30/04/19

Contro fascismo e Stato di polizia ribellarsi è giusto e necessario! Sempre al fianco di Lavinia

Mentre questo governo fascio-populista-razzista Salvini/Di Maio che fa leggi fasciste, con il beneplacito di Mattarella, che legittima le aggressioni fasciste ai migranti, ai più poveri e oppressi, che difende i topi di fogna fascisti, che lancia attacchi fascio-sessisti contro le donne ... resta fino ad oggi impunito
una docente più che giustamente antifascista perchè il fascismo è un crimine e non un'opinione, una donna più che giustamente in protesta contro la repressione odiosa della polizia che protegge illegalmente i fascisti, deve essere doppiamente messa al bando perchè non ci si deve ribellare al marcio sistema moderno fascista che avanza.

Siamo state tutte con Lavinia Flavia Cassaro quando è stata licenziata e lo siamo ancora più forte oggi! 
Contro fascismo e stato di polizia ribellarsi è giusto e necessario!
Lavoratrici Slai Cobas per il sc


PIEMONTETOPNEWS.IT

Confermato il licenziamento della maestra che insultò i poliziotti

Macché "Balordi", chi stupra le donne è sempre un fascista!



Dietro la maggior parte dei crimini efferati grandi e piccoli - stupri, bullismo, aggressioni, femminicidi, ultrà teppisti, malavita - c'è sempre un fascista! organizzato o singolo che sia, militante o di mentalità che sia, incentivato dalla fase del moderno fascismo e oggi dall'attuale governo Salvini
 
Chiricozzi quando scriveva su Instagram: "Difendi la TUA donna" e "stranieri violentatori"

Da una lettera di Cristina Obber:

Non chiamiamo «balordi» gli stupratori di Viterbo: sono «criminali»


Secondo la polizia i due avrebbero stordito con dei pugni una donna di 36anni, durante una festa privata all'interno di un circolo, e l'avrebbero poi stuprata, registrando la violenza con il telefonino.
Con un post su Facebook la ministra della difesa Elisabetta Trenta ha condannato duramente l'accaduto, definedo però i due con l'aggettivo «balordi». Lo stesso aggettivo è stato utilizzato anche dal vice premier Luigi Di Maio.
Dal vocabolario Treccani leggiamo che balordo significa «tardo di mente, tonto, sciocco, stupido» ed anche «malvivente, sbandato, emarginato».
Tra i sinonimi troviamo «coglione, idiota, ottuso, ebete».
E evidente che a parte il termine malvivente («che appartiene alla malavita, che chi vive di violenze, furti, rapine»), sostituire balordi a criminali è improprio e se una dichiarazione arriva da una ministra o da un vice-premier le parole vanno soppesate più che in una conversazione al bar.
L'aggettivo balordo non è sinonimo di criminale, e la violenza sessuale è un crimine efferato, è bene ricordarlo sempre per non minimizzarne la gravità.
Se poi gli autori di tale violenza siano anche ottusi ed ebeti è irrilevante.
Lo stupro è un crimine contro la persona e agirlo in gruppo costiuisce un'aggravante in sede penale, poichè aumentano sia la violenza fisica che quella psicologica inferta alla vittima, aumentano sia le lacerazioni interne che l'umiliazione subita.
Nella seconda parte del suo post la ministra Trenta definisce i due «bestie», altro aggettivo improprio (e non occore essere animalisti per capirlo).
La ferocia della violenza sessuale è umana e vede uniti gli uomini di tutto il mondo nel riversare la loro rabbia contro le donne, indipendentemente dalla loro provenienza, la loro religione, la loro appartenenza ideologica.
Ci stuprano cattolici, musulmani, induisti. Ci stuprano nei centri sociali come ai raduni neo-nazisti. Ci stuprano nel Nord, nel Centro e nel Sud di un mondo fondato sul patriarcato che della forza delle donne ha paura e cerca in ogni modo di sottometterle.
Lo tengano a mente tutti quegli esponenti di estrema destra, i loro sostenitori e le loro sostenitrici, che tanto si riempiono la bocca di slogan contro i migranti che accusano di «venire qui a stuprare le nostre donne».

Che si leggano le statistiche sulla violenza sessuale, che si indignino e riempiano le strade di cartelloni con le facce dei due militanti di Casa Pound inchiodati da un filmato (perché alle donne è difficile credere, lo sa bene chi denuncia la violenza), che scrivano «Le nostre donne ce le stupriamo da soli»...
Che la smettano di generalizzare sulla violenza quando gli autori sono stranieri e che si parli di isolare le mele marce solo quando sono italiani.
Che la smettano di strumentalizzare le violenze per alimentare razzismo, perchè gli ospedali, i centri antiviolenza e l'Istat ci confermano che nei dati sulla violenza sessuale ci sono «prima gli italiani», appunto.

29/04/19

SOSTEGNO ALLA BATTAGLIA "ROMPERE L'ISOLAMENTO" DELLE MILITANTI, COMBATTENTI KURDI



Le compagne del Mfpr, le lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe, proseguendo il loro sostegno alla battaglia "ROMPIAMO L’ISOLAMENTO: È IL SILENZIO CHE UCCIDE", faremo nelle cittàin cui siamo, iniziative nei giorni 11-12 maggio. Insieme alla solidarietà, al fianco di Leyla Güven e di tante attiviste e militanti kurde in sciopero della fame, per la fine dell'isolamento di Ocalan, contro le condizioni di detenzione/tortura nelle carceri di tanti prigionieri politici, per la loro liberazione, nelle mobilitazioni denunceremo il ruolo complice del nostro imperialismo, dello Stato e governo Italiano, compreso quello attuale sempre più sostenitore dello Stato fascista turco dell'assassino Erdogan.

Movimento femminista proletario rivoluzionario



Il 24/04/2019 20.39, UIKI Onlus ha scritto:
Care e cari,
per quanto riguarda gli scioperi della fame, siamo in un periodo veramente critico.
È urgente più che mai fare sentire la propria voce, dare visibilità a questa lotta, con i mille colori dei movimenti di cui facciamo parte.
Qui di seguito un appello alla mobilitazione per i giorni 11-12 maggio, fermo restando che la mobilitazione non si riduce a quella data soltanto.
L’appello esce in maniera congiunta da parte di Rete jin, Uiki, Retekurdistan, ed ex combattenti ypg-ypj, con l’intento di allargare quanto più possibile, nel rispetto dei diversi tipi di iniziative che potranno essere attuati.
Si chiede dunque di organizzare attività specificatamente per quella data, e di diffondere l’appello il più possibile, cercando adesioni di gruppi o associazioni che conosciamo.

ROMPIAMO L’ISOLAMENTO: È IL SILENZIO CHE UCCIDE
11-12 maggio con i 7000 in sciopero della fame
In questo momento è in corso uno sciopero della fame di massa: nelle carceri della Turchia e non solo circa 7000 persone si trovano in sciopero della fame a tempo indeterminato, 8 persone hanno già posto fine alla loro vita per protesta, 7 delle quali in carcere. La richiesta è la fine dell’isolamento di Abdullah Öcalan: sequestrato in Kenia a seguito di un complotto internazionale nel febbraio del 1999, dall’aprile 2015 si trova in isolamento totale nell’isola prigione di Imrali. Questo isolamento è una tortura, una violazione dei diritti umani e delle leggi internazionali e nazionali.
La prima a iniziare lo sciopero della fame per rompere l’isolamento è stata una donna: Leyla Güven, deputata dell’HDP, in sciopero dal 7 novembre 2018; a lei dal mese di dicembre 2018 in avanti si sono unit* 14 attivist* curd* a Strasburgo, militanti in Iraq, Regno Unito, Canada, Germania, Francia. A partire dal 21 marzo, giorno del Newroz (capodanno curdo), Erol Aydemir, un giovane rifugiato curdo, ha iniziato lo stesso sciopero della fame a tempo indeterminato a Cagliari e prosegue la sua resistenza nel Centro Socio-Culturale Curdo Ararat a Roma.
All’interno del conflitto in Mesopotamia, Öcalan è una voce coerente che chiede la pace; Leyla Güven, la donna che diede inizio a questa protesta, dichiarò: “le politiche di Isolamento verso Öcalan sono imposte su un popolo intero attraverso la sua persona”.
Isolare Öcalan significa isolare colui che ha dato origine e forza al movimento di liberazione curdo, e quindi si tratta di un attacco al movimento di liberazione tutto. Isolare Öcalan significa isolare colui che ha ideato il confederalismo democratico, e quindi significa allontanare queste idee da chi in tutto il mondo le vuole mettere in pratica. Significa anche un attacco diretto alla rivoluzione del Rojava, sotto la costante minaccia delle potenze regionali e globali. Portare solidarietà a questa protesta significa combattere il fascismo di Erdoğan, significa porre le basi per costruire assieme un’alternativa sociale e globale al fascismo. Öcalan considera essenziale la liberazione della donna per la liberazione della società, essere solidali con questa lotta significa anche schierarsi attivamente per la liberazione delle donne e dei generi oppressi. Ricordiamo che questo movimento di protesta e resistenza è iniziato da una donna!
Per questo, lo sciopero della fame iniziato da Leyla Güven ci riguarda tutte e tutti: invitiamo tutte e tutti a una giornata di azione nazionale l’11-12 maggio. Invitiamo ciascun collettivo, gruppo, associazione, struttura, persona ecc... a prendere parola con i mezzi e modi che più considera adatti. I coinvolgimenti anche sul nostro territorio non mancano: la Turchia di Erdogan riceve fondi dall’Unione Europea per tenere lontani i migranti siriani; la Turchia si addestra nelle nostre stesse basi e acquista armi della Finmeccanica/Leonardo. I nostri media sono in silenzio – ma come si può rimanere in silenzio di fronte a 7000 persone in sciopero della fame a oltranza? Il CPT (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) non interviene concretamente, né lo fanno le istituzioni nazionali ed europee. Addirittura Amnesty International, che si proclama così indipendente e in difesa dei diritti umani, resta in silenzio.
L’Italia inoltre sta mettendo sotto accusa coloro che hanno sostenuto attivamente la rivoluzione; tra Torino e Nuoro sei persone rischiano la misura di sorveglianza speciale (che comporta una grave limitazione delle libertà personali, prima tra tutte quella di movimento e di riunione) in quanto soggetti socialmente pericolosi, non perché hanno commesso crimini ma perché hanno pubblicamente dichiarato la loro partecipazione e sostegno alla rivoluzione siriana. Questo però non è solo il paese che vende elicotteri da guerra alla Turchia e mette sotto processo la solidarietà internazionale, è anche il Paese d’origine di Lorenzo Orsetti, partigiano d’oggi che per la rivoluzione confederale in Siria ha combattuto fino al 18 marzo, giorno in cui è caduto insieme ai suoi compagni in una delle ultime battaglie contro l’ISIS. Ascoltare e diffondere la voce di chi è in sciopero oggi è uno dei tanti modi con cui vogliamo prenderci la responsabilità della sua memoria e dell’importante compito per cui ha vissuto e che oggi ci ha lasciato; sentire che ogni popolo che lotta per la libertà è il nostro popolo, scegliere da che parte stare ovunque ci troviamo.
La forma con cui aderire alla giornata dipenderà dalla fantasia di chi vive le realtà locali e da cosa ciascun gruppo considererà più efficace. Dibattiti, striscioni, foto… chi più ne ha più ne metta!
Inoltre vorremmo che l’11 maggio non fosse una data isolata ma chiediamo che si arrivi a quel giorno con un crescendo di iniziative e di prese di posizione. Tra queste, alcune iniziative sono già iniziate, tra cui per esempio lo sciopero della fame a staffetta, a cui partecipano donne e uomini in tutta Italia e nell’ambito della quale è nata un’importante iniziativa collettiva a Firenze il 23 e 24 aprile; e la campagna #7000ControLisolamento, che invita ad appendere striscioni o cartelli visibili in solidarietà con lo sciopero della fame. Vi invitiamo a partecipare ad entrambe o comunque a darne visibilità, ad andare a visitare Erol in sciopero della fame a Roma; a continuare fino all’11 e oltre, a fare pressione sulle istituzioni perché si prenda posizione; ad informare, a evidenziare contraddizioni, ad essere visibili in ogni modo.
La lotta di Leyla Güven è la nostra lotta:
ROMPIAMO L’ISOLAMENTO!
Rete jin
Uiki Onlus
Retekurdistan Italia
ex-combattenti YPG/YPJ

Per adesioni scrivere a entrambi gli indirizzi:
UIKI Onlus
Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

Via Ricasoli 16, 00185 Roma, Italia
Tel. : +39 06 64 87 11 76
Facebook : UIKIOnlus
Twitter : @UIKIOnlus
Google + : 102888820591798560472
Skyp : uikionlus

26/04/19

25 aprile - la Brigata composta da sole donne



Leggete l'opuscolo di documentazione sulle donne nella Resistenza (MFPR)





25 aprile, la storia dell’unica brigata composta da sole donne: “Coscienza di genere e prime lotte per parità salariale”


La più anziana aveva settant’anni e usava il nome di battaglia “Nonnina”. La più giovane ne aveva quindici ed entrambi i suoi genitori erano stati deportati. Sui monti liguri, negli anni dell’occupazione nazifascista, ha combattuto l’unica brigata partigiana composta da sole donne, anche nei gradi di comando. Nell’autunno 1944 prese il nome di “brigata Alice Noli”, in omaggio a una giovane staffetta di Campomorone, nell’entroterra di Genova, seviziata e uccisa dalle milizie nere per aver dato sepoltura ad alcuni tra i 147 partigiani morti nell’eccidio della Benedicta, nell’aprile dello stesso anno.

Alice era una ragazza piena di passioni: amava il canto e la pittura, “e spesso scendeva da Campomorone fino al centro di Genova per ottenere un autografo dai suoi artisti preferiti”, racconta Massimo Bisca, presidente provinciale dell’Anpi. A 16 anni aveva cominciato a lavorare alla Brambilla, una ditta di pelletteria nel quartiere genovese di Pontedecimo. Fece assidua propaganda partigiana, procurò aiuti e rifornimenti e collaborò con i Gruppi di difesa della donna, la più importante organizzazione femminile di sostegno alla Resistenza. Nel gennaio del 1944 era entrata a far parte della 3° brigata “Liguria”. Scoperta e catturata insieme ad altri sei compagni, venne portata in caserma: poiché si rifiutava di fornire informazioni, fu caricata su un camion e infine fucilata.



Nei mesi successivi, la brigata femminile che già operava sui monti di Genova – svolgendo una funzione di raccordo tra gli stabilimenti industriali della Val Polcevera e i nuclei partigiani – adotta il nome di Alice. Con l’inizio della guerra le donne avevano sostituito gli uomini in molti luoghi di lavoro, sviluppando coscienza di genere e iniziando le prime lotte per la parità salariale. L’8 marzo ’45 le donne della ‘Alice Noli’ distribuirono clandestinamente a Genova 20mila volantini e realizzarono oltre 500 scritte sul selciato, per testimoniare il proprio ruolo nella Resistenza.

 

Dopo la Liberazione, nel grande corteo del 1° maggio in cui sfilarono tutte le formazioni partigiane, qualcuno non vedeva di buon occhio la presenza della brigata femminile. Un dirigente delle Sap – Squadre d’azione patriottica – disse a una partigiana di stare attente a sfilare in pantaloni, perché avrebbero rischiato di sembrare delle poco di buono. “Lei gli rispose in malo modo – racconta Massimo Bisca – e assicurò che avrebbero cucito delle gonne per il corteo, ma lo mise in guardia dal toccare le armi dei fascisti che loro stesse avevano conquistato in battaglia”.



Felicita "Alice" Noli: nata nel 1906, fucilata l'8 agosto 1944, Medaglia di Bronzo al valor militare alla memoria.
A 16 anni si impiegò a Pontedecimo presso la ditta Brambilla e nell'ultimo anno fu direttrice del ramo confezioni di borse. Fece attivissima propaganda per i partigiani, procurando pure aiuti, e divenne attiva collaboratrice dei Gruppi di Difesa della Donna. Dopo l'8 settembre 1943, i tedeschi avevano disarmato soldati italiani e li avevano imprigionati. Alice, a braccia aperte in mezzo alla strada, obbligò un camion di soldati tedeschi a fermarsi. Impassibile, mentre i soldati le puntavano i mitra addosso, si rivolse al capitano e a voce alta esclamò: "Mi prometta che non si farà del male ai nostri soldati". L'ufficiale, che non aveva l'aria di intendere il valore di quell'intervento, rimase interdetto, poi disse: "Si, prometto". In più occasioni Alice mostrò con tenacia e coraggio le sue idee, come quando gridò in faccia ad un tenente fascista, a Pegli, cosa pensava del Duce e del regime; o come quando vide, davanti al ponte della Ferriera, un posto di blocco tenuto dai tedeschi e dalle brigate nere della "Silvio Parodi" e, sentendosi investita da un moto di rivolta, gridò loro in faccia: "Vigliacchi!". Bruscamente la fecero scendere dalla bicicletta, la scortarono nell'ufficio e la misero in stato di accusa. Impavida si difese, dichiarando apertamente la sua simpatia per i partigiani, ed ebbe il coraggio di aggiungere che le violenze che i tedeschi e le camicie nere commettevano erano inutili perchè ormai essi avevano perso la guerra e c'era da vergognarsene ad agire in quella maniera. "Non illudetevi: la guerra finirà presto, potete andarvene". Ciò che poi accadde sta a provare che i repubblichini si legarono al dito quell'offesa. E non soltanto quella, visto che, in un'altra occasione ancora, Alice aveva anche distribuito, davanti ad un comando di polizia, cibo e acqua a un gruppo di partigiani appena rastrellati. Nel gennaio 1944, la Noli entrò a far parte della III° Brigata Liguria svolgendo un'intensissima attività. Il 7 agosto '44 la brigata nera Ponzanelli bussò alla porta di casa di Alice, che fu portata in caserma. La donna si rifiutò di fornire ai tedeschi informazioni su dove fossero nascosti i partigiani e per questo venne picchiata violentemente. Verso l'una di notte fu caricata sul cofano di un camion. Lungo la strada per Isoverde (attuale Via Martiri della Libertà) il camion si fermò, fece scendere Alice ed altri sei arrestati. Dopo aver fucilato gli uomini, qualcuno disse "C'è anche la donna". Spinta al muro, le armi si abbassarono e la finirono. La sorella Rosita seguì l'amara vicenda, al buio, dal poggiolo. Dopo gli spari scese di corsa le scale, ma fu trattenuta dai vicini: uscirà di casa solo all'alba. Non appena riuscì a raggiungerla le abbassò le palpebre e scorse tra le dita un piccolo crocifisso che Alice portava al collo: lo aveva stretto tra i denti fino ad inciderlo. A suo nome fu intestata una brigata femminile delle SAP cittadine, ed a lei personalmente vennero attribuite la croce al merito di guerra ed una medaglia garibaldina. A fine guerra, furono dedicate alla intrepida donna una strada, una scuola materna di Pontedecimo e una scuola media di Campomorone.

25/04/19

Report assemblea a Palermo verso il 25 aprile... OGGI CONTRO IL FASCIO-POPULISMO-RAZZISMO-SESSISMO E' PIU' CHE NECESSARIO SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE

A ridosso del 25 aprile anniversario della Resistenza partigiana, della lotta di liberazione dal nazi-fascismo e dalla guerra, si è tenuta a Palermo il 23 aprile un'assemblea  promossa dalle compagne del Mfpr e dalle lavoratrici Slai Cobas per il sc

Contro il moderno fascismo e il moderno medioevo che avanzano nel nostro paese serve una Nuova Resistenza: celebrare il 25 aprile non è una ricorrenza che ritorna;  oggi più che mai,  dinnanzi ad un governo, all'interno del sistema al servizio del Capitale, nelle mani del fascio-populismo di SalviniLega /Di MaioM5S, che falsamente fanno proclami in nome del "popolo" ma che dopo avere giurato da neo-ministri sulla Costituzione nata dalla Resistenza, rivendicano valori e mettono in campo azioni ogni giorno sempre più fasciste, razziste, sessiste, celebrare il 25 aprile significa affermare la necessità di una Nuova Resistenza, guardando e traendo insegnamenti e lezioni dalla grande esperienza della Resistenza partigiana che vinse in quella che fu una guerra di classe, una guerra di liberazione nazionale, una guerra civile, la prima guerra di popolo nel nostro paese.

In questo senso si è cercato, in assemblea, di ricostruire un ampio quadro rifacendosi in particolare ad uno degli aspetti importanti e determinanti della Resistenza, rappresentato dalla grande partecipazione delle donne in essa. 






Guardando alcuni video/documentari come "La Resistenza di Norma" sulla donne partigiane, che hanno  anche sacrificato  la loro vita combattendo contro il nazi-fascismo,  ascoltando la  diretta testimonianza di compagne del Partito Comunista, che diresse e guidò la Resistenza, che furono molto attive anche sulla questione delle donne, come
Giovanna Marturano, leggendo e commentando alcuni stralci dell'interessante dossier prodotto dalle compagne del Mfpr di Milano in occasione del 71° anniversario della Liberazione, diversi sono stati gli aspetti emersi nella
discussione/dibattito

- La necessità di riappropriarsi dei fatti storici che appartengono alla lotta di classe del proletariato

- Difendere attivamente la Resistenza che la propaganda/azione revisionista della borghesia dominante che si è alternata negli anni al potere ha mirato a svuotare, ad attaccare fino ad arrivare al fascio-populismo al potere di oggi che la vuole proprio cancellare e affossare. Salvini con odiosa arroganza fascista fa i proclami che il 25 aprile viene in Sicilia a Corleone, perchè la vera battaglia di liberazione è oggi quella contro la mafia,  ma nello stesso tempo i legami/gangli corrotti della Lega con la mafia sono sempre più palesi, vedi l'ultimo caso Siri

- Armarsi per la lotta necessaria oggi.

- Ripercorrendo la parte del dossier del Mfpr relativa alla condizione delle donne sotto il fascismo con tutte le leggi e provvedimenti che erano la dimostrazione di come "la difesa degli interessi della borghesia si intrecciavano con l'impianto ideologico  dell'inferiorità della donna, la centralità della famiglia, il ruolo di mere riproduttrici della razza italica..., ci si è proiettati all'oggi con un excursus/analisi delle leggi, provvedimenti, campagne ideologiche del governo attuale (il DDl Pillon, l'attacco al diritto di aborto, il congresso clerico-fascista-antiabortista di Verona pro famiglia) contro la maggioranza delle donne che sono un concentrato, in forme moderne, da moderno medioevo, di quell'impianto ideologico fascista e sessista che ai tempi del fascismo diventò leva di ribellione e lotta. 
Oggi il movimento delle donne nel  nostro paese sta rappresentando una significativa opposizione al governo fascio-populiste ed è importante agire, lavorare, lottare per organizzare, ampliare l'area femminista proletaria rivoluzionaria. 
La grande esperienza dei Gruppi di difesa delle donne durante la Resistenza,ampiamente documentata nel dossier e spiegata per vari aspetti, che fu la risposta pratica  del Partito comunista italiano di dare organizzazione ed estensione al grande bisogno di ribellione e di lotte di tantissime donne, dalle lavoratrici, alle casalinghe, alle studentesse ecc, è una fonte di lezioni utili per l'oggi. 

- In termini più generali si è detto che di fronte al moderno fascismo che avanza nel nostro paese, necessità della borghesia dominante nel suo insieme per difendere i propri interessi in un quadro di crisi economica mondiale  a discapito delle masse proletarie e popolari (decreto sicurezza di Salvini/Lega,  attacco ai migranti propagandati come il nemico invasore nel nostro paese per sviare le masse dai veri problemi sociali, sempre più repressione sociale-stato di polizia, legittimazione dall'alto dei fascisti, la cui manovalanza viene  spinta  a rialzare la testa, riforme sul lavoro, scuola, servizi che tendono a riportarci ancora più indietro in termini di diritti e conquiste sociali, controllo mediatico del consenso sociale, politiche al servizio della guerra imperialista), occorre opporsi con tutti i mezzi e in ogni campo, mettendo in campo l'unica lotta possibile e necessaria, la lotta rivoluzionaria, contribuendo a costruire gli strumenti (partito rivoluzionario, organismi di massa, forza combattente, politica del fronte) conseguenti e necessari. 
La Resistenza partigiana ha aperto e mostrato concretamente la via da seguire e da riprendere oggi  sulla base dell'analisi concreta della situazione concreta.

- Le partigiane e i partigiani hanno scelto da che parte stare, dalla parte del giusto, della coscienza della necessità, della prospettiva di combattere per una società diversa senza sfruttamento e oppressione... oggi tocca a noi davvero scegliere da che parte stare.

L'assemblea si è chiusa con un caldo canto collettivo di Bella Ciao. 

22/04/19

CIRCUMVESUVIA-NAPOLI - LA PROCURA RICONOSCE LA VIOLENZA SESSUALE - MA...



Siamo contente che ci sia questa svolta, dopo la vergognose conclusioni del Tribunale del Riesame di Napoli che aveva affermato che la ragazza aveva mentito, che non vi era stata alcuna violenza. 
Noi pensiamo che siano state importanti le mobilitazioni delle donne fatte a Napoli nelle settimane scorse, seguite alla denuncia e appello del Mfpr; senza di esse, l'ennesimo stupro, come succede per tanti altri, sarebbe stato dimenticato e "archiviato". 
Nello stesso tempo anche questa decisione della Procura non può soddisfarci: se non ci fosse stato il "morso", allora non vi era violenza sessuale? Se le donne reagiscono agli stupri "bloccandosi", allora non c'è stupro? E' sempre la donna che si trova sul banco degli inquisiti e che deve portare le "prove" secondo i presunti canoni di reazione della giustizia borghese.
Per questa (in)giustizia la stessa "vulnerabilità" di una donna invece di essere elemento aggravante, diventa elemento di "consenso".
E ancora una volta le donne rischiano di essere violentate due volte.

ORA, OCCORRE CONTINUARE LA MOBILITAZIONE A NAPOLI E LA SOLIDARIETA' NAZIONALE. GLI STUPRATORI DEVONO ESSERE CONDANNATI!

MFPR

NAPOLI: La Procura ricorre in Cassazione contro la scarcerazione dei ventenni accusati

Circumvesuviana: “Ci fu violenza sessuale. La ragazza reagì mordendo uno dei tre"
di Vincenzo Iurillo | 17 Aprile 2019      

"Ci fu violenza sessuale. E i tre presunti stupratori della 24enne di Portici nella stazione della Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano devono tornare in carcere. Lo sostiene la Procura di Napoli nel ricorso in Cassazione. Il ricorso contesta le conclusioni del tribunale del Riesame di Napoli, secondo cui le dichiarazioni della ragazza sono state considerate non attendibili...
La Procura valuta diversamente dal Riesame i video del sistema di videosorveglianza della stazione della Circumvesuviana.Per i pm si vedrebbe uno degli indagati tenere stretta la spalla della ragazza e spingerla nell'ascensore. Non erano segnali di affetto e consensualità, ma di coercizione. Per sottometterla. E usare poi violenza nei suoi confronti".

#7000ControLisolamento - da L'Aquila


Tutti i contributi sono visibili nell'album di Rete Jin, a questa pagina

21/04/19

MFPR condivide appieno questa posizione e invita a sostenerla e generalizzarla



Non Una di Meno è un movimento politico transfemminista, intersezionale, antirazzista, antifascista, anticapitalista, autonomo da qualsiasi partito, che mira alla trasformazione radicale della società a partire dalla lotta contro la violenza maschile e di genere e contro le gerarchie sociali.

Per questo, adesso che stiamo entrando nella fase della campagna elettorale per le elezioni  europee e amministrative con il suo carico di strumentalizzazioni, vogliamo ribadire che Non Una Di Meno ha scelto di restare fuori dall’arena elettorale: non vogliamo piccole riforme e compromessi che modificano la condizione di pochi mentre lasciano intatte le gerarchie che ci opprimono, i confini che ci dividono e la violenza sociale che ci schiaccia. 

Noi siamo un movimento transnazionale che aspira a una trasformazione radicale della società e alla sovversione di rapporti di potere che travalicano i confini nazionali.

Mentre la crisi della rappresentanza politica è un dato di fatto, il nostro movimento ha mostrato la capacità di aprire uno spazio politico sempre più espansivo, nel quale hanno potuto prendere parola in prima persona tutti quei soggetti che rifiutano violenza, oppressione e sfruttamento: donne e persone LGBTQI+, precari, italiani senza cittadinanza e migranti che non hanno alcun diritto di voto da esercitare, ma combattono in prima persona per la loro libertà di movimento.

Lo sciopero femminista globale è il processo attraverso il quale abbiamo affermato la nostra autonomia, che si è riversata anche nelle strade di Verona e che ha aperto lo spazio transnazionale per il protagonismo di chiunque voglia lottare contro le politiche sessiste, razziste e neoliberali implementate con sempre maggiore intensità a livello globale.

Questa autonomia è la nostra forza e a partire da qui abbiamo rifiutato e rifiutiamo ogni forma di gerarchia e delega, facendo dell’orizzontalità e del consenso assembleare la base della nostra pratica politica.

Sappiamo che i partiti ci vedono come un bacino di possibili voti e che in questa fase di crisi cercano sponde nel movimento, ma diciamo a quei partiti che vogliono relazionarsi con noi di rispettare l’autonomia e le pratiche organizzative del movimento. Le candidature alle europee di alcune attiviste femministe sono frutto di scelte e desideri individuali; scelte che rispettiamo ma che non sono espressione del movimento.

Per questo motivo la sigla nonunadimeno e la grafica consuetamente adottata dal movimento non possono essere utilizzate a scopo elettorale. Tutte le compagne del movimento Non Una Di Meno continueranno ad avere cura dell’autonomia di quel soggetto politico che hanno attivamente contribuito a costruire, un’attenzione che rappresenta un comune denominatore nella pluralità delle nostre pratiche femministe.

Non Una di Meno continuerà la propria lotta con le modalità di un movimento transnazionale nato e cresciuto dal basso: abbiamo un Piano e non ci fermeremo finché non lo avremo realizzato.

https://nonunadimeno

20/04/19

Verso il 25 aprile... Contro moderno fascismo e moderno medioevo serve una nuova Resistenza - Palermo


23 aprile dalle ore 16,00 
presso la sede dello Slai cobas sc Via G. del Duca, 4 


Video-proiezione 
Dibattito
Materiali 
Aperitivo rosso 

lavoratrici Slai Cobas sc 
Mfpr



19/04/19

La presentazione a Bologna del libro di Anuradha Ghandy



Pubblichiamo la trascrizione della bella assemblea che c'è stata il 29 marzo a Bologna presso "Armonie" con la presentazione del libro di Anuradha Ghandy: "Tendenze filosofiche nel movimento femminista".
Queste presentazioni stanno avvenendo in altre città: Taranto, MIlano e a maggio/giugno Torino, Palermo, ecc
Invitiamo le compagne, le realtà femministe ad organizzare anche nelle loro città la presentazione di questo importante libro. Garantiremmo la presenza di una compagna del Mfpr

Buona lettura!
MFPR


Anuradha Ghandy era, come dice Arundathy Roy , “differente”. Anuradha Ghandy nasce in una famiglia progressista e già nell’università diventa una leader delle lotte; subito dopo fa l’insegnante e diventa una delle principali attiviste per i diritti umani nel paese. Dopo comincia il suo periodo di lunga clandestinità perchè sceglie di fare appunto una vita “differente”, da comunista, militante. Nel primo periodo fa un lavoro tra gli operai, in particolare tra gli edili, ne organizza molte lotte. Per tre anni sta nelle zone dove opera l’Esercito guerrigliero di liberazione popolare. E' l’unica donna che è stata, finché non è morta, nel Comitato centrale del Partito Comunista dell’India (Maoista) che dirige la guerra popolare in India.
Anuradha Ghandy già da vari anni soffriva di una sclerosi multipla ma a questa si aggiunse la malaria. Lei andò in un ospedale per accertamenti ma poiché era clandestina non diede il suo vero nome. Quando i medici si accorsero che questa malaria era molto avanzata che le distruggeva via via tutti gli organi vitali, non poterono avvisarla e morì il 12 aprile 2008.
Ma questa compagna fino all’ultimo giorno, con tutte le sofferenze, non si è mai fermata un momento; dalla mattina alla sera girava, andava nelle zone dove è in atto la guerra popolare, e per lungo tempo portò avanti un lavoro per organizzare le donne riuscendo ad organizzare il più grosso movimento delle donne adivasi (adivasi significa “popolazione originaria”), penultimo gradino delle caste, dopo gli adivasi vengono i dalid, gli intoccabili, e gli adivasi vengono trattati dallo Stato e governo indiano anch'essi con la politica dei massacri, repressione, per le donne vengono riservati stupri, uccisioni. Il movimento delle donne adivasi organizzato da Anuradha Ghandy contava almeno 90mila donne. 
Arundathy Roy fa l’introduzione di questo libro, e dice ad un certo punto: io non ho mai avuto la fortuna di incontrare direttamente Anuradha Ghandy, ma andai al suo funerale. La cosa che un po' mi sorprese e sentii fu che tutte le persone che la conoscevano parlavano di lei come di una persona che aveva fatto tanti sacrifici”, e poi aggiunge “Per me comunque con Anuradha Ghandy ci si  imbatte come in qualcuno che felicemente ha barattato noia e banalità per seguire il suo sogno. Non era santa o missionaria. Ha vissuto una vita esilarante che è stata dura, ma appagante”.
Questo era Anuradha Ghandy e questo è stata dall'inizio alla fine.
Anuradha Ghandy non era un intellettuale nel senso classico della parola – non era come Arundathy Roy che normalmente usa i suoi scritti per denunciare - era prima di tutto una militante, per cui la teoria era strettamente legata alla pratica, non faceva teoria limitandola alla conoscenza, divulgazione; faceva teoria come se fosse un'arma, un “fucile in spalla”, contro lo Stato, il governo. Un governo che da quando si è insediato il fascista Modi ha peggiorato enormemente la situazione, nel senso che intere zone – non se avete sentito parlare dell'”Operazione Green Hunt” (caccia verde) – per far insediare grandi multinazionali vengono sgomberate dall'esercito con massacri alle popolazioni, e alle donne vengono riservati non solo uccisioni ma stupri e violenze delle più efferate.
In India, uno dei più grandi continenti - per cui ciò che accade in questo continente acquista una dimensione e rilevanza grandissima – gli stupri e le uccisioni delle donne che sono i più numerosi nel mondo sono di tre tipi. Sono uccisioni, stupri fatti per l'esistenza della realtà semifeudale, frutto del patriarcalismo tribale, per cui gli stessi capi dei villaggi sono parte integrante dell'azione di violenze fatti dai maschi; a questo si unisce la violenza “moderna” dell'imperialismo nelle città che in India sono immense che porta all'abbrutimento delle persone, e di cui le donne sono le principali vittime. Ma c'è un terzo aspetto, forse quello più terribile: gli stupri e uccisioni vengono usati come arma di guerra. L'esercito quando va a “liberare” per conto delle multinazionali intere zone usa gli stupri e le violenze sessuali verso le donne; nelle carceri, le donne e le compagne sono torturate nella maniera più terribile, ad una donna vennero infilate delle pietre nella vagina. Questa è una cosa normale, gli uomini dell'esercito, i paramilitari, sia di loro, sia perchè comandati, portano avanti costantemente queste pratiche di torture e assassine.

Ma c'è l'altra faccia della medaglia, proprio in India. Perchè in India è in atto una guerra di popolo da vari anni in cui le donne sono il 60% dell'Esercito popolare. Le donne sia negli organismi di massa che nel Partito sono spesso la maggioranza, sono nella direzione, sono coloro che portano avanti la “rivoluzione nella rivoluzione” mentre fanno la guerra di popolo.
Chiaramente questo non è che sia ben visto dalla stampa e mass media in generale, anche per questo si “parla poco dell'India”, come molti dicono.
Anuradha Ghandy in una intervista dice che cosa ha significato la guerra popolare, la lotta armata per le donne. La lotta armata per le donne ha significato emancipazione, passare da una situazione di estrema oppressione, tripla oppressione alla possibilità di decidere, di essere determinanti nella vita delle donne, dell'intera popolazione. Anuradha Ghandy diceva: la guerra popolare ha mandato in frantumi le esitazioni delle donne, ha raddoppiato la loro forza per ribellarsi, ha mostrato il cammino per la liberazione della donna.
Un esempio di questo l'abbiamo anche noi: le partigiane che fino al giorno prima erano spesso donne che facevano una vita normalissima, anche se non certo esaltante, nella Resistenza, nell'essere protagoniste della guerra di popolo, come di fatto fu la Resistenza antifascista e antinazista, si trasformarono da un giorno all'altro; diventano protagoniste non solo della propria vita, ma della società. Ecco cosa significa per le donne la guerra di popolo. 
Anuradha Ghandy diceva che la guerra di popolo è quella più adeguata alla battaglia delle donne, perchè le donne hanno una battaglia molto lunga da fare, e quindi la guerra popolare di lunga durata è ciò che le consente di fare un percorso che abbracci tutti gli aspetti, non solo quello militare di lotta contro il governo, lo Stato, l'imperialismo, ma anche quello di distruzione via via di tutte le sovrastrutture, tutte le oppressioni.

Il libro di Anuradha Ghandy ha una particolarità che può sembrare strana: è fatto da una compagna indiana ma parla delle tendenze filosofiche nel femminismo occidentale. Come mai? Lei lo spiega nell'introduzione. Dice che queste tendenze hanno avuto molta influenza anche nel movimento delle donne in India e quindi era necessario andare alle “origini”, fare questa analisi critica delle tendenze, andandole a prenderle dalle loro prime teoriche. Quindi Anuradha Ghandy affronta l'analisi critica a questo livello. E questo è giusto, perchè quando una teoria, una tendenza si diffonde, penetra in altre realtà, chiaramente un po' cambia, però il problema è di andare ad intaccarne il fulcro, da dove è nata, come si espressa, le concezioni, ecc., per far chiarezza o piazza pulita. Questo fa Anuradha Ghandy.

E' un libro diverso da altri. Qui sempre Arundathy Roy ad un certo punto nel descrivere lo stile di scrittura di Anuradha Ghandy dice che è come se buttasse delle “bombe” quando analizza quelle tendenze. Dice: “alcune delle sue affermazioni esplodono fuori dalla pagina come bombe a mano e le rende molto più personali. Leggendole si intravede la mente di qualcuno che avrebbe potuto essere un serio studioso, accademico, ma fu sopraffatto dalla sua coscienza e trovò impossibile sedersi e teorizzare semplicemente le terribili ingiustizie che vedeva attorno a lei. Questi scritti rivelano una persona che sta facendo tutto il possibile per collegare teoria e pratica, azione e pensiero”.
La maniera con cui in questo testo vengono analizzate le tendenze è, come dicevo, abbastanza diversa. Si prende tendenza per tendenza. Prima dà una visione storica d'insieme del movimento delle donne in occidente, dai primi movimenti in America, Inghilterra, ecc. Su questo c'è una questione importante. Anuradha Ghandy dà molto valore al movimento femminista, anche se poi ne vede i limiti. Ma dice che senza il movimento femminista non ci sarebbe stato né un vasto movimento delle donne, né una presa di coscienza in generale su cosa è la società, sul patriarcalismo, femminismo, ecc. Lei dice: “Il movimento ha costretto uomini e donne a guardare in modo critico i loro atteggiamenti e pensieri, le loro azioni, le loro parole riguardo alle donne. Il movimento sfidò vari atteggiamenti patriarcali e anti-donna che contaminarono anche i movimenti progressisti e rivoluzionari e influenzarono la partecipazione delle donne in essi. Nonostante le confusioni e le debolezze teoriche il movimento femminista ha contribuito in modo significativo alla nostra comprensione della questione delle donne nel mondo attuale. Il movimento mondiale per la democrazia e il socialismo è stato arricchito dal movimento delle donne”. 
Questo è importante, compagne. Noi come organizzazione abbiamo molti legami con realtà internazionali e vi posso assicurare che questa affermazione non è, anche tuttora, affatto scontata in alcuni movimenti, organizzazioni, partiti che sono comunisti, rivoluzionari, marxisti-leninisti-maoisti, che però rispetto al movimento femminista, al movimento delle donne hanno come una cesura: Ah, ma quelle sono piccolo borghesi... A livello internazionale, anche in nostre organizzazioni “sorelle2, affermare la necessità che anche nei loro paesi si costruisca un movimento femminista proletario rivoluzionario era come sentirsi qualificare “piccolo borghese”. Via via questo è cambiato ed in effetti ora in Germania, in Austria, in Francia, ecc., ci sono movimenti abbastanza simili a quello che abbiamo costruito in Italia; però è stata dura, perchè il solo parlare di “femminismo” è come se tu stavi dicendo una bestemmia, tu che sei comunista...
Anuradha Ghandy invece rovescia la questione. Lei che era comunista, che è stata nel CC del PCI(M), dice che il movimento femminista è una ricchezza.

Tornando al testo. Anuradha Ghandy fa un'analisi delle varie tendenze: femminismo liberale, femminismo radicale, l'anarco-femminismo, l'eco-femminismo, il femminismo socialista, post modernismo e femminismo.
Per ogni tendenza, prima fa un'analisi e ne spiega i nuclei teorici, poi fa una critica a questi nuclei e poi fa una sintesi delle debolezze e aspetti negativi.
Questo metodo fa sì che anche se lei affronta questioni teoriche abbastanza complesse, le rende abbastanza semplici e chiare, perchè restino le questioni principali. Un'altra cosa che viene fuori è che non solo vengono affrontate le tendenze principali ma, poiché in ognuna di esse ci sono altre “sottotendenze”, anche le tendenze derivanti dalle principali o che se ne sono distinte. L'esempio più emblematico è la parte sul femminismo radicale.
Qui Anuradha Ghandy affronta anche tematiche molto attuali, per esempio il separatismo.
Noi siamo “separatiste” nel senso che riteniamo assolutamente necessario che le donne si diano una propria organizzazione, per costruirsi le proprie armi, essere così più forti per portare questa forza all'interno del movimento proletario più generale. Senza questa propria organizzazione, non è vero che le donne pesano.
Quindi “separata” non nel senso strategico, ma come necessità di unità, di forza delle donne.
Anuradha Ghandy, lei che ha organizzato 90mila donne, questo lo affronta. Ma dice: il femminismo radicale, questa tendenza a teorizzare il separatismo, a cosa poi porta? Porta a non vedere qual'è la contraddizione principale, il nemico principale, Rende principale la contraddizione uomo-donna e quindi nasconde la contraddizione principale: il sistema borghese, imperialista. Questo femminismo può apparire più rivoluzionario ma la conseguenza è il rischio di scadere nel riformismo, perchè tu non lotti per rovesciare una società che inevitabilmente perpetua la contraddizione maschilista, sessista, bensì riduci la lotta alla contraddizione di genere. In questo modo questo “separatismo” va bene al gruppo ma non è in sintonia con la grande realtà delle donne più oppresse e sfruttate da questo sistema borghese.

Altro esempio di attualità è la critica all'eco-femminismo. Noi questa questione ecologica, che investe non solo le donne ma tutte le masse, ce l'abbiamo in casa, a Taranto. Anuradha Ghandy dice che questa tendenza denuncia che lo sviluppo capitalista è uno sviluppo che distrugge l'ambiente. Che è vero. Però qual'è la risposta? La risposta è: torniamo all'economia precedente, all'economia agricola, ecc. Quindi questa tendenza diventa una sorta di teorizzazione dell'andare indietro, rispetto allo sviluppo dei rapporti di produzione. Ma non è che prima era tutto bello per le donne. Nelle campagne, e lo vediamo benissimo anche ora in particolare con le migranti, ma non solo, le donne venivano trattate da schiave. Quindi, tutta questa bellezza non c'era.
Questa tendenza, quindi, alla fine porta ad una posizione arretrata, conservatrice.

In un altra parte del testo troviamo la critica alla teoria della “differenza sessuale” che anche da noi era molto in voga qualche anno fa. Questa tendenza partiva da un'affermazione che una poteva anche condividere ma alla fine portava a dire che la differenza tra uomo e donna, i valori di cui le donne erano portatrici (dalla non violenza, alla cura dell'altro, ecc.) erano da rivendicare, anzi da farne la propria identità, contro...
Anche questo viene analizzato. Anuradha Ghandy dice che in realtà vengono dette le stesse cose che afferma il potere borghese per giustificare la differenza delle donne; la borghesia afferma che i neri sono così perchè sono neri, le donne sono così perchè sono donne... Quindi si dà spazio a quella che è un'azione della borghesia volta a mantenere lo status quo per mantenere l'oppressione.

Anuradha Ghandy analizza le varie tendenze legandole allo sviluppo della società. Per esempio, all'inizio fa l'analisi del femminismo liberale e lo lega agli inizi della società borghese. Poi dice, questo movimento liberale viene meno non tanto perchè vi è stata una critica ma perchè il sistema va avanti e le stesse tendenze cambiano, e quindi si passa dal femminismo liberale al femminismo radicale; da un femminismo che chiedeva allo Stato di attuare delle leggi, degli interventi per i diritti delle donne, a un femminismo che pensa che non questo Stato possa dare i diritti ma che questo Stato si debba quanto meno trasformare.

Questo libro è importante perchè parla a noi, parla delle tendenze che ci troviamo anche in Italia. Quindi ci dà strumenti per analizzarle.

Noi siamo contro due atteggiamenti: uno, quello che dicevamo prima, superficialmente liquidatorio: “sono piccolo borghesi” – per esempio nell'attuale movimento di Nudm la maggioranza è piccolo borghese, e quindi il risultato sarebbe: non ci vengo... Questo, però, sarebbe sbagliato, perchè quando in piazza scendono 200mila donne, tu ci devi stare, devi combattere, devi portare un'altra linea, devi scontrarti...
L'altro atteggiamento è, siccome è il movimento delle donne, dobbiamo essere tutte unite, non ci si deve scontrare (per esempio, nell'ultima assemblea nazionale di Nudm appena una osava criticare degli interventi, si trovava ad assere attaccata come quella che voleva rompere la bella unità del movimento delle donne).

Per questo la battaglia critica verso le tendenze parla a noi. Essere nel movimento delle donne vuol dire capire, analizzare, vuol dire dire ciò che è giusto e ciò che non è giusto.

Nel femminismo socialista Anuradha Ghandy analizza, tra le altre posizioni, la tendenza a vedere come centrale l'intervento nel campo delle idee, dell'educazione, solo nel campo sovrastrutturale. Da qui, l'importanza dell'educazione nelle scuole, nella società, ecc. Certo, tutto serve. Ma se tu metti da parte i rapporti di produzione, il sistema del capitale, è come se tu pensassi di svuotare il mare con un cucchiaio; tu cerchi di fare un'educazione diversa e il governo fa leggi che fanno della scuola un luogo di propaganda del pensiero più reazionario, fascista, sessista... Quindi, devi distruggere la causa.
Altra questione è la denuncia del patriarcalismo. Una cosa è il sistema patriarcale in India, dove c'è un sistema semifeudale e quindi il patriarcalismo corrisponde al sistema; ma in un paese imperialista come il nostro, in cui il patriarcalismo non può reggersi su una base feudale perchè non c'è più il feudalesimo o semifeudalesimo. Nel nostro paese - come negli altri paesi occidentali - il sistema capitalista, pur nella sua fase più avanzata, ha interesse ad usare tutte le armi, e quindi anche il patriarcalismo, ma questo vuol dire capire che il patriarcalismo è a livello ideologico, di sovrastruttura, ma a livello pratico tu devi lottare contro questo sistema che non è arretrato, bensì avanzato.
Pensiamo ad interventi che sentiamo nelle assemblee, o a scritti che leggiamo, che alla fine, tutta una giusta denuncia, analisi critica si riduce a cosa? A fare un'attività di educazione, culturale, ecc.
Per fortuna poi la pratica è diversa, come stiamo vedendo in questi mesi.
Però le teorie restano, e finchè non si spazzano le teorie è come se: le gambe sono buone ma vengono dirette da una testa che non va bene. Allora, devi unire la testa alle gambe.  

Concludo, dicendo che questo libro di Anuradha Ghandy è una sorta di “manuale” che noi possiamo non solo leggere, ma usare. 

Interventi:

- Nel libro ad un certo punto Anuradha Ghandy parla di noi, del movimento lesbo femminista. Io mi ci ritrovo, anche io mi rivedo negli ultimi 25 anni di militanza come lei ci ha descritto. In qualche modo siamo implose dentro il nostro essere, le nostre teorie, il nostro modo di lottare e non siamo riuscite ad andare oltre.

- Siamo a Bologna. Qui prima di tutto ha imperversato la teoria della differenza, e qualsiasi cosa che si discostasse dalle teorie in corso veniva criticata dalle stesse donne, che poi erano piccolo borghesi o alto borghesi. Poi vi è stato un momento in cui abbiamo fatto un sacco di azioni. Non era una battaglia per i diritti, era una battaglia di liberazione dall'isolamento, da un'oppressione che comunque noi abbiamo sempre vissuto.

- Del femminismo materialista Anuradha Ghandy non parla?
Mfpr - Nel femminismo socialista, Anuradha Ghandy, che anche qui dice che non è riducibile a “uno”, scrive che questo femminismo ha cercato di avvicinarsi alle concezioni storico materialistiche. Ma aggiunge: queste femministe hanno colto da Marx l'analisi per cui alla base c'è la produzione e la riproduzione, però poi se ne sono allontanate, cogliendo solo l'aspetto della riproduzione, e hanno criticato il marxismo perchè avrebbe colto solo la questione delle basi economiche, quindi la lotta di classe e non la lotta di genere. Poi mettendo al centro l'aspetto della riproduzione vedono storicamente solo l'aspetto della divisione del lavoro. Ma Anuradha Ghandy dice che la divisione del lavoro in sé non era già subordinazione. Nel periodo del matriarcato la divisione del lavoro era una divisione naturale e le donne, proprio perchè avevano un ruolo più sociale, una sorta di “cape” della comunità, erano molto considerate. Una divisione, quindi, che non metteva l'uomo in una posizione di potere. Quando succede questo? Con la proprietà privata. Nel momento in cui vi è uno sviluppo degli strumenti, si passa dalle attività fatte a mano ai primi attrezzi usati dall'uomo, e quindi vi è una produzione maggiore di quella che bastava alla famiglia, vi è una sorta di accumulo di beni, qui comincia ad esserci quella proprietà privata. Proprietà privata in cui la prima divisione del lavoro avviene tra uomo e donne. Le donne perdono quel potere che avevano, c'è il passaggio tra il riconoscimento matrilineo dei figli a quello patrilinio e qui vi è la base storico materialistica che dà origine al ruolo di subordinazione, all'oppressione delle donne.
Anuradha Ghandy scrive che vedere solo la divisione del lavoro si resta ad un livello primordiale, anche tra gli animali vi è una sorta di divisione del lavoro.
Mettendo al centro e vedendo solo l'aspetto della riproduzione, che è riproduzione della forza-lavoro e della sua assistenza che permette di fornire al capitale forza-lavoro, la contraddizione ridiventa uomo-donna e l'aspetto del sistema di produzione viene “lasciato in pace”.
La cosa è chiaramente molto più complessa e nel testo Anuradha Ghandy l'analizza in maniera profonda.

- Che tipo di femminismo, di lotta di liberazione delle donne propone Anuradha Ghandy?
Mfpr - In termini teorici Anuradha Ghandy era marxista-leninista-maoista e quindi si rifà alla strada indicata dal mlm. Lei parla di legare la lotta di classe alla lotta di genere. In Perù le prime teorizzazioni sulla questione femminile del Pcp, poi in Nepal, quando era rivoluzionaria una dirigente maoista, Parvati, già si è posto che la “chiave” è l'intreccio tra lotta di classe e lotta di genere, e che non affermare questo intreccio, affermare solo la lotta di classe, oltre che mantenere in uno stato gregario le donne, il loro movimento, e non come elemento centrale, di principio della lotta rivoluzionaria, oltre che ostacolare la lotta di liberazione delle donne, è come togliere una così grande potenzialità che viene dal movimento delle donne. E può venire solo dal movimento delle donne, perchè le donne sono oppresse a 360°, le subiscono tutte. In questo senso, il movimento delle donne è più naturale che sia rivoluzionario e non riformista, perchè non può bastare che tu mi risolvi il problema del lavoro, perchè vado a casa e trovo la violenza maschilista, i femminicidi. Quindi proprio perchè l'oppressione è a 360° il movimento delle donne porta potenzialmente un esigenza di trasformazione a 360°; tanto che non si può fermare neanche alla rivoluzione, ma vuole la rivoluzione nella rivoluzione.
In questo senso l'intreccio tra genere e classe è la chiave per affermare un femminismo che sia rivoluzionario, che sia proletario, perchè la maggioranza delle donne sono lavoratrici, vivono una condizione o proprio proletaria o molto simile al proletariato.
Anche noi, perchè parliamo di movimento femminista proletario rivoluzionario? Perchè ci vuole tutto: ci vuole il femminismo, che, come dice Anyuradha Ghandy, ha arricchito, nonostante i suoi limiti e concezioni piccolo borghesi.
Io non sono d'accordo con chi dice: Marx non se n'è fregato niente delle donne,,,, Marx non ha parlato di donne, e quindi... - io penso invece che se si legge bene, Marx ha parlato delle donne, ha messo le basi pure sulla questione della rivoluzione nella rivoluzione, poi Mao Tse tung le ha concretizzate con la rivoluzione culturale proletaria e il grande “assalto al cielo” delle donne. Ma nello stesso tempo dico che se non ci fosse stato il movimento femminista pure il più bravo comunista fino ad un certo punto poteva arrivare, perchè la teoria rivoluzionaria viene dalla pratica e torna alla pratica.
Marx diceva che se non ci fossero stati gli operai, le esperienze del proletariato che analisi potevamo fare? Nel 700 non era possibile elaborare una teoria proletaria. Così come senza la Comune di Parigi non poteva esserci la teoria che lo Stato non si può trasformare ma si deve rovesciare per fare uno Stato proletario.
Senza che i popoli, le masse concrete si muovano e quindi producano le idee, non è possibile che ci sia la scienziato o la scienziata di turno.

- Engels ne “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” lo dice chiaramente.
Mfpr – Ma normalmente non si assume quel tipo di analisi storica fatta da Engels. Se tu non rimuovi la base della condizione delle donne, ponendo fine alla proprietà privata, non è possibile metter fine all'oppressione dell'uomo verso la donna.

- A questo punto una compagna proletaria ha posto la questione della “vendetta” oggi. Io sono d'accordo su tutto, ma proprio perchè siamo umane la vendetta ci serve. Io penso ad un movimento di vendetta, poi andiamo a fare una lotta più grande.
Ma rispetto allo Stato – ha proseguito la compagna – volevo chiedere: sia come Mfpr sia come compagne in India, si mette in discussione lo Stato, oppure in quanto marxiste pensate che sia necessario un periodo di transizione?
Mfpr – Sinteticamente pensiamo, pensano che sia necessario un periodo di transizione. Noi vogliamo distruggere questo Stato, ma pensiamo che sia necessario costruire uno Stato in mano agli organi costruiti nella lotta rivoluzionaria dai proletari, dalle masse popolari, dai consigli di fabbrica agli organismi delle donne, intercambiabili, revocabili in qualsiasi momento; questo momento ci vuole per andare ad un'estinzione dello Stato, il comunismo non ha nessuno Stato.
Marx teorizzò questo anche sulla base dell'esperienza della Comune di Parigi e del suo massacro (la Comune è durata solo due mesi e dieci giorni) - su questo un bellissimo libro è quello scritto proprio da un'anarchica Louise Michel. Marx dice che la Comune di Parigi fu “troppo buona”, ci voleva uno Stato proletario molto più forte, molto più Stato per riuscire a sconfiggere i suoi nemici.

29.3.2019