Nella suggestiva e bella cornice del Baglio Di Stefano a Gibellina (TP) si è svolta venerdi 27 sera, nell'ambito delle iniziative calendarizzate dalla Fondazione Orestiadi per il 50° anniversario del 1968, la rappresentazione teatrale "Le stanze di Ulrike".
In modo molto intenso ma anche netto e graffiante, con passaggi da vero e proprio "comizio", la brava attrice Silvia Ajelli, autrice anche del testo, ripercorre la storiadi Ulrike Meinhof, "una storia personale, storica e politica" che vide Ulrike, giornalista impegnata politicamente, maturare, in un determinato contesto storico e politico a partire proprio dal 1968 (la questione del Vietnam, il vento rivoluzionario che arrivava nei paesi imperialisti, le lotte studentesche in Germania, la repressione della polizia con le prime uccisioni di studenti militanti...) la decisione, la "coscienza " della necessità della violenza rivoluzionaria "come vera presa di posizione".
Ulrike lascia il suo lavoro, la sua vita di donna e di madre di due bambine e sceglie di condurre la lotta armata contro lo Stato borghese nella Germania capitalista e imperialista, fonte di ogni oppressione per la classe del proletariato.
"...Se uno lancia un sasso il fatto costituisce reato, se vengono lanciati 1000 sassi
diventa un'azione politica; se si dà fuoco a una macchina il fatto costituisce reato, se invece si bruciano centinaia di macchine diventa un'azione politica; la protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene, l'opposizione è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non mi succeda mai più"
Ulrike diventa membro attivo della RAF, Rote Armee Fraktion (Frazione dell’Armata Rossa) ed entra in clandestinità.
Quasi un'ora e mezza di un monologo che è riuscito ad afferrare per tutto il tempo l'attenzione del pubblico e in cui man mano la figura di Ulrike emerge dirompente in un intreccio forte, senza banali passaggi intimistici, degli aspetti militanti a quelli personali "ogni questione privata diventa politica" e giustamente arricchito anche degli aspetti di sofferenza, di difficoltà reali per una donna, per una compagna rivoluzionaria la cui scelta di vita radicale, l'addestramento militare, entrare in clandestinità, ha posto la necessità per esempio di separarsi e non di "abbandonare" le figlie, che furono portate per un periodo proprio in Sicilia, dove vissero per alcuni mesi nella valle del Belice.
Esce con bella intensità il messaggio della donna, della compagna rivoluzionaria odiata fino in fondo dallo Stato borghese, quell'odio di classe perchè ha imbracciato le armi con altre compagne e compagni per combattere quello Stato borghese, della donna rivoluzionaria perseguitata dallo Stato con tutti i suoi apparati come la stampa che la denigravano continuamente come donna e madre indegna "sono la donna più odiata della Germania perchè ho scelto di non fare il ruolo imposto alle donne...", della compagna repressa ferocemente dallo Stato borghese quando viene arrestata, accusata di 4 omicidi e 34 tentati omicidi, la resistenza nel carcere in regime di isolamento "La sensazione che ti esploda la testa (la sensazione che la volta cranica debba spezzarsi...La sensazione di ammutolire — non riesci più a identificare la semantica delle singole parole, la puoi solo indovinare — i suoni sibilati sono assolutamente insopportabili. Dolori alla testa... La costruzione della frase, la grammatica, la sintassi — non sono più controllabili. Mentre scrivi: due righe — alla fine della seconda riga hai già dimenticato quello che hai scritto all'inizio della prima, la sensazione di bruciare interiormente...", fino a quando viene "suicidata" dallo Stato che la odia "mi vogliono spegnere..."
La fine dello spettacolo è stata accompagnata da lunghi applausi del pubblico.
Non solo un'occasione per assistere al racconto della storia particolare di una donna, come si legge nella recensione, ma anche l'occasione per riflettere su una fase della storia che parte dal 1968, in cui si inserisce la vicenda di Ulrike Meinhof, da cui trarre lezioni utili per l'oggi.