29/11/14

Milano integralisti cattolici ancora in azione

continuano a raffica e in maniera articolata le "iniziative" degli integralisti cattolici, Milano sembra diventata il crocevia: le pregiere davanti agli ospedali, cortei contro 194, infermiere che negano l'accesso a giovani per la richiesta della pillola del giorno dopo... A pochi giorni dall'"invito" del Papa ai medici cattolici ad "essere coraggiosi ed andare controcorrente" nell'obiezione di coscienza in tema di IVG-in un Paese in cui l'obiezione si attesta intorno al 70%! il coraggio richiesto, invece, è contro l'ideologia dominante troppo "materialista"- si viene a sapere dell'ennesima iniziativa, questa volta in una scuola, dell'integralista di turno per "dissuadere" preventivamente le studentesse a far ricorso a un'interruzione di gravidanza, con i metodi, questi sì, violenti degli antiabortisti che amano utilizzare immagini shock per le loro campagne, ma anche metodi di intimidazione, lugubri, criminalizzanti verso le donne. E, ancora una volta, la Curia di Milano si "sfila"! Tutta la nostra solidarietà e sostegno alle studentesse che hanno giustamente denunciato la violenza subita!

mfpr- Milano

Milano il prof di religione proietta un film anti aborto: il preside e la Curia lo sospendono

Al liceo Cardano un filmato shock girato negli anni Ottanta da un ginecologo e fatto vedere in classe per spiegare alle studentesse di 16 anni come si fa un’interruzione di gravidanza

di TIZIANA DE GIORGIO e ZITA DAZZI

Il documentario su un aborto chirurgico mostrato a scuola, durante l’ora di religione, con un’ecografia in cui si vede nel dettaglio l’eliminazione del feto. Un filmato shock girato negli anni Ottanta da un ginecologo pro life e fatto vedere in classe per spiegare alle studentesse di 16 anni come si fa un’interruzione di gravidanza. E convincerle a non farlo. È successo all’istituto superiore Cardano di Milano.

Circa due settimane fa per una classe di terza liceo scientifico dell’istituto in zona San Siro è un’ora di religione come tutte le altre. L’insegnante, G.N., cinquantenne e nell’istituto da otto, entra in aula armato di proiettore. A lezione con lui si è parlato più volte di aborto, con gli studenti divisi fra pro o contro. Ma questa volta è diverso. Bisogna «capire davvero», dice il docente ai ragazzi. Sul muro, nell’aula a luci spente, iniziano a scorrere le immagini dell'Urlo silenzioso, mezz’ora di immagini dirette e girate dall’americano Bernard Nathanson nel 1984. «Per la prima volta guarderemo un bambino mentre viene dilaniato, smembrato, disarticolato, stritolato e distrutto dai gelidi strumenti d’acciaio dell’aborzionista», rimarca il medico guardando la telecamera. Poi 30 minuti di immagini fortissime, con un feto in primo piano.

Gli studenti ammutoliscono, soprattutto le ragazze. Alcune di loro escono dall’aula sconvolte, incrociano un professore che esce da un’aula vicina, scoppiano in lacrime. «Così è troppo», si sfogano. La stessa cosa la diranno a casa i genitori. La prima a muoversi per capire cosa sia successo è la scuola, contattata dalle famiglie: dopo una settimana di indagini sull’accaduto, il preside Alfredo Petitto decide di sospendere l’insegnante. «Mi sono mosso per garantire in tutti i modi gli studenti, in accordo con la Curia», spiega. E in effetti in arcivescovado il caso è noto, anche se ovviamente si sarebbe preferito che restasse coperto o che per lo meno a denunciarlo non fossero stati gli studenti.

Anche questa volta — come dopo il recente incidente sull’inchiesta segreta per conoscere le scuole dove ci sono iniziative sul tema gay — la Diocesi si prende la responsabilità per quel succede a scuola nell’ora di religione e adotta le contromisure, senza negare l’accaduto. Il prof che ha mostrato il video choc non potrà più insegnare la materia, per mancanza dei requisiti minimi. «A seguito della segnalazione di alcuni genitori del liceo Cardano di Milano al preside dell’istituto — si legge nel comunicato della Diocesi — il 10 novembre il Servizio insegnamento della religione cattolica della diocesi di Milano ha avviato la procedura di revoca dell’idoneità all’insegnamento della religione cattolica del professore G.N. per il venire meno della necessaria “abilità pedagogica”, ai sensi del canone 804 comma 2 del Codice di diritto canonico».

La nota è di don Giambattista Rota, il nuovo responsabile del Servizio, alla seconda “grana” da quando ha preso il posto di don Michele Di Tolve, il vecchio direttore dell’ufficio. Di Tolve era un fanatico della formazione dei suoi 7mila insegnanti, ma evidentemente qualche cosa deve non aver funzionato nel caso del professore. In rete si trova facilmente il suo sito Internet, una vetrina piena di link ad archivi di foto personali, dove accanto alle immagini di lui genuflesso che prende l’eucarestia in Duomo, ce ne sono molte altre in compagnia di una folla di fanciulle poco vestite.

Iglesias. 37 donne occupano la miniera

La nostra massima solidarietà!


37 donne, in Sardegna, hanno indossato passamontagna, casco e sciarpe e sono scese in miniera per occuparla. Lanciando così il grido di un'isola – un'intera regione – che sta affondando nella disoccupazione e che quindi vede con rabbia un presidente del consiglio irridente che parla a vanvera di “posti di lavoro creati”.
Le lavoratrici che dall'alba di ieri hanno chiuso alle proprie spalle il cancello della miniera di Monteponi, protestano perché – da dipendeti Igea – non hanno visto arrivare gli stipendi di ottobre e novembre. Ma è innanzitutto il futuro produttivi dell'azienda – che, ricordiamo, è di proprietà della Regione Sardegna e si occupa di manutenzione e bonifiche di siti come le ex miniere o la cava di Furtei, nel Medio Campidano – a preoccupare di più.
La stessa forma di lotta era stata adottata qualche settimana fa a Lula, in provincia di Nuoro, dagli operai della stessa Igea, che non avevano ricevuto lo stipendio neppure dopo aver raggiunto l'ennesimo “accordo” alla Regione.
La miniera di Villamarina, occupata dalle donne ieri, è stata più volte teatro di clamorose proteste negli ultimi quindici anni. Ed un altro gruppo ha occupato il “pozzo T” della miniera di Campo Pisano, da cui si controllano le pompe per l'acqua destinata ad Iglesias. Di conseguenza, il gestore dell'acqua ha chiuso le fornitura fino alle cinque di stamattina; ma da stasera alle 22 dovrebbe essere di nuovo sospesa.
"L'iniziativa da parte delle donne - spiegano le lavoratrici - nasce dalla volontà di volere far emergere le difficoltà che quotidianamente si trovano ad affrontare come madri, compagne, mogli e lavoratrici sfatando il luogo comune secondo cui alle donne tradizionalmente era precluso l'accesso al sottosuolo". Sotto accusa è la Regione (che naturalmente rinvia tutto al taglio dei trasferimenti decisi dal governo nazionale), responsabile "dell'ennesimo venir meno degli impegni assunti".
Se la situazione non verrà sbloccata rapidamente le donne si dicono pronte all'occupazione a oltranza: "Noi non abbiamo paura". L'assessore all'Industria, Maria Grazia Piras, ha convocato i sindacati per martedì. Ma ha anche premesso che l'impegno della giunta Pigliaru, attualmente alla guida della Regione, è "trasformare Igea in una società con costi e ricavi in equilibrio. Questa Giunta, che ha ereditato una situazione disastrosa, ha fatto una scelta ben precisa: tenere in vita l'azienda e ridarle un ruolo".
In queste ore fioccano naturalmente le rassicurazione verbali, ma le lavoratrici e i loro colleghi vogliono vedere impegni chiari, scritti nero su bianco. La Regione si dice impegnata a garantire risorse adeguate nel bilancio 2015. Ma la gestione è in mano a un commissario liquidatore, peraltro non ancora pienamente operativo, incaricato di stendere un piano per portare l'azienda l'azienda a un equilibrio finanziario.
Insomma: tra “rassicurazioni” e azioni concrete della Regione c'è un baratro enorme, da cui emana un forte odore di presa per i fondelli, finalizzata a ridurre la conflittualità, prendere tempo e creare una situazione di fatto irreversibile.

Giovane attivista basca violentata dalla polizia in un CPT


Si parla del Marzo del 2011, quando l’organizzazione armata Eta da tempo aveva dichiarato un cessate il fuoco unilaterale. La magistratura spagnola ordinò l’ennesima retata nella provincia basca della Bizkaia e molti militanti e attivisti della sinistra indipendentista finirono arrestati e condotti nei commissariati della Guardia Civil.
Tra questi anche Beatriz Etxeberria: la donna, dopo i cinque giorni di ‘incomunicaciòn’, cioè di isolamento totale che la legge concede alle forze dell’ordine in caso di sospetti di ‘terrorismo’, denunciò di essere stata torturata e violentata dai poliziotti nella cella di un commissariato di Madrid. I media spagnoli, come sempre, si guardarono bene dal riprendere la denuncia della giovane basca. Da tempo, d’altronde, magistrati e politici hanno spiegato che “l’Eta ordina ai suoi, quando vengono catturati, di gridare alla tortura”; e quindi che denuncia gli abusi e le violenze, in base a questo fine ragionamento, confermano paradossalmente di appartenere all’organizzazione armata. Neanche nel Paese Basco ci fu particolare attenzione per quanto era avvenuto, a parte le formazioni di sinistra e delle organizzazioni per i diritti dei prigionieri e contro la repressione. Neanche alcuni dei partiti che pure sabato scorso hanno convocato la grande manifestazione di Bilbao si erano preoccupati molto di quanto denunciava Beatrix Etxeberria.
Ma il caso ora è arrivato fino al Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT) che l’ha inserito nella relazione relativa all’ispezione dei suoi membri nell’aprile del 2011. Secondo il CPT la denuncia della donna è “credibile e consistente”. Secondo il Comitato europeo molti degli arrestati dei primi sei mesi del 2011 furono torturati: alcuni di loro si videro applicata la ‘bolsa’ – una busta di plastica in testa per asfissiarli – oppure furono obbligati a fare esercizi fisici fino allo svenimento. Afferma poi la relazione a pagina 16: “Una terza persona ha ricevuto schiaffi e pugni durante il trasferimento a Madrid da parte della Guardia Civil, e nel corso del primo interrogatorio nel commissariato di via Guzman el Bueno la fecero spogliare, la avvolsero al suolo in una coperta e la colpirono ripetutamente. Poi ha raccontato che durante un altro interrogatorio, mentre aveva la busta di plastica in testa, le applicarono vasellina nella vagina e nell’ano e le introdussero un palo di legno nel retto, continuandola a minacciare di altri abusi sessuali se non avesse parlato. Disse che la mantennero nuda ogni volta che veniva interrogata (…), e dopo averla bagnata con acqua le attaccarono al corpo degli elettrodi minacciandola di torturarla con l’elettricità”. Aggiunge poi la relazione del CPT: “Gli abusi cessarono quando alla fine decise, l’ultimo giorno di isolamento in commissariato, di rendere una dichiarazione. Le denunce di maltrattamenti e di violenza sessuale furono registrate nella relazione del medico forense appena conclusa la incomunicaciòn”.
E’ lo stesso Comitato Europeo a spiegare perché le denuncia della donna sono credibili e perché è stata sottoposta a tortura: “stando alle informazioni raccolte, sembra che lo scopo dei maltrattamenti fosse quello di ottenere che la persona arrestata firmasse una dichiarazione (cioè una confessione) prima che si concludesse il periodo di incomunicaciòn”.
Il caso è ritornato alla ribalta perché la relazione del Cpt è stata pubblicata – con due anni di ritardo – insieme alle note di competenza del governo spagnolo. Curiosamente, nonostante le note spagnole riempiano 205 pagine contro le 102 totali della relazione del Cpt, nella parte di competenza di Madrid non c’è accenno alle denunce dei prigionieri baschi. Anzi, i funzionari spagnoli affermano che i prigionieri baschi – pardon, terroristi – sono stati trattati con i guanti bianchi e che le denunce rispondono alla propaganda dell’Eta che vuole mettere in cattiva luce le istituzioni di Madrid.
Il Cpt insiste chiedendo alle autorità spagnole di portare avanti “una indagine rigorosa e indipendente sui metodi utilizzati dagli ufficiali della Guardia Civil quando arrestano o interrogano dei prigionieri” e pretende “di ricevere entro tre mesi un rapporto dettagliato sulle azioni adottate per rendere effettive le sue raccomandazioni” ricordando che la Spagna si guarda bene, sistematicamente, dall’indagare denunce di tortura che pure lo stesso organo europeo di controllo ha segnalato a Madrid come credibili – come quelle di Mikel San Argimiro, Aritz Beristan e Martxelo Otamendi.
La Etxebarria non fu l’unica a subire torture durante la retata del marzo del 2011. Un altro degli arrestati, Daniel Pastor, finì in ospedale dopo l’arresto, ma ufficialmente a causa di ‘atti di autolesionismo’.
Naturalmente i collettivi baschi che si occupano della lotta contro la pratica della tortura in Euskal Herria – Tat e Behatokia - salutano con favore il fatto che il Cpt abbia raccolto una loro denuncia. Ma si chiedono quando alle parole seguiranno fatti concreti.

28/11/14

Mfpr in Galizia - scatenare la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione!

Un forte abbraccio alle compagne MFPR in partenza per la Galizia per portare la rossa
bandiera del movimento femminista proletario rivoluzionario

REGIME TURCO/ERDOGAN - ISIS DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA - L'MFPR AVEVA PERFETTAMENTE RAGIONE...

Un ex dell'Isis racconta: “La Turchia sostiene lo Stato Islamico” (da un articolo su Contropiano di )
Non sono mancate in questi ultimi anni, e particolarmente in questi ultimi mesi, le prove, i documenti e le testimonianze che dimostrano un legame fortissimo tra l’amministrazione turca e le forze armate di Ankara e le milizie jihadiste dello Stato Islamico. Un legame duraturo che sta resistendo anche ad un parziale voltafaccia da parte delle potenze occidentali e di alcune petromonarchie arabe che, se inizialmente hanno sostenuto la nascita dell’Isis o ne hanno addirittura favorito l’espansione, dalla scorsa estate hanno ufficialmente disconosciuto quelli che fino a quel momento erano considerati e descritti come ‘combattenti per la libertà’ e comunque tollerati perché utili nella strategia globale di destabilizzazione del governo siriano e di quello iracheno (troppo legato a Teheran) e del radicamento di Hezbollah in Libano. La Turchia non ha mai fatto mistero di considerare i miliziani jihadisti un male minore rispetto al governo di Bashar al Assad e anche rispetto ai curdi siriani...



...il regime turco continua a sostenere le milizie jihadiste in vario modo: impedendo agli attivisti e ai combattenti curdi di passare la frontiera con la Siria per andare a difendere Kobane dagli assalti dell’Isis; permettendo ad Al Baghdadi di addestrare i propri uomini in campi realizzati nel sud della Turchia, territorio nei cui ospedali si curano i miliziani feriti; permettendo che gli islamisti passino la frontiera con la Siria altrimenti impenetrabile, con al seguito convogli pieni di armi e apparati logistici. Video postati in rete alcune settimane fa, d’altronde, hanno mostrato a tutto il mondo le scene di fraternizzazione tra alcuni militari turchi e alcuni guerriglieri dello Stato Islamico mentre il ritrovamento di alcuni passaporti e piastrine militari turche in un covo dell’Isis conquistato dalle milizie curde ha fatto sorgere il “sospetto” che nelle milizie sunnite che operano in Siria e Iraq ci sia la presenza di militari e agenti dei servizi turchi.
E, nei giorni scorsi, è stato il racconto di quello che alcuni media hanno presentato come un ex membro dell’Isis a gettare una luce ancora più chiara sulle sinergie in atto tra regime turco e bande islamiste.
“Sherko Omer”, pseudonimo di un ex tecnico delle comunicazione che lavorava per lo Stato Islamico, ha raccontato alla rivista statunitense Newsweek che lo scorso febbraio avrebbe viaggiato, come parte di un’unità dell’ISIS, in un convoglio di camion dalla loro roccaforte a Raqqa (Siria) fino alla Turchia, per poi tornare indietro dopo essersi riforniti per attaccare i curdi nella città di Serekaniye nella Siria settentrionale. “Il comandante dell’IS ci ha detto di non temere nulla perché c’era piena collaborazione con i turchi, e ci ha rassicurati che non sarebbe successo nulla, soprattutto perché questo è il modo in cui viaggiano regolarmente da Raqqa e Aleppo verso le aree curde più in là nel nordest della Siria, perché era impossibile viaggiare attraverso la Siria perché le YPG [Unità di autodifesa del Kurdistan siriano] controllavano la maggior parte della regione curda” ha detto Omer in merito al doppio passaggio tramite la frontiera tra Siria e Turchia. “Mentre cercavamo di passare il posto di confine di Ceylanpinar, la luce di sorveglianza dei soldati turchi ci ha individuati. Il comandante ci ha detto di stare calmi, restare in posizione e di non guardare la luce. Ha parlato di nuovo alla radio in turco e noi siamo rimasti nelle nostre posizioni. La luce di sorveglianza si è poi spostata circa 10 minuti più tardi e il comandante ci ha ordinato di muoverci perché (...) era il segnale che potevamo attraversare il confine verso la Siria senza correre rischi.”...
"Isis e Tirchia collaborano sul campo sulla base del fatto che hanno un nemico comune da distruggere, i curdi” ha aggiunto Omer...
Da tempo i curdi siriani denunciano l’attivo sostegno del regime turco ai jihadisti che attaccano le città del Rojava. “Abbiamo prove più che sufficienti che l’esercito turco da ai terroristi di ISIS armi, munizioni e gli permette di attraversare i valichi di confine ufficiali turchi per consentire ai terroristi di ISIS di avviare attacchi disumani contro il popolo curdo nel Rojava” ha detto qualche tempo fa Polat Can, uno dei portavoce delle Ypg.
Intanto, secondo numerose fonti, lo scorso 2 novembre l’organizzazione di Al Baghdadi avrebbe stretto un vero e proprio accordo di alleanza con il Fronte Al Nusra, sezione di Al Qaeda in Siria. Alla riunione vicino ad Aleppo, inoltre, avrebbe partecipato anche un comandante dell’Esercito Siriano Libero, un coordinamento di forze per lo più islamiste radicali e in certi casi liberali e nazionaliste che secondo Ue, Stati Uniti, Turchia e petromonarchie dovrebbe costituire “l’alternativa all’Isis” nella gestione della Siria dopo la destituzione violenta del governo attuale di Damasco....

L'MFPR aveva perfettamente ragione
quando ha lanciato nel convegno dell'11 ottobre alla Casa internazionale delle donne e alla manifestazione del 1° novembre in solidarietà con i kurdi l'appello ad un presidio delle donne sotto l'ambasciata turca, spiegando le due ragioni per cui era giusto e necessario:
1) perchè vogliamo sostenere le nostre sorelle curde che combattono per la difesa di Kobane e Rojava; le combattenti curde sono in prima fila nella lotta di tutto il popolo curdo e insieme portano avanti la battaglia per la liberazione sociale delle donne; esse mandano un messaggio a tutte le donne che deve essere raccolto dalle donne del nostro paese;
2) perchè vogliamo denunciare il ruolo complice dell'Isis della Turchia, come dei regimi arabi, come degli imperialisti, Usa ed europei. Questo secondo aspetto è altrettanto importante e ci spetta, a noi donne che viviamo in uno di questi paesi imperialisti.

Oggi la Turchia in questa battaglia dei nemici del popolo curdo assume un ruolo di punta nello schiacciare la rivoluzione in Rojava.
Se vogliamo essere al fianco delle donne, combattenti curde che difendono con la vita Rojava per tutto quello che significa anche per le donne, noi dobbiamo lottare contro chi, Turchia, imperialismo... fa una finta opposizione all’ISIS mentre l'ha fornita di armamenti, dollari; come dobbiamo smascherare l'autorizzazione al passaggio di poche centinaia di curdi di Barzani (quelli, sì, che si affidano all'aiuto dell'imperialismo Usa) a fini di autopropaganda, mentre lascia morire ai suoi confini migliaia di curdi, donne, bambini. Questa lotta ci tocca!"

E' grave che questo appello non sia stato raccolto, anche da parte di forze di donne che si dicono al fianco delle combattenti curde e denunciano quello che succede a Kobane; così è stata una scusa l'obiezione proveniente da una organizzatrice del convegno dell'11 ottobre, secondo cui il presidio sotto l'ambasciata turca doveva essere escluso perché la lettura che i media inevitabilmente (erratamente e strumentalmente) ne avrebbero dato è che si chiede un intervento militare della turchia... 

L'MFPR, dopo aver cercato comunque fino all'ultimo di realizzare un presidio sotto le Istituzioni complici dei massacri contro i curdi, l'ha poi fatto nella giornata del 25 novembre sotto l'ambasciata turca e l'ufficio culturale turco, e anche in altre città è stata l'unica realtà che ha portato in ogni iniziativa la parola d'ordine: con le combattenti curde, contro Isis, Turchia, imperialismo.
E pur se realizzato con pochissime forze, a dimostrazione della sua importanza, ha avuto un eco internazionale ed è stato pubblicato su Rojava Breaking News:

pubblicato su Rojava Breaking News

Solidarity from Italy
In front of the Turkish Embassy and the Ministry of Defense, November 25, the International Day for the Elimination of Violence against Women -#Kobane
Read more / More photos:
 
e su UIKI onlus in italiano
 

27/11/14

"Amore criminale"? ma quale amore, è odio verso le donne!

E questa trasmissione può nuocere gravemente alla salute delle donne...
Di seguito una comunicazione alla Rai della Psychology and Psychotherapy Research Society, concernente i primi esiti di uno studio in corso. Se avete avuto almeno una volta la pazienza di seguire tutta la trasmissione, abbiatene altrettanta ora per leggere tutto il documento, è illuminante oltre che allarmante.
Buona lettura
 

Da nord a sud, il nostro 25 novembre è anche al fianco delle donne kurde, contro l'Isis e l'imperialismo

Striscioni a Milano
Palermo
Taranto

25 novembre a Taranto: le doppie catene spezziamo!


Il 25 novembre a Taranto è stato soprattutto delle donne disoccupate, lavoratrici delle pulizie, del commercio, precarie, delle donne che lottano tutti i giorni per il lavoro, contro la precarietà e le condizioni vergognose di lavoro, per il salario garantito, e che vedono in questa lotta anche la possibilità, necessità di rompere le catene della subordinazione nella famiglia, del rapporto spesso possessivo dei loro uomini.


Queste donne ieri hanno "occupato" il cuore della città, la via centrale, mettendo striscioni dovunque, a terra, appesi ai portoni, circondando con le corde con cartelli tutta una zona, facendo interventi di denuncia soprattutto verso le istituzioni, dicendo che negare lavoro, diritti da parte dello Stato, del governo, dei padroni per le donne vuol dire anche violenza; per questo sono stati gridati slogan contro ogni forma di oppressione, di violenza contro le donne. 



Ma non è stata solo un'iniziativa di denuncia. Le disoccupate, le lavoratrici hanno detto che le donne non devono solo lamentarsi, ma lottare, per le condizioni di vita di oggi ma soprattutto perchè tutta la vita e questo barbara società deve cambiare, per fare la rivoluzione.

Anche da Taranto unità con le combattenti curde.


Intanto, con l'aiuto delle commesse del vicino negozio Golden Lady che ci hanno dato una mano tecnica, andavano dei video sulle lotte delle donne, da Taranto a Palermo, a Roma, sullo "sciopero delle donne" dell'anno scorso, ma anche sulle mobilitazioni delle donne a livello internazionale, dalla Germania all'India, alla Turchia, ecc. 


Ieri non è stata solo una giornata di rabbia, di denuncia ma anche di gioia, perchè unite, in lotta siamo più forti. Per questo la serata si è conclusa con le "pettole", ciambelle, canzoni "E ti lamenti, ma che ti lamenti...; bella ciao..." e con brindisi che hanno coinvolto anche la gente che passava.
Appuntamento alle prossime iniziative di lotta tra pochi giorni...


MFPR Taranto

26/11/14

25 novembre Palermo... MODERNO MEDIOEVO DOPPIA VIOLENZA E OPPRESSIONE, DONNE IN LOTTA PER LA RIVOLUZIONE

Ad un anno dallo storico Primo Sciopero delle Donne che ha visto il raggiungimento di un obiettivo nuovo e per nulla scontato nel nostro paese con la partecipazione di tante donne, ieri 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne,  a Palermo alcune  lavoratrici della scuola, precarie delle coop sociali, lavoratrici del policlinico e del comune, ex puliziere, casalinghe/mamme, giovani disoccupate, studentesse universitarie e di scuole superiori si sono ritrovate ancora una volta in piazza per continuare il nostro percorso di DOPPIA LOTTA contro gli stupri, la violenza sessuale e  tutta la doppia oppressione imposta da questo sistema alla maggioranza delle donne di cui il feminicidio e la violenza sessuale sono il risvolto più tragico e barbaro.




 Un sit-in vivace con la continua denuncia e slogan , molto visibile per via degli striscioni, pannelli, locandine, il banchetto con diversi materiali che hanno incuriosito i passanti e che si è diffuso, in particolare il dossier sulle Uccisioni delle donne e sullo Sciopero delle donne prodotti dal Mfpr, così i tanti volantini.






 Un sit-in arricchito effettivamente non solo dalla presenza combattiva delle lavoratrici ma anche dalla fresca presenza di alcune giovanissime studentesse che hanno posto in termini critici la questione che nelle scuole ordinariamente si parla comunque poco di queste tematiche, anche se in questi giorni in alcune scuole occupate di Palermo, dove anche noi abbiamo portato le locandine sul 25 novembre, si sono svolte delle assemblee studentesche in merito, e che si sono sorprese del fatto che a Palermo a parte il sit-in di piazza promosso dalle compagne del Mfpr e dalle lavoratrici Slai cobas s.c. non ci fosse una “tumultuosa” iniziativa di lotta come quella dello sciopero delle donne dell’anno scorso o dell’8 marzo in cui loro stesse avevano partecipato; al sit-in poi si sono unite anche delle ragazze volontarie del Ceipes che con cartelli contro la violenza sulle donne - “Tacchi alti si. Testa bassa, no” “ Il mio vestito non è un invito” “I veri uomini non picchiano le donne” - hanno dato un loro contributo a questa giornata di lotta. In particolare, alcune di loro, galiziane, hanno appreso con entusiasmo l’imminente partecipazione di una nostra delegazione invitata a rappresentare la lotta come Mfpr a due assemblee che si terranno proprio in Galizia.






 Molte le donne che si sono soffermate per ascoltare e leggere con interesse le nostre denunce contro questo sistema che in ogni ambito sparge humus reazionario e maschilista alimentando la violenza sulle donne, sia sul piano politico, che  ideologico, che economico…: il governo Renzi, è stato detto, si ricorda di noi per “elargirci” elemosine di stampo fascista, vedi il bonus bebè, continuando a volerci relegare  nel ruolo di moglie/madre, di “angelo del focolare” di una  famiglia che è intoccabile per questa società in quanto cellula base di essa, ma è quella stessa famiglia che uccide quasi ogni giorno le donne (circa 180 donne uccise solo nel 2013 e quasi tutte per mano di mariti, conviventi, compagni ecc); la Chiesa ritorna in campo anche con il “nuovo” Papa con l’attacco ideologico al diritto di aborto; gli attacchi sul lavoro colpiscono inevitabilmente per prima tante donne che in diversi ambiti lavorano non alla pari degli uomini; alle studentesse, ragazze si uccide il futuro e gli si propina sempre più davanti un mondo fondato sulla cultura dell’immagine, del bei corpi e tette da mettere in mostra coma fresca merce da vendere, vedi tutta la pubblicità sessista e contro la dignità delle donne.


 Una giornata in cui abbiamo posto ancora una volta la necessità della continuità delle lotte sul piano nazionale a partire dai luoghi specifici in cui agiamo concretamente tra le donne, per autorganizzarci nella lotta, una lotta a 360 gradi di cui lo sciopero delle donne è stata una tappa/scintilla importantissima che ora deve consolidarsi, che non ha nulla a che vedere con i grigi convegni al chiuso dei palazzi delle donne borghesi istituzionali in cui vengono invitate anche donne della polizia presentate come quelle che “proteggono” le donne… ma chiediamo loro “Protezione? e quale sarebbe? quella delle tante denunce che rimangono nei cassetti degli uffici e poi le donne vengono uccise lo stesso? quella di altri servi in divisa che dovrebbero proteggere  per la strada le donne e invece stuprano come successo con Rosa a l'Aquila? o quella verso le donne che lottano per diritti sacrosanti come la casa che invece vengono sgomberate e manganellate dalla polizia provocando, come successo alla donna incinta romena a Milano, un aborto??? Di questa violenza ne vogliamo parlare???







Con un filo che ci ha legato alle altre iniziative in corso da Taranto a Bologna, a Milano... l'iniziativa di ieri si è caratterizzata anche di un netto aspetto internazionalista collegandosi anche alla lotta che nel mondo le donne portano avanti contro la violenza in tutte le sue forme, per questo abbiamo dedicato il sit-in alle coraggiose donne combattenti kurde, con uno striscione che le giovani presenti hanno tenuto e collegandoci virtualmente anche all’iniziativa della  compagne Mfpr  a Roma all’ambasciata turca,  alle donne palestinesi  e alle donne protagoniste nelle guerre  popolari in particolare la più avanzata oggi nel mondo, quella indiana… donne che giornalmente con tanta forza combattono fino a versare il proprio  sangue contro governi reazionari e fascisti legati a doppio filo con l’imperialismo, donne che lottando al servizio della causa generale delle masse popolari lottano anche per la propria liberazione di donne… la rivoluzione nella rivoluzione.



 Una giornata  che si è conclusa a suon di “Moderno medioevo doppia oppressione Donne in lotta per la rivoluzione”, un giovane di passaggio ci ha chiesto "ma perchè dite sempre "CONTRO!" ci vuole anche il "PER" per costruire qualcosa di diverso...", abbiamo detto "CONTRO LA VIOLENZA, FRUTTO PIU'' MARCIO DI QUESTO SISTEMA SOCIALE" E' NECESSARIO SENZA SE E SENZA MA IL CONTRO, MA NOI LOTTIAMO PER UN GRANDE PER! PER LA VIA CHE PORTI ALLA RIVOLUZIONE, DI CUI LA MAGGIORANZA DELLE DONNE DEVE ESSERE PARTE DETERMINANTE, PERCHE' UNICA SOLUZIONE PER SPAZZARE VIA QUESTO SISTEMA  MARCIO CHE FA DELLA DOPPIA VIOLENZA E DOPPIA OPPRESSIONE DELLE DONNE UN SUO CARDINE BASE!






per il  Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario Palermo 
Antonella Primula Daonensis

mfprpa@gmail.com





25 novembre. cosa c'entra il femminismo con lo stato?


Non possiamo che essere contente che sia finita la sfiancante giornata del 25 novembre.In tante, infatti, non ne potevamo più di veder girare sui media e sui social network spose insanguinate, donne pestate, bocche cucite, addirittura icone dei cartoni animati ritoccate con lividi e occhi pesti, segno dell' orrido e macabro senso di estetica della violenza alla quale vorrebbero abituarci. Non ne potevamo più perché ci ha nauseato questo raccapricciante e mortifero gusto per l'orrido e per il macabro, ma soprattutto perché ci disgusta ancora di più il rovesciamento di senso che questa giornata cerca di operare sulle questioni per noi importanti. Ma cosa c'entra il femminismo con lo stato? cosa c' entra il femminismo con le nazioni unite? ripassiamo un attimo di storia
Il 25 di novembre si commemora la Giornata Internazionale contro la violenza maschile sulle donne Tale commemorazione ha avuto origine nel 1980, durante il primo Incontro Internazionale Femminista, celebrato in Colombia, quando la Repubblica Dominicana propose questa data in onore alle tre sorelle dominicane Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise il 25 novembre 1960 in un agguato filo-governativo mentre andavano a trovare i mariti, detenuti politici, in carcere Progressivamente, molti paesi si sono uniti nella commemorazione di questo giorno, attribuendogli il valore simbolico di denuncia del maltrattamento fisico e psicologico verso le donne e le bambine. Il 17 dicembre 1999 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, ha scelto la data del 25 novembre per la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, in omaggio alle sorelle Mirabal.Sfugge probabilmente alle/ai più che le sorelle Mirabal non sono state vittime di violenza domestica, né di una generica e non meglio specificata violenza maschile sulle donne in quanto donne. Le sorelle Mirabal furono uccise perché dissidenti del regime del dittatore Trujillo. La consacrazione di una giornata alla violenza sulle donne, ad opera delle Nazioni Unite, è segnata dalla rimozione del politico, dunque dalla depoliticizzazione della storia e dalla sua consegna ad una dimensione del domestico e del privato. Le sorelle Mirabal non chiedevano più leggi e protezione allo stato, ma erano, di fatto, in lotta contro uno stato dispotico e dittatoriale. La depoliticizzazione della vicenda, l'appropriazione e la spoliazione dei suoi significati operate da apparati governativi e istituzionali, fa il paio con la sua assunzione a giornata simbolo nelle mani di enti, istituzioni, ong che producono un continuo slittamento e riposizionamento dei significati di eventi storici, quanto di fatti di cronaca. il 25 novembre diventa in questo modo cornice ideale per rilanciare un modello di produzione normativa del femminile in quanto subalterno e sconfitto, a cui fa da contraltare il modello della donna/impresa emancipata, quella che indossa le scarpe rosse per presenziare ad un convegno sul femminicidio, ad un concerto di beneficenza, ad un reading di poesie d'amore e magari cogliere l'occasione per omaggiare polizia e task force antifemminicidio, nonché, in alcuni casi, accreditarsi come impresa al femminile per raccogliere finanziamenti pubblici e privati.
Questo accade mentre la violenza "maschile contro le donne" viene evocata quasi per esorcizzare e rimuovere dal discorso pubblico le molteplici forme di violenza a cui quotidianamente ci sottopone la governance neoliberale. Mentre fervono i preparativi per le celebrazioni, la violenza degli sgomberi non risparmia le donne senza casa nell'indifferenza pressocché totale delle femministe specializzate nella violenza di genere.
E che dire delle donne del Partito della Nazione di Renzi? Oggi, insieme all'approvazione del Job's Act, apprendiamo che la vicepresidente del Senato, parlamentare del Pd, ha presentato un disegno di legge per introdurre nelle scuole l'educazione di genere, presentato come un primo "significativo passo nella lotta alla violenza di genere"
Mentre lo stato neoliberale smantella il welfare, attacca il lavoro salariato, ci sottrae risorse, reddito, saccheggia i nostri territori- sblocca Italia- le donne del pd, tra una ceretta e l'altra, si rifanno il look con una spruzzata di "diritti civili" introducendo la questione del genere nelle scuole, a partire dalla educazione e dalla rimozione degli "stereotipi". Se il messaggio per un verso è che le bambine non sono necessariamente deboli, non devono giocare solo con le bambole,per un altro si dice loro che possono avere successo e lanciarsi nell'allegro mondo fatato del capitalismo. Dal canto nostro, noi non possiamo fare altro che guardare e sostenere con gioia le tante forme di lotta e resistenza che ovunque nel mondo, ed anche qui, si affacciano a questo sistema di vita e di società profondamene ingiusto, ineguale e, senz'ombra di dubbio, violento. Alle donne che combattono per rivendicare reddito, casa e diritti per tutt*, alle donne che combattono l' isis, come a quelle in prima linea difendere i territori dal saccheggio del capitale e a quelle che sfilano in marcia per rivendicare l'accesso ai servizi ospedalieri negati: a voi sorelle va il nostro felice pensiero e una domanda:
Cosa centra lo stato con il femminismo?

Tita e Panta

25/11/14

BOLOGNA: CAMMINATA CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE E LESBICHE

 (da Tavolo 4) - "...Oggi come contributo alla manifestazione contro la violenza alle donne vogliamo raccontarvi una storia di reazione collettiva a una violenza sessuale perpetrata da uno dei tanti stupratori che agganciano le donne nei bar…
A metà ottobre una nostra amica ci ha raccontato quello che le era successo. Lei stava già male per la violenza a cui era sopravvissuta, ma la cosa che la faceva più stare male era il silenzio che l’avevano invitata a seguire le persone coinvolte nella vicenda, perché dicevano che lei sembrava consenziente … Quasi  sicuramente lo stupratore aveva usato una droga da stupro, come le hanno confermato vari centri antiviolenza, che sentono ogni giorno racconti del genere; le esperte di questi centri le sconsigliavano di sporgere denuncia perché sarebbe stato molto difficile ottenere giustizia, anzi avrebbe rischiato di essere messa lei stessa sotto processo..
Stava succedendo quello che succede quasi sempre quando si sopravvive a uno stupro avvenuto durante una sbronza o quando sei fuori da sola … Ci si sente in colpa, perché sembra che ce la siamo cercata, nella morale comune se una donna beve o è sola al bar è “disponibile” …
La donna era disperata, finché non ha deciso di chiederci supporto per poter denunciare pubblicamente lo stupratore, in modo che non continuasse a violentare impunemente altre donne con lo stesso metodo. Le compagne si sono informate su di lui, Ricardo Piana, un quarantenne alternativo che passa il tempo a fare a gara con gli amici di twitter a chi si “scopa” più donne ubriache..
Non è stato facile organizzare in 10 giorni una camminata di donne in una via come il Pratello, frequentata da Piana e dai suoi amichetti di merende, non è stato facile affrontare tutti i dubbi, le critiche di tante a cui abbiamo chiesto solidarietà, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Vogliamo ringraziare quel centinaio di donne che è sceso in piazza con noi, che ha accettato di fare una camminata silenziosa in quella via piena di molestatori da bar, che ad altre camminate ci avevano aggredito anche fisicamente..
Abbiamo distribuito il fumetto che ha disegnato la donna sopravvissuta, abbiamo riempito la strada di contenuti femministi e lesbici contro la violenza e per la prima volta non siamo state attaccate. Era un silenzio di donne organizzate, determinate a comunicare alle altre donne e a non raccogliere provocazioni.
Perché il nostro obiettivo era quello di arrivare tutte, sane e salve, sotto casa dello stupratore, a denunciarlo alle altre donne, ad avvertire i vicini di casa. Ora è lui a non uscire di casa, a vergognarsi, ora che le sue vicine di casa sono scese in strada con noi, che si sono affacciate alle finestre per informarsi. E così dovrebbe essere per tutti, dai molestatori da bar ai fidanzati violenti, solo loro si meritano la riprovazione pubblica, sono loro a doversi nascondere, sono loro a dover mettere in discussione le loro pratiche violente.
La compagna sopravvissuta allo stupro continua a ringraziarci tutte, ci dice che non sa proprio come avrebbe fatto senza la nostra solidarietà attiva. Noi le siamo grate per essersi esposta, cosa che tantissime altre non sono riuscite a fare, grazie a lei, per una volta, abbiamo potuto denunciarne almeno uno di quei tanti che approfittano di donne o lesbiche in stato di incoscienza. Ringraziamo anche le compagne dell’autodifesa femminista che ci hanno dato gli strumenti e la solidarietà immediata e incondizionata.
Basta rinchiudersi nel dolore del silenzio: con il silenzio avalliamo il sessismo, gli stupratori si sentono in diritto di rifarlo con altre, e togliamo forza alla donna che denuncia.
E soprattutto non ci dividiamo tra donne, approfittiamo della forza di una che ci permette di liberare o salvare tante altre.
Sabato 15 abbiamo trasformato il nostro dolore in rabbia e la nostra rabbia in lotta organizzata di donne, e continueremo a farlo, perché ci rafforza TUTTE....


Per adesioni, materiali da diffondere o denunce: nostuprialbar@autistiche.org"

SE LA FAMIGLIA UCCIDE... "UCCIDIAMO" QUESTA FAMIGLIA

DALL'OPUSCOLO "UCCISIONI DELLE DONNE, OGGI" - richiedere a mfpr.naz@gmail.com

"...Noi diciamo “In morte della Famiglia” per dire in modo provocatorio che la famiglia è un anello chiave della marcia verso il moderno fascismo del governo e dello Stato. Il moderno fascismo non potrebbe realizzarsi senza fare della famiglia una sua base principale, sia in senso di subordinazione, di essere piegata, funzionale alle scelte del governo e dello Stato, sia in senso di sostenitrice attiva, combattente in termini ideologici, di simbolo e propaganda di valori di quelle scelte politiche.

La famiglia, soprattutto proletaria, è il luogo centrale in cui si gestisce un’economia sociale sempre più povera, si amministrano i salari sempre più ridotti o inesistenti, si gestiscono gli aumenti del costo della vita. La famiglia proletaria garantisce nella fase di attacco, di crisi, di attutire l’impatto devastante di queste politiche. L’assistenza tra familiari, da normale relazione tra persone basata sui legami sentimentali diventa un obbligo, diventa uno schiavismo insopportabile per le donne, e spesso provoca crisi e depressione. Nella famiglia ritornano i lavoratori licenziati, restano per anni figli disoccupati. La famiglia comunque garantisce il loro sostentamento e di limitare conseguenze più gravi e più pericolose per il sistema sociale.
La famiglia, per questo sistema, deve fare da paracadute alle frustrazioni, alla messa in crisi di posizioni di privilegio dell’uomo in famiglia.

Ma la famiglia, in particolare la famiglia medio, e a volte anche piccolo borghese, ma influenzante anche settori di famiglie proletarie, svolge nella marcia verso il moderno fascismo, anche una funzione attiva, sostenitrice di valori reazionari, come la difesa della sicurezza, i figli alla patria, il controllo sui giovani ecc. Non c’è scampo per le donne, le catene della famiglia diventano sempre più strette anche se a volte vengono indorate.

Per le proletarie, per le donne delle masse popolari questa famiglia è sempre più un ritorno ad un moderno medioevo, con fenomeni di abbrutimento, di violenza, di apparente ritorno al passato, soprattutto nei rapporti uomo–donna, che trovano la loro manifestazione più eclatante appunto nei femminicidi. La ‘famiglia’ per la chiesa, per il governo, per lo Stato è diventata invece la “sacra famiglia”. Volutamente sempre più astratta, più neutra, non reale. Ma la famiglia è una realtà concreta, in quelle proletarie non si arriva alla quarta ma anche alla terza settimana non si riesce a mandare i figli agli asili per le rette alte, in queste famiglie le donne consumano anni della loro vita ad assistere gli anziani, devono fare le serve in casa e fuori casa perchè è spesso il solo lavoro che si trova e quando hai uno straccio di lavoro più decente, per esempio in fabbrica, con i turni non riesci per giorni o settimane a stare insieme a tuo marito e ai tuoi figli, ecc.

Non c’è poi la “famiglia”. Ci sono “le famiglie”, le famiglie dei borghesi, dei capitalisti, dei ricchi, in cui come diceva Marx il fondamento dei rapporti tra uomo e donna, tra genitori e figli è dato solo dal capitale, dalla proprietà privata, in cui l’unico valore che si tramanda è quello della capacità di far soldi e spesso le donne sono delle ricche prostitute legalizzate o delle ligie/oscure segretarie delle oscure scalate dei mariti finanzieri, banchieri, padroni che siano. E ci sono le famiglie dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, in cui nel come tirare avanti, nel come arrangiarsi, nelle speranze deluse di una vita migliore, si consuma la vita e anche spesso i sentimenti, in cui le uniche “distrazioni” per le donne due volte sfruttate, due volte oppresse, devono essere i reality show delle tv, in cui, però, si insinuano, abbrutiti e senza neanche la contropartita degli scintillanti miliardi dei borghesi, i valori della borghesia: la proprietà che può essere solo verso la donna e i figli, il ruolo del maschio che schiacciato sul lavoro, nella società si rivale sulla “propria” moglie, la misera ideologia di gelosia, maschilista e fascista verso le donne.

Ma la famiglia deve essere per forza astratta. Perchè essa e il ruolo della donna in essa devono essere il fondamento che salva l’ordine esistente - cioè che salva il loro sistema capitalista - che agisca da “ammortizzatore sociale” del peggioramento delle condizioni di vita della maggiorparte delle masse popolari, in cui le donne devono, come scriveva Ratzinger, “lenire le ferite, far zittire chi vuole urlare e lottare...”, per impedire che le contraddizioni di classe, sociali escano fuori ed esplodano in ribellione, rivolta, rivoluzione..."

Le compagne del MFPR contro l'Isis e l'imperialismo

COMUNICATO STAMPA E REPORT

Oggi, 25 novembre, abbiamo esposto uno striscione sotto l'ambasciata turca e il ministero della difesa, contro l’ISIS e l’imperialismo.

Perché l’isis é violenza sulle donne e l’imperialismo ne è padre e complice!
Perché l'oppressione di genere e di classe che l’ISIS persegue nei territori di conquista non sono altro che il frutto più barbaro di questa società capitalista e della sua espressione suprema: l’imperialismo.


Siamo contro questo sistema, contro l’imperialismo del Califfato, dello Stato Turco che lo sostiene, dell’Italia, che continua a intrattenere eccellenti rapporti commerciali, politici e militari con la Turchia, della NATO, che l’ISIS ha generato ed  i cui crimini contro l'umanità sono già incalcolabili.

Siamo con le donne kurde, per la rivoluzione sociale del Rojava, per la liberazione delle donne!

Il 25 novembre è nostro, è delle donne che si ribellano! E' delle sorelle che si battono contro il femminicidio per un cambiamento della società a 360° e oggi è al fianco delle combattenti kurde!

Le compagne del movimento femminista proletario rivoluzionario

Questo il comunicato stampa e vedremo se lo pubblicheranno con le foto.
Ma l'Italia non è un paese democratico e a piena sovranità popolare, come vorrebbe far credere il governo e lo stesso Comune di Roma nelle sue parate istituzionali in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne!
Difatti la "democrazia" e la "sovranità popolare" si ferma a Via Palestro 28, dove ha sede l'ambasciata turca e dove cominciano gli interessi dell'imperialismo turco-italiano. E' qui che militari italiani, agli ordini degli agenti turchi in borghese fuoriusciti dall'ambasciata turca, ci hanno fermato, identificato, fatto loro una foto al nostro striscione e poi hanno chiamato anche i carabinieri (comandati da un maresciallo che ha prestato servizio per anni in Turchia) per ri-identificarci e costringerci a cancellare la foto scattata da noi davanti all'ambasciata turca!

Ma audentes fortuna iuvat e un uccellino ha bussato alla nostra porta con la foto censurata!
Nel pomeriggio abbiamo lasciato lo striscione incriminato in Via Tiburtina, nei pressi della zona universitaria, a S. Lorenzo

Report a cura di Luigia, mfpr-L'Aquila

24/11/14

DAL 25 NOVEMBRE 2013 DELLO "SCIOPERO DELLE DONNE", I PASSI FATTI E SOPRATTUTTO DA FARE

Il 25 novembre di un anno fa aveva visto il raggiungimento di un obiettivo nuovo e per nulla facile, nè scontato, lo Sciopero delle Donne, con la partecipazione di tantissime donne, operaie, precarie, le lavoratrici del settore scuola, le studentesse che hanno partecipato con numeri significativi cosi da rendere questo sciopero storico anche nei dati - circa 20mila donne che hanno scioperato e fatto iniziative di lotta - oltre che nei contenuti.
Questo è un punto fermo, dal quale non dobbiamo andare indietro, ma avanti. 
Ora, per preparare in futuro meglio un nuovo, più vasto sciopero delle donne, che tocchi in particolare tutti i settori di operaie, lavoratrici, precarie, disoccupate spesso già in lotta sui loro posti di lavoro e per le loro vertenze e che stanno subendo pesantemente i doppi attacchi di padroni, governo Renzi, con tutto quello che comporta per le donne in termini di più oppressione, subordinazione, ritorno nella casa che diventa spesso un incubo, in termini di violenza maschilista che si rafforza nella crisi - è il tempo di consolidare quanto messo in campo, per avanzare.

Nella odierna società imperialista, le donne sia nel campo delle lotte sia nell’impegno personale e delle idee hanno una marcia in più, mostrano ogni giorno che sono sempre di più una forza poderosa che tutti devono contribuire a scatenare, in particolare nelle organizzazioni di classe e nelle organizzazioni rivoluzionarie. Il partito comunista di tipo nuovo maoista in questo è il principale strumento e bersaglio.”

La marcia in più vale per tutte le donne che si ribellano alla doppia oppressione di questo sistema imperialista e capitalista, in un intreccio tra classe e genere; una ribellione che vogliamo e dobbiamo far diventare una forza poderosa per la lotta rivoluzionaria, che rovesci terra e cielo, perchè tutta la nostra vita cambi. 
Non ci può essere rivoluzione e cambiamento in questa società senza questo movimento delle donne. Così come è decisiva la lotta e la coscienza teorica e pratica della doppia rivoluzione delle donne per la costruzione del partito rivoluzionario comunista di tipo nuovo e del sindacato di classe, in cui il protagonismo e il ruolo dirigente delle donne deve essere un "principio" distintivo e centrale.

In questo senso esperienze importanti nell'anno “politico” 2013/2014, oltre lo Sciopero delle Donne, sono state le mobilitazioni dell’8 marzo con l'appello del Mfpr a tutto il movimento delle donne a riprendersi e rialzarsi un'8 marzo rosso e proletario, le lotte di lavoratrici, precarie disoccupate che sono continuate, con momenti forti di scontro, le mobilitazioni di sostegno, unità con le lotte delle nostre sorelle nel mondo.  
Le parole d’ordine, i contenuti, le iniziative pratiche di lotta portate avanti nei mesi scorsi sono state in sintonia con la realtà, con i bi-sogni, i sentimenti delle maggioranza delle donne verso un vero cambiamento della condizione di vita, in particolare delle operaie, le lavoratrici, le precarie, le disoccupate, casalinghe, le ragazze.
Importante è stata l’eco internazionale che hanno avuto queste esperienze di lotta, collocate e collegate dal Mfpr alle lotte che in tanti paesi le donne portano avanti - dalle donne palestinesi di Gaza alle combattenti curde, recentemente - e all'interno di queste, alle esperienze più avanzate delle donne rivoluzionarie e comuniste nelle guerre popolari. Per questo l'eco del lavoro, dello sciopero delle donne, della battaglia di principio e pratica del Mfpr è arrivata fino in India dove tantissime bambine, donne vengono stuprate, martoriate e uccise, ma dove tantissime donne sono parte integrante e dirigente della guerra popolare, e, nel ruolo all'interno di essa, portano già una trasformazione non solo sul fronte pratico, ma anche ideologico.

L'Mfpr è impegnata ora a portare più avanti, sia a livello nazionale che internazionale (abbiamo fatto un'assemblea con collettivi di donne, femministe in Austria sullo sciopero delle donne e il 29, 30 faremo due assemblee con lavoratrici e compagne in Galizia), questo patrimonio di concezione, linea-prassi intorno alle questioni della necessità, per un movimento di lotta generale, che comprende un nuovo sciopero delle donne che si rivolge alla maggioranza delle donne, di sviluppare un "movimento" (visibile, di lotta, combattivo) che sia femminista (per unire tutte le ribellioni delle donne) "proletario" (perchè le donne proletarie, le lavoratrici, le disoccupate, le donne in lotta per la casa, le ragazze a cui viene negato il futuro prendano in mano questa lotta di classe e di genere), "rivoluzionario” (perchè non vogliamo falsi e piccoli miglioramenti ma un mondo nuovo che trasformi la terra e il cielo e in cui le donne siano in prima fila nella "rivoluzione nella rivoluzione").

Un aspetto che dobbiamo tener presente è che le esperienze non si possono meramente ripetere.
Per un nuovo più vasto "Sciopero delle donne", ora è necessario lavorare perchè la linea-concezione che si è concretizzata nello Sciopero delle Donne del 25 novembre 2013, si affermi estesamente e si diffonda, liberandoci delle tendenze che soffocano, sottovalutano o ostacolano lo “sciopero delle donne” o che lo vogliono rendere solo virtuale.
Così sulla questione della violenza sulle donne, dei femminicidi, stupri, una violenza strutturale sistemica che questa società che ne è la causa continuerà inevitabilmente a riprodurre, non possiamo fare solo tante e giuste denunce, ma occorre combattere qui ed ora (una piccolo esempio, ma indicativo per il metodo, è stata la pronta iniziativa, che ha conseguito risultati, contro l'uso dell'immagine maschilista delle donne a fini commerciali) e preparare la strada della lotta rivoluzionaria contro il sistema sociale che genera stupri e femminicidi; respingendo tutte quelle posizioni che vogliono portare le donne a sperare in un cambiamento (impossibile) all’interno di questo sistema borghese e inevitabilmente maschilista.

In questa battaglia gli opuscoli come “La scintilla dello Sciopero delle Donne”, “S/catenate – donne lavoro e non lavoro – una lotta di classe e di genere”, “Uccisioni delle donne, oggi” e altri da noi fatti sono strumenti, “armi” per la mobilitazione delle donne; ed essi servono non solo alle donne ma all’intera classe proletaria, al movimento rivoluzionario.
Ma proprio per questo, far conoscere, diffondere questi testi non richiede solo un nostro maggiore impegno, ma è un'azione di combattimento per farne strumenti di lotta. 
Vogliamo organizzare, e chiamiamo le compagne, le lavoratrici, tutte le donne che un anno fa hanno condiviso, partecipato allo "sciopero delle donne" a organizzarle insieme, iniziative di diffusione, presentazione degli opuscoli, a partire dalle fabbriche e posti di lavoro protagonisti dello sciopero delle donne e nelle città in cui nel 2013 ci siamo mobilitate.
Vogliamo organizzare anche gruppi di studio aperti, pure on line, su testi quali la “Concezione materialistica della storia” di Marx ed Engels e “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” di Engels, riprendendo anche un opuscolo del 1° seminario del Mfpr di Agrigento "Spunti di dibattito per un movimento femminista proletario rivoluzionario" che critica l'idealismo del femminismo borghese e piccolo borghese.

Movimento femminista proletario rivoluzionario