31/07/18

Mr.Job-Yoox: 23 lavoratrici a processo per gli scioperi del 12 e 13 giugno 2014 - Solidarietà dal MFPR

Blocchi all'Interporto: a giudizio in 23 per picchetti davanti MrJob-Yoox


Si conclude con il rinvio a giudizio di 23 persone l'udienza preliminare nei confronti di 56 tra lavoratrici ed ex lavoratrici della cooperativa Mr.Job e vari 'solidali' che parteciparono con loro agli scioperi del 12 e 13 giugno 2014 davanti al magazzino della cooperativa, che lavorava in appalto per Yoox, all'Interporto di Bologna.
Il pm Antonello Gustapane aveva chiesto il processo solo per 10 di loro, considerati i promotori dell'iniziativa, ma il gup Rossella Materia ha invece deciso che saranno in 23 ad essere processati, a partire dall'11 dicembre, per violenza privata e, in sei casi, anche per resistenza aggravata in concorso. Altre 32 posizioni sono state archiviate, e un'altra è stata stralciata perche' la persona in questione è irreperibile e il procedimento nei suoi confronti è stato sospeso.

Sciopero e blocchi all'Interporto, lavoratrici Mr.Job-Yoox in tribunale

La protesta delle lavoratrici, sostenute dal sindacato Si-Cobas, era scattata, come aveva spiegato una di loro lo scorso 7 marzo (data in cui doveva tenersi l'udienza preliminare, poi rinviata perché alcuni atti non erano stati notificati correttamente) fuori dal Tribunale, per "denunciare le pessime condizioni di lavoro" all'interno della Mr.Job.
Le stesse lavoratrici, aveva aggiunto in quell'occasione l'avvocato Marina Prosperi, protestarono, uscendo dal lavoro e bloccando i camion con le merci all'Interporto, anche per denunciare le vessazioni a cui "erano state sottoposte dal 2011 al 2014 da parte di un responsabile dell'azienda, ad ora condannato in primo grado, nel gennaio 2017, a un anno e sei mesi per violenza privata.



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30/07/18

Arco, la donna che sfida Salvini: "Io, cristiana, dico sì ai migranti"


ROMA - Ci ha voluto mettere la faccia, la sua bella faccia di signora di 83 anni. Che la domenica mattina nell'orario della messa si è portata una sedia sul sagrato, dove si è accomodata con il suo cartello: "Io cristiana dico SI ai migranti, nel mio paese e nella mia casa". Tecnicamente un sit-in, che è stato fotografato e postato nel gruppo Facebook di Arco, paese della provincia di Trento, da una più giovane concittadina: "È veramente un piacere parlare con lei. La trovate ogni domenica mattina". Perché la signora ha fatto sapere che sarà lì anche domenica prossima, e già, almeno a parole espresse via tastiera del computer, sono arrivate le adesioni alla singolare manifestazione.

Dai racconti di chi l'ha incontrata sappiamo che è del 1935 e ha ancora buona memoria, gli anni bui del razzismo e del fascismo li ricorda bene, e forse oggi dice e fa quello che non le fu possibile dire e fare allora

Un paio di giorni prima di questa domenica proprio sull'accoglienza dei richiedenti asilo nella provincia si è consumato un piccolo ma significativo incidente: trenta persone che erano sbarcate martedì scorso sulle coste calabresi, siriani e curdi iracheni, uomini, donne e bambini, sono state inviate dal Viminale a Trento, ma una volta arrivate sono state ricaricate in pullman e ritrasferite a Torino. Giovedì sera il presidente della Provincia di Trento aveva annunciato il loro arrivo per il giorno dopo, aggiungendo che "il Trentino avrebbe fatto come sempre il suo dovere".

Dopo una manciata di ore sono arrivati il contrordine del Viminale, che imponeva il trasferimento a Torino, e il comunicato di Maurizio Fugatti, segretario provinciale della Lega che siede anche nel governo come sottosegretario alla Salute: "La decisione presa dal ministero degli Interni di annullare l’arrivo in Trentino dei previsti 30 profughi nonostante la disponibilità alla accoglienza dimostrata dalla Provincia di Trento, va nella giusta considerazione delle esigenze del territorio trentino che finora ha dato molto in tema di accoglienza e di solidarietà nei confronti dei richiedenti asilo fino ad oggi sopraggiunti". Fugatti è anche il candidato leghista delle prossime elezioni provinciali, che si terranno a ottobre.

Fuori gli stupratori dagli studi medici!

Segnaliamo e condividiamo questa petizione su https://chn.ge/2LC2oxJ

Ultimamente l’opinione pubblica della Piana è stata turbata dalla questione relativa al medico di medicina dello sport condannato a 10 mesi di reclusione in via definitiva per violenza sessuale nei confronti di una giovane donna e fino a poco tempo fa ancora pienamente operativo presso alcuni ambulatori medici di Campi Bisenzio. 
La condanna è stata confermata dalla Corte di Cassazione lo scorso mese di marzo e contesta, al dott. E.T. di aver sottoposto a una visita ginecologica «inappropriata e oltremodo invasiva» una giovane calciatrice professionista che si era rivolta a lui per avere il rilascio del certificato di idoneità sportiva.
L’indignazione è stata enorme, soprattutto tra le donne. Si è trattato di un fatto estremamente grave, inaccettabile. Solo il lancio della petizione on line e il conseguente clamore mediatico hanno indotto i responsabili della struttura a prendere i relativi provvedimenti.
Ci siamo accorte però che il professionista in questione continua ad esercitare presso gli Studi Medici Life di Prato. 
È pressoché umiliante manifestare il nostro sconforto, la nostra amarezza, la nostra indignazione. Troviamo gravissimo e intollerabile il fatto che una persona condannata definitivamente per un reato di questo tipo continui a visitare le donne di Prato. Com’è possibile? L’inerzia e l’indifferenza ci mortificano.
Per questo motivo chiediamo all’Ordine dei Medici di Prato, agli Studi Medici Life e a tutti i soggetti preposti di attivarsi per porre fine a questa vicenda. Noi, dal canto nostro, continueremo a portare avanti questa battaglia di civiltà che le donne di Prato si meritano, chiedendo il supporto a chiunque voglia condividere con noi questa battaglia. 
Maria Guarducci e altre donne di Prato

Eccolo l'allarme razzista secondo Salvini: Daisy Osakue, 22 anni, nazionale italiana di atletica, aggredita questa notte a Moncalieri da un gruppo di italiani bianchissimi. A rischio la sua partecipazione agli europei di Berlino.

Atleta aggredita: “Mi hanno scambiata per una prostituta di colore, per me è un atto razzista”

“Penso sia un’aggressione razzista anche se non amo usare questa categoria. Quella è una zona di prostitute di colore, credo mi abbiano scambiata per una di loro, non penso sapessero chi sono. Hanno visto una persona di colore in quel punto lì e mi hanno colpita”.
È il racconto fatto ai microfoni di Sky Tg24 da Daisy Osakue, la 22enne della nazionale italiana di atletica e di origini nigeriane aggredita nella notte tra il 29 e il 30 luglio a Moncalieri, vicino a Torino.

“Ho un’abrasione e delle lesioni sulla cornea, ma non dovrò operarmi. Un po’ di riposo, del cortisone e starò bene”.

Daisy ha raccontato come si sono svolti i fatti: “Intorno a mezzanotte e mezza ero in corso Roma, vicino casa mia. Un’auto è arrivata di corsa verso di me. Ho attraversato in fretta spostandomi sul marciapiede. A quel punto ho sentito un colpo fortissimo all’occhio”

“Mi sono accasciata, ho visto del liquido e inizialmente pensavo fosse acido, poi ho capito che erano uova e mi sono tranquillizzata”.

La 22enne azzurra è riuscita a vedere qualcosa all’interno della macchina dove si trovavano i suoi aggressori

“A bordo c’erano due ragazzi, quello sul lato del passeggero aveva un braccio sollevato. Pensavo si stesse tenendo, invece stava per lanciare le uova. Non hanno detto nulla, è stato un atto di codardia pura”.

Daisy è convinta di essere stata scambiata per una prostituta della zona: “Una prostituta probabilmente non li avrebbe denunciati, per questo l’hanno fatto. Io invece voglio capire chi sono questi due e sentire da loro se il gesto era razzista o meno. Per ora lo è”.

L’atleta, primatista italiana under 23 di lascio del disco, assicura comunque che parteciperà ai campionati Europei che iniziano a Berlino il prossimo 6 agosto: “Io gareggerò il 9. Avviso tutti che quanto accaduto non mi impedirà di partecipare”.

“Sono italiana da quando ho 18 anni, ho avuto l’onore di poter rappresentare l’Italia nello sport. Continuo per mia strada. Io ho una voce e posso parlare, ma cosa succederebbe se invece di uova qualcuno utilizzasse delle pietre per simili aggressioni? Quando ci muoveremo e capiremo che questa situazione è inaccettabile?”.

Daisy Osakue è un’atleta specializzata nel lancio del disco, primatista italiana under 23. Il suo record personale nella specialità è di 59,72 metri, quarta miglior performance italiana di sempre.

L’episodio si inscrive in un quadro di pericolosa escalation per quanto riguarda le aggressioni a danno di immigrati o persone di origine straniera.

Nella notte tra il 28 e il 29 luglio, ad Aprilia (Latina) un cittadino marocchino è morto dopo essere stato inseguito in auto da due persone convinte che fosse un ladro.

Oggi è prevista l’autopsia sul suo cadavere: per la polizia la morte potrebbe essere stata causata non dallo schianto dell’auto, ma da un successivo pestaggio.

Lo scorso 26 luglio, a Partinico, nel palermitano, un ragazzo senegalese di 19 anni, richiedente asilo, è stato aggredito da quattro persone. “Tornatene al tuo paese, vattene da qui, sporco negro”, gli hanno urlato, prima di prenderlo ripetutamente a calci e pugni.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha affermato che “l’allarme razzismo è un’invenzione della sinistra”, negando quindi che ci sia un crescendo di casi di aggressione

29/07/18

Sul doppio stupro in Via Mezzocannone, le compagne chiamano alla mobilitazione

Dalle compagne della Mensa Occupata

In questi giorni, abbiamo letto sui giornali la storia di una studentessa erasmus diciottenne, stuprata in pieno centro a Mezzocannone prima, e poi nuovamente in macchina dal suo "soccorritore".

La notizia è quasi passata sotto traccia nel dibattito pubblico nazionale, forse perché gli infami aguzzini non erano di colore, ma bianchi, italiani e benestanti.

L'ennesimo episodio di violenza di genere accompagnato dal silenzio generale, dimostra il livello di accettazione della barbarie sessista in questo paese, che procede rafforzato nell'attuale deriva reazionaria della politica parlamentare tutta. I corpi e le storie di chi subisce violenza diventano strumenti per canalizzare l'odio sociale e rafforzare i meccanismi padri di quella stesa violenza che fingono di voler combattere, nascondendo interessi politici.

In Spagna o in Argentina un fiume di persone avrebbe già occupato le piazze davanti ad episodi come questo: non solo per dimostrare solidarietà attiva, alla ragazza e a tutt@ coloro che combattono per rialzarsi dalla violenza, ma per gridare che se toccano una toccano tutt@, e che sono i movimenti ad educare e a diffondere certi contenuti nella società. Qualcuno dirà che è inutile, e si limiterà a invocare "pene severe" o la "castrazione chimica". A dimostrazione ancora più chiara dell'arretratezza culturale e morale in cui versiamo.

Scendiamo in piazza, non lasciamo nessun@ solo!

Non bisogna arrendersi a questa deriva, siamo tutte e tutti parte lesa!

Vogliam la libertà


"Le stanze di Ulrike" una rappresentazione teatrale da vedere

Nella suggestiva e bella cornice del Baglio Di Stefano a Gibellina (TP) si è svolta venerdi 27 sera, nell'ambito delle iniziative calendarizzate dalla Fondazione Orestiadi per il 50° anniversario del 1968,  la rappresentazione teatrale "Le stanze di Ulrike".

In modo molto intenso ma anche netto  e graffiante, con passaggi da vero e proprio "comizio", la brava attrice Silvia Ajelli, autrice anche del testo, ripercorre la storiadi Ulrike Meinhof, "una storia personale, storica e politica" che vide Ulrike, giornalista impegnata politicamente,  maturare, in un determinato  contesto storico e politico a partire proprio dal 1968 (la questione del Vietnam, il vento rivoluzionario che arrivava nei paesi imperialisti,  le lotte studentesche in Germania, la repressione della polizia con le prime uccisioni di studenti militanti...) la decisione, la "coscienza " della necessità della violenza rivoluzionaria "come vera presa di posizione". 
Ulrike  lascia il suo lavoro, la sua vita di donna e di madre di due bambine e  sceglie di condurre la lotta armata contro lo Stato borghese nella Germania capitalista e imperialista, fonte di ogni oppressione per la classe del proletariato. 
"...Se uno lancia un sasso il fatto costituisce reato, se vengono lanciati 1000 sassi
diventa un'azione politica;  se si dà fuoco a una macchina il fatto costituisce reato, se invece si bruciano centinaia di macchine diventa un'azione politica; la protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene, l'opposizione è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non mi succeda mai più"
Ulrike diventa membro attivo della RAF, Rote Armee Fraktion (Frazione dell’Armata Rossa) ed  entra in clandestinità. 

Quasi un'ora e mezza di un monologo che è riuscito ad afferrare per tutto il tempo l'attenzione del pubblico e in cui man mano la figura di Ulrike emerge dirompente in un intreccio forte, senza banali passaggi intimistici, degli aspetti militanti a quelli personali "ogni questione privata diventa politica" e giustamente arricchito anche degli aspetti di sofferenza, di difficoltà reali per una donna, per una compagna rivoluzionaria la cui scelta di vita radicale, l'addestramento militare, entrare in clandestinità, ha posto la necessità per esempio di separarsi e non di "abbandonare" le figlieche furono portate per un periodo proprio in Sicilia, dove vissero per alcuni mesi nella valle del Belice. 

Esce con bella intensità il messaggio della donna, della compagna rivoluzionaria odiata fino in fondo dallo Stato borghese, quell'odio di classe perchè ha imbracciato le armi con altre compagne e compagni per combattere quello Stato borghese, della donna rivoluzionaria perseguitata dallo Stato con tutti i suoi apparati come la stampa che la denigravano continuamente come donna e madre indegna  "sono la donna più odiata della Germania perchè ho scelto di non fare il ruolo imposto alle donne...", della compagna repressa ferocemente dallo Stato borghese quando viene arrestata, accusata di 4 omicidi e 34 tentati omicidi, la resistenza nel carcere in regime di isolamento  "La sensazione che ti esploda la testa (la sensazione che la volta cranica debba spezzarsi...La sensazione di ammutolire — non riesci più a identificare la semantica delle singole parole, la puoi solo indovinare — i suoni sibilati sono assolutamente insopportabili. Dolori alla testa... La costruzione della frase, la grammatica, la sintassi — non sono più controllabili. Mentre scrivi: due righe — alla fine della seconda riga hai già dimenticato quello che hai scritto all'inizio della prima, la sensazione di bruciare interiormente...", fino a quando viene  "suicidata" dallo Stato che la odia "mi vogliono spegnere..."

La fine dello spettacolo è stata accompagnata da lunghi applausi del pubblico. 

Non solo un'occasione per assistere al racconto della storia particolare di una donna, come si legge nella recensione, ma anche l'occasione per riflettere su una fase della storia che parte dal 1968, in cui si inserisce la vicenda di Ulrike Meinhof, da cui trarre lezioni utili per l'oggi.

Ci vogliono madri, ci rendono disoccupate!

Da NUDM
È di due giorni fa la notizia che a due lavoratrici di Anpal servizi (Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro) non sarà prorogato il contratto.
Anpal servizi tiene nella morsa della precarietà centinaia di lavoratori, gli stessi che dovrebbero aiutare i disoccupati a trovare un impiego. E fa pagare alle donne il prezzo più salato delle sue scelte. Su 10 contratti in scadenza solo quelli di 2 lavoratrici non verranno rinnovati:
Il primo è di una lavoratrice in maternità: dopo 24 mesi di contratto a tempo determinato, dal 31 luglio sarà disoccupata. Il mancato rinnovo ha i tratti della farsa: l’azienda ha deciso di motivare i rinnovi con la “sostituzione delle lavoratrici in congedo di maternità e dei lavoratori/trici in aspettativa” - come si legge nel comunicato del nascente coordinamento nazionale precari Anpal servizi.
La neomamma di fatto è stata esclusa con un vero e proprio atto discriminatorio e quindi illegittimo: utilizzare strumentalmente la “causalità” del rinnovo dei contratti a tempo determinato – reintrodotta dal Decreto Dignità e di fatto strumento di contrasto all’abuso dell’utilizzo di questo contratto - per espellere una precaria dal mondo del lavoro.
Per la seconda lavoratrice, invece, la motivazione addotta al mancato rinnovo sarebbe l'aver superato le 4 proroghe ammesse dal Decreto dignità, a cui però non seguirà la stabilizzazione ma la cessazione del rapporto di lavoro.
L’Anpal Servizi - società in house di Anpal, agenzia tecnica del Ministero del lavoro e braccio operativo del sistema delle politiche attive- elude il Decreto dignità e invece di stabilizzare, lascia per strada due lavoratrici. Il diritto alla maternità e il diritto al lavoro vengono piegati in un sol colpo ai dettami della produttività e della precarietà. Ancora una volta sono le donne che vengono costrette a rimanere a casa e a scegliere tra la voglia e la decisione di essere madre e l’autonomia economica.
Non una di Meno combatte contro la violenza economica e il ricatto del lavoro precario, per l'autonomia e la dignità nel lavoro e nel non lavoro.
Per questo esprimiamo solidarietà alle lavoratrici Anpal servizi e siamo al loro finaco in questa battaglia. Auspichiamo una risoluzione immediata per le due lavoratrici, che non può che essere la loro stabilizzazione.
Un torto fatto ad una è un torto fatto a tutte!

Israele, Ahed Tamimi è libera, ma ritrarre la sua immagine è reato


La giovane attivista palestinese era in carcere da otto mesi per aver schiaffeggiato un soldato. "La resistenza continuerà". Mobilitazione internazionale, tra cui l'opera dell'artista napoletano Jorit arrestato ieri a Betlemme per il suo splendido murale.
 
GERUSALEMME - E' uscita di prigione Ahed Tamimi, l'adolescente palestinese diventata un simbolo della protesta dopo il video che la riprende mentre colpisce alcuni soldati israeliani. Ha scontato quasi otto mesi di prigione. Insieme alla madre Mariman, anche lei scarcerata, Ahed Tamimi ha raggiunto il suo villaggio di Nabi Saleh, in Cisgiordania, accolta dalla famiglia e da una folla di sostenitori. "Dalla casa di questo martire io dico: la resistenza continuerà finché la occupazione sarà stata rimossa", sono state le prime parole di Tamimi davanti all'abitazione di una vittima delle forze israeliane. "Tutte le prigioniere in carcere sono forti, e ringrazio tutti quanti mi hanno sostenuto mentre io stessa ero incarcerata".

Gli "effetti collaterali" dell'imperialismo italo-francese: istigazione alla prostituzione minorile

Il rapporto di Save the Children: Ventimiglia, il dramma delle bambine migranti: prostitute per pagare i passeur
 
Minorenni costrette a prostituirsi per pagare il passaggio del confine a Ventimiglia o reperire cibo e un posto dove dormire. E' la nuova tappa dell'orrore della tratta dei minori, denunciata nell'ultimo rapporto di Save the Children chiamata "Survival sex".
Si tratta di ragazze provenienti per lo più dal Corno d'Africa e dall'Africa-sub-sahariana che devono versare ai "passeurs" tra i 50 e i 150 euro per il viaggio in auto. La situazione, sottolinea Save the children, si è aggravata anche dopo lo sgombero, ad aprile 2018, dell'accampamento nell'area lungo il fiume Roja. Da allora, gli operatori di Save the Children hanno rilevato la permanenza in strada di molti minori "in condizioni degradanti, promiscue e pericolose...".
Secondo il direttore della Caritas di Ventimiglia, Maurizio Marmo, chiamato a commentare il rapporto di Save the Children "è plausibile che si siano verificati episodi del genere... Abbiamo comunque sempre sostenuto che la frontiera avrebbe potuto comportare un simile rischio".

Le compagne MFPR Italia si uniscono alle compagne brasiliane del MFP nel ricordo della compagna Sandra

Licenziata perché ammalata di tumore, vince il ricorso

Il giudice: "Licenziamento illegittimo", l'operatrice socio sanitaria di Carmagnola vince il ricorso contro una residenza per anziani: "L'azienda le affidi mansioni compatibili con lo stato di salute"

Licenziare una dipendente affetta da tumore è illegittimo. Lo ha deciso il tribunale del Lavoro di Asti con una sentenza che ripercorre le argomentazioni affermate dal giudice del lavoro di Ivrea qualche settimana fa, per il caso di Franco Minutiello, il netturbino malato di Parkinson della Teknoservice, l'azienda che si occupa della raccolta rifiuti del Canavese.
In questo caso la donna, operatrice socio sanitaria in una residenza per anziani di Carmagnola, è stata
licenziata dopo essere stata colpita da una recidiva di malattia tumorale che l'ha costretta prima a un periodo di inattività e, poi, a veder limitate le proprie mansioni. “La patologia ha provocato una infermità che non permette alla signora di sollevare e spostare carichi, come nel caso di pazienti non autosufficienti” aveva detto l'azienda, sostenendo che non ci fossero incarichi adatti alle sue condizioni.
L'operatrice sanitaria però, tramite l'avvocata Francesca Romana Guarnieri, ha fatto ricorso e la giudice Elisabetta Antoci ha riconosciuto l'illegittimità del licenziamento, intimando alla residenza per anziani di reintegrare la lavoratrice. “Il tribunale ha dichiarato nullo il licenziamento poiché discriminatorio in ragione della disabilità della lavoratrice affetta da tumore – spiega la legale - In particolare, è stata accertata la possibilità per il datore di lavoro di impiegare utilmente la lavoratrice, a cui erano assegnate mansioni di Operatrice socio sanitaria, in attività compatibili con le limitazioni fisiche stabilite dai giudizi medici”. Il riferimento nella sentenza è alle disposizioni sugli “accomodamenti ragionevoli”, imposti al datore di lavoro per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, stabiliti anche dalle norme europee.

In morte di Sergio Marchionne e in ricordo di Maria Baratto

Maria Baratto era una operaia Fiat di 47 anni
Maria Baratto viveva da 6 anni con la spada di Damocle del licenziamento: in cassa integrazione con 800 euro al mese, si è ammazzata poco prima che le scadesse.
Maria Baratto faceva parte del Comitato mogli operai di Pomigliano, era un'operaia sgradita alla FIAT, per questo fu deportata da Marchionne nel reparto-confino di Nola insieme ad altri 316 lavoratori, perché non avessero più contatti con gli altri operai.
A 20 chilometri dallo Stabilimento di Pomigliano, nel reparto desolato e improduttivo di Nola, si mandavano infatti gli operai più scomodi, quelli sindacalizzati, per punirli, umiliarli, annichilirli. Pur di isolarli dagli altri operai di Pomigliano, la Fiat li pagava per non lavorare.
Diversi lavoratori, confinati a Nola in Fiat, si sono ammazzati prima di Maria.

In una lettera del 2011, intorno a questi suicidi, in realtà omicidi padronali, Maria scriveva:
"Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti. L'intero quadro politico istituzionale che, da sinistra a destra, ha coperto le insane politiche della Fiat è corresponsabile di questi morti insieme alle centrali confederali.
Dopo aver lucrato negli anni scorsi finanziamenti pubblici multimiliardari, lo speculatore Marchionne chiude e ridimensiona le fabbriche Italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori che sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine ed a un futuro di disoccupazione."

Ma Maria Baratto non ha retto a tutto questo e il 21 maggio del 2014 si è uccisa, colpendosi più volte con un coltello all’addome. Il suo corpo fu trovato dopo 4 giorni in una pozza di sangue, nel piccolo appartamento ad Acerra, dove viveva da sola.

Maria è una delle tante vittime invisibili della violenza padronale della Fiat. Non un eroe, come la borghesia si affanna ad osannare il mandante del suo assassinio, ma martire della guerra dei capitalisti contro la classe operaia.

E' tempo che la classe operaia si organizzi per rispondere a questa guerra e per vincerla, perché i veri eroi sono le masse, non gli uomini del capitale che le sfruttano.

Dall'editoriale di Proletari Comunisti del 27.07.18, "In morte di Marchionne":


La morte annunciata di Sergio Marchionne ha rilanciato tutta la borghesia e i suoi organi di stampa e reti televisive in una glorificazione, a cui si è associato anche il presidente fascio-imperialista Trump che lo ha paragonato addirittura ad Henry Ford.
E’ indubbio che Marchionne ha meritato gli elogi del capitale, e ne ha rappresentato gli interessi ben oltre la vicenda del gruppo Fiat.
Egli ha interpretato in maniera quasi esemplare il suo carattere di “funzionario del capitale”.
Pur essendo un manager, ha incarnato gli interessi dei padroni, meglio dei padroni stessi; ha preso la Fiat in una situazione di crisi, l’ha, per così dire, salvata e ha giostrato nello scontro e nelle alleanze realizzando, con la fusione con la Chrysler, una operazione che ha salvato i profitti degli Agnelli e quelli dei padroni americani che anch’essi si trovavano di fronte alla crisi di Detroit.
Certo è stato uno dei manager meglio pagati al mondo, ma è sbagliato ridurre tutta l’operazione ai suoi lauti guadagni. Marchionne ha impresso uno stile personale che i padroni in quanto tali e i loro governi non potevano in nessuna maniera realizzare. Ha dato a tutta la vicenda un’anima, e in questo indubbiamente i padroni non possono che essergli eternamente grati, e il suo posto è sicuro nella storia concreta del capitalismo italiano, nella storia dell’industria dell’auto.
E ora con la sua morte sicuramente si apre un vuoto, ben oltre gli indici di Borsa, ma proprio quello lasciato da un funzionario esemplare del capitale che ha colto e cercato di realizzare l’essenza del modo di produzione capitalista e delle leggi del capitale.
Il profitto dipende dall’estorsione del plusvalore e dalla sua realizzazione nel mercato mondiale; il profitto si fonda sullo sfruttamento dei lavoratori. Lo sfruttamento degli operai domanda un comando assoluto e dispotico della forza lavoro, incompatibile con diritti e sindacalismo di classe.
Quella di Marchionne è stata una guerra, una guerra di classe contro la la classe operaia, condotta con radicalità e senza scrupoli, schierando intorno a sé tutte le figure del sistema del capitale, in primo luogo i governi, quindi l’apparato dello Stato e sopratutto in forma decisiva le organizzazioni sindacali come espressione dell’aristocrazia operaia, come puntello del capitale.
E lì che le qualità di Marchionne hanno dimostrato la loro vera natura e messo a nudo le leggi di fondo di questo sistema.
Marchionne è stato l’interprete del fascismo padronale nella forma più pura, in una situazione in cui l’instabilità dei governi e le contraddizioni dello Stato e nello Stato non lo permettevano lo rendevano difficile..

Sul Sole 24Ore 26 luglio si legge: “Addio a Sergio Marchionne, outsider e uomo di sistema”. Alberto Bombassei parla di un “manager rivoluzionario per finanza e industria”; Gian Maria Gros-Pietro di “sintesi perfetta di strategia e tattica”; il Presidente della Confindustria di  “Uomo di rottura e di innovazione”. E’ tutto vero dal punto di vista dei padroni.
Abbiamo analizzato in un libro – di cui raccomandiamo umilmente la lettura – giorno per giorno, nella fase più acuta della guerra di classe negli stabilimenti Fiat, quali siano stati gli effettivi effetti di questo in fabbrica.
Ora bisogna, però, guardare alle condizioni che hanno permesso a Marchionne di incarnare in questa forma gli interessi di fondo, strategici e tattici del capitale.
Marchionne è stato il capo di stato maggiore della guerra antioperaia, ma gli operai Fiat non sono riusciti ad opporre ad esso un proprio “stato maggiore”, una propria organizzazione di classe dotata di una strategia e tattica per combattere questa guerra.
La fine e l’assenza del partito di classe, il cambio di natura del sindacalismo in fabbrica, la inadeguatezza delle tenaci e combattive avanguardie di fabbrica, organizzate o no nei sindacati di base, sono stati gli inevitabili compagni di strada dell’affermazione di Marchionne.
La morte drammatica di Marchionne è l’occasione per fare un’analisi e un bilancio di parte operaia, delle ragioni interne alla classe e alle sue organizzazioni che hanno permesso a Marchionne di essere grande.
Le reazioni nelle fabbriche Fiat alla sua morte restituiscono una fotografia di questo stato delle cose, tra operai dispiaciuti o che vedono a rischio il loro futuro e avanguardie che sottolineano in forma giusta ma scontata i danni di Marchionne alla classe operaia e al movimento sindacale di classe. Questa fotografia dimostra che c’è ancora molto lavoro ideologico, teorico, politico, organizzativo da fare perchè gli operai possano riprendere, sulle ceneri di una sconfitta storica, le armi per una controffensiva.
Le condizioni materiali attuali del gruppo Fiat e il vuoto di progetto e comando creato dalla morte di Marchionne favoriscono, però, l’emergere non della forza del gruppo Fiat ma la nuova fase di crisi profonda che si avvicina.
Gli uomini del capitale restano giganti dai piedi di argilla, i veri eroi sono le masse.
E’ tempo di dimostrarlo.

proletari comunisti – PCm Italia
27 luglio 2018

Cile - attacco nazista alle donne in lotta per il diritto d'aborto - info a cura MFPR italia

Cile: tre donne accoltellate durante la marcia per il diritto di aborto

Mercoledì, 25 luglio, oltre 50.000 persone hanno partecipato alla sesta marcia nazionale per un aborto legale, libero e sicuro in Cile, rivendicando il diritto all'aborto senza condizioni e ad un'educazione non sessista. Durante la marcia, tre donne sono state accoltellate. Gli attacchi sono stati rivendicati dal gruppo neo-nazista "Movimiento social patriota" attraverso i social network.

Questa marcia si tiene dal 2013, ogni 25 luglio, in risposta al caso di Belén, una bambina di 11 anni, rimasta incinta dopo essere stata violentata dal patrigno e che ha dovuto continuare la sua gravidanza nonostante la sua età. Fino al 2017 l'aborto era vietato in tutte le sue forme, ora è ammesso solo in alcune condizioni.


Di seguito il comunicato di NiUnaMenosChile
CILE "Non ci fermeranno. Hanno paura perché non abbiamo più paura."

Tre donne sono state accoltellate mercoledì 25 luglio a Santiago del Cile mentre partecipavano alla 6° marcia femminista organizzata a livello nazionale per l'aborto libero, sicuro e gratuito. Gli aggressori, che non sono ancora stati identificati, hanno agito a volto coperto alla fine della manifestazione che ha visto la partecipazione di circa 50.000 persone. Le compagne ferite ora stanno bene e sono state dimesse dagli ospedali. Immediata la risposta del movimento femminista che ha indetto ieri una conferenza stampa ( foto in alto) invitando di nuovo alla mobilitazione nel tardo pomeriggio in Piazza Italia a Santiago contro l'attacco fascista e misogino. Prima dell'accoltellamento, un'altra provocazione violenta era avvenuta davanti ad un centro commerciale durante il passaggio del corteo ad opera di neonazisti del gruppo Patriot Movimento Sociale, seguaci di Pinochet. Il gruppo ha rivendicato l'azione sul proprio account twitter: "Abbiamo dipinto l'Alameda con sangue e viscere di animali per ricordare loro che cercano di uccidere i bambini." I violenti e gravi attacchi degli antiabortisti sono stati condannati da tutto il mondo politico cileno.

Nei vari comunicati che si sono succeduti nella giornata di ieri, il movimento femminista cileno denuncia il tentativo di fermare la forte mobilitazione per l'aborto libero, sicuro e gratuito che si sta estendendo in tutta l'America Latina. Non a caso il pañuelo verde è stato simbolo della imponente manifestazione che si è tenuta il 25 luglio,a sostegno della lotta delle femministe argentine. Qui uno stralcio del comunicato di #NiUnaMenosChile: "Interpelliamo la giustizia affinché questi atti violenti siano perseguiti e non rimangano nella impunità patriarcale. Le persecuzioni e le intimidazioni che stanno vivendo le nostre compagne argentine si manifestano anche qui in Cile per zittirci, ma si sappia che siamo più unite che mai e che questa rivolta femminista per la difesa dei nostri diritti continuerà con ancora più forza." #NoBastan3Causales #AbortoLegalYa

Video : https://www.facebook.com/ajplusespanol/videos/2003287113056961/
https://www.facebook.com/coordinadorafeminista8M/videos/2371955783031192/
Foto e comunicato 6°Marcia 25 luglio
https://www.facebook.com/pg/coordinadorafeminista8M/photos/?tab=album&album_id=2371903936369710
https://www.facebook.com/pg/cooperativafotografas/photos/?tab=album&album_id=210663139644073

https://www.facebook.com/notes/coordinadora-feminista-8m/declaraci%C3%B3n-p%C3%BAblica-coordinadora-feminista-8m-por-el-derecho-al-aborto-libre-leg/2370193789874058/

Verona - l'iniziativa delle femministe di nudm impedisce la discussione delle mozione contro l'aborto - prossima mobilitazione a settembre anche per cacciare il consigliere fascista

Da Nudm di Verona

Saluti fascisti di un consigliere in aula alle attiviste di Non Una di Meno
Giovedì 26 luglio Non Una Di Meno Verona ha partecipato al consiglio comunale dove era in previsione la discussione delle mozioni 434 e 441 proposte da due consiglieri della Lega Nord volte a dare ampio spazio alle associazioni cattoliche per contrastare l’aborto libero e gratuito e per sistematizzare il programma di “sepoltura dei bambini mai nati”, anche senza il consenso della donna coinvolta e a carico della sanità pubblica. 
Nei giorni scorsi Non Una di Meno ha scelto di contrastare l’approvazione delle due mozioni attraverso un’azione di pressione sui social network e via mail. Durante la discussione, dal loggione, abbiamo deciso di mettere in scena, così come già avvenuto in molte altre città e paesi, una protesta silenziosa e pacifica, il cui messaggio era trasmesso dall’abbigliamento: alcune di noi si sono presentate nell’aula indossando vestiti simili a quelli della serie tv The Handmaid’s Tale, cioè tuniche e mantelli rossi e copricapi bianchi. Nella serie, le donne vestite in questo modo vivono come schiave sessuali e incubatrici viventi. 
La discussione sulle due mozioni non era ancora iniziata, quando il consigliere di maggioranza Andrea Bacciga (che appartiene al movimento Battiti, fondato dall’attuale sindaco di Verona Federico Sboarina a sua volta sostenuto dai movimenti integralisti cattolici e di estrema destra) poco dopo aver varcato la soglia dell’aula ha rivolto provocatoriamente alle attiviste il saluto romano che, ricordiamo, è punito dal nostro codice penale. Inutile aggiungere che il gesto risulta ancor più grave se commesso da un rappresentante delle istituzioni che ha giurato sulla costituzione italiana, costituzione antifascista, e all’interno di una sede istituzionale. 
A quel punto sia tra le persone che assistevano al consiglio sia tra i consiglieri di minoranza si sono sollevate immediate proteste accompagnate dalla richiesta di una presa d’atto del gesto gravissimo di Bacciga da parte del presidente del consiglio Ciro Maschio di Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale. Ciro Maschio, tra le proteste generali, ha dichiarato di non aver visto nulla, di non poter interrompere la seduta “per fare l’esegesi dei gesti altrui”, rispondendo inoltre a un consigliere di minoranza che aveva fatto notare come ci fossero decine di testimoni che lui non poteva dare credito a una sua personale interpretazione. Ciro Maschio ha inoltre posto sullo stesso piano il “disturbo” creato dalla presenza delle silenziose attiviste al “disturbo” eventualmente creato dal gesto di un consigliere che lui non aveva visto. 
Nel frattempo il loggione si era riempito di forze dell’ordine che hanno filmato noi attiviste, ci hanno intimato di toglierci i mantelli rossi (nonostante il regolamento comunale non li vieti) e hanno trattenuto alcune per l’identificazione.  
Il consiglio comunale è stato interrotto per una ventina di minuti. Quando è ripreso, il consigliere Bacciga - sollecitato da un quesito della minoranza - ha dichiarato: “Io stavo entrando, ho salutato in questa maniera qua delle persone con la mano destra, ma se è proibito salutare con la mano destra ditemelo, evidentemente siamo in un regime che dovrò salutare con il pugno chiuso”.
(…) Io ho salutato con la mano destra, se volete tagliarmi la mano destra fatelo”. 
 
Dopo le sue parole, il presidente del consiglio Ciro Maschio, ha ritenuto sufficienti queste poche e vaghe spiegazioni e si è augurato che l’equivoco potesse essere così chiarito. 
Ciò che è successo ha causato un notevole ritardo e le due mozioni in questione non sono state discusse: sono dunque state rinviate a settembre. 
Apprezziamo il fatto che sia bastato un travestimento silenzioso per svelare la vera natura di questa destra che entra a braccio teso all’interno delle istituzioni democratiche. Ora a voce alta Non Una di Meno Verona chiede le immediate dimissioni del consigliere Andrea Bacciga. 

28/07/18

Niente carcere per il prete pedofilo, questa la giustizia borghese contro le donne, questa la "certezza della pena" per il governo "del cambiamento".

E già,  per il governo fascio/populista esistono reati particolarmente odiosi come il furto in abitazione, il furto aggravato, il furto con strappo, la rapina e la truffa e l'immigrazione naturalmente. Lo stupro di una bambina di 10 anni, specie se commesso da un prete bianco, l'eventuale favoreggiamento della prostituzione, non sono tra questi.

Da il mattino

Bimba abusata, don Paolo Glaentzer ai domiciliari: poteva violentarla ancora. Al gip: «Pensavo avesse 15 anni»


Don Paolo Glaentzer resta ai domiciliari: il parroco di una chiesa del Fiorentino arrestato lunedì scorso, in flagranza di reato, e accusato di violenza aggravata su una bambina di 10 anni, non andrà in carcere. Lo ha deciso il gip di Prato Francesco Pallini, che ha sciolto la riserva sulla misura cautelare da applicare. «La scelta della misura cautelare degli arresti domiciliari è tecnicamente ineccepibile e ben motivata», ha commentato l'avvocato pratese Valeria Fontana, difensore del sacerdote, sorpreso con la bimba da due vicini di casa e bloccato subito dai Carabinieri.
Intanto vengono fuori altri particolari della storia della bambina, che sarebbe stata abusata dal prete: nel gennaio scorso, la procura per i minori del tribunale di Firenze aveva chiesto l'allontanamento dalla famiglia della piccola, richiesta allargata anche agli altri due fratelli. Alla richiesta non seguì una decisione del giudice: sarebbe stato proprio il prete a chiedere che la bimba non fosse portata via ai genitori. Come riporta il Corriere Fiorentino, sette anni fa il fratello maggiore della bambina sarebbe stato vittima di un episodio in qualche modo simile a quello vissuto dalla sorellina: il ragazzo, oggi ventiduenne, all'epoca dei fatti ne aveva 15 anni, venne trovato appartato con un adulto. In mancanza di riscontri oggettivi l'indagine fu poi archiviata.



Don Paolo durante l'interrogatorio del 24 luglio davanti al pm avrebbe confessato di aver avuto incontri analoghi con la bimba «almeno altre tre volte», specificando poi che era sempre stata la piccola a prendere l'iniziativa: «Ignoravo l'età, pensavo che avesse qualche anno in più, tipo 14, 15 anni». Ma la circostanza sarebbe smentita, secondo il gip, dal fatto che ha dichiarato di conoscere la famiglia da molti anni, da quando la bambina era poco più che una neonata. «Ho conosciuto questa famiglia circa dieci anni fa» avrebbe detto, «andavo una volta al mese a cena a casa loro».

L'uomo avrebbe anche affermato di aver aiutato la famiglia, gravata da problematiche sia economiche che sociali - tanto che i figli erano stati affidati ai servizi sociali -, e di aver donato loro circa 7mila euro nell'arco di una decina di anni. Per il giudice, l'anziano avrebbe circuito la piccola approfittando dal suo ruolo di sacerdote e della conoscenza con la famiglia, iniziata diversi anni fa. «Dal momento dell'arresto ad oggi ho pensato a quanto accaduto e mi rendo conto di aver sbagliato», ha detto il sacerdote davanti al gip. 

Il gip Pallini, nell'ordinanza che dispone per don Paolo la misura della custodia cautelare ai domiciliari (nella sua abitazione in una frazione di Bagni di Lucca), afferma che il prete avrebbe potuto ancora abusare di lei: per il gip nei fatti confessati si dimostra «un pervicace radicamento dell'indagato in siffatte devianti e illecite modalità di condotta». Sempre secondo quanto spiegato dal giudice, la scelta degli arresti domiciliari, rispetto a quella in carcere che era stata chiesta dall'accusa, è stata dettata dall'assenza del pericolo di inquinamento delle prove, tenuto conto che il 70enne ha confessato, fornendo la stessa versione dei fatti sia davanti al pm, il 24 luglio scorso, che in sede di interrogatorio di convalida davanti al gip. Nella decisione hanno pesato poi l'avanzata età del prete e il fatto che sconterà gli arresti nel Lucchese, lontano dall'abitazione dove la vittima vive coi fratelli e i genitori.

27/07/18

La giunta Raggi ritira la convenzione alla casa internazionale delle donne. Contro la violenza fascio/populista ci vuole una nuova resistenza



La giunta Raggi ritira la convenzione alla casa internazionale delle donne. È chiaro a tutte oggi cosa vogliano fare con gli spazi femministi? lucha y siesta è sotto la spada di damocle dell’asta senza che il comune abbia alzato un dito per toglierla dalla lista degli edifici in vendita. Cagne sciolte e molti altri spazi femministi sono a rischio. Giorni fa chiuso un centro antiviolenza Roma. #BastaYa abbiamo già guardato e visto abbastanza!


L’Assessora Rosalba Castiglione ci ha annunciato che la memoria da noi consegnata a fine gennaio 2018 è stata respinta in toto, comprese le proposte di riduzione del debito da noi formulate. Nel corso dell’incontro tra il direttivo della Casa e le assessore Castiglione, Baldassarre e Marzano, con la consigliera Guerrini, l’assessora Castiglione ha annunciato la revoca immediata della Convenzione che regola il rapporto fra la Casa internazionale delle donne e Roma Capitale.
Noi presenti alla riunione, la presidente Francesca Koch, Lia
Migale, Giulia Rodano, Maria Brighi, Loretta Bondì – faremo opposizione a tutto campo. Non possiamo non rilevare che l’annuncio della revoca della Convenzione avviene alla vigilia di agosto, nella peggiore tradizione di ogni vertenza pubblica e privata nel nostro paese. La Casa Internazionale delle donne e tutte le attività e servizi che al Buon Pastore vengono erogati rischiano la chiusura a causa di questo ulteriore incomprensibile attacco della giunta Capitolina al femminismo e alla vita associata di Roma. Noi abbiamo proposto una transazione che chiuda definitivamente la questione del debito.
Grazie al grande sostegno che abbiamo ricevuto con la
“Chiamata alle arti” e con la grande mobilitazione in Campidoglio del 21 maggio, c’è a Roma e nel paese la consapevolezza di quanto negativo e grave sarebbe scrivere la parola fine alla esperienza della Casa Internazionale delle donne.
Ci sentiamo per questo di chiedere a tutte e a tutti di sostenerci, di continuare la campagna di solidarietà anche anche con un contributo economico
IBAN: IT38H0103003273000001384280.


E se io lotto da partigiana, il 25 luglio un'iniziativa a Milano


Oggi #25luglio pastasciutta antifascista come da tradizione. Un gruppo di compagne di #NUDM hanno segnato la presenza e la necessità di fare memoria sulla resistenza taciuta con la presentazione del libretto “E se io lotto da partigiana” e la lettura di una delle biografie. Grazie a Dafne AnastasiDale ZaccariaAnna LavermicoccaFiori SoMarilena Zinghì

Elin ha vinto una battaglia, ma per vincere la guerra occorre il coraggio di tutte e tutti, ci vuole una nuova resistenza.

Svezia, la protesta della studentessa per salvare un afghano: «Fatelo scendere dall’aereo o non mi siedo»

La 21enne Elin Ersson si è ripresa mentre impediva a un volo diretto da Göteborg alla Turchia di decollare con un richiedente asilo da rimpatriare: «Lì lo ammazzeranno». Gli altri passeggeri applaudono, alcuni l’attaccano. E alla fine vince lei.


Una studentessa svedese di 21 anni lunedì è salita su un aereo a Göteborg per impedire che un richiedente asilo afghano fosse espulso e rimpatriato nel suo Paese. E ci è riuscita. La ragazza, Elin Ersson, è entrata nel velivolo diretto in Turchia – per il quale aveva acquistato un biglietto – e ha iniziato a filmare la sua protesta, che consisteva nel rifiutarsi di prendere posto a sedere finché l’uomo non fosse stato fatto scendere dall’aereo e riportato sul suolo svedese. Il suo live-stream su Facebook è stato visto oltre 2 milioni di volte in poche ore, ricevendo commenti di ogni genere, dalla rabbia alla profonda ammirazione.
La ragazza, che studia all’università di Göteborg, si riprende con il cellulare mentre impedisce all’aereo di partire: «Non voglio che quest’uomo perda la vita solo perché tu non vuoi perdere l’aereo», la si vede rispondere ad alcuni passeggeri che l’attaccano, mentre altri (tra cui un ragazzo turco) l’applaudono. «Non mi siederò finché questa persona non sarà portata fuori dall’aereo». La scena dura un quarto d’ora. Elin piange e sfida gli steward: «Quello che sto facendo è perfettamente legale. Finché una persona resta in piedi il pilota non può decollare. Voglio solo fermare questa deportazione e poi mi atterrò alle regole. Non sto commettendo nessun reato».

Un passeggero inglese le si avvicina furioso, cerca di prenderle il telefono, lei gli dice: «Cos’è più importante, una vita o il tuo tempo? Non voglio che quell’uomo prenda questo aereo perché non è al sicuro in Afghanistan, probabilmente lì lo ammazzeranno. Sto cercando di cambiare le regole nel mio Paese, non mi piacciono. Non è giusto mandare le persone all’inferno». Nel 2017 gli afghani rimpatriati dalla Svezia sono stati 417. Erin ha vinto la battaglia per il suo: l’uomo è stato portato giù, poi è scesa anche lei. Poi la ragazza ha raccontato all’agenzia Dw: «So che potrebbero averlo fatto partire un altro giorno». La guerra non è vinta.

26/07/18

Siamo tutte con Francesca, la solidarietà non è un crimine

"Condannata perché trasportavo migranti in Francia? Lo rifarei subito, per i bianchi quel confine non esiste"


Parla Francesca Peirotti, la cuneese a cui i giudici di Aix en Provence hanno inflitto 6 mesi: "Non sono una trafficante, penso solo che sia giusto aiutare persone in difficoltà"

“Quella pronunciata contro di me è una sentenza politica”. Francesca Peirotti, 31 anni, è stata condannata a 6 mesi con la condizionale dal tribunale di Aix en Provence, in Francia, il 19 maggio scorso, per aver trasportato su un furgoncino da Ventimiglia a Nizza un gruppo di migranti originari del Ciad e dall’Eritrea, compreso un neonato. Oggi lei, originaria di Cuneo, vive a Marsiglia dove si è costruita una famiglia e dove lavora. I fatti che l’hanno portata davanti al tibunale risalgono all’8 novembre 2016. Assistita dal suo avvocato Zia Oloumi, Peirotti era stata condannata in primo grado, nel maggio 2017, ad una multa di 1000 euro ma aveva deciso di fare ricorso. Ma qualche giorno fa è arrivata una condanna molto più pesante.

Perché ha deciso di fare ricorso?

“Perché non ho fatto niente di male. Non sono un passeur, una trafficante, ho solo aiutato delle persone in difficoltà, ma la solidarietà è considerata un crimine. Ho deciso di fare ricorso perché non accetto una condanna per questo. E non accetterò nemmeno la sentenza della corte d’Appello, andrò fino in Cassazione e oltre, se sarà necessario. Non mi aspettavo che la condanna sarebbe stata innalzata, pensavo che al massimo avrebbero confermato la multa, ma evidentemente hanno voluto mostrare i muscoli”.

C’è la possibilità, se la condanna diventerà definitiva, che le venga vietato di vivere nella regione delle Alpi marittime per cinque anni. Questo la spaventa?
“Qui ho un lavoro e la mia famiglia, non credo sarà tanto facile mandarmi via o addirittura espellermi, e secondo me i magistrati e i giudici lo sanno benissimo: stanno cercando di convincermi a mollare, ma io non mi fermo”.

Cos’è successo quell’8 novembre 2016?
“Niente che si possa considerare un crimine. Ho aiutato degli amici, li ho accompagnati a Nizza e avevo intenzione di ospitarli a casa mia. Gli avrei chiesto dove fossero diretti e se avessero avuto bisogno di abiti o altro. Li stavo solo aiutando”.

Però l’accusano di aver favorito l’immigrazione clandestina.
“Accusano le mie idee politiche, il fatto che io abbia detto che quel confine non esiste”

Quello di Ventimiglia?
“Esatto. Io sono di Cuneo e ho passato tutte le estati della mia infanzia al mare. Attraversavo il confine e nessuno mi diceva niente perché ho la pelle chiara e i documenti italiani. Anche adesso nessuno mi ferma. I francesi non accettano che gli venga detto che quello non è un confine, ma un filtro che discrimina in base al colore della pelle. Io proprio non capisco come sia possibile che io possa passare tranquillamente solo perché sono una privilegiata”

Crede sia una guerra contro la solidarietà?
“E cos’altro? Stanno criminalizzando chi aiuta. Lo fanno a Ventimiglia e anche a Briançon. Io non ho mai fatto qualcosa pensando che potessero fermarmi e incriminarmi, altrimenti non avrei preso l’autostrada, avrei scelto almeno una strada secondaria”.

Questa condanna cambia qualcosa nella sua vita adesso?
“Per me assolutamente niente, mi spiace solo che faccia preoccupare persone a cui voglio bene”.

Se le capitasse ancora di incontrare qualcuno in difficoltà, lo rifarebbe?
“Sì, senza alcuna esitazione”.