli, e quasi niente doveri; nascondendo, tra l'altro, il fatto per cui l'affido dei figli alle donne è anche frutto dell'intreccio di condizioni storiche che continuno a scaricare sulle donne l'onere della famiglia, ma anche del disinteresse della maggioranza degli uomini ad occuparsi dei figli.
E' facile immaginare come ne approfitteranno molti uomini di questa rinnovata posizione, per imporre alle donne le catene del rapporto matrimoniale, o le condizioni in caso di separazione. 

Ipocritamente si parla di tutelare i diritti e interessi dei minori - "i figli avranno due case, doppio domicilio e tempo, equamente diviso, tra mamma e papà. Ciò significa che, salvo diversi accordi tra i genitori, i figli dovranno trascorrere non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, sia con la madre che con il padre,"garantendo il diritto dei figli di ricevere cura e assistenza da entrambi i genitori, trascorrendo con ciascuno di essi quanto più tempo possibile“ - ma in realtà i bambini/ragazzi vengono trattati come oggetti di proprietà, a cui è negata una libera scelta di dove stare, con chi stare, chi non volere, ecc. I bambini, così, non sono persone, con volontà, diritto di decidere, dato che il ddl prevede con il “piano genitoriale“, un vero e proprio progetto educativo che i genitori dovranno proporre, e in cui dovranno essere indicati anche i tempi di frequentazione, i percorsi educativi e scolastici, le vacanze...

Ma c'è un altro punto della legge che ha un segno molto pericoloso e preoccupante che agirebbe come strumento di ostacolo, repressione verso le donne che denunciano violenze, maltrattament. 
Si dice, infatti, che un genitore che dipinge male l'altro, cercando di mettergli il figlio o la figlia contro dovrà risarcire entrambi e potrebbe perdere anche la responsabilità genitoriale". della serie: subisci e stai zitta, altrimenti non solo paghi, ma ti verranno tolti i figli...
Non ci vuole la zingara per prevedere che anche questo diventerebbe un via libera alle violenze in famiglia da parte di uomini che si sentirebbero protetti dalla legge.

Come abbiamo detto, siamo all'evidente tentativo di riportare indietro le donne, a 50 anni fa, di cancellare la conquista soprattutto per le donne della legge sul divorzio del dicembre del 1970. 

Simone Pillon, il primo firmatario del disegno di legge, è noto  per essere tra i fondatori del comitato organizzatore dei Family Day e per le prese di posizione contro le unioni civili e l’aborto.
E' tutto dire! E si capisce abbastanza bene che dall'attacco al divorzio si passerà presto all'attacco al diritto d'aborto.

QUESTO DISEGNO DI LEGGE NON DEVE PASSARE.
APPOGGIAMO LE MOBILITAZIONI DELLE DONNE CHE GIA' SI ANNUNCIANO.


La Corte europea condanna l’Italia per l’uso del 41bis. E Nadia Lioce?

Da Contropiano



La Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia perché ha continuato ad applicare il regime carcerario duro previsto dal 41bis contro il boss mafioso Bernardo Provenzano, anche quando le sue condizioni di salute non lo rendevano più necessario.
Secondo i giudici di Strasburgo, il ministero della Giustizia italiano ha violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Contestualmente la Corte di Strasburgo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti. Ma averlo rimesso sotto 41 bis, dopo un ricovero in ospedale che ne certificava uno stato di salute non più in grado di nuocere, si è configurato come un inutile e inumano accanimento.
Nella sentenza che condanna l’Italia, la Corte scrive di “non essere persuasa che il governo italiano abbia dimostrato in modo convincente che il rinnovo del regime del 41bis avvenuto a marzo 2016 fosse giustificato”. I documenti medici forniti dal governo italiano dimostrano che le già compromesse funzioni cognitive di Provenzano erano peggiorate nel 2015 e che nel marzo 2016 fossero ormai estremamente deteriorate.
La condanna dell’Italia da parte della Corte (organo giurisdizionale internazionale che non fa parte dell’Unione europea, ma alla quale fanno capo 47 Paesi) è dunque relativa solo al prolungamento del regime carcerario speciale previsto dal 41bis. La stessa Corte di Strasburgo ha però rifiutato le richieste di risarcimento per danni morali di 150 mila euro e di pagamento di 20 mila euro per coprire le spese legali.
Fin qui le informazioni minime sulle quali dare un giudizio di merito. Sappiamo per esperienza che il senso comune, e un certo giustizialismo manettaro, hanno fin qui impedito una discussione vera su una questione spinosa ma non rimovibile. Ne abbiamo avuto sentore durante la campagna elettorale, quando proprio sull’abolizione del 41bis ci furono aspre polemiche tra le varie anime dentro Potere al Popolo, che stava muovendo i primi passi.
Su questo tema agiscono molti fattori, spesso divaricanti. In primo luogo ci sono i princìpi, poi ci sono i contesti, infine ci sono i soggetti.
Dal punto di vista dei princìpi la sentenza della Corte europea era attesa, benvenuta ed ineccepibile. E’ un chiara condanna all’uso di un particolare regime carcerario paragonabile a tortura anche quando non ne esistono più motivazioni razionali o di sicurezza. E’ una condanna dell’accanimento e dell’uso della giustizia più come vendetta da parte dello Stato che come sanzione dovuta contro chi ha violato le leggi. In questo caso un boss mafioso con la responsabilità di decine di omicidi, spesso commessi con modalità efferate.
In secondo luogo ci sono i contesti. La lotta per smantellare la “vecchia mafia” brutale, sanguinaria, con estesi collegamenti anche dentro le istituzioni, è stata durissima, con un altissimo numero di morti negli apparati statali (magistrati, agenti e funzionari di polizia) e nella società (da parlamentari come Pio La Torre a sindacalisti, attivisti, persone comuni, imprenditori, commercianti, viaggiatori sui treni, ecc).
La vecchia mafia ha esercitato potere in alcuni territori facendo ampio e sistematico uso della brutalità e dell’omicidio. Provenzano sta tutto dentro questa storia. Sullo sfondo sono emerse qua e là le pesanti connivenze con pezzi degli stessi apparati dello Stato che su altri fronti veniva colpito dai sicari mafiosi.
Per alcuni settori della magistratura il 41bis è stato uno strumento decisivo per smantellare il potere, i collegamenti, la capacità di influenza anche dal carcere da parte dei boss mafiosi detenuti. Tale contesto ha influenzato profondamente tutti gli ambiti impegnati nella lotta contro la mafia, inclusi quelli sociali e il popolo della sinistra, che hanno condiviso questa impostazione e portato come controprova sia i risultati (lo smantellamento delle vecchie reti mafiose), sia l’adeguatezza di un trattamento carcerario durissimo contro chi si è lasciato dietro una scia di sangue impressionante. Sarebbe interessante discutere e confrontarsi sulle caratteristiche della “nuova mafia”, quella dei colletti bianchi che ha contribuito a smantellare la vecchia in cambio degli indubbi vantaggi che ha ottenuto dalla trattativa Stato-mafia nei primi anni Novanta. Ma questo è un altro capitolo.
Infine ci sono i soggetti. Chi avrebbe l’ardire di parlare o tutelare i diritti umani di personaggi come Bernardo Provenzano? Il personaggio e quelli come lui meritano solo qualche palata di terra sopra. Ma, una volta detenuti nelle mani dello Stato, è questo che ha la responsabilità di giudicare, condannare e detenere. E se per una fase determinata può agire con un regime detentivo “finalizzato” a impedire contatti con l’esterno per smantellare la rete mafiosa all’esterno, una volta che il tempo e i fatti fanno superare tale condizione, il perdurare di un trattamento “inumano e degradante” – come scrive la Corte Europea – configura più accanimento, vendetta e tortura che esercizio della giustizia.
Tanto più se tale trattamento viene continuato quando tutte le condizioni, oltre che il contesto ormai diverso, certificano che il soggetto non è in più in grado neanche di “badare a se stesso”. Può rimanere detenuto, ma non ha neppure alcuna “utilità pratica” sottoporlo ad un trattamento non più giustificato da esigenze di sicurezza.
La sostanza del problema sta qui, ma la sua valenza non può che andare oltre la vicenda specifica. L’art.41 bis infatti non è stato usato solo contro i boss mafiosi, ma è diventato un sistema di accanimento e tortura anche contro i detenuti politici, cioè contro coloro che in lontane stagioni hanno sfidato lo Stato.
Il caso di Nadia Lioce, anche recentemente, è stato oggetto di udienze in tribunale e di mobilitazioni di piazza che hanno chiesto la fine del trattamento a 41bis per questa detenuta politica in carcere ormai da più di quindici anni, in un contesto radicalmente diverso da quello del suo arresto. Mantenere Nadia Lioce al 41bis è una manifestazione di accanimento e vendetta sistematica che non più ha ragione di essere per le mutate circostanze.


La sentenza della Corte europea manda a dire questo, ed ha condannato l’Italia per questo, esattamente come  chi  ha sostenuto apertamente che il 41bis andava abolito in quanto forma di tortura.

Le operaie della Montello BG sono tutte noi! firma la petizione


26/10/18

26 ottobre - Nello sciopero, nelle manifestazioni, nelle piazze MARGHERITA C'E'!



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La solidarietà non si arresta - per Margherita - SI COBAS POSTE Milano

Per Margherita

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza per la compagna Margherita, un esempio per tutte e tutti di fermezza e coerenza, che va avanti senza mai piegarsi.
L'unica reazione e risposta possibile è la solidarietà e l'unità contro questi attacchi “vili” di un governo fascio-populista con le sue politiche razziste, con i suoi provvedimenti repressivi per il lavoro e le sue politiche di genere oppressive e discriminatorie.
Non si può imprigionare il vento.
I compagni del SI COBAS POSTE di Milano

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Apprendere la notizia dell'arresto di Margherita mi ha provocato una gran rabbia, e l'unica cosa che riesco a pensare: è non fermarsi ed andare avanti più determinati che mai, per il momento ti invio un 
grande abbraccio e la mia solidarietà,
con grande affetto Antonella

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All'Ilva Taranto - Margherita c'è!






Sciopero a Bergamo, Margherita c'è


 
Al fianco delle operaie della Montello



Sciopero a Palermo, Margherita c'è

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