26/04/13

Siamo tutte partigiane!



"La necessità della nostra presenza organizzata in Italia si faceva più viva. Senza la lotta attiva delle masse lavoratrici il fascismo non sarebbe mai caduto. Inutile sperare nella monarchia, o nel vecchio liberalismo come faceva la concentrazione antifascista. Ci voleva la lotta delle masse, della classe operaia più oppressa e più sfruttata sotto il fascismo, alleata ai contadini affamati e delusi dalle promesse non mantenute dal regime. Solo l'attività del partito comunista poteva organizzare e dirigere questa lotta"

"Le donne dovevano anche più degli uonini condurre questa lotta perché esse lottavano, oltre che per se stesse in quanto italiane e lavoratrici, per le loro famiglie e per l'avvenire dei figli. Quale futuro avrebbe preparato il fascismo ai giovani, se non di miseria, di sfruttamento e di guerra? ... Le donne dovevano prendere il loro [degli uomini] posto di lotta contro il fascismo e iscriversi al Partito comunista"

"Il fascismo voleva confinarle [le donne] sempre più nel gineceo, tra figli e cucina. Bisognava perciò farle uscire dal chiuso delle abitazioni, renderle in qualche modo partecipi alla vita politica, svegliare la loro coscienza proletaria e antifascista"

"Trascorremmo in viaggio molti giorni. Dove ci portavano? Dachau, Ravensbruck, Auschwitz? Diventammo sempre più sporche, affamate, divorate dalle pulci che ci eravamo portate da Saarbrucken, coperte di graffi sanguinanti a forza di grattarci.Malgrado tutto, cercavamo di farci coraggio, e cantavamo spesso"

dopo la liberazione... in alcuni passi Teresa Noce critica l'inutilità delle leggi e del lavoro dentro il parlamento:
"normalmente la legge fu approvata, ma mai applicata" (su una legge a difesa dei giovani lavoratori). "per la verità non si concludeva molto" (pensiero successivo al suo ingresso al CNEL, a causa della presenza dei rappresentanti dei padroni più rilevanti)

dal libro "Rivoluzionaria di professione" della compagna Teresa Noce

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25 aprile
Onore alla Resistenza partigiana che ha sconfitto il nazifascismo
Onore alle compagne, alle donne che rivestendo molteplici ruoli nella Resistenza sono state parte determinante della lotta antifascista

Come compagne del movimento femminista proletario rivoluzionario lottiamo oggi contro il moderno fascismo di padroni, governo, Stato borghesi che avanza nella realtà sociale che viviamo ogni giorno e che in particolare contro la maggioranza delle donne si traduce in un attacco a 360° alle nostre condizioni di lavoro e di vita...

Ora e sempre Resistenza!  fino alla rivoluzione per spazzare via questo sistema

Sabi Mfpr Palermo


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alcune compagne Mfpr di palermo alla giornata resistente del presidio permanente NO MUOS 




25/04/13

Le donne partigiane


da Secchia, Moscatelli, Il Monterosa è sceso a Milano, G. Einaudi Editore, Torino, 1958, pp.. 603-607 trascrizione e conversione in html a cura del CCDP www.resistenze.org


Mentre la guerra di liberazione volge al suo epilogo vittorioso, la nostra cronaca sarebbe incompleta se tacessimo della funzione avuta da una brigata che non combatté eppure partecipò a tutti i combattimenti, fu presente sempre, ovunque operò senza rumorosi spari, ma la sua azione fu altrettanto efficace e necessaria che quella delle armi più perfezionate: si tratta delle partigiane infermiere, staffette, informatrici.
La Resistenza, per quanto grande potesse essere il coraggio degli uomini, non sarebbe stata possibile senza le donne; la loro funzione è stata meno appariscente, ma non meno essenziale. Né vi è alcun confronto possibile con la partecipazione delle donne alle lotte del risorgimento e alle guerre per l'indipendenza nazionale. Si trattò allora, fatta eccezione per le giornate insurrezionali cittadine e delle rivolte popolari, di poche elette, di fulgidi esempi ma non di fenomeno di massa.
«Caratteristica fondamentale della resistenza femminile che fu uno degli elementi più vitali della guerra di liberazione è proprio questo suo carattere collettivo, quasi anonimo, questo suo avere per protagoniste non alcune creature eccezionali, ma vaste masse appartenenti ai più diversi strati della popolazione, questo suo nascere non dalla volontà di poche, ma dalla iniziativa spontanea di molte» (1).
I primi corrieri e informatori partigiani furono le donne. Inizialmente portavano assieme agli aiuti in viveri e indumenti le notizie da casa e le informazioni sui movimenti del nemico. Ben presto questo lavoro spontaneo venne organizzato, ed ogni distaccamento si creò le proprie staffette, che si specializzarono nel fare la spola tra i centri abitati e i comandi delle unità partigiane.
Le staffette costituirono un ingranaggio importante della complessa macchina dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati dalle staffette le direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli ordini, le informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone. Delicato e duro, quasi sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano le linee durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con materiale pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei monti, attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta o in camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del vento. Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame, la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare a notte ne e stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del tedesco in agguato.
Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo ricovero in clinica.

24/04/13

Papua Nuova Guinea: donne accusate di "stregoneria" rischiano la vita

Una donna, gravemente ferita, e le sue due figlie sono nelle mani da un gruppo che le accusa di praticare la "stregoneria" in Papua Nuova Guinea. Si teme per la loro incolumità dopo che all'inizio di aprile una donna accusata di "stregoneria" era stata decapitata. La risposta della polizia si è dimostrata finora gravemente insufficiente.

Secondo fonti interne al paese, la donna avrebbe riportato gravi lesioni intorno al collo a causa di un'aggressione subito intorno al 2 aprile 2013. Gli abitanti hanno bloccato le strade per impedire alle tre donne di lasciare Lopele, distretto di Bana, sud di Bougainville, per sottoporsi a cure mediche specialistiche. Le donne sono ora trattenute in un centro sanitario rudimentale da membri della comunità che le accusano di praticare la "stregoneria". La polizia ha risposto finora solo inviando un funzionario a Lopele per negoziare la liberazione delle donne.

Intorno al 4 aprile, Helen Rumbali, attivista per i diritti delle donne e insegnante, è stata decapitata davanti all'intera comunità dopo essere stata accusata di "stregoneria". La polizia, presente sul posto, ha riferito di non esser stata in grado di intervenire a causa della ostilità della folla.

A marzo, la commissione per la riforma costituzionale della Papua Nuova Guinea ha chiesto al governo di abrogare l'atto sulla stregoneria del 1971, che attualmente riduce le pene per coloro che hanno aggredito o ucciso qualcuno accusato di stregoneria.


leggi e firma l'appello di Amnesty International

23/04/13

Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferrulli: la forza delle donne contro "il muro dell'ipocrisia"

Morto durante arresto - Domenica Ferrulli: ucciso da agenti. Un teste fu minacciato. In aula anche le sorelle di Cucchi e Uva
23 aprile, 19:33

Tre donne che stanno vivendo la stessa tragedia e si fanno forza per ''abbattere il muro di ipocrisia'' che avvolge i processi in cui sono imputati componenti delle forze dell'ordine e in cui ''la vittima rischia di diventare il vero imputato''.

Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale a Roma e Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel 2008 sempre in ospedale dove era in trattamento sanitario obbligatorio dopo che i carabinieri lo avevano fermato ubriaco per strada hanno voluto esserci oggi in Corte d'assise a Milano: hanno voluto essere accanto a Domenica Ferrulli, figlia di Michele, 51 anni, morto il 30 giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre quattro agenti lo stavano arrestando.

Oggi ha deposto la figlia di Giuseppe, Domenica Ferrulli, rispondendo alle domande del pm Gaetano Ruta, ha spiegato che ''mio papa' non stava facendo nulla, rideva e scherzava con gli amici e poi e' stato massacrato di botte con i manganelli'' aggiungendo che una delle persone che era presente quella sera in via Varsavia, alla periferia sud-est di Milano, e' stato ''minacciato e spaventato''.

La moglie di Michele Ferrulli, ha raccontato che ''beveva un po', ma non dava fastidio a nessuno e l'hanno ammazzato''. In aula e' stato mostrato il video che riprese la scena dell'arresto e della morte dell'uomo.

Divieto di fecondazione eterologa, da Firenze ricorso alla Consulta

Legge 40, una legge odiosa sotto tutti gli aspetti. Una legge che va cancellata.
scrivevamo all' epoca  della sua approvazione e, poi, dei referendum, "....Siamo per l'abolizione della legge sulla "procreazione assistita" perchè essa vuole limitare, restringere, regolamentere in senso costrittivo e repressivo la scelta di maternità delle donne e la possibilità di avere figli delle coppie.
Dal primo all'ultimo articolo questa legge considerando già "persona" l'embrione, considera le donne "non persone" ma delle mere incubatrici che non hanno alcun diritto di decidere della propria vita, del proprio corpo, di quando e come avere figli; la legge limitando ad un massimo di 3 embrioni l'intervento di fecondazione mette a rischio la salute e perfino la vita delle donne, che in caso di insuccesso del primo impianto si devono sottoporre a nuovi rischiosi interventi; vietando poi l'analisi preimpianto dell'embrione, mette a rischio anche la salute e la vita del futuro bambino..." (stralci dall'opuscolo Contro la legge sulla fecondazione assistita "Un governo che considera la vita delle donne meno di un embrione non ha diritto di esistere"


Divieto di fecondazione eterologa: da Firenze ricorso alla Consulta
Il tribunale ha sollevato la questione di legittimità per contrasto con l'articolo 3 della Carta, quello che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini
di MICHELE BOCCIIl tribunale di Firenze ha rimandato alla Corte Costituzionale la decisione sul divieto di eterologa imposto dalla legge 40. Il giudice ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per contrasto edll'articolo 3 della carta, quello che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Il tribunale toscano aveva già sollevato la questione di legittimità costituzionale ma la Corte aveva rinviato il caso a Firenze, alla luce di una sentenza della Corte Europea. Secondo il giudice Paparo il divieto di pma eterologa comporta “una evidente violazione del principio di ragionevolezza inteso come corollario del principio di uguaglianza”. 

"Ricordiamo che lo scorso 22 maggio i giudici della Corte Costituzionale hanno ordinato la restituzione degli atti relativi al medesimo procedimento al giudice affinché questi procedesse ad un rinnovato esame dei termini della questione, poichè all’ordinanza di rimessione del settembre 2011 era sopravvenuta una modificazione della norma della Decisione della Corte Edu invocata come parametro di giudizio alle norme costituzionali", spiegano gli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo che assistono la coppia che chiede di poter fare l'eterologa: "Dunque un messaggio forte e chiaro il cui punto centrale  è il rilievo circa il contrasto tra il divieto di eterologa sancito dalla legge 40 e il fondamentale precetto costituzionale di cui all’art. 3 che in forza del principio di uguaglianza postula che un medesimo problema (sterilità) può essere oggetto di trattamento differenziato solo ove sussista oggettiva giustificazione.  A questo punto non ci resta che auspicare che la Corte Costituzionale prosegua nel già avviato processo di armonizzazione della legge 40/04 alla Costituzione (nazionale ed europea)".

Nelle scorse settimane un altro ricorso alla Corte Costituzionale sullo stesso articolo della legge 40, ma con motivazioni diverse, era stato fatto dal tribunale di Milano.

(23 aprile 2013)

Assemblea di Bologna contro l'obiezione di coscienza del 20 aprile: un primo report

Nell'introduzione all'assemblea, partecipata, è stato ricordato come il percorso che ha portato a questa iniziativa si è avviato in seguito al ricorso del giudice, secondo cui l'articolo 4 della 194 si pone in contrasto con il diritto costituzionale alla salute dell'individuo. Ricorso, poi, bocciato dalla Consulta.

In sintesi, l'ennesimo tentativo di attacco alla 194.

Nei diversi interventi dei collettivi promotori sono stati esaminati i dati dell'obiezione di coscienza, il loro andamento nel tempo e nelle diverse regioni, in particolare in Emilia Romagna; le ragioni delle variazioni dell'obiezione di coscienza anche tra le diverse figure di operatori sanitari coinvolti, le ragioni che hanno portato all'introduzione della obiezione di coscienza nella 194. Le conseguenze causate dall'elevato numero di obiettori di coscienza sono le difficoltà di ricorso all' IVG in diverse regioni, tempi di attesa lunghi, ma, sopratutto, il “pendolarismo” delle donne costrette a recarsi anche fuori dalla loro regione.

Diversi aspetti delle difficoltà, sofferenze, comprese le offese, la condanna che devono subire le donne che scelgono di abortire sono stati rappresentati nel video realizzato dal collettivo Vengo prima.

Si è analizzato l' ingresso del movimento per la vita nei consultori “promosso” in alcune regioni, tra cui il Veneto, come ulteriore azione di controllo sulle scelte delle donne, elemento di ulteriore oppressione, per non parlare delle modalità con cui gli “aiuti” alle donne che decidono di non abortire vengono elargiti, fino all'indottrinamento.

Non poteva certo mancare anche un'analisi dell'annosa questione della pillola del giorno dopo che ha anche “legittimato” i farmacisti a poter avanzare un loro supposto diritto all' obiezione di coscienza.

Una parte dell'assemblea è stata dedicata alla storia della lotta per l'aborto libero e gratuito e il ruolo che questa ha avuto come anche il dibattito, le posizioni emerse nel corso di questa lotta.

Difesa della 194 e sua piena applicazione, lotta all'obiezione di coscienza, abrogazione dell'obiezione di coscienza. Naturale che un'assemblea contro l'obiezione di coscienza ponga l'accento sul che fare, come anche emergano diverse posizioni.

Sulla prima opzione (anche in riferimento ad un vecchio articolo di Rodotà sul tema e alla piattaforma della Laiga ) si è rilevato come tutti gli accorgimenti proposti non hanno mai risolto il problema; sulla seconda ad esempio: si potrebbe fare una lista di proscrizione per gli obiettori; la terza proposta si è delineata come la più limpidamente opportuna proprio perchè è il diritto d'aborto che si vuole difendere.

Una bella, vivace assemblea che dai dati puramente numerici e dalle analisi di diversi aspetti ha fatto emergere quanto il diritto d'aborto coinvolga tutti gli aspetti della vita delle donne, sia carico di significato simbolico, ma anche pratico.

Certo non poteva essere esaustiva, ma significativa, perchè si è posta la necessità del proseguire un percorso di lotta che non può limitarsi al locale;perchè, come è stato detto in uno degli interventi:” ..quando dicono che vogliono liberare le donne dalla piaga dell'aborto, in realtà ci vogliono liberare dalla libertà di scelta”

a cura della compagna dell'mfpr di Milano che ha partecipato all'assemblea

Spagna: aborto ritono indietro

puntuale, sopratutto in tempi di crisi e ritorno indietro sulle concezioni sulle donne, non poteva certo mancare l'attacco al diritto d'aborto, mai cessato del tutto, in Spagna. riprende l'offensiva oltranzista per cui l'embrione è persona e la donna che decide di abortire un'assassina, dall'articolo riportato: ".. anche la violenza fisica non costituirà un buon motivo per abortire: la giurisprudenza contemplerà solo il danno psicologico, riconosciuto, così come la malformazione, da una equipe di medici. Insomma le donne iberiche dovranno tornare a dare spiegazioni per interrompere la propria gravidanza."

Odiosa, inoltre, risulta la sottolineatura che anche la violenza fisica non costituirà un buon motivo per abortire.

Non dimentichiamo che anche in Italia c'è la spada di Damocle dell'obiezione di coscienza nella 194, la necessità di dimostrare il rischio della salute della donna nelportare avanti la gravidanza e l'articolo 1 della L40, che stanno a dimostrare che non è un diritto conquistato una volta per tutte. Per questo occorre battersi per la loro abrogazione.

mfpr
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Spagna, la legge sull’aborto torna indietro di 28 anni. “Faremo ricorso all’Europa”
Il governo Rajoy ha garantito che ci sarà una riforma per restringere la possibilità di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza anche in caso di anomalie fetali. Si tornerà alla legge del 1985 quando abortire era considerato un delitto. Le associazioni femminili denunciano accordi tra l'esecutivo e il Vaticano e avvertono: "Arriveremo fino al tribunale per i diritti dell'uomo"
di Silvia Ragusa | 22 aprile 2013

La malformazione del feto non costituirà più un buon motivo per abortire. Parola di ministro della Giustizia spagnola. Alberto Ruiz-Gallardón si prepara, per la terza volta in un anno, a riformare lalegge sull’aborto: “sarà pronta entro l’estate” ha detto chiaro e tondo all’indomani della visita diMariano Rajoy in Vaticano.

21/04/13

Processo Sarah Scazzi: , una sentenza che vuole chiudere gli occhi

La condanna all'ergastolo di Sabrina e della madre Cosima per l'uccisione di Sarah è la conclusione, per il momento, brutta e che non chiarisce ancora granchè, di un'altrettanta vicenda bruttissima che non si è voluta capire e si è continuata ad avvolgere in un alone di “oscuro”. Questa sentenza è, comunque, emblematica di come la magistratura e tutto il sottosistema di avvocati e avvocaticchi, tutto il sistema sociale che ha ruotato attorno, il sistema da sciacallaggio mass mediatico, abbiano, dopo troppi anni, condotto ad una conclusione processuale che non rende ancora verità e giustizia né a Sarah ne alle ragazze.

Noi avevamo detto che “qualunque sia la natura e l'esito della vicenda, essa affonda nella condizione di vita e di relazione delle ragazze di questo paese, Avetrana, come di tante realtà del sud, ed essa si muove nel contesto generale dell'oppressione che si vive e del bi/sogno di ribellarsi e fuoriuscirne. Invece di spezzettare la vita di Sarah, bisognerebbe guardarsi attorno, forse si potrebbe capire perchè e cosa è accaduto”.

La condanna di Sabrina - che comunque si basa soprattutto, al di là delle deboli prove e della non solida motivazione, sulla denuncia del padre – non cambia questo discorso di fondo e in un certo senso rafforza la nostra denuncia sulla condizione delle ragazze fatta già all'inizio della vicenda. Essa mostra la realtà che dietro ogni uccisione delle donne vi è l'intera condizione delle donne fatta comunque di oppressione sia di vita, ma anche ideologica, perfino quando si tratta di una donna che uccide un'altra donna; che dietro ogni violenza e uccisione vi sono cause sociali e vi è un sistema capitalista, di cui il patriarcalismo/maschilismo (nelle sue varie forme), con i suoi falsi valori e sentimenti individualistici, è un'ideologia fondamentale e costitutiva e per questo anche dominante e deviante a volte della coscienza delle stesse ragazze.

La morte di Sarah, la vicenda di Sabrina non sono, quindi, una brutta vicenda privata, ma trovano le loro vere ragioni nella condizione di centinaia, migliaia di ragazze a volte fatta di vuoto ma anche di deviazione dei desideri delle ragazze di un mondo diverso, per imporre falsi, deviati bisogni individuali che puntano a dividere, a contrapporre in una competizione, le ragazze invece che a trovare le ragioni comuni di ribellione e di lotta.

Tutta la vicenda è stata anche uno smascheramento della “famiglia”, chiusa, oppressiva, ora da difendere anche quando è barbarie e morte, ora terreno di “lotta intestina”; mostrando a chi vuole vedere e capire come essa, più viene esaltata da questo sistema sociale come “sacra famiglia”, luogo di solidarietà, sostegno, più nella realtà di abbrutimento e crisi del sistema capitalista, della sua marcia ideologia, è luogo di “guerra”, in cui, comunque, a farne le spese sono soprattutto le donne, anche quando partecipano a questa "guerra". Nella vicenda processuale, prima c'è stata la difesa omertosa della famiglia, da difendere nella sua “onorabilità” verso l’esterno, poi la lotta di tutti contro tutti (a cui grande mano hanno dato i mass media: prima “Michele” era il “mostro” poi il povero zio “schiavizzato” dalle “perfide” donne di casa, ecc.). Una famiglia che è una catena, in cui se cade uno cadono tutti.

India: donna attivista Dalit brutalmente violentata e uccisa

(Quando il The Hindu, uno dei media  borghesi indiani, ha riferito su questo brutale stupro e omicidio, non hanno potuto evitare di mettere"omicidio" tra virgolette nel titolo, per mostrare il loro scetticismo al rapporto, e la loro visione disumanizzante delle donne Dalit . - Frontlines ndr).
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Le donne attiviste protestano per 'l'omicidio' di una  donna Dalit. Le donne sostengono  che l'attivista è stata brutalmente violentata e uccisa

Gruppi di donne hanno organizzato proteste rabbiose sulla National Highway 28 nel distretto di Muzaffarpur dopo che  una donna dalit attivista è stato trovata morta nel villaggio di Mandai.

Secondo Rinku Devi della Janwadi Mahila Samiti - un gruppo di cui la vittima era membro - la donna è stata violentata e uccisa.

"L'attivista è stata violentata e uccisa in modo brutale. Secondo la famiglia, bastoni e fango sono stati trovati tra le sue parti intime e la sua bocca è stato soffocata con un panno. Il suo corpo è stato trovato nei pressi di un negozio di biciclette nel villaggio. Quando abbiamo protestato, la Polizia ha 
schiaffeggiato alcune di noi ", ha detto la signora Devi che ha parlato con il "The Hindu" dopo aver parlato con la famiglia della vittima. La vittima stava lottando contro delle presunte irregolarità nel MGNREGS (Schema dell'occupazione garantita nel settore dell'agricoltura "Mahatma Gandhi") e nel 
sistema della distribuzione pubblica.  "In precedenza, la polizia ha preso il marito della vittima e il figlio. Ma abbiamo messo pressione su di loro per liberarli. I familiari non possono compiere un atto così brutale. Tutti nel villaggio sa chi siano gli autori, ma le loro labbra sono sigillate nella paura ", ha detto la signora Devi. La polizia ha detto che erano in attesa del rapporto post mortem e che stanno indagando sul caso, ma finora nessun arresto è stato effettuato.

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dal foglio speciale/India del Mfpr gennaio 2013
http://femminismorivoluzionario.blogspot.it/2013/01/httpdigilander.html

"...Il ministro Singh , la Gandhi,  nonostante sulla carta l’India sia definita “la più grande democrazia del mondo”,  rappresentano invece uno dei governi borghesi tra i più reazionari del mondo che da anni sta mettendo in atto un vero e proprio genocidio contro il suo stesso popolo, un miliardo e duecento milioni di abitanti, di cui la maggioranza vive con circa 50 centesimi al giorno mentre le grandi ricchezze sono concentrate in pochi uomini della grande borghesia e dei latifondisti. E’ un governo che permette il massiccio sfruttamento e rapina delle risorse e materie prime del paese da parte delle “multinazionali” dei paesi imperialisti libere di operare in esso senza vincoli, che costringe  milioni di persone allo stato di  profughi nel loro paese, espulsi dalla terra dove i loro antenati hanno sempre vissuto, ad una condizione di pesantissima oppressione e  cancellazione dei diritti anche più basilari, che  in particolare per le donne si trasforma in una tripla, quadrupla oppressione, di classe, di genere, di casta, religiosa… di cui la violenza sessuale è la piaga più tragica.

Ma di contro da anni contro tutto questo  il più grande partito rivoluzionario del mondo, il partito comunista maoista indiano,  guida una grande “guerra di popolo” per mettere fine a questa barbarie che si traduce in continui morti per fame, suicidi e uccisioni da parte di polizia ed esercito governativi contro chi si ribella, una guerra popolare in cui le donne, le compagne maoiste, partecipano a migliaia, donne per le quali in molteplici casi  la violenza e gli stupri subiti, usati dal governo come arma di repressione di stato, si sono trasformati in  leva per ribellarsi e unirsi ad una guerra di popolo che avanza giorno dopo giorno, come la più grande  parte della generale corrente rivoluzionaria che infine rovescerà  l’attuale sistema sociale capitalista e imperialista."

19/04/13

Uomini e sentenze assassine!

Le uccisioni, violenze sessuali contro le donne sono un vero e proprio "Bollettino di guerra", una feroce guerra di bassa intensità, di odio verso le donne in quanto tali.
Anche ieri una donna a Roma è stata uccisa dal suo ex, un'altra è stata sfregiata al volto dall'uomo che da tempo la minacciava.
Lo Stato non le difende prima, quando le donne denunciano le minacce, le persecuzioni, ma fa anche di peggio dopo, con sentenze così scandalosamente innocue nei processi che di fatto mandano un chiaro messaggio: stupri, assassini delle donne non sono gravi! Si può fare! Fino ad affermare che le donne in fondo sono anch'esse complici di ciò che le accade! Ogni "indignazione" di questo sistema "civile", post morte e post stupri, è falsa e va respinta.
Questo Stato borghese è il problema non la soluzione! Occorre una risposta forte delle donne, come in Turchia, come in India! Uniamoci e costruiamola! Pubblichiamo e chiediamo di far girare questo documento, scritto dopo la sentenza di Montalto di Castro.


PERCHE' LE SENTENZE CONTRO LE DONNE
"La condizione della donna in una società è la misura del grado di civiltà di quella società".
Noi diremmo oggi che il grado di inciviltà, di marciume, di putrefazione del sistema capitalistico, di humus reazionario che invade tutte le istituzioni borghesi, di ideologia da moderno medioevo, di degrado culturale, si misura sulla condizione delle donne, sul livello di attacco, non solo pratico ma soprattutto ideologico, politico, verso le donne.
Come stiamo denunciando da tempo, questo humus, questo viscerale reazionarismo, diventa 'odio' puro e semplice, per il fatto che si tratta di donne, che fuoriescono, anche al di là della loro coscienza, dai canoni di questa società.
Questo 'odio' verso le donne in quanto donne ha inevitabilmente a che fare con l'ideologia e la politica, i cardini di un moderno fascismo - che oggi viene direttamente portato avanti da chi gestisce il potere borghese, in tutti i sensi.
Questo e non altro spiega la nuova sentenza oscena contro degli stupratori.
La "condanna" di mera "messa in prova" emessa dai giudici verso gli stupratori di Marinella a Montalto di Castro, costruita e pagata dal sindaco, iscritto al PD - tuttora in questo partito nonostante i pietosi tentativi di qualche esponente per chiederne le dimissioni; sostenuta da buona parte del paese che non solo difende ma legittima gli stupratori; passata nel silenzio nazionale anche delle belle anime femminili dei partiti di "sinistra" e del parlamento, ma anche di realtà che si dicono, impropriamente, femministe.
Ma questo spiega anche le precedenti sentenze.
Quella de L'Aquila, chiusa con una condanna a soli 8 anni dello stupratore militare di 'Rosa', salvato dall'accusa di tentato assassinio; anche qui un processo che ha avuto voce solo grazie alle pochissime, combattive compagne che hanno continuamente manifestato al Tribunale, nell'indifferenza della stessa gente de L'Aquila, e grazie al coraggio dignitoso e forte di 'Rosa' e della madre che continua la battaglia.
Come la prima sentenza e il lungo via crucis di Carmela e della sua famiglia a Taranto, anche qui tre stupratori di una bambina di 13 anni, che poi si è suicidata per la violenza degli uomini e dello Stato, sono stati "messi alla prova", perdonati; mentre le anime democratiche, "civili" della città fanno finta di non sapere e non vedere.
Tutte le denunce di questo sistema sociale, tutte le espressioni "democratiche", è sulla condizione delle donne - come nella stessa maniera sulla condizione degli operai (ma di questo non parleremo ora) - che si bloccano.
E smascherano il loro sub strato nero, mostrando il loro non effettivo contrasto, ideologico, culturale con le idee dominanti di questo sistema sociale.
Lo si è visto con Berlusconi, dove nessuno comprende e attacca realmente il "ciarpame senza pudore per il divertimento dell'imperatore"; anzi, si è giustificato, perdonato, peggio si è sghignazzato in maniera complice, e si continua a farlo.
E che dire dei giudici, della magistratura che oggi sembrano, nella loro maggiori espressioni, in attacco verso le politiche, le leggi del governo, pronti a fare anche il braccio di ferro con governo, istituzioni, padroni (vedi Taranto), ma che - anche il più progressista dei giudici o delle giudici donne - non hanno nulla da dire e denunciare su come la magistratura "ammazza" una seconda volta le donne, offendendole pesantemente nella loro dignità e strappando loro la voglia di lottare - come a Montalto di Castro.
Poi vi sono le anime "democratiche" piccolo e medio borghesi che tanto si indignano e gridano quando viene "inquinata" la loro tranquilla vita, ma che non hanno nulla di cui indignarsi quando viene uccisa la vita e il futuro delle donne.
E potremmo continuare.
Le donne sono quindi una cartina di tornasole, la punta di iceberg dell'ideologia di fondo di questo sistema sociale.
Questa comprensione dà una ruolo generale alla lotta delle donne.
Essa è assolutamente necessaria, perché più è presente più smaschera la vera natura di questo sistema e più pone l'impossibilità di modificarlo dall'interno, ma solo di rovesciarlo, combattendo tutte le sue espressioni politiche, economiche, sociali, ideologiche.
Ma c'è un altro aspetto importante di questa lotta.
Essa necessariamente è e deve essere esplicitamente, nelle parole e nei fatti, portata avanti come una sorta di "guerra civile", anche tra le masse.
Perché "dal letame nascano i fiori" è necessario attaccare il letame sociale comunque e dovunque si manifesti.
A Montalto di Castro - come in altre parti - occorre sviluppare una sfida aperta, militante contro la maggioranza dei suoi abitanti, senza sconti e falsi populismi.
L'humus, l'azione reazionaria, maschilista di quelle masse di Montalto che sono scese al fianco dei loro "bravi ragazzi" stupratori, va attaccato, senza sottrarsi alla "guerra"; quando è in campo un'ideologia moderno fascista è una forza opposta, ma altrettanto forte che può separare l'errato, il nero dal giusto e dal rosso.
Quando questo è stato fatto, superando le indecisioni che venivano anche dalle stesse compagne di Montalto, le donne hanno vinto: certo una piccola vittoria, simboleggiata da quelle poche finestre semichiuse in vie deserte, con alcuni abitanti che hanno trovato il coraggio di applaudire il piccolo corteo delle compagne nel novembre 2009.
Ma oggi quella scelta segna la strada concreta, l'unica strada per impedire la rassegnazione e la sfiducia delle donne nella lotta.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

Solidarietà a Lucia Annibali...

...sfigurata con l'acido dal suo ex.

Pesaro, 18 aprile 2013. Una triste vicenda di un amore finito è finita in tragedia. Un avvocato, collega di Lucia Annibali, Luca Varani, 35 anni, di Pesaro, regolarmente iscritto all'Ordine degli avvocati di Rimini, si trova ora in stato di fermo per “concorso in lesioni volontarie gravissime”. Sarebbe infatti lui il mandante di un uomo incappucciato che ha sfigurato la donna gettandole dell'acido in faccia. Con lei aveva avuto una relazione sentimentale, poi finita bruscamente. 

Siccome non mi puoi avere o forse ho fatto qualcosa che non ti andava bene.. non ti è bastato entrare a casa mia e mettere a soqquadro la mia stanza da letto (o qualsiasi altra stanza) per cercare forse qualche documento a te scomodo o semplicemente per simulare un furto o non so per quale altro motivo.. no, troppo poco per te.. e cosí, ma su via perché non comprare un flacone di acido muriatico,aspettare il mio rientro a casa e SPUTARMELO in faccia quasi fosse acqua tonica?? certo, che sarà mai un pò di acido in viso.. però adesso la tua SETE di VENDETTA si è placata..puoi tornare alla tua vita di sempre perchè il grande gesto è stato compiuto.. mentre io non avrò più diritto ad una vita normale, sarò costretta a subire IMMANI SOFFERENZE, miliardi di operazioni prima di poter recuperare, almeno in parte, il mio VOLTO! ma il mio SGUARDO no, quello ci sarà sempre.. lo stesso che ti guarderà quando sarai "tra le braccia della giustizia.." il mio SGUARDO sarà la tua CONDANNA.. 

Solidarietà all'avvocatessa aggredita ieri sull'uscio del suo appartamento da un uomo incappucciato, probabilmente un collega (stando alle prime notizie sulle indagini)
Ma non basta! 
E' sempre una DOPPIA LOTTA per noi donne e non dobbiamo avere timore nel far sentire la nostra ribellione

Antonella 
ex studentessa ora disoccupata Slai Cobas per il s.c. Palermo

18/04/13

India, violentata e uccisa a sei anni. Rabbia in piazza, scontri con la polizia

Nuovo, agghiacciate caso di stupro nell'Uttar Pradesh: la piccola è stata strangolata e gettata in una discarica. La gente ha marciato contro la polizia, che ha reagito con forza. Sospesi due agenti

Un fotogramma delle violenze della polizia sulle manifestanti
NEW DELHI - Un altro caso di violenza sessuale e omicidio, stavolta su una bambina di 6 anni, scuote l'India. Il corpo della bambina, stuprata e strangolata, è stato poi gettato in una discarica di Aligarh, nello Stato di Uttar Pradesh, scatenando l'ira della popolazione locale che ha lanciato pietre contro la polizia e bloccato il traffico per ore.

La famiglia aveva avvisato la polizia della scomparsa della bambina. Dopo ore di ricerche il corpo è stato ritrovato nella discarica. Secondo quanto denunciano i genitori, è stata violentata prima di essere uccisa, ma la conferma ufficiale arriverà soltanto dall'autopsia i cui risultati saranno resi noti nei prossimi giorni.

Negli scontri con la polizia sono state ferite almeno sette persone. Le autorità indiane hanno anche sospeso due poliziotti che hanno preso a bastonate alcune donne presenti alla manifestazione di protesta che è durata diverse ore e che ha anche bloccato la principale strada per New Delhi.

Lo scioccante omicidio ha sollevato la rabbia dei residenti del quartiere dove viveva la bambina che hanno marciato sul locale commissariato e preso a sassate dei veicoli della polizia. Le immagini diffuse dalle televisioni hanno mostrato la brutale repressione della polizia dell'Uttar Pradesh che con lunghi bastoni di bambù ha picchiato diverse donne anche quando erano ormai a terra. In seguito alle scene shock, il governo locale ha chiesto l'apertura di una inchiesta per accertare le responsabilità.

(18 aprile 2013)

Da Taranto, lettera di solidarietà a Marinella

Io non sapevo affatto della sentenza di Montalto di Castro per lo stupro di Marinella. l’ho appreso appena ieri dalle compagne. Non so come definire quel che ho provatoù
di certo tanta rabbia, disgusto e sete di vendetta,
mi sono sentita in dovere di scrivere per dare la mia solidarietà alla mamma ma
soprattutto a Marinella.
Mi rivolgo in special modo a Marinella che è stata una ragazza coraggiosa.
Capisco bene che ora si sente delusa, ma vorrei dirle: non pentirti di quello che hai fatto (la denuncia), quei porci bastardi che ti hanno tranciato la vita non meritano di essere lasciati liberi, trasforma la tua delusione in rabbia, trasforma il tuo disgusto in lotta - noi tutte ti saremo vicine .
Quel dramma che hai passato, quell’inferno che hai subito non può e non
deve restare nell’ombra.
Lo so che in questo strano paese la violenza sessuale resta impunita ed è proprio per questo che si deve continuare a lottare, a ribellarsi senza sconti, noi tutte unite per un'unica soluzione, “rivoluzione”,
Lottare per vincere e riprenderci la dignità costi quel che costi.


Concetta di Taranto

Bologna: un'assemblea contro l'obiezione di coscienza

Il 20 aprile si terrà a Bologna un'assemblea pubblica sullo stato del diritto d'aborto in questo paese. Diritto quotidianamente e in maniera crescente messo in discussione dalla sempre più alta presenza di obiettori di coscienza negli ospedali, nei consultori, sino a mettere in seria discussione la stessa salute delle donne, come dimostra anche il rifiuto da parte di una dottoressa in provincia di Pordenone di prendersi cura, durante il suo turno, di una donna che aveva abortito. Proprio in nome del suo “diritto all'obiezione di coscienza”. Caso su cui recentemente è stata chiamata ad esprimersi la Consulta che, per fortuna, ha messo un paletto a questa supposta libertà di coscienza di medici ed operatori sanitari.

In occasione di quella sentenza abbiamo scritto:” Legge 194, Cassazione:”Medico obiettore non può rifiutare cure dopo aborto”.. Una sentenza, quella che riportiamo sotto, che pone un paletto ma certamente non è risolutiva sulla  questione dell' obiezione di coscienza la cui sostanza ideologica contro il diritto delle donne di scegliere liberamente in tema di maternità e della propria vita in generale resta pienamente attiva nell'ambito di una campagna oscurantista-clerico-fascista ben più ampia da parte di governo, chiesa... che è avanzata e avanza rapida contro la maggioranza delle donne.

Occorre quindi fare altro e di più, occorre continuare a denunciare e smascherare gli attacchi ideologici e pratici che vengono da più parti e sotto diverse forme dal nord al sud del nostro paese,  vedi  l'obbligo di sepoltura dei feti, l'introduzione delle moderne ruote degli esposti, l'imposizione dei movimenti confessionali "per la vita" nei consultori, le politiche familiste etc. costruendo anche una rete tra le realtà che si sono mobilitate e si mobilitano in difesa del diritto d'aborto... reale e necessario è il bisogno di una forte risposta di lotta delle donne.”

inoltre, riportiamo stralci del contributo che abbiamo inviato in occasione di una delle prime assemblee delle compagne

“..Condividiamo con voi la necessità di difendere la 194 perchè, da un lato, essa è il bersaglio principale degli attacchi ideologici, politici, pratici al diritto di scelta delle donne, per cui un embrione vale più di una donna e, dall'altro, la sua difesa ribadisce il rifiuto delle donne al ruolo di incubatrici a cui le si vuole ridurre, per rivendicare il diritto a decidere sulla maternità, come su tutti i campi della propria vita.

D'altra parte, se è evidente la risposta determinata delle donne rispetto agli attacchi frontali, è necessario rispondere anche a tutti gli altri attacchi che, a macchia di leopardo e su molteplici piani, vengono portati avanti -quotidianamente potremmo dire- contro la libertà di scelta delle donne.”


“...Riteniamo che come gli attacchi ideologici hanno prodotto degli effetti legislativi, pratici di attacco alla dignità, ai diritti, alla vita stessa delle donne così sia necessario rispondere ad essi, battersi perchè vengano cancellati.

Per questo riteniamo che sia necessario costituire un comitato/rete, per superare i limiti locali, in difesa del diritto d'aborto che si batta, ad esempio, per:

l' abrogazione della L. 40 sulla procreazione medicalmente assistita, che ha introdotto il riconoscimento giuridico dell'embrione

il miglioramento della 194 con la cancellazione dell'obiezione di coscienza

Ma un comitato/rete che sia in grado di denunciare e anche smascherare gli attacchi ideologici che vengono, ad esempio, dall'installazione delle moderne ruote degli esposti, i cimiteri dei feti abortiti, l'ingresso del movimento per la vita nei consultori e/o negli ospedali, i tentativi dei farmacisti di poter ricorrere a un “diritto” di obiezione di coscienza per opporsi al ricorso alla pillola del giorno dopo, contro la chiusura e il ridimensionamento di consultori, ospedali. Insomma, un percorso collettivo, a tutto campo di denuncia e protesta contro prese di posizione, campagne ideologiche contro le donne ...”

17/04/13

Montalto di Castro, L'Aquila, Taranto: gli stupri sociali di una giustizia sessista e borghese!

Montalto di Castro, L'Aquila, Taranto: si è trattato di stupro sociale e negli ultimi 2 casi anche di tentato omicidio e omicidio.

Taranto: Carmela, 13 anni, si è suicidata dopo essere stata violentata numerose volte e non essere stata creduta, ma anzi, abbandonata dalle istituzioni in un centro di recupero.
L'instancabile protesta del movimento femminista proletario rivoluzionario in città e davanti al Tribunale, la lotta del padre di Carmela e della sua famiglia per avere giustizia, ha indotto i legali degli imputati a chiedere la remissione del processo in altra sede per "incompatibilità ambientale".

L'Aquila: "Rosa", studentessa di appena 20 anni, violentata e quasi uccisa dall'ex militare Francesco Tuccia. Il processo si svolge in una città fortemente militarizzata, anche prima del terremoto. Un paese "amico" per i militari, anche se stupratori.
A rompere la complicità delle istituzioni con i responsabili dello stupro, un presidio di donne e compagne provenienti anche da altre città, presenti a tutte le udienze di primo grado. Ma la risposta è stata debole sin da subito e l'esito negativo dell'assemblea nazionale il 28 ottobre a Roma, convocata  per organizzare a L'Aquila la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne per il 2012, ha inevitabilmente isolato e indebolito le forze del movimento contro la violenza sulle donne che si erano riuscite a coagulare su questo processo simbolo.
Il giudice ha quindi sentenziato: non fu tentato omicidio, ma solo violenza sessuale.
"Rosa" è dovuta fuggire da L'Aquila, una città "sicura" solo per militari e stupratori, un ambiente complice, perfettamente compatibile con lo stupro e il femminicidio, che la forza e la volontà di poche non è riuscita a scalfire. E' legittimo chiedersi a questo punto, se e in che misura il silenzio e l'assenza di molte su questa vicenda, si rifletteranno sulle successive fasi del processo per Rosa e sulla mobilitazione per Marinella.

Montalto di Castro: "Marinella", 15 anni nel 2007, stuprata selvaggiamente da un branco di coetanei.  Una violenza ancora più eclatante e sfacciata dal punto di vista sociale e istituzionale: nel suo caso l'intero paese, con a capo il sindaco, l'hanno messa alla gogna 3 volte dopo averla stuprata.
Dopo l'arresto degli stupratori, il tribunale dei minori concesse la prima messa in prova per due anni agli imputati che avevano dichiarato di essere pentiti. Il branco ottenne così la libertà e la sospensione del processo a spese dello stesso Comune di Montalto, il cui sindaco del PD, Salvatore Carai, si occupò, tra le altre cose, di coprire le spese processuali degli stupratori con l'utilizzo di soldi pubblici!

Nel 2009 andammo a Montalto a portare la nostra indignazione a un paese amico degli stupratori e la nostra solidarietà a Marinella. Quella piccola, ma agguerrita manifestazione, il giorno dopo della più numerosa "civile" manifestazione, indetta a Roma da cartelli paraistituzionali per celebrare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, evidentemente colpì il ventre molle del Comune, che ci accolse a porte e finestre chiuse per la vergogna. 

Nel 2010, la Corte di Cassazione bloccò la messa in prova, facendo riprendere il processo.
Il 25 marzo 2013, a pochi giorni dalla richiesta di condanna a 4 anni e a poche ore dalla sentenza, il tribunale dei minori ha concesso di nuovo la messa in prova, sospendendo di nuovo il processo. Messa in prova che verrà discussa il prossimo 11 luglio singolarmente per ognuno degli otto imputati. Verranno stabiliti caso per caso tempi, modalità e luogo di svolgimento.

Questo nonostante la decisione della Corte di Cassazione, l'organo supremo della magistratura.
Questo nonostante gli stupratori siano reoconfessi e nessuno, né loro, né le rispettive famiglie e tantomeno Carai e il Comune di Montalto di Castro si siano mai sinceramente pentiti o abbiano chiesto "scusa" alla vittima, anzi, le hanno tolta la voglia di vivere, di combattere.
L'unica risposta oggi, a questo becero linciaggio sociale e istituzionale della strega "Marinella", è l'appello di alcune deputate del PD al Ministro della giustizia (borghese e sessista) Severino, per valutare l’invio di ispettori ministeriali al Tribunale di Roma.

Mentre gli stupratori vivono nelle loro case e tra l’affetto di una comunità pro-stupro, Marinella è andata via dal paese e tutt’oggi dichiara di non riuscire a rimettere in sesto i pezzi della propria vita, aspettando ormai da sei anni una ferma condanna del gesto che però tarda ad arrivare tanto da parte della società quanto da parte delle istituzioni.
Questo rimane della rabbia di Marinella: "Sono stanca di combattere per avere giustizia"

Non lasciamo che il destino di Marinella sia ancora affidato alle sole istituzioni, sappiamo come queste l'hanno protetta e difesa!
Torniamo a Montalto, consapevoli e forti della nosta incompatibilità con quell'ambiente!
Non lasciamo passare la sfiducia e lo sconforto impotente tra le donne,  in "Marinella" per prima, ma anche in "Rosa" e in quel che resta della famiglia di Carmela!
Torniamo a Montalto per fare un "processo in piazza" delle donne, per fare noi un processo ai giudici, ai sindaci, ma anche a tutta quella brava gente che ha difeso e continua a difendere i suoi stupratori "bravi ragazzi" e ad attaccare le vittime di stupro!
Nessuna giustizia, nessuna pace!
Contro gli stupri sociali la lotta è e deve essere una sola, portata avanti come una sorta di “guerra civile”.
Perché “dal letame nascano i fiori” è necessario attaccare il letame sociale comunque e dovunque si manifesti. Questa, d'altronde, è l’unica strada da percorrere per impedire la rassegnazione e la sfiducia delle donne nella lotta. 

Chiediamo a tutte le donne, alle associazioni contro la violenza sulle donne e sui minori, alle compagne che si sono già spese per la verità e la giustizia per Rosa e Marinella, di aderire a questo appello per cercare di invertire la rotta vertiginosa degli stupri, dei femminicidi e della loro impunità, con la mobilitazione, in vista dei prossimi appuntamenti istituzionali (prima data certa il prossimo 11 luglio a Montalto di Castro, quando i servizi sociali e il tribunale dei minori decideranno quale sarà il percorso riabilitativo degli stupratori, oggi tutti maggiorenni).

I nostri contatti, lo ricordiamo, sono:
per L'Aquila: sommosprol@gmail.com
Milano: mfpr.mi1@gmail.com
Bologna: liutlayla@yahoo.it
Taranto: mfpr.naz@gmail.com
Palermo: mfprpa@libero.it

Turchia, contro la violenza sulle donne: sciopero del sesso e dei lavori casalinghi!

In India grandiose manifestazioni contro le violenze
in Turchia viene ora, lanciato uno sciopero del sesso e dei lavori casalinghi contro la violenza sulle donne...
A quando, in Italia, uno".... SCIOPERO TOTALE DELLE DONNE, contro il lavoro sfruttato e oppressivo, contro il lavoro negato alle donne e contro il doppio lavoro, uno sciopero di tutte le donne contro l'insieme degli attacchi che padroni, governo, Stato, Chiesa portano avanti, uno SCIOPERO che intreccia e trova le sue ragioni nella condizione di CLASSE E GENERE"(dall'opuscolo del mfpr S/catenate! uscito l'8 marzo)

Contro stupri, femminicidi,oppressione
dall' India, all' Italia al mondo intero costruiamo un ponte, scateniamo la ribellione delle donne


L'associazione femminile Sefkat Der di Konya, antica capitale della Turchia, ha lanciato un appello alle proprie aderenti perché pratichino per 41 giorni uno sciopero del sesso per protestare contro il fenomeno endemico in Turchia della violenza contro le donne.

L'associazione propone inoltre che le donne turche rifiutino per lo stesso periodo di fare lavori di casa. Almeno una donna viene uccisa ogni giorno in Turchia e i reati di natura sessuale sono aumentati del 400% in 10 anni.

La protesta arriva mentre il paese è ancora scosso da una nuova vicenda violenza di gruppo contro una ragazzina di 13 anni, stuprata a Golcuk da 29 uomini. E a rendere ancora più scottante l'allarme delle donne di Konya giunge un sondaggio realizzato per l'Università di Karikkale presso gli uomini turchi sulla violenza domestica: il 34% della popolazione maschile del paese ritiene che picchiare la moglie «ogni tanto è necessario».

Quasi un turco su 5 (il 18%) considera che l'uomo a casa è il capo ed «è libero di usare la violenza quando occorre», l'11,8% che bisogna punire la donna se «si mette contro il marito». Il ritorno dei valori di una società patriarcale islamica soprattutto nelle zone rurali e nelle perfierie delle grandi città sembra favorito anche dai 10 anni di potere del premier Recep Tayyip Erdogan, che ha ridato voce e orgoglio alla Turchia profonda, religiosa e conservatrice, riducendo l'influenza della componente laica ed europea.

Poche settimane fa ha destato grande emozione nel paese il processo in appello per un altro stupro di gruppo, subito da una bambina di 12 anni violentata da 26 uomini a Mardin nell'Anatolia orientale. Durante il processo di primo grado gli imputati erano stati rimessi in libertà. «Lei non ha una figlia? Che cosa farebbe se sua figlia avesse subito tutto ciò?», aveva scritto la ragazzina all'allora ministro della giustizia: «Tutti gli accusati ora sono fuori. Che ne è della mia vita?».

Turchia: Picchiare le donne? “Un modo per disciplinarle”

dopo l' India, la Turchia in primo piano per gli stupri di massa, le concezioni, la condizione delle donne. Intanto, in italia:"Ammazza l’ex fidanzata, poi si spara", anche qui "uomini che odiano le donne" Carmela, Marinella, Rosa, doppiamente violentate da un clima "amico", di sostegno, più o meno aperto, ai loro stupratori.
Dall' Italia, all' India al mondo intero un ponte contro  stupri, femminicidi,oppressione
La dura realtà ne richiama quotidianamente la necessità

mfpr

Turchia, pubblicati i risultati di un’indagine sulla violenza domestica:
Il 34% degli intervistati pensa che la violenza su mogli e compagne sia «occasionalmente necessaria»
MARTA OTTAVIANI
ISTANBUL


A pochi giorni dalla notizia dello stupro di massa ai danni di una minorenne, la Turchia viene colpita da un altro choc che ha fare con la violenza sulle donne. 

Il Centro per i problemi della Donna dell’Università di Kirikkale, in collaborazione con la ong Mutlu Cocuklar Dernegi (Associazione dei bambini felici), hanno reso noti i risultati di un sondaggio sulla violenza domestica.

Le percentuali sono agghiaccianti. Il 34% degli intervistati pensa che la violenza sulle donne sia “occasionalmente necessaria”, mentre il 28% la giudica un metodo per disciplinarle. La ricerca è stata condotta su uomini con età maggiore a 18 anni ad Adana, Ankara, Istanbul, İzmir, Erzurum, Trabzon and Malatya, le maggiori città della turchia moderna, in alcuni casi anche caratterizzate da uno stile di vita occidentale.

Alla domanda se la violenza occasionale possa essere ammessa, il 34% ha risposto di sì, contro il 58,6% dei contrari e il 7,3% degli indecisi.

Il questionario poi chiedeva se la violenza sulle donne possa essere considerata un metodo per disciplinare. Il 28,2% degli intervistati ha risposto affermativamente, contro il 60,7% dei no e l’11,1% degli indecisi. L’11,5% degli uomini pensa che sia un diritto del marito diventare violento contro la moglie, mentre il 37,5% ritiene che davanti a motivazioni come l’onore e la disciplina la violenza possa essere ammessa. Capitolo a parte merita la violenza come reazione alla provocazione femminile, giustificabile per il 23,4% degli intervistati. L’unica buona notizia, se così si può chiamare, è che la violenza domestica in Turchia è sempre più causa di divorzio.

Il tema della violenza sulla donna è uno dei più sentiti nel Paese e per questo la Mezzaluna è da tempo sotto la lente di ingrandimento dell’Unione Europea. Secondo la magistratura, i reati di natura sessuale denunciati alla polizia sono aumentati del 400% negli ultimi 4 anni. Nel 2011 le donne vittime di stupro sono state 33mila rispetto alle 2000 del 2002. Le donne denunciano di più rispetto a una volta, ma la piaga appare inarrestabile e spesso va a finire in tragedia.

Stando ai dati ufficiali del ministero per la Famiglia e Politiche Sociali, fra il 2009 e il 2012 in Turchia sono state uccise 396 donne in seguito a episodi di violenza domestica. Durante questo lasso di tempo, oltre 4000 donne sono state affidate ai servizi sociali o poste sotto tutela. Per cercare di porre un freno al problema, il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan, ha approvato lo scorso una nuova legge che prevede protezione e trasferimento in un’altra città per le donne che denunciano le violenze che hanno subito.

Lo scorso dicembre il Paese è stato sconvolto dal caso della deputata Fatma Salman Kotan, eletta proprio nelle file del partito di Erdogan ad Agri, in una delle zone più arretrate del sud-est del Paese. La donna si era presentata in parlamento con il volto visibilmente tumefatto per le botte ricevute dal marito, da cui ha poi divorziato. 

15/04/13

Perché le sentenze contro le donne

 “La condizione della donna in una società è la misura del grado di civiltà di quella società”. Noi diremmo oggi che il grado di inciviltà, di marciume, di putrefazione del sistema capitalistico, di humus reazionario che invade tutte le istituzioni borghesi, di ideologia da moderno fascismo, di degrado culturale, si misura sulla condizione delle donne, sul livello di attacco, non solo pratico ma soprattutto ideologico, politico, verso le donne.

Come stiamo denunciando da tempo, questo humus, questo viscerale reazionarismo, diventa ‘odio’ puro e semplice, per il fatto che si tratta di donne, che fuoriescono, anche al di là della loro coscienza, dai canoni di questa società. Questo ‘odio’ verso le donne in quanto donne ha inevitabilmente a che fare con l’ideologia e la politica, i cardini di un moderno fascismo – che oggi viene direttamente portato avanti da chi gestisce il potere borghese, in tutti i sensi.

Questo e non altro spiega la nuova sentenza oscena contro degli stupratori. La “condanna” di mera “messa in prova” emessa dai giudici verso gli stupratori di Marinella a Montalto di Castro, costruita e pagata dal sindaco, iscritto al PD – tuttora in questo partito nonostante i pietosi tentativi di qualche esponente per chiederne le dimissioni; sostenuta da buona parte del paese che non solo difende ma legittima gli stupratori; passata nel silenzio nazionale anche delle belle anime femminili dei partiti di “sinistra” e del parlamento, ma anche della maggioranza delle realtà che si dicono, impropriamente, femministe.
Ma questo spiega anche le precedenti sentenze. Quella de L’Aquila, chiusa con una condanna di soli 8 anni allo stupratore militare di ‘Rosa’, salvandolo dall’accusa di tentato assassinio; anche qui un processo che ha avuto voce solo grazie alle pochissime, combattive compagne che hanno continuamente manifestato al Tribunale, nell’indifferenza della stessa gente de L’Aquila, e grazie al coraggio dignitoso e forte di ‘Rosa’ e della madre che continua la battaglia. Come la prima sentenza e il lungo via crucis di Carmela e della sua famiglia a Taranto, anche qui tre stupratori di una bambina di 13 anni, che poi si è suicidata per la violenza degli uomini e dello Stato, sono stati “messi alla prova”, perdonati; mentre le anime democratiche, “civili” della città fanno finta di non sapere e non vedere.

Tutte le denunce di questo sistema sociale, tutte le espressioni “democratiche”, sulla condizione delle donne – come nella stessa maniera sulla condizione degli operai (ma di questo non parleremo ora) – si bloccano. E smascherano il loro sub strato nero mostrando il loro non effettivo contrasto, ideologico, culturale con le idee dominanti di questo sistema sociale.
Lo si è visto con Berlusconi, dove nessuno comprende e attacca realmente il “ciarpame senza pudore per il divertimento dell'imperatore”; anzi, si è giustificato, perdonato, peggio si è sghignazzato in maniera complice, e si continua a farlo.

Il divieto alla fecondazione eterologa è incostituzionale

continuano le sentenze dei tribunali contro la L40 sulla procreazione medicalmente assistita

La L40 va abrogata, già al tempo del referendum, analizzandone il contenuto, avevamo denunciato la discriminazione di classe insita nella legge stessa, una legge che non difende il diritto alla salute delle donne, ma sopratutto il ritorno all'indietro che essa rappresenta con il riconoscimento giuridico dell'embrione, il ruolo fortemente ideologico e di controllo sulla scelta di ogni donna se avere figli o no; apre alla criminalizzazione delle donne che decidono di abortire per cui se la donna decide di abortire è un'assassina. Non bastano le sentenze dei tribunali occorre costruire una rete dei comitati, collettivi in lotta contro gli attacchi che quotidianamente vengono portati avanti al diritto di scelta delle donne- mfpr

I giudici di Catania: "Il divieto alla fecondazione eterologa è incostituzionale"
Mina il diritto a farsi una famiglia completa. Dopo Milano anche la magistratura catanese contro la legge 40
di CATERINA PASOLINI


"Il divieto alla fecondazione eterologa è incostituzionale. Perché non rispetta il diritto a farsi una famiglia, contrasta il principio di eguaglianza tra coppie, discriminate in base al grado di sterilità e infertilità e non garantisce il diritto alla salute".
A dirlo, dieci giorni dopo il tribunale di Milano, ieri è stata la volta di quello di Catania, valutando ricorsi di coppie di aspiranti genitori sterili
e disperati, costretti ad andare all’estero per inseguire il sogno di avere un figlio, costretti da malattie a cercare un aiuto esterno, un donatore di
gamete, pratica sino ad oggi vietata in Italia.

E così ora i tribunali hanno inviato ancora una volta tutto alla Corte Costituzionale perche dica la sua, perché valuti l’ultimo pilastro rimasto
della legge 40 abbattuta in nove anni da oltre 18 sentenze italiane ed europee. Tanto che da più parti si chiede che il parlamento legiferi,  prenda atto delle bocciature di una legge considerata "inumana e iniqua", cambiata nelle aule dei tribunali a furia di ricorsi. Alla Consulta comunque sono pronti: Lo ha detto venerdi lo stesso presidente Gallo: "Abbiamo già preso posizione sulla fecondazione omologa, su quella eterologa affronteremo la questione appena arriverà. Sarà nostra urgenza fissare il più presto
possibile una data per l'esame".

Se il ricorso milanese era stato presentata da una coppia, in cui il marito è sterile, che si sentiva discriminata come se la paternità fosse un diritto solo per i ricchi visto che loro non avevano fondi per andare all’estero e tentare di diventare genitori, il caso di Catania riguarda una coppia in cui la donna è affetta da menopausa precoce seguita dal centro Hera. Storie simili, drammi comuni seguiti nelle aule di giustizia dal Collegio nazionale di avvocati composto da Maria Paola Costantini del foro di Firenze, Marilisa D'Amico, ordinario di diritto costituzionale di Milano, Sebastiano Papandrea del Foro di Catania e Massimo Clara del foro di Milano.

In nove anni sentenze italiane e straniere hanno bocciato la legge 40 di cui ora resta praticamente solo il divieto all'eterologa. Già in passato la
prima sezione civile del Tribunale di Milano aveva deciso di inviare gli atti alla Consulta per incostituzionalità della legge sulla fecondazione
assistita riguardo a questo punto. Nel frattempo però era uscita una sentenza della Corte di Strasburgo che poteva cambiare le carte in tavola e
così la Corte Costituzionale ha rinviato i faldoni al tribunale milanese chiedendo una nuova valutazione. Così è stato, dieci giorni fa Milano ha
confermato i suoi dubbi sulla costituzionalità di una legge che vieta la fecondazione eterologa, la donazione ad una coppia sterile di gameti, uova o sperma, per avere un figlio. E per migliaia di famiglie sterili o con malattie genetiche trasmissibili torna la speranza di poter divertare
genitori senza dover emigrare, o fare il mutuo per pagare le spese di viaggio e cliniche.

Tagli alla sanità - Pantelleria: o partorisci di nascosto o paghi una trasferta di 1.500 euro

Partorire a Pantelleria è difficile. Dopo la chiusura del punto nascita dell'ospedale Nagar, deciso dallo scorso
governo regionale (Lombardo) per tutte le strutture che praticavano meno di 500 parti all'anno, la situazione rimane difficilissima. Ma nell'isola, giustamente, s'infiamma la protesta delle donne, che contestano l'obbligo di trasferimento sulla terraferma, imposto dall'Asp di Trapani, per le partorienti che hanno raggiunto la trentaduesima settimana.

E allora succede che alcune donne in gravidanza, arrivate all'ottavo mese si nascondono per evitare il trasferimento coatto, come accaduto ad Adela, una romena che il giorno di Pasqua ha dato alla luce una bambina nell'ospedale dell'isola. Adesso tocca alla politica siciliana decidere se riaprire 7 dei 28 reparti di maternità chiusi in Sicilia, come proposto dal nuovo governo Crocetta. Intanto le isolane stanno facendo una colletta per organizzare a Palermo una manifestazione contro la chiusura del punto nascita, in attesa che il ministero della Salute decida se riaprire.

Allontanarsi da casa per le donne diventa anche un costi difficile da sostenere, contestano le gestanti. Trascorrere l'ultimo periodo di gravidanza lontane da casa, accompagnate dai mariti che così sono costretti a perdere giornate di lavoro, in un momento come questo. Il costo della ''trasferta'', comprese le spese di viaggio, è stimato in almeno 1.500 euro per partoriente

Solidarietà alla Casa delle donne lucha y siesta da Bologna

Esprimiamo la nostra.solidarieta' alle compagne della Casa delle donne lucha y siesta contro repressione, sgomberi di luoghi di donne e contro la continua guerra che dobbiamo subire dal potere patriarcale e dalla sua polizia. Non per questo smetteremo di andare avanti. Siamo vicine a voi per le cose belle e importanti che avete fatto e continuerete a fare. Hasta la victoria. 

FLFL di bologna


****

Invio la mia solidarietà alle compagne della casa donne Lucha y Siesta che ho avuto il piacere di conoscere quando ospitava negli scorsi anni, gli incontri nazionali delle donne.
Mi è subito parsa una struttura incredibile, ancora autentica costruzione accogliente degli anni passati in mezzo alla selva di palazzoni anonimi tipo alveare costruiti intorno.
Un angolo di pace e di pensiero delle donne, tante donne anche straniere vivevano e credo vivano ancora lì, con i loro figli.
Una bella situazione.
Certo il meglio oggi non piace, devono solo schiacciarci, perché aumentare i diritti e la richiesta di migliorare, va comunque soffocato.
Così ci potremo limitare a chiedere sempre meno.
Si sono sbagliati il sindaco fascista di Roma e tutte le forze che pensano di toglierci gli spazi, come questa casa delle donne di Roma, dove le donne non si piegheranno.
Un abbraccio e avanti ancora. 
 
Nicoletta da Bologna

12/04/13

Turchia, tredicenne stuprata da 29 uomini, tra cui un poliziotto


Arrestati i responsabili a Golcuk, centro del nord. Fra loro un poliziotto. I reati di natura sessuale sono aumentati del 400% nel paese negli ultimi 10 anni


ANKARA - Nuovo clamoroso caso di violenza sessuale di branco contro una minorenne in Turchia, dove 29 persone fra cui un poliziotto sono state arrestate a Golcuk, nella parte occidentale del Paese. 
Sono accusati di avere violentato una tredicenne. Il nuovo episodio avviene a poche settimane da un caso analogo, che ha suscitato grande emozione nel Paese, quello di una bambina di 12 anni, stuprata da 26 uomini a Mardin, dell'Anatolia sud-orientale.



Le violenze contro le donne e i reati sessuali rimangono una piaga endemica in Turchia. I reati di natura sessuale sono aumentati del 400% nel paese negli ultimi 10 anni: nel 2011 sono state registrate 33 mila denunce contro 8mila nel 2002.
La vicenda della tredicenne è stata scoperta grazie a un insegnante. La ragazzina non osava parlare delle violenze subite perchè ricattata e minacciata dai violentatori, scrive Taraf.



Il caso della dodicenne aveva suscitato violente polemiche nelle scorse settimane. Dopo la denuncia degli stupri 23 dei 26 accusati erano stati arrestati. Ma tutti erano stati rimessi in libertà alla prima udienza del processo. La bambina aveva scritto al ministro della Giustizia chiedendogli "Lei non ha una bambina? Che cosa farebbe se sua figlia avesse subito tutto ciò? Tutti gli accusati ora sono fuori. Che ne è della mia vita?". In primo grado una corte di Mardin aveva condannato i 23 imputati a pene fra uno e 6 anni di carcere accogliendo in parte la tesi dei difensori secondo i 
quali la bambina sarebbe stata "consenziente". La sentenza era stata annullata dalla Corte Suprema 
d'Appello, che aveva ordinato la ripetizione del processo.



(11 aprile 2013)