31/12/20

La lotta paga: in Argentina vincono le donne, approvata la legalizzazione dell'aborto

Dopo il sì della Camera, arriva il via libera anche dal Senato: 38 voti a favore, 29 contrari. L'interruzione della gravidanza sarà permessa fino alla quattordicesima settimana di gestazione

Aborto libero e sicuro. L’Argentina incassa una legge storica a le donne raggiungono un traguardo di civiltà. Con 38 voti a favore, 29 contrari e una astensione, il Senato approva il disegno di legge di riforma che consente l’interruzione di gravidanza fino a 14 settimane. Viene così sepolta la contestata norma in vigore sin dal 1921 che lo considerava un delitto, con due eccezioni: la violenza sessuale e il rischio di vita per la madre. La notizia, incerta e attesa con ansia, è accolta da un boato di grida, canti, balli, slogan e una marea di fazzoletti verdi agitati da migliaia di donne, e di uomini, che da oltre 24 ore sostavano nella parte nord della piazza che si affaccia davanti al Parlamento.
 
“L’abbiamo conquistata. È legge!”, urlano, raggianti, queste giovani e meno giovani donne che per nove volte hanno inseguito un sogno ogni volta infranto. Era accaduto anche nel 2018 quando su iniziativa di alcune deputate e con l’assenso neutrale dell’allora presidente Mauricio Macri un progetto di riforma era stato presentato e approvato alla Camera dei Deputati; le speranze subito accese nel Paese si erano poi spente con il voto decisivo del Senato che lo aveva bocciato. La dimostrazione di quanto ancora fosse diffuso in Argentina il rifiuto di uno dei più discussi e sentiti diritti civili.
 
Pioniere di tante atre battaglie e di principi di civiltà raggiunti come il matrimonio gay e il riconoscimento di genere, il grande Paese sudamericano faticava a riconoscere legalmente l’aborto. Lo considerava un vero tabù che nemmeno Cristina Kirchner, donna e presidente di idee progressiste, era riuscito a infrangere. Solo la figlia Florence, attivista femminile, l’aveva convinta negli ultimi mesi. Restavano, dominanti, il peso del fronte conservatore e le influenze della Chiesa contrari a una liberalizzazione, nonostante la presenza a Roma di un Papa argentino che in questi anni ha dimostrato più volte le sue aperture sui grandi temi dei diritti sociali e civili.

Con la nuova legge, l’Argentina spicca in testa alla piccola lista dei Paesi dell'America Latina che consentono alle donne di decidere sul loro corpo e sul desiderio di essere o meno madri. Lo hanno già fatto Uruguay, Cuba, Guyana e lo Stato di Città del Messico. Negli altri restano restrizioni e condizioni. In alcuni, come il Nicaragua, Repubblica Dominicana e Salvador è vietato in ogni caso e il semplice sospetto di aver interrotto volontariamente una gravidanza è punito con una condanna fino a 30 anni di carcere. Ci sono decine di donne, spesso ragazzine, in galera perché hanno abortito dopo essere state violentate da qualche parente o solo perché hanno perso il feto ma i Tribunali le hanno accusate di averlo provocato.
 
Il provvedimento approvato prevede che ogni gestante possa abortire entro le prime 14 settimane dopo aver sottoscritto il consenso. Indica anche dieci giorni di tempo tra la volontà esplicitamente espressa e l’intervento per evitare ogni tipo di pressione e manovra che spinga la madre a un ripensamento. Non si tratta di limitazione della libertà. Si vogliono evitare quegli odiosi ricatti e sensi di colpa che rendono atroce una scelta già dolorosa e difficile. La vittoria del sì è stata lunga e contrastata. La chiesa argentina, quella di Papa Francesco, ha ancora un largo seguito. Lavora assieme allo Stato nell’assistenza ai più poveri, con centinaia di mense che ogni giorno sfamavo chi non ha neanche più da mangiare. 
 
Ma con l’arrivo di Alberto Fernández, legato al Pontefice con cui condivide molte posizioni, le cose sono cambiate. Il presidente si era impegnato sin dalla campagna elettorale sul tema dell’aborto e quando è stato eletto lo ha ribadito. È stato lui a sollecitare i deputati del suo partito a presentare l’ennesimo disegno di legge che poi è stato approvato alla Camera. Restava lo scoglio del Senato, più conservatore. Qui lo scontro è stato più aspro e l’esito incerto. Nel dibattito sono sati usati toni drammatici. “Gli occhi di Dio stanno guardando ogni cuore in questo emiciclo”, ha tuonato María Belén Tapia. “Ci pongono di fronte a una scelta che segnerà il futuro del nostro Paese. Saremo benedetti se valorizziamo la vita, saremo maledetti se autorizzeremo a uccidere innocenti. Non lo dico io, lo dice la Bibbia sulla quale ho giurato”.
 
Le ha risposto un’altra deputata che guidava il fronte del si. “Quando siamo nate non potevamo votare, non ereditavamo, non potevamo studiare all’università. Quando io sono nata le donne non erano nulla. Provo una grande emozione per la lotta che stanno portando avanti tutte quelle donne che sono là fuori”. Ed è stata proprio lei, la senatrice Silvia Sapag, quando mancavano ancora quattro ore di dibattito, a segnare il punto di svolta. “Per tutte loro”, ha concluso, “che questo disegno diventi legge”.
 
All’inizio della sessione erano 33 i voti a favore e 32 i contrari. Cinque chi ancora si asteneva. Sedici ore di confronto hanno spostato, e di molto, l’equilibrio. Tre dei cinque incerti hanno dichiarato il loro sì, tre dei no erano assenti per gravi motivi di salute. Il verdetto finale è stato una sorpresa anche per lo scarto dei voti. All’esterno, la marea azzurra del movimento per la vita si è disperata con canti e braccia alzate al cielo insieme ai crocefissi e le Bibbie strette nelle mani. Sul lato opposto iniziava una festa che è continuata per ore.
 
L’Argentina entra a pieno titolo nell’Olimpo dei paesi più avanzati nei diritti sociali. Ma soprattutto spezza quella catena di morti tra le donne che abortivano in modo clandestino e le disperate che dovevano ricorrere agli ospedali per le conseguenze di un’operazione fatta di nascosto e in condizioni precarie. Solo quest’anno 38 ragazze sono rimaste vittime di questa barbarie e 39 mila sono state ricoverate nei nosocomi. Tantissime altre, in silenzio, si erano rivolte alle cliniche private. Per abortire bastava avere soldi. 

28/12/20

Dalle assemblee donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 6 - Le lavoratrici delle pulizie, dei servizi in lotta contro la precarietà e la pandemia

LAVORATRICI DEGLI ASILI DI TARANTO "...sicuramente la lotta paga. Però bisogna essere costanti bisogna essere uniti e bisogna andare oltre..."
Le lavoratrici ausiliare degli asili di Taranto, dopo aver con lunghe lotte conquistato alcuni risultati, oggi vogliono parlare di una nuova tappa: dell'internalizzazione del lavoro, contro la precarietà pluridecennale. Noi lavoriamo in servizi essenziali, obbligatori, nei comparti sanità e della scuola come ad esempio l’ausiliariato negli asili comunali o l’assistenza igienico personale verso i disabili nelle scuole di ogni grado; parliamo di servizi strutturali di interesse pubblico, la cui continuità e efficienza va a beneficio della collettività, questo criterio deve prevalere necessariamente sulla logica del profitto dei privati.
Dobbiamo cercare di unire tutte le forze e andare verso questa direzione.
Insieme dobbiamo rivendicare nei part time un orario non inferiore alle 30 ore settimanali, dobbiamo cercare di ottenere il lavoro nei mesi estivi di luglio e agosto, là dove nel contratto non è previsto. 
Noi siamo lavoratrici che da venti, venticinque, trent’anni stiamo in questa situazione di precariato dove ogni tre anni si susseguono varie ditte, si susseguono situazioni sempre di precarietà per cui non riusciamo a fare progetti per il futuro, ne per noi né per le nostre famiglie. Dal primo di ottobre scorso siamo passate a tre ore mentre prima eravamo a un’ora e cinquanta al giorni, siamo riuscite anche ad ottenere la qualifica superiore per le mansioni di ausiliariato, quindi diciamo che una prima tappa è stata vinta, dopo circa una decina d’anni di lotte, incontri, sit-in, situazioni anche da noi abbastanza calde. Abbiamo portato i lor signori padroni anche in tribunale. Quindi sicuramente la lotta paga. Però bisogna essere costanti bisogna essere uniti e bisogna andare oltre, proseguire e lottare tutti insieme, se possibile, sul territorio nazionale. Sappiamo che ci sono altre situazioni simili alla nostra tarantina, ci sono altre altre realtà che vivono le nostre problematiche, a Roma nella ristorazione, nella rete delle scuole materne, anche dalle parti di Modena, nell’Alitalia, ecc. Sarebbe necessaria una rete, un legame tra tutte noi per riuscire a ribaltare un pò questa situazione di precariato... 
Questo Covid rende più grave e inaccettabile le varie situazioni lavorative, infatti noi sono diversi mesi che dal rientro al lavoro dal lockdown stiamo portato avanti una battaglia sulla sicurezza sul posto di lavoro. La nostra azienda ha sottovalutato il rischio da contagio e nei posti dove tutti i giorni lavoriamo e dove nella maggior parte del tempo c'è una presenza di vario personale, compresi i bambini, ci sono stati vari contagi sia dei bambini che del personale educativo e ausiliario. Abbiamo chiesto alla nostra azienda una serie di tutele, anzitutto la differenziazione degli orari di servizio del personale, al fine di evitare assembramenti, con fasce orarie non sovrapponibili, l’uso di termo scanner per rilevare la temperatura prima di entrare nelle strutture, la fornitura frequente di mascherine guanti e gel sanificante, la sanificazione settimanale dei vari locali e delle strutture, test rapidi presso le strutture idonee a carico ovviamente dell'azienda, abbiamo chiesto anche la predisposizione del tampone in caso di contagio e la corresponsione della normale retribuzione in caso di quarantena, e infine abbiamo chiesto a tutela delle lavoratrici fragili il pagamento integrale della malattia per tutta la durata del periodo pandemico. Ora dobbiamo pretendere in ogni posto di lavoro che le aziende, le istituzioni rispettino i vari provvedimenti anti covid per evitare i contagi, i ricoveri e le morti, anche nell'interesse di poter far continuare a far funzionare questi servizi che sono essenziali all'interno del comparto scuola oppure sanità. 
Anche questa battaglia, queste tutele le dobbiamo portare avanti tutte insieme su ogni posto di lavoro anche perché con il covid non si scherza, l'abbiamo visto, lo stiamo vivendo da quasi un anno e anche le testimonianze che abbiamo appena ascoltato ci danno ragione che sul posto di lavoro la prevenzione aiuta di più che la cura. 

LAVORATRICI DELLE PULIZIE DELLE STRUTTURE SANITARIE DI ALESSANDRIA
Da una nota da parte delle lavoratrici delle pulizie e della sanificazione delle strutture ospedaliere, sono lavoratrici del sindacato di base ADL Cobas di Alessandria e la casa delle donne di Alessandria: “chiediamo che vengano presi in tempi rapidi i seguenti provvedimenti: le lavoratrici devono essere sottoposte ai tamponi covid per la loro sicurezza, quella dei pazienti e dei loro familiari; sembra incredibile che nessuna di loro fino a questo momento sia stata sottoposta al tampone covid quando lavorano nelle strutture sanitarie, per mesi nessuno né la ditta appaltante né l’azienda sanitaria né i sindacati confederali si è occupato e preoccupato di risolvere questo problema; gli spogliatoi in cui le lavoratrici si cambiano ogni giorno devono essere spostati e collocati in ambiente sicuro, mentre ora si trovano in uno spazio adiacente all'entrata dei pazienti positivi al covid; devono essere istituiti dispositivi di sicurezza in quantità sufficiente...". L'altra cosa che poi pongono è il problema del contratto collettivo nazionale che è scaduto da ormai più di 7 anni, quello multiservizi, in cui la paghe orarie previste sono tra le più basse in assoluto. 
Anche questa battaglia non la possiamo assolutamente delegare ai sindacati confederali che finora hanno firmato piattaforme che invece di dare addirittura toglievano, vedi la questione del salario sostituito con i bonus, ecc. Sul salario noi dobbiamo rivendicare nel contratto Multiservizi dove c'è la paga oraria più bassa che si ottengano almeno 9 € nette l'ora. L'anno scorso ne avevano parlato esponenti del governo, ora non se ne parla più. Invece noi ne dobbiamo parlare, dobbiamo porre con forza che sotto quella cifra, che comunque è minima, non si può andare. Ma anche su questo è decisiva la nostra lotta.

LAVORATRICI DEGLI ALBERGHI - MILANO
...Il settore alberghiero versa in una situazione tragica perché gli alberghi sono chiusi da marzo e in una città come Milano  non riapriranno fino al 2021 e la cassa integrazione arriverà al massimo a novembre; per cui ci saranno una serie di licenziamenti e, poi, potranno accedere a delle Naspi ridicole perché la maggior parte delle lavoratrici ha dei contratti “formali” part time, perciò con delle cifre molto basse, quasi ridicole. Finora hanno ricevuto solo parte della cassa integrazione, infatti stanno aspettando quella di giugno e noi stiamo organizzando parecchi presidi sia per sensibilizzare e sia per allargare la solidarietà affinché si dia più voce a questa lotta, la maggior parte delle lavoratrici sono quasi tutte immigrate e molte di loro sono donne sole con figli...
...con grande dignità hanno cercato durante il lockdown di affrontare le privazioni per sé e per i figli a causa delle precarie e scarse risorse economiche... sulla salute spesso debbono ricorrere alla malattia, soprattutto per i dolori alla schiena, agli arti a causa dei continui spostamenti di materassi e mobili per pulire le camere, ed essere ammalate significa non guadagnare perché i contratti sono part time, ma poi le ore lavorate sono molte di più, per tutto ciò nessuna tutela è prevista. E pensare che lavorano per alberghi di lusso... non è facile parlare di “cose” sindacali... lo sforzo che si sta cercando di fare è quello di metterle insieme ed aiutarle a capire che solidarizzando e socializzando le loro difficoltà lavorative possono trovare il modo per affrontarle.

LAVORATRICI DEGLI ALBERGHI - LONDRA

Le conseguenze del lockdown si sentono anche qui. Io sono una lavoratrice licenziata. Lavoravo nel settore alberghiero come servizi alle camere. 
Il lockdown ha portato via un pò tutto, lavoro, promozione e tutto...
Mentre inizialmente tendevo a giustificare le decisioni della compagnia alberghiera credendo nella loro buonafede, dopo una accurata riflessione, ho capito che non c’è niente da giustificare, perché in realtà chi poi piange effettivamente la crisi siamo noi che veniamo licenziate, che rimaniamo ai livelli più bassi, la forza lavoro. 
Questa politica vuole ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo, sfruttando al massimo chi rimane a lavorare. Adesso mi ritrovo a cercare un nuovo impiego. Naturalmente non è facile perché non sono soltanto io a ritrovarmi in questa situazione. La maggior parte delle persone giovani e non giovani che abitano qui a Londra hanno difficoltà al momento a trovare un lavoro, non è semplice ma si tiene duro, ecco.
Non demordo, tengo duro lotto nel mio piccolo e provo ad andare avanti, molti miei connazionali, molti italiani che io conosco sono rientrati in Italia perché scoraggiati, io fin quando potrò terrò duro..."

26/12/20

Parà americano stupra ragazza vicentina. E' "extracomunitario ma di quelli intoccabili, solo un'indagine formale, neanche una sanzione per violazione delle misure anti covid

Stupro in caserma, giovane violentata da un soldato Usa


Una ragazza vicentina di 19 anni ha denunciato di essere stata vittima di una violenza sessuale avvenuta qualche settimana fa all’interno della base militare Del Din.
Sotto inchiesta un militare della 173esima Airborne Brigade, una delle più potenti unità di paracadutisti dell’esercito americano. La giovane, insieme ad alcune amiche, aveva conosciuto i soldati statunitensi qualche settimana prima in città. Era stata quindi invitata, insieme a due coetanee, a una festa organizzata all’interno della base Del Din: una festa con musica, balli e alcool, ma la serata si sarebbe trasformata in un incubo per la ragazza. Nella denuncia ai carabinieri della Setaf, il presidio dell’Arma di stanza alla caserma Ederle di Vicenza, la ragazza ha raccontato nei dettagli i particolari della violenza, ribadendo più volte di essersi rifiutata in tutti i modi.
Il procuratore Orietta Canova ha attivato le procedure previste in caso di stupro, con la visita in ospedale e il supporto psicologico. Contestualmente è scattata anche la perquisizione nella camerata del soldato, con il sequestro del telefonino e degli effetti personali.
La Procura di Vicenza ha disposto anche l’esame genetico per comparare il dna del militare con quello isolato nei vestiti che la ragazza indossava alla festa. Il parà, difeso dall’avvocato Alessandro Bontà del foro di Vicenza, è quindi formalmente indagato per violenza sessuale. Sono stati sentiti anche alcuni commilitoni, per incrociare i loro racconti con le testimonianze rese dalla ragazza e dalle sue amiche.


Nell'India in fiamme il ruolo straordinario delle donne

L'informazione e la solidarietà saranno parte dalla giornata nazionale di mobilitazione delle lavoratrici - 15 gennaio 2021 - decisa dall'assemblea nazionale telematica delle donne lavoratrici

Naufragio di Natale: 20 vittime, 19 erano donne e 4 di loro incinte

Un femminicidio di massa dell'imperialismo europeo e italiano con la complicità del regime reazionario e asservito tunisino

Migranti, naufragio al largo della Tunisia: almeno 20 vittime. I corpi recuperati in mare e riportati sulla terraferma: il videoL'imbarcazione stava tentando la traversata del Mediterraneo verso l'Italia, ma era sovraccarica e in cattive condizioni. Al momento si sono salvati solo in 4 Tutte donne tranne uno. Quattro di loro erano incinte. Sono 20 le vittime del naufragio di un’imbarcazione che stava tentato la traversata del Mediterraneo, dalla Tunisia all’Italia. E 19 di loro erano appunto donne. Il naufragio è avvenuto giovedì, nel giorno della vigilia di Natale. Le informazioni arrivano dai primi dati in possesso delle autorità di Sfax. Le ricerche proseguono nel tentativo di trovare altre 13 persone che risultano disperse. Sempre secondo i dati forniti dal portavoce, quattro migranti sono stati salvati: uno resta sotto supervisione medica e un altro è fuggito dall’ospedale.

L’imbarcazione, sovraccarica e in cattive condizioni, trasportava 37 persone di cui tre originarie della Tunisia e le altre dell’Africa sub-sahariana. Al momento le imbarcazioni della guardia costiera e i sub della Marina, impegnati nelle ricerche, non hanno ritrovato oggi altri corpi né sopravvissuti, anche in considerazione di forti venti e onde alte che ci sono nella zona. I 20 corpi sono stati recuperati da agenti della guardia costiera e pescatori locali, che li hanno portati a riva.

Le autorità tunisine fanno sapere che recentemente hanno intercettato diverse imbarcazioni cariche di migranti, ma rilevano che il numero di tentativi è in crescita in particolare tra la regione di Sfax e l’isola di Lampedusa. Le barche di migranti spesso partono dalle coste della Tunisia e dalla vicina Libia, con a bordo persone provenienti dal resto dell’Africa ma recentemente anche un crescente numero di tunisini in fuga. 

24/12/20

Gli interventi dalle assemblea donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 5 - Le lavoratrici della sanità: "Le donne sono sempre le più provate"

Lavoratrice sanità Milano
In questi mesi di lockdown al lavoro dovevo comunque andare perché  bisogna dare assistenza agli ammalati e quindi nella sanità non si può chiaramente usufruire del lavoro smart working e cose varie. La mia bambina, essendo che le scuole erano chiuse, è dovuta  rimanere  a casa da sola anche perché siamo soltanto io e lei; la mia vicina di casa non se l’è sentita più di prendersi cura della bambina  perché ha detto chiaramente: guarda tu lavorando a Milano sei a rischio  noi siamo anziani mio marito ha pluri patologie, e quindi non me la sento di tenere la bambina perché puoi portare il virus. E quindi la bambina si è gestita da sola in casa a fare i compiti e inviarli agli insegnanti. Ha fatto tutto lei. Ma la questione non è finita qui, perché ci sarà l’altra ondata sicuramente e non siamo tranquilli per niente
Purtroppo non c’è stata la possibilità di unità con le altre lavoratrici per cercare di difendersi da questa situazione e prendere delle iniziative a tutela della nostra condizione.
Infermiera Milano 
Sono infermiera e lavoro a Milano. In ambito sanitario questa emergenza qui nella nostra città ha stravolto le nostre vite dal punto sociale e lavorativo etc. 
Io lavoro in un ospedale. Inizialmente non si capiva bene l’importanza di questo fenomeno e per cui era stato quasi vietato tutto, perché nessuno si rendeva conto ai piani alti della pericolosità di questa pandemia.
Quando si è capita la pericolosità abbiamo iniziato a usare le mascherine, i dispositivi di protezione individuale. Da quel momento ci sono stati grosse carenze sia per quanto riguarda l’approvvigionamento dei materiali sia per quanto riguardava le carenze di organico.
Carico di lavoro aumentato le direttive che continuavano  a mutare, a cambiare la confusione etc
Io sono stata fortunata perché non sono mai stata contagiata, molti miei colleghi si sono ammalati, tantissimi sono guariti, la cronaca la conosciamo tutti, molti sono deceduti in seguito a questo virus.
Le donne sono state sempre le più provate dal punto del carico lavorativo. I congedi parentali li prende sempre la donna con il 50% della retribuzione che vivendo a Milano vuol dire fare la fame. 
Ci siamo trovate tutte con i bambini a casa con la scuola on line e vari disagi.
Lavoratrice sanità Lazio
Come operatrice sanitaria, io, come anche altri lavoratori della sanità pubblica, abbiamo subito una vera e propria sospensione dei diritti, in quanto sia durante il periodo di lockdown che anche dopo per un lungo periodo, sono state sospese le ferie, sia quelle maturate che quelle dell'anno precedente. Questo perché manca sempre, endemicamente questo personale; per cui tra chi si ammalava, il marasma generale che comunque c'era in quel momento e il grande bisogno di personale che c'era, sono state revocate le ferie.
Le condizioni di lavoro erano a dir poco allucinanti. Al clima di incertezza e opacità dell’informazione - non si sapeva bene quello che si stava affrontando, non si sapeva bene il tipo di diffusione del virus e quant'altro - si è aggiunta la mancanza e inadeguatezza di presidi.
Potete immaginare quindi all'interno dell'ospedale quello che si subiva!
Invece che le mascherine a noi sono stati forniti gli Swiffer, i panni da spolvero, che assolutamente non erano adeguati a fermare il virus. Però intanto dovevamo lavorare con queste cose. Io a un certo punto mi sono dovuta comprare le mascherine da sola, le ffp3, proprio per evitare sia di trasmettere il virus che di prenderlo. Ma soprattutto di diffonderlo, perché era quella la condizione. Siamo arrivati a fare delle cose paradossali in quel periodo e probabilmente anche noi, personale, abbiamo diffuso il virus, perché non c'era possibilità di avere altro personale e anche se eravamo potenzialmente infetti, dovevamo continuare a lavorare! E questo è proprio da criminali.
Io sono stata attenta, mi sono bardata. Ho cercato di stare meno a contatto coi pazienti fragili e di andare selezionate. Anche perché poi ci siamo organizzati. Ovviamente tra noi, senza che poi l'amministrazione sapesse.
Nella mia esperienza personale, ho deciso un isolamento volontario prima che ci fosse la chiusura generale, molti altri operatori e operatrici hanno deciso di non tornare a casa per evitare di contagiare i familiari. Io sono stata fortunata, si fa per dire, perché il mio compagno mi ha ceduto il suo appartamento che è molto vicino all'ospedale e ho evitato bus e metropolitane, tanti e tante invece preferivano restare in ospedale piuttosto che tornare a casa col dubbio di portare l'infezione. Abbiamo vissuto così per circa due mesi, le videochiamate sono stati i nostri unici contatti, con la consapevolezza da parte mia che per quel giorno c'eravamo ed eravamo in salute, ma in qualsiasi momento una situazione così precaria, così ai limiti della sopravvivenza poteva cambiare e non li avrei più rivisti neanche per un ultimo abbraccio come purtroppo è successo a tante altre colleghe. 
Il covid è riconosciuto tra le malattie professionali se il tuo lavoro prevede il contatto diretto o indiretto coi malati, c'è la copertura Inail anche in itinere in quanto ti puoi infettare sui mezzi di trasporto e in sanità. Un nostro infermiere però, pur presentando tutti sintomi, compresa la polmonite bilaterale, non è riuscito a dimostrare la malattia professionale perché sia il tampone che l'esame sierologico erano negativi. 
Ma il dato interessante è che il 75% dei contagi in sanità riguarda le donne, e in ordine statistico infermiere, fisiorerapiste, operatrici sociosanitarie, ausiliarie e addette alle pulizie. 
Il personale degli ambulatori, dei day hospital, dei servizi che sono stati soppressi durante il lockdown, è stato smistato verso il centralino di assistenza dedicata al covid dopo un corso di formazione irrisorio, con uno o due giorni di corso di addestramento, per rispondere sia ai pazienti che ai familiari. E voi immaginate con quale stato d'animo e con quale condizione psicologica potevano rispondere al telefono a persone che poi sapevano che comunque non potevano essere seguite in ospedale, che comunque non potevano ricevere cure adeguate, gente che magari poi è deceduta dentro casa!
C'è poi tutto il resto contingente al non covid. Cioè le persone che non accedono ai servizi perché i servizi sono sospesi; le persone che magari rinunciano ad andare al pronto soccorso perché hanno paura di ammalarsi, o che non vengono prese in considerazione se non ammalate. E quindi assolutamente per l'utente è una sospensione di quasi tutti i servizi.
Ci sono ambulatori che visitano attualmente solo due persone. Come riabilitazione a noi il day hospital non è stato ancora aperto. Quindi ci sono tutta una serie di persone che hanno bisogno di fare la fisioterapia, persone che sono paraplegiche e tetraplegiche, che hanno problematiche abbastanza complesse e gravose che non possono accedere al servizio. 
Per non parlare che  tutto l'accesso dei familiari verso il malato è ancora negato! Ci sono pazienti che stanno 6-7 mesi ricoverati in ospedale, magari perché le condizioni sono complesse: il familiare lo vedrà quando uscirà, fra 6-7 mesi! Quando poi la presenza del familiare, l'addestramento del familiare e la vicinanza del familiare, è parte integrante anche della terapia e della ripresa del paziente; perché voi immaginate gli eventi scioccanti, drammatici, pensate alle persone con neoplasie, oppure che sono state operate per cose abbastanza complesse, ebbene, ancora adesso non gli è possibile, non gli è consentito vedere familiari! 
Sappiamo che ci dobbiamo convivere con questa cosa, ma ci stiamo rimettendo, veramente, più di quanto non ci ha fatto rimettere il virus. 
Noi abbiamo fatto molti esposti e anche molte proposte: facciamo una stanza isolata, con dei parapetti in plexiglass, però fateglielo vedere il paziente; o mettiamoci anche a disposizione per portare i pazienti in un posto, magari all'aperto, quando era d'estate, però niente, l'amministrazione è sorda, per lo meno la mia azienda, e l'effetto di questa causa è più deleterio della causa che lo ha provocato.

19/12/20

"Giornata d'azione delle donne/lavoratrici" a gennaio!


Alle lavoratrici, compagne in lotta

Nella 2° assemblea nazionale telematica delle donne/lavoratrici del 19 novembre abbiamo detto: "passare dalla denuncia all'azione" con al centro la piattaforma delle donne/lavoratrici, e abbiamo deciso una "giornata d'azione" a gennaio.
Dopo una verifica, questa "Giornata d'azione" a livello nazionale si terrà il 15 gennaio
Una giornata all'insegna della parola d'ordine "Noi la crisi non la paghiamo le doppie catene unite spezziamo" - contro padroni e governo che scaricano doppiamente sulle donne la loro crisi economica e pandemica, all'interno di un attacco, aumento della condizione di discriminazione, di oppressione, sia pratica che ideologica, verso tutta la vita delle donne.
Una giornata per portare ovunque la piattaforma delle donne/lavoratrici decisa nelle assemblee, perchè arrivi e si discuta in tanti posti di lavoro, in tante realtà delle donne, perchè diventi arma unitaria di lotta; pensiamo a volantinaggi, assemblee sui posti di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, ecc., presidi, iniziative verso palazzi e luoghi emblematici di questo sistema capitalista-patriarcale; e altre iniziative che ogni realtà di lavoratrici, donne proletarie, compagne, studentesse (fino al 15 riapriranno le scuole) potranno decidere e articolare secondo la situazione concreta, o le lotte già in corso.
Una giornata d'azione perchè le donne proletarie siano visibili, per essere unite dal nord al sud, per unificare le lotte che già ci sono, sostenerle perchè "se lotta una lottano tutte!", per dare forza e coraggio a tutte.
Vogliamo con questa giornata d'azione anche contribuire ad un ruolo di prima fila delle lavoratrici nello sciopero generale del 29 gennaio indetto dall'Assemblea delle lavoratrici e lavoratori combattivi.
La "giornata d'azione delle donne" non è già lo sciopero delle donne, ma serve per riprendere nelle nostre mani l'organizzazione di uno sciopero reale delle donne, preso nelle mani dalle lavoratrici, donne proletarie, ragazze ribelli.

PREPARIAMO INSIEME QUESTA GIORNATA DI AZIONE DEL 15 GENNAIO
per info, contatti: 3408429376 - cobas_slai_palermo@libero.it

Un forte saluto di lotta
Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe

Questo comunicato è stato portato in varie città nelle due giornate di mobilitazione del 18 e 19 dicembre, indette dal Patto d'azione anticapitalista - in cui tante e combattiva è stata la presenza delle lavoratrici.   

17/12/20

Gli interventi dalle assemblea donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 4 - Che significa per le lavoratrici lo smart working

Una lavoratrice delle Poste di Milano
"...il cosiddetto lavoro agile o Smart working non è proprio una novità, prima della pandemia già si parlava di Smart Working e di telelavoro, ma solo in pochi erano coinvolti, mentre in occasione del lockdown, improvvisamente un grandissimo numero di lavoratori, insegnanti, impiegati di tutti i settori privati e pubblici sono stati coinvolti in questo nuovo modo di lavorare da remoto, con un uso massiccio di piattaforme e collegamenti on line... così molte aziende sia private che pubbliche amministrazioni ne hanno fatto un ricorso massiccio e selvaggio, infatti, hanno potuto usufruire di molte deroghe, procedimenti semplificati, rispetto alla legge che lo regolamenta la Legge 81/17...
Molte grandi aziende stanno correndo per siglare accordi sindacali per disciplinare il ricorso al lavoro agile perché non vogliono perdere la grande occasione di normarlo a loro vantaggio.
E’ in atto un gran salto, un grosso cambiamento che il mondo degli affari saluta come l’avvio di una nuova era  ed è significativo ciò che ha sottolineato l’ex amministratore delegato di Google “le misure prese in quarantena ci hanno consentito di fare un balzo in avanti di ben 10 anni ed oggi, nell’economia capitalista, equivalgono a 100 anni del secolo scorso”...
non c’è dubbio che l’uso del web sarà sempre più spinto e regolerà e regnerà la nostra vita sociale. Il lavoro, soprattutto quello impiegatizio, sarà sempre più Smart working, ma cos’è di preciso? 
E’ quella modalità di lavoro senza vincoli di spazio e di tempo e che organizza la prestazione lavorativa per fasi, cicli ed obiettivi... Chi lo utilizza sono in maggioranza donne...
Lo smart working con il ricorso massiccio e approssimato ha subito evidenziato diversi problemi come il diritto alla disconnessione, la formazione, il problema della sicurezza del posto di lavoro, il diritto d’assemblea.
Se da un lato si parla in maniera positiva di questa soluzione lavorativa perché permette di coniugare "Come dice qualcuno" tempi di vita con i tempi del lavoro, questi mesi di uso indiscriminato hanno evidenziato come si entra in una specie di bolla dov'è non c'è veramente fine al tempo del lavoro che si mischia continuamente con il tempo di vita,  si rincorrono e si condizionano, si finisce con il lavorare fino a notte inoltrata per portare a termine “il progetto” o “la fase lavorativa”... Spesso hanno dovuto operare in fasce orarie autogestite, oppure, hanno accettato accordi di implementazione dell'orario di lavoro per garantire ogni servizio...
Inoltre, il fatto che all’improvviso, molti si sono trovati a  casa per lavorare senza una formazione adeguata ha creato situazioni di forte stress e seguire una voce nel pc che prova a rimetterti in gareggiata non è semplice.
Per non parlare della sicurezza, altro argomento da chiarire, per esempio nei moduli che vengono sottoposti agli impiegati postali si parla di “impegno a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione disposte dall’azienda per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali...”... assicurare la sicurezza del posto di lavoro dal soggiorno di casa o dalla cucina non è proprio semplice.
Per non parlare dei costi, in alcuni casi il computer o il telefono sono stati forniti dall’azienda, ma in molti hanno dovuto mettere a disposizione i propri mezzi, mentre il costo della connessione, chiaramente adeguata, è a carico del dipendente, e un buon servizio minimo costa dai 30/40 euro mensili.
Su questi argomenti ci sarà molto da discutere e moltissimo da lottare. Bisogna essere vigili affinché non diventi una nuova frontiera di sfruttamento feroce e vorace da parte del capitale, in tal senso abbiamo già l’esperienza capitalistica del lavoro a domicilio, svolto principalmente dalle donne nella fase di transizione tra artigianato e il lavoro salariato...
E per questo moderno lavoro a domicilio lo sfruttamento lo stanno già  organizzando.
Il POLA (Piano Organizzativo del Lavoro Agile) dichiara che dal 1 gennaio 2021 la percentuale dei dipendenti in remoto dovrà salire almeno al 60%... Questo obiettivo richiede il pieno coinvolgimento delle sigle sindacali e già si parla di accordo quadro nazionale.
Dietro alle belle parole  si nascondono l’inevitabile erosione dei diritti, del salario.
Riguardo alle belle parole vorrei segnalare un articolo della Repubblica del  28/11/2015 con il seguente titolo “l’ora lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione”; qui il ministro Poletti spiegava come dovremmo immaginare i contratti “non più con il riferimento alla retribuzione oraria perché oggi è sempre meno cessione di energia meccanica ad ore e sempre più risultato. Per molti anni i ritmi di vita si sono piegati agli orari fissi, ma con la tecnologia possiamo guadagnare qualche metro di libertà e pensiamo agli aspetti favolosi delle forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa.
Il lavoro agile non è un altro tipo di contratto, ma un modo nuovo di organizzare il vecchio contratto subordinato, aggiornato ed organizzato diversamente, è un problema culturale, le imprese devono uscire dallo schema delle 40 ore settimanali, anche i lavoratori saranno più contenti, sale la produttività e aumentano i salari”.
C’è un continuo imbonimento verso i lavoratori, chi non ha sentito di quanti vantaggi ci sono nel lavorare da casa? Inquiniamo meno perché si riduce il traffico, siamo meno stressati perché ci possiamo organizzare, guadagniamo il tempo che era necessario per raggiungere il vecchio posto di lavoro, possiamo lavorare in un ambiente tranquillo e familiare.
Ma si chiama lavoro agile perché? Agile per chi? Per il datore di lavoro che agilmente guadagna perché un pò di costi li ha eliminati, e poi licenziare lavoratori che sono da remoto  e isolati è forse più semplice, basterà un click.
Infatti si tende a sviluppare l’individualità del lavoratore che tratterà per sè e si ritroverà in una concorrenza fra eguali, gli uni contro gli altri. Così, sarà un attimo ad abbassare il salario o lo stipendio, chi sarà coinvolto in questo modello sarà costretto a modificare i propri tempi di vita per essere sempre più funzionale e produttivo per il “bene/lavoro”.

Una lavoratrice della Pubblica amministrazione di Bologna 
Già prima prima del lockdown era difficile, adesso con l’utilizzo dello smart working diventa ancora più difficile sia creare momenti assembleari che di confronto... Quello però che voglio evidenziare è che con il subentro dello smartworking questo strumento di lavoro sarà adottato nel futuro soprattutto nei posti amministrativi pubblici comuni, regioni, Inps. Così non si avrà più la concezione tra quello che è un ambito domestico e quello che è un ambito lavorativo, molte non staccheranno la spina pur di dimostrare di essere produttive e quindi c'è il rischio di non distinguere più tempi di lavoro e di vita sociale, e ci sarà il rischio della solitudine. Si dovrà fare qualcosa affinchè l’amministrazione non approfitti per peggiorare le condizioni di lavoro. Anche sindacalmente si dovrà intervenire. Quello che voglio evidenziare è che c’è un fattore centrale: il fatto che noi ritorniamo ad essere relegate dentro le quattro mura domestiche e nella famiglia, che ritorna ad essere il pilastro centrale di questa società, ha sempre avuto questo ruolo, ma in questo momento diventa ancora più centrale perché non solo si rafforza il doppio lavoro, quello esterno salariato e quello interno non pagato, ma anche si concentra di più e si rafforza la cultura borghese della famiglia che praticamente diventa ripeto ancora più centrale, quindi diventa rifugio di giovani disoccupati, diventa rifugio di precari, diventa il centro che va a supplire anche al taglio dei servizi e all’aumento dei loro costi, che con la crisi si sta accentuando. Il fatto che la famiglia diventi ancora più fondamentale per l’unità organizzativa di questa società e ne permane anche la veste ideologica, il patriarcato, il sessismo, il maschilismo, è una cosa sulla quale noi ci dobbiamo soffermare e cercare di alzare anche su questo soprattutto la denuncia e la lotta. La crisi in questo momento ci sospinge a ritornare nelle case e restarci perché molte di noi con il covid perderanno il lavoro, dovremo rinunciare di nuovo a diritti che sono stati conquistati con dure lotte. 
Bisogna anche su questo che noi ci coordiniamo, perché  il fatto di essere chiuse in casa aumenta la violenza nei confronti delle donne. E bisogna fare una riflessione costante.

Il lavoro “ibrido” aumenta la produttività… e lo sfruttamento soprattutto delle donne - un contributo

(di Stefano Porcari) - La strada del futuro del lavoro – o almeno di una parte di esso – con il ricorso al lavoro da remoto o smart working,  ha aumentato la produttività e sarà utilizzato dalle aziende anche dopo la pandemia. Di contro – e inevitabilmente – il ricorso massiccio al lavoro da remoto genera timori tra i lavoratrici e lavoratori, preoccupati di dover essere sempre attivi e del venir meno della separazione tra tempo di lavoro e tempo libero dal lavoro. Dunque c’è l’evidente pericolo di un allungamento fattuale della giornata lavorativa.

A riferire lo stato dell’arte e le sue prospettive è un rapporto del Capgemini Research Institute dedicato a “The future of work: from remote to hybrid”.

Il 63% delle aziende afferma che la produttività dei dipendenti ha subito un incremento nel terzo trimestre del 2020. Il merito sarebbe legato alla riduzione dei tempi necessari per raggiungere il luogo di lavoro, alla flessibilità degli orari e all’adozione di strumenti di collaborazione virtuale.

Le aziende stimano un aumento complessivo della produttività del 17% nei prossimi due o tre anni. Il ricorso al lavoro da remoto ha anche ridotto i costi: negli ultimi mesi, l’88% degli imprenditori intervistati ha risparmiato sui costi degli immobili e delle utenze, il 92% prevede di realizzare un ulteriore risparmio nei prossimi due o tre anni.

Il 70% delle imprese ritiene che l’aumento della produttività legato allo smart working sia sostenibile anche una volta terminata la pandemia. Per questo motivo nei prossimi tre anni quasi tre aziende su dieci si aspettano che più del 70% dei propri dipendenti lavorino da remoto. Prima della pandemia di Covid-19 solo un’azienda su dieci affermava di voler puntare così tanto sul lavoro da remoto.

L’aumento della produttività ovviamente si rileva nei settori dove il lavoro da remoto è applicabile. In particolare le attività IT e digitali, seguite dal servizio clienti (60%) e da vendite e marketing (59%). Comparti come il manifatturiero, nei quali la presenza fisica è spesso essenziale, si fermano invece sotto il 50%.

Non altrettanto lusinghiero però è il punto di vista di lavoratrici e lavoratori, preoccupati della possibilità di svolgere l’attività lavorativa da remoto sul lungo periodo. Circa il 56% (il 60% tra i 26 e i 35 anni) teme infatti che venga loro richiesto di essere “always on”, cioè sempre disponibili, anche al di là dell’orario di lavoro fin qui stabilito.

Queste preoccupazioni, secondo il rapporto del Capgemini Research Inistitute, fanno sorgere dubbi sulla possibilità di mantenere un aumento della produttività sul lungo periodo attraverso un modello di lavoro ibrido di successo.

Il rapporto indica quindi la necessità di creare un nuovo modello ibrido, con un mix di lavoro da casa e presenza in ufficio. Non si tratta però solo di spostare un pc: con la nuova organizzazione, è necessario “riconsiderare il modello di selezione” (meno legato alla presenza fisica), “ridefinire la leadership e promuovere autonomia, empatia e trasparenza”, “rinnovare una cultura del lavoro basata sulla fiducia attraverso nuove abitudini collettive” e  “installare una solida infrastruttura per accelerare la modalità di lavoro in digitale”. 

A fronte a questo sostanzioso cambiamento nell’organizzazione e la struttura del lavoro, sindacati come Usb hanno messo nero su bianco le proprie valutazioni. Recentemente a questo è stato dedicato un apposito seminario.

In particolare secondo Usb sul lavoro da remoto ci sono questioni non negoziabili come la volontarietà dell’accesso al lavoro agile soddisfacendo le richieste di chi vuol usufruire di tale modalità lavorativa ed al contempo garantendo a chi vuol rientrare in presenza di farlo in sicurezza adoperando gli altri strumenti di flessibilità previsti.

Ma una volta finita o posta sotto controllo la pandemia, su quali nodi è necessario mettere dei punti fermi? Ad esempio c’è la questione dei costi e delle dotazioni: la strumentazione e i costi fissi devono essere a carico del datore di lavoro e non sopportati dal lavoratore.

Il riferimento non va soltanto ai pc ed alle utenze ma anche a quelli volti a garantire il diritto alla salute ed alla sicurezza in un ambiente, quello di casa, che va messo in sicurezza (per esempio sedie, schermi e scrivania). Ma soprattutto c’è la regolamentazione dell’orario di lavoro.

Lo smart working non può determinare un mutamento della natura della prestazione lavorativa spingendo sull’acceleratore del lavoro per obbiettivi.

La prestazione lavorativa deve essere agganciata e commisurata all’orario di lavoro anche se questo assumerà articolazioni differenti rispetto al lavoro in presenza. Quindi non si tratta solo di garantire il sacrosanto diritto alla disconnessione ma di garantire che il lavoro da remoto non determini un surrettizio aumento dell’orario di lavoro.

16/12/20

Pena ridotta in appello per il carabiniere stupratore seriale di turiste straniere


Dino Maglio, il carabiniere che stuprava le turiste straniere. Limoncello e benzodiazepine per far perdere i sensi, poi lo stupro. Le vittime venivano attirate sulla casa ai colli Euganei con un annuncio su un di sito Couchsurfing, il servizio low cost di ospitalità per turisti. Dino Maglio, ex carabiniere, è stato condannato a 9 anni di carcere per violenza sessuale e riduzione in stato di incapacità.

Di giorno carabiniere, di sera stupratore di turiste. In quattordici hanno accusato Dino Maglio, 37enne di origini pugliesi, di averle drogate e stuprate mentre erano incoscienti. Nel 2019 l’ex carabiniere è stato condannato a 12 anni e otto mesi per quattro casi di violenza sessuale aggravata, procurato stato d’incapacità e concussione, salvo poi vedersi ridurre la pena nel 2020, in Appello, da 9 anni e otto mesi. Già condannato a una pena di sei anni e sei mesi per aver drogato e violentato una liceale australiana di 16 anni, nel 2014, Maglio è salito agli onori delle cronache solo per i casi recenti. Polacche, canadesi, portoghesi, ceche, tedesche e australiane, le prede erano turiste provenienti da tutto il mondo.

La cena con vino avvelenato al Tavor
Si faceva chiamare Leonardo e attirava le vittime in casa propria attraverso il couchsurfing, il servizio di ospitalità low cost per turisti. Al suo annuncio, pubblicato sulla piattaforma americana, rispondevano ragazze di ogni nazionalità che il carabiniere ospitava in casa propria, con diversi benefit, tra cui la cena con vino al Tavor. Quando le ragazze erano incoscienti, approfittava di loro. Alcune conservavano ricordi sbiaditi di molestie e baci ai quali non erano state in grado di opporsi a causa dell’effetto dei narcotici, altre, invece non ricordavano che brevi immagini, ma quasi tutte avevano la certezza di aver subito una violenza.

Nel 2014 la prima denuncia

La prima denuncia arriva nel 2014, quando una studentessa australiana lo accusa di averla stuprata mentre era sua ospite nella casa di Arcella insieme alla madre e alla sorella. La vittima era stata drogata con un cocktail di limoncello e benzodiazepine. La denuncia, tuttavia, non interrompe la catena di stupri. La volta successiva, infatti, tocca a un’armena e poi a un’argentina. A marzo 2015 i poliziotti della Squadra mobile di Padova fanno irruzione nella casa-albergo e sequestrano un computer contente filmati e foto di circa un centinaio di ragazze provenienti da tutto il mondo, materiale pedopornografico e un potente sonnifero.

Un caso virale
La vicenda diventa poi un caso internazionale, quotidiani come ‘The Guardian’ riportano la notizia del militare italiano accusato di stupro, tanto che gli hacker di Anonymous lanciano l’allarme diffondendo l’identikit del militare in rete. Nessuna recensione negativa, invece, sul sito di Couchsurfing: le turiste venivano infatti minacciate di avere guai se avessero postato commenti negativi. Il carabiniere si vantava infatti di poter raccogliere informazioni attraverso i dati del passaporto e del cellulare, minaccia che gli è costata l’accusa di concussione.

Il diritto "civile" a trasmettere ai giovani l'antirazzismo e l'antifascismo è legittimo e non si tocca!

Annullata sanzione prof.ssa Dell’Aria: la libertà di insegnamento è ancora un diritto inviolabile
USB P. I. SCUOLA
15 DIC 2020 — Annullata la sanzione alla prof.ssa Dell’Aria: la libertà di insegnamento è ancora un diritto inviolabile.
Adesso dimissioni del provveditore Anello
Apprendiamo dalla stampa che il tribunale del lavoro di Palermo ha accolto il ricorso della prof.ssa Dell'Aria, che l’anno scorso era stata sospesa per 15 giorni, dopo che i suoi studenti, durante le celebrazioni della Giornata della Memoria, con un lavoro in power point, avevano accostato le leggi razziali al Decreto Sicurezza del ministro Matteo Salvini. L'USB in occasione della sanzione aveva avviato una raccolta firme che aveva visto più di 200mila cittadini esprimere solidarietà alla prof.ssa Dell'Aria, firme consegnate simbolicamente al provveditore Marco Anello insieme alla richiesta di sue dimissioni. La sentenza di Palermo oltre a rendere giustizia alla prof.ssa Dell'Aria, ristabilendo il valore assoluto della libertà di insegnamento, evidenzia le gravi colpe del provveditore Anello, reo di essersi macchiato di un atto di servilismo nei confronti delle richieste della destra fascista più becera, colpendo il valore costituzionale della libertà di insegnamento e dimostrando tutta sua gestione autoritaria.
Evidenziamo il pericolo derivante dalla necessità di ricorrere ad un tribunale per fare valere i diritti individuali e collettivi sanciti dalla Costituzione e costantemente attaccati da organizzazioni politiche e sindacali sempre più orientate a restringere gli spazi di libertà.
USB Scuola proseguirà nelle azioni di riaffermazione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e nella richiesta di rimozione dall'incarico di un provveditore come Marco Anello il cui lavoro è stato orientato non al bene della cosa pubblica ma all'interesse del politicante di turno.

15/12/20

Siamo tutte vicine e solidali con le lavoratrici della Yoox in lotta

Estendiamo anche in altri posti di lavoro il punto della piattaforma delle donne/lavoratrici che dice: 
- NO a discriminazioni legate allo stato familiare, maternità, razza, orientamento sessuale, nelle assunzioni, licenziamenti e nella vita lavorativa

Andiamo unite verso la "Giornata d'azione" di gennaio per unificare le lotte delle lavoratrici dal nord al sud, per mandare un "grido forte" a livello nazionale a tutti i padroni, al governo, per portare ovunque la nostra piattaforma e farne arma di ribellione, di lotte estese dovunque c'è doppio sfruttamento, discriminazioni, oppressione, attacchi ai diritti delle donne lavoratrici, per contribuire ad un ruolo di prima fila delle lavoratrici nello sciopero generale del 29 gennaio. 
Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe

Sabato 12 dicembre le lavoratrici della Yoox, in lotta da oltre un mese insieme a centinaia di lavoratori e solidali, si sono prese il centro della città.
Un corteo colorato ma determinato che davanti ad una città frenetica e in crisi da shopping, ha rimesso all’ordine del giorno, le ragioni della loro lotta: l’imposizione unilaterale di un cambio dei turni di lavoro che impedisce alle operaie di immaginarsi in un qualunque tipo di futuro, i ripetuti atteggiamenti razzisti e discriminatori esercitati nei loro confronti, la riduzione delle pause, il mancato riconoscimento di buoni pasto mentre i padroni dell’ e-commerce festeggiano una crescita esponenziale dei profitti.
Il presidio convocato in Piazza Maggiore ha condiviso le ragioni della lotta raccontata nei numerosi interventi delle operaie.
L’assemblea si è presto trasformata in un corteo che ha raggiunto la Prefettura, l’istituzione che rappresenta il governo sul territorio e che dall’inizio di questa grave vicenda è rimasta silente di fronte alle numerose richieste di intervento.
Istituzioni disinteressate da ciò che succede alla Yoox, forse consigliate a questo silenzio da chi ha interesse, per responsabilità diretta a silenziare e isolare questa lotta che va oltre le operaie che la stanno portando avanti e che mostra tutte le responsabilità anche dei sindacati confederali
Il corteo è poi proseguito arrivando davanti al comune di Bologna, dal quale è sopraggiunto un flebile vagito da chi governa questa città che nulla ha smosso.
E sotto l’albero luccicante di Natale sono stati lasciati in dono alla città e alle sue istituzioni dei pacchi contenenti ciascuno le difficoltà quotidiane che queste coraggiose operaie stanno vivendo e che siamo certi condividano con molte altre lavoratrici soprattutto in questo periodo.
La determinazione delle lavoratrici del S. I. Cobas e di chi le sostiene, la certezza della loro ragioni, la difesa del proprio futuro di donne, la dignità di lavoratrici, la determinazione della lotta sono le armi a disposizione contro un sistema predatore, di cui la Yoox fa parte, che tenta di determinare non solo i tempi di lavoro, ma anche quelli di vita.
S.I. Cobas Bologna
Qui un video della manifestazione delle compagne lavoratrici Yoox a Bologna:https://www.facebook.com/baklou.kaka/videos/4240940592588039
"Due giorni fa un camion ha cercato di investire le scioperanti provando a forzare il picchetto davanti allo stabilimento".

DA UN COMUNICATO DELLE LAVORATRICI DELLA YOOX:
Siamo le operaie che lavorano da anni negli appalti Yoox, il colosso dell’e-commerce dell’abbigliamento, che nel mondo vende la sua immagine di azienda “sensibile”, che si cura dei bambini, della diversità e delle persone.
Noi però lavoriamo dall’alba alla sera dietro i vetri scintillanti della grande sede dell’Interporto di Bologna. Siamo quasi tutte donne che lavorano per vivere e costruirsi un futuro, siamo madri che

14/12/20

Gli interventi dalle assemblea donne/lavoratrici del 17 settembre e 19 novembre - 3 - Le lavoratrici in lotta di Palermo: "Nella lotta noi lavoratrici abbiamo una marcia in più..."


Questa pandemia ha colpito ancora di più la nostra condizione di lavoro. Siamo assistenti igienico personale agli studenti disabili nelle scuole statali, perchè ormai rappresentiamo le lavoratrici precarie di tutta la Sicilia che si stanno man mano unendo alla lotta esemplare dello Slai cobas sc  e delle lavoratrici di Palermo.
Noi è da marzo che non lavoriamo più, il lockdown ci ha rinchiuso a casa forzatamente, però nonostante questo abbiamo usato altri mezzi per contrastare i danni che subiamo tutti i giorni.
Il 9 marzo comunque siamo scese in piazza in occasione dello sciopero delle donne. Abbiamo dovuto fare i conti con le restrizioni dei DPCM però abbiamo dato ugualmente un segnale forte e non ci siamo arrese. Siamo tornate poi di nuovo in campo più aperto da giugno. In questo momento viviamo una condizione assurda perché non abbiamo più disoccupazione, non abbiamo percepito ancora mesi di cassa integrazione o fis, e in questo momento siamo disoccupate.
La lotta per il nostro lavoro è una lotta che dura da tantissimi anni e in questo momento è una lotta molto più serrata, la regione Sicilia e quindi il presidente della Regione e i suoi Assessori, hanno deciso di cancellare questo nostro servizio e di trasferirlo illegittimamente ad altre figure che sono già all’interno della scuola tra cui i collaboratori scolastici, una decisione chiaramente solo per mero risparmio che ci danneggia ulteriormente, cioè noi siamo lavoratrici che prestiamo questo servizio da più di 25 anni, ognuna di noi ha famiglia, figli, ci sono donne separate, donne che hanno difficoltà ad andare avanti, un pò come tutte, come in tanti settori. Abbiamo continuato a portare avanti la nostra battaglia all’interno dei palazzi del potere abbiamo fatto varie  manifestazioni, incontri su incontri. Ci sono stati  momenti abbastanza caldi e concitati perché la rabbia è tantissima contro i palazzi del potere che ci vogliono relegare a casa, che ci privano del nostro diritto al lavoro e della nostra dignità di vita. Ma ci fa sempre più forti questa rabbia, noi non ci stiamo e continuiamo a lottare. 
Abbiamo conosciuto tante realtà siciliane di assistenti come noi che si trovano a fare i conti con un lavoro che è già precario. Ma porto un esempio concreto: abbiamo delle lavoratrici di Aci Sant’Antonio, un comune in provincia di Catania, che grazie alla lotta hanno ripreso a lavorare ma solo per per due ore al giorno, cioè due ore al giorno significa portare forse 300 euro al mese a casa che non consentono assolutamente di fare nulla, quindi la precarietà nella precarietà, sì hai un lavoro ma questo non ti consente di vivere in maniera dignitosa.
Tra l’altro l’emergenza covid sta facendo un favore alla Regione perché ci impedisce un pò di muoverci come ci muovevamo solitamente noi, molte lavoratrici che vengono dai paesi non si possono spostare per partecipare attivamente alla lotta. Però questo se da un lato ci ha un poco preoccupate, dall'altro abbiamo trovato comunque il modo per agire lo stesso, poi alla fine la giustezza di quello che facciamo è talmente grande che anche se in un numero più ridotto sicuramente non ci fermiamo.  
Noi siamo pure lavoratrici che abbiamo subito repressione, il 30 ottobre a noi è iniziato il processo per una iniziativa che avevamo messo in campo. Ma anche da questo punto di vista siamo riuscite a trovare la grinta per affrontare questa repressione ingiusta che è uno strumento che la borghesia, i padroni e i governi  utilizzano per intimorirci, per non portare avanti quelle che sono le nostre ragioni in difesa dei nostri diritti. Noi abbiamo detto durante l’iniziativa che abbiamo fatto il 30 ottobre in occasione dell’inizio del processo: se toccano una toccano tutte! Io credo che questo sia un punto sul quale dovremmo trovare la forza, una unione per attivarci tutte insieme e contrastare la repressione, perché fa parte della lotta più generale, è un altro aspetto di questa lotta. A Palermo guardiamo sempre anche alle altre realtà di lavoratrici che vengono represse perché, non bisogna mai guardare solo al proprio orticello, la solidarietà è importantissima. Noi siamo state lavoratrici che in occasione del processo alle lavoratrici dell’Italpizza abbiamo fatto nelle varie città delle iniziative di solidarietà, a Palermo in particolare abbiamo  messo degli striscioni nei vari punti della città, in altre città come Taranto hanno messo dei cartelli al tribunale, a Catania, dove abbiamo partecipato il 3 ottobre alla manifestazione per il processo che c’è stato contro Salvini, abbiamo portato un volantino appunto in solidarietà alle lavoratrici dell’Italpizza.  
...siamo comunque “gocce di uno stesso mare” che sicuramente vede in un contesto più generale tante lavoratrici, precarie represse, perchè lottano per i propri diritti, per la propria dignità, per una vita migliore.
Le donne ancora oggi danno fastidio, non solo ai padroni, ai governi, danno fastidio agli uomini, un poco a tutti in generale, probabilmente perché abbiamo sempre quella marcia in più. E quindi su questo bisogna fare fronte comune. Ci processino pure! La repressione è uno strumento così vile che utilizzano proprio perché ci vogliono fermare
Dobbiamo andare avanti, stiamo andando avanti con forza con determinazione anche se è dura e difficile. Il nostro è un cobas più di donne lo dico per far capire che realmente abbiamo una forza in più nonostante i nostri acciacchi, i problemi di salute, famiglia. In piazza mostriamo sempre quella marcia in più e ci distinguiamo anche dagli uomini, checché se ne dica dei nostri lavoratori, anche con un temperamento non indifferente... 
Il lavoro per noi donne è ancora più importante di qualsiasi altra cosa, perché ci aiuta ad essere più indipendenti e ci può aiutare anche a sganciarci da situazioni familiari pesanti che si possono vivere, è il caso di alcune precarie che lottano. E’ quindi è una lotta doppiamente necessaria anche se difficile... Alcune di noi, infatti, devono lottare doppiamente: mentre alcune si ritrovano a casa familiari, mariti che comprendono la necessità di difendere il posto di lavoro, altre invece si devono scontrare anche con i mariti, con i figli, con chi vive sotto lo stesso tetto, ma anche con altri familiari. A volte quando una parla della lotta magari con orgoglio, perché è un orgoglio lottare per la difesa del posto di lavoro per la difesa dei propri diritti, gli altri quasi quasi ti guardano come per dirti: ma sì, ma dai, ma va “lavati i piatta” - detto proprio in siciliano - perché è come se non comprendessero la necessità di quello che è giusto fare.
Noi abbiamo tutte le ragioni di portare avanti tutta la nostra rabbia, le nostre lotte per affermare i nostri diritti... la solidarietà che abbiamo ricevuto da parte di tutte, di tante lavoratrici precarie ci fortifica, ci fa andare avanti con maggiore forza e ci dà coraggio.