31/03/20

Nicoletta è ai domiciliari, siamo contente ma non ci basta. LIBERTA' PER TUTTE E TUTTI, FUORI TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI


Nicoletta è uscita poco fa dal carcere delle Vallette per andare a scontare l'ingiusta pena ai domiciliari per le misure introdotte con l'emergenza Corona Virus.
Gli sono stati concessi i domiciliari con il massimo delle restrizioni possibili, compreso l'ingiusto divieto di comunicare!
Nicoletta ci fa sapere tramite suo marito che la situazione dentro è pesantissima, e invece che scarcerare, al contrario continuano a tradurre in carcere persone, anche con la febbre.
E' dimagrita molto perchè mangiare in carcere è difficile per tutte, ma è orgogliosa delle sue compagne di detenzione che si sono sostenute a vicenda in questo periodo e uscire da sola le crea rabbia.
Rabbia per persone a cui hanno concesso le videochiamate al posto dei colloqui, ma è un diritto mai esercitato dalle tante che non hanno parenti con uno smartphone o anziani non capaci di utilizzare la tecnologia.
Il carcere è un luogo dove la normalità non esiste per chi fa la guardia, anzi l'arroganza è l'unica vera normalità.
 
L'indulto e l'Amnistia sono assolutamente necessari!

30/03/20

Epidemia Coronavirus, richiesta di rilascio per bambini e donne dalle carceri israeliane

L’Unione dei comitati palestinesi femminili ha chiesto mercoledì di lanciare una campagna internazionale per l’immediata liberazione di bambini e donne palestinesi nelle carceri israeliane a causa della diffusione del coronavirus.
Il sindacato ha dichiarato in una nota alla stampa che 200 minorenni e 43 donne sono detenuti nelle carceri israeliane in cattive condizioni, tra cui madri e persone affette da diverse patologie.
Le loro vite correranno un rischio maggiore se il coronavirus entrerà nelle carceri israeliane, afferma la nota, dato che il Servizio penitenziario israeliano non fornisce ai detenuti i prodotti di pulizia necessari per mantenere le routine igieniche minime.
Il ministero palestinese per gli Affari femminili, l’Unione generale delle donne palestinesi, il ministero degli Affari prigionieri e diversi centri per i diritti umani hanno chiesto la più grande partecipazione alla campagna locale e internazionale per salvare bambini e donne palestinesi nelle carceri israeliane.
Ieri mattina inoltre, attivisti per i diritti umani hanno presentato una petizione urgente alla Corte Suprema israeliana contro le norme di emergenza emanate a causa della crisi del Coronavirus, che impedisce agli avvocati e ai familiari di incontrare i prigionieri palestinesi.
La decisione, annunciata il 15 marz,  stabilisce che i prigionieri politici, ai quali viene di solito negato il diritto di usare il telefono in carcere, possono consultarsi telefonicamente con i loro avvocati solo in caso di imminente udienza giudiziaria.
Due firmatari della petizione, l’Associazione Addameer per il supporto e i diritti umani ed il Centro per i diritti legali israeliano Adalah hanno entrambi sottolineato che il governo israeliano ha imposto le restrizioni senza alcuna autorità legale e che dovranno essere revocate.
L’avvocato Abeer Baker, esperto di incarcerazione che rappresenta i prigionieri comuni e politici, ha dichiarato alla rivista +972 che “non si possono negare ai detenuti i loro diritti solo a causa della paura di una pandemia”. Ha spiegato: “loro sono completamente disconnessi [dal mondo esterno] e [la situazione] può continuare in così per mesi”.
L’incontro con gli avvocati è uno degli unici modi in cui i prigionieri, molti dei quali sono rinchiusi da anni, possono comunicare con il mondo esterno. Qualunque siano le sfide poste dalla crisi del Coronavirus, l’avvocato di Adalah, Aiah Haj Odeh, ha insistito sul fatto che alle autorità israeliane non dovrebbe essere permesso di decidere sui diritti umani fondamentali. “Il diritto internazionale richiede che Israele debba riconoscere il diritto dei prigionieri e dei detenuti di visitare la famiglia e di consultare gli avvocati ed accedere ai tribunali”, ha aggiunto.
Da Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it

Violenza domestica e polizia, la denuncia del mfpr

Da qualche giorno è in funzione un'applicazione della Polizia affinchè le donne che subiscono violenze, e che oggi sono molto più a rischio per la convivenza forzata in casa, possano denunciarle.
Ma questa misura rischia di essere da un lato drammaticamente inutile, dall'altro fortemente ambigua.

Inutile, perchè tante donne hanno già sperimentato come la Polizia NON prenda in considerazione le loro denunce. E andavano direttamente negli uffici delle questure o dei carabinieri a farle..! Non si contano i casi di femminicidi avvenuti dopo anche 2/3 denunce rimaste nei cassetti. Ora che garanzia le donne possono avere che con una semplice segnalazione on line la polizia si attivi?
Quale garanzia se, come settimane scorse è avvenuto a Taranto, da un lato si invita a segnalare e dall'altro dei giudici mandano agli "arresti domiciliari", quindi a convivere con la moglie, un uomo che aveva tentato di uccidere la moglie?

Ambigua, perchè questa possibilità di segnalazione si aggiunge alle altre tipologie di segnalazione (dallo spaccio di stupefacenti davanti alle scuole, al bulliìsmo, ecc.), già previste in questa app. e che sono all'insegna di mobilitare i cittadini a farsi parte attiva nella politica securitaria, nel clima di controllo repressivo, che è tutto l'opposto di un clima attivo di solidarietà.
Questo lo stiamo sperimentando proprio in questo periodo di coronavirus, in cui alcuni settori di cittadini, per fortuna molto ristretti e per lo più di destra, si "premurano" di fotografare, di segnalare alla polizia, se mai al canto dell'Inno di Mameli, il passante che attraversa la strada, il vicino di casa che è uscito, ecc.

La questione principale è invece che "Chiuseincasa" non può valere per le donne. Non possono stare ognuna isolata. L'unica difesa è nell'unità/solidarietà tra le donne. Anche in questi giorni.
MFPR

Lettera di un'infermiera di Milano




29/03/20

LE OPERAIE DI KAIROUAN IN PRIMA LINEA NELLA LOTTA CONTRO LA DIFFUSIONE DEL COVID-19 IN TUNISIA

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È di qualche giorno fa la notizia che 150 operaie dell’azienda tunisina Consomed, con sede a Kairouan, hanno deciso di passare volontariamente il periodo di quarantena in fabbrica per garantire la produzione dato che l’azienda in questione produce mascherine e altro materiale sanitario utile per contrastare la diffusione del Covid-19 nel paese e contribuire quindi a salvare vite umane.
La notizia, rigirata da un paio di siti di informazione, è rimbalzata velocemente sui social media accompagnata anche da un video che mostra l’ingresso delle operaie con i propri bagagli in fabbrica (Guarda il Video qui).
È un grande atto di generosità e solidarietà il fatto che queste operaie in questa congiuntura difficile rinuncino alla vicinanza dei propri cari per un fine collettivo, mettendo a disposizione la propria forza lavoro per almeno 14 giorni interi al servizio del proprio popolo.
Alcune di queste operaie hanno dichiarato di essere state sostenute dai propri familiari e di aver fatto questa scelta coscienti della necessità di medici e infermieri costretti a lavorare in condizioni pessime in assenza dell’equipaggiamento adeguato.
Inoltre giungono sempre più testimonianze che molte piccole aziende tessili sparse per il paese, anche  individuali, stiano riconvertendo l’attività per la produzione di mascherine di cui c’è sempre più una maggiore richiesta sul mercato.
Tornando alla Consomed, alcune operaie intervistate da un’inviata della BBC hanno dichiarato di essere rimaste in 110 donne e 40 uomini, organizzati in due turni da 8 ore ciascuno: la fabbrica lavora senza fermarsi dalle 6:30 alle 22:30 sfornando 50.000 mascherine al giorno. I 40 uomini sono quasi tutti impiegati nel turno notturno, oltre a ciò sono presenti in fabbrica anche dottori e farmacisti e cuochi con una scorta sufficiente per un mese.
Le quasi 200 persone confinate in fabbrica quando non sono impegnate nei turni di lavoro hanno a disposizione una sala per danzare e per fare esercizi ginnici mentre gli uomini si dedicano al calcio e al basket.
La Consomed è una di quelle aziende totalmente esportatrici che gode del diritto di smerciare dal 30% al 50% della propria produzione nel mercato locale.
Ovviamente va da sé che al padrone, Alaouini (che si prende anche fin troppo il merito degli eventi con i media), non dispiaccia che in un momento di crisi per molti settori, stia moltiplicando i propri profitti con la produzione a pieno ritmo e con le misure di sostegno del governo di cui gode.
Sarebbe doveroso, e il sindacato dovrebbe fare la sua parte, retribuire le operaie e gli operai per tutte le 24 ore giornaliere del loro tempo che mettono a disposizione dell’aziende e del paese, questo come primo provvedimento.
Inoltre dato che i tempi di questa crisi sono incerti e sicuramente non brevi, al termina di tale periodo di lavoro volontario in quarantena (che terminerà tra 5 giorni), bisognerebbe garantire a queste lavoratrici il diritto al rientro a casa e procedere con nuove assunzioni per garantire gli stessi ritmi produttivi ma con una maggiore forza lavoro. Ciò avrebbe ricadute positive anche sulla comunità della regione di Kairouan in questo periodo di crisi non solo sanitaria ma anche economica.

26/03/20

Se n’è andata Maddy, compagna lavoratrice Dhl a Piacenza: fino all’ultimo alla lotta, non sarà dimenticata

Se ne è andata stroncata da questo maledetto virus e da un sistema sanitario fatto a pezzi la compagna Maddy della DHL. Ha lottato fino all’ultimo per il bene di tutti, contra la logica omicida che vuole gli operai (e noi tutti) sacrificabili.

Non sarà dimenticata. Ci ha lasciati una grande guerriera, una Cobas che ha lottato ogni giorno per i diritti di ogni singolo lavoratore. D’ora in avanti ogni lotta che faremo sarà dedicata a te…

Ciao Maddy!

Marzo 24, 2020

25/03/20

Ohio e Texas - Lo sciacallagio dei governi americani sulla pelle delle donne

Da Il manifesto, di Marina Catucci, 25/03/2020

In Ohio e Texas aborto vietato: «Non essenziale»

Stati uniti. I due Stati ne approfittano per impedire le interruzioni di gravidanza: mille dollari di multa, 180 giorni di carcere. Intanto Trump vuole già riaprire tutto: «La quarantena non è sostenibile». New York insorge


In Ohio e Texas le cliniche che praticano aborti dovranno sospendere gli aborti chirurgici «non essenziali» al fine di tenere disponibili le forniture mediche per far fronte all’epidemia di coronavirus.
I promotori della misura sostengono che gli aborti non sono necessari dal punto di vista medico. L’ordine scadrà il 21 aprile, ma prima di allora qualsiasi operatore medico che fornisca aborti è passibile di sanzioni, sotto forma di multe fino a mille dollari o 180 giorni di carcere.
La misura ha spinto i gruppi anti-aborto a chiedere che il divieto venga esteso a livello nazionale. Ken Paxton, procuratore generale del Texas, ha dichiarato che consultori e cliniche che praticano aborti sono soggetti a un ordine esecutivo del governatore: «Nessuno è esente dall’ordine su interventi chirurgici e procedure inutili dal punto di vista medico», ha affermato.
In Maryland la situazione è meno chiara. Durante una conferenza stampa sull’ordine dello Stato che sospende tutte le attività e le procedure non indispensabili, il vice governatore Hogan ha detto di considerare l’aborto un servizio non essenziale.
I sostenitori del diritto all’aborto sono chiaramente insorti affermando che si tratta di un affronto a tutte quelle donne che sono alle prese con decisioni difficili tra le interruzioni di gravidanza e la pandemia.
«L’aborto può essere una corsa contro il tempo che è un fattore chiave e l’assistenza sanitaria è essenziale – ha dichiarato Katherine Hancock Ragsdale, presidente della National Abortion Federation – Le donne meritano di meglio di uno sfrenato sfruttamento di una crisi sanitaria per promuovere un programma anti-aborto».
In Ohio i consultori del gruppo Planned Parenthood hanno comunicato che continueranno a praticarne, nonostante il rischio di sanzioni.
Il Texas è al centro anche di un’altra presa di posizione discutibile. Il vice governatore, Dan Patrick, ha affermato che preferirebbe morire di coronavirus piuttosto che permettere alla pandemia di danneggiare l’economia e che molte persone anziane sono d’accordo con lui.
L’affermazione è un endorsement alla linea espressa da Trump che su Twitter, come durante interviste e conferenze stampa, continua a ripetere che «la cura non può essere peggiore del male» e che l’economia deve riprendere a girare, i lockdown non sono sostenibili e la questione della distanza sociale deve finire per fine marzo, al massimo Pasqua.
Partecipando a una Town Hall virtuale ospitata dalla sempre più prona Fox News, Trump ha espresso indignazione per il fatto di dover «chiudere il paese» per frenare la diffusione del coronavirus e ha indicato che le sue linee guida riguardo chiusura dei negozi e distanziamento sociale saranno presto revocate.
«Possiamo mantenere le distanze sociali e comunque andare al lavoro», ha detto sicuro Trump, prima di ripetere l’ormai anacronistica affermazione che confronta coronavirus e influenza: nonostante muoiano migliaia di persone per l’influenza, «mica si chiude il paese».
Le parole di Trump sono arrivate stridenti poche ore dopo la consueta e sempre più accorata conferenza stampa del governatore di New York Andrew Cuomo, che ha parlato di numeri vertiginosi che raddoppiano ogni tre giorni.
Rivolgendosi al governo federale che ha inviato 400 respiratori allo Stato che rappresenta, Cuomo ha detto: «Volete una pacca sulla spalla per 400 respiratori? Cosa faremo con 400 respiratori quando avremo bisogno di 30mila? State perdendo l’entità del problema e il problema è definito dalla sua entità».

LO SCIOPERO DELLE DONNE E' STATO PIENAMENTE LEGITTIMO!

L'importante e chiarificatore articolo che riportiamo in allegato dà pienamente ragione alla decisione dello Slai cobas per il sindacato di classe sul mantenimento dello sciopero delle donne del 9 marzo scorso - così come dà ragione ai tanti scioperi che in questi giorni stanno facendo lavoratori, lavoratrici in vari posti di lavoro sia privati che pubblici. 
E' lo sciopero l'unica arma legittima e di tutela dei diritti delle lavoratrici e lavoratori, in primis oggi del diritto alla salute e alla vita! 
Il resto, l'assurdo divieto della CGS - CHE NEI GIORNI SCORSI HA AVVIATO LA PROCEDURA DI APPLICAZIONE DI PESANTISSIME SANZIONI NEI CONFRONTI DELLO SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE - è solo una bassa copertura dell'unico vero interesse che lo Stato vuole difendere, quello del profitto dei padroni (come è evidente anche dall'ultimo decreto "Cura Italia") e quello della "pace sociale" perchè tutto continui come prima e peggio di prima.

Questo articolo sgombera anche il campo dagli altri piccoli interessi di "bottega", opportunisti dei sindacati di base che, senza neanche tentare un minimo di resistenza - solo l'Usi lo ha fatto contestando punto per punto le "ragioni" della CGS, peccato che poi non sia stata coerente fino alla fine -, hanno in men che non si dica revocato lo sciopero del 9 marzo. Questi sindacati di base si sono dimostrati forti con le grandi parole e le altisonanti denunce, ma deboli e senza coraggio a disobbedire/violare divieti illegittimi, di stampo fascista.

MFPR


LA PACE SOCIALE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS di Giovanni Orlandini

Ben prima che il Governo adottasse le misure d’emergenza necessarie per contenere il contagio da Covid-19, la Commissione di garanzia (il Garante in tema di sciopero nei servizi essenziali) ha intimato a tutte le organizzazioni sindacali di astenersi dal proclamare scioperi dal 25 febbraio fino al 31 marzo.
Poche righe, contenute in un semplice comunicato stampa, per espropriare del diritto di sciopero milioni di lavoratori: dai dipendenti dei ministeri a quelli degli enti locali, dai lavoratori dei trasporti a quelli della ricerca, dai metalmeccanici ai dipendenti degli enti pubblici non economici.
Ne è seguita, a stretto giro, l’adozione “in via d’urgenza” di una delibera con cui si ingiunge ai sindacati autonomi di sospendere gli scioperi proclamati per il giorno 9 marzo, minacciando sanzioni in caso di inottemperanza. La ragione di tali drastici provvedimenti, a detta della stessa Commissione, risiede nello “stato di emergenza sanitaria proclamato su tutto il territorio nazionale”, che impone di “evitare ulteriore aggravio alle Istituzioni coinvolte nell’attività di prevenzione e contenimento della diffusione del virus”.
Una simile decisione di sospendere per oltre un mese (salvo ulteriori proroghe) il diritto di sciopero su tutto il territorio nazionale, non ha precedenti nella storia repubblicana. Si dirà che anche l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo è una situazione di straordinaria ed inedita gravità. E tuttavia qui non si tratta di sminuire la gravità dei rischi epidemici in corso. Si tratta di interrogarsi sull’esistenza di una relazione tra tali rischi e il divieto di astenersi dal lavoro. Perché se una relazione del genere si configura in caso di scioperi nel settore sanitario, può non sussistere affatto quando a scioperare sono lavoratori di altri settori e le cui prestazioni non incidono sull’attività di “prevenzione e contenimento della diffusione del virus” invocata per giustificare il divieto generalizzato di scioperare. Una diversa valutazione va ovviamente fatta in relazione ad altre attività sindacali che ad uno sciopero di norma si associano; quali ad esempio assemblee e, ancor più, manifestazioni sindacali. Ma non è di queste che si interessa la Commissione di garanzia.
Il Garante trova il fondamento legale della propria iniziativa nel potere - riconosciutogli dalla legge - di invitare le organizzazioni sindacali che abbiano organizzato uno sciopero in violazione delle sue regole d’esercizio, a riformularne la proclamazione ed a rinviarne l’attuazione (art. 13, comma 1, lett. g, l. n.146/90). E la violazione di tali regole è colta nella clausola, presente in tutti i contratti collettivi, che dispone per l’immediata sospensione dello sciopero “in caso di avvenimenti eccezionali di particolare gravità e di calamità naturali”. La clausola in questione è però fondatamente invocabile solo quando uno sciopero è in grado, in qualsiasi modo, di influire sulla situazione emergenziale, e non per sospenderne l’esercizio prescindendo da qualsiasi valutazione nel merito dei suoi effetti concreti.
L’iniziativa del Garante è tanto più discutibile se si considera che l’arma dello sciopero costituisce un irrinunciabile strumento di autodifesa per gli stessi lavoratori, qualora siano esposti al rischio di contagio.
E’ la cronaca quotidiana di questi giorni a raccontarci di scioperi spontanei di protesta, proclamati in tutto il paese dai lavoratori per il timore che l’azienda non garantisca adeguate condizioni di sicurezza rispetto ai rischi di esposizione al virus. (Si sciopera proprio per salvaguardare la propria vita a fronte di un “avvenimento eccezionale di particolare gravità e di calamità naturali”; in tante aziende purtroppo se i lavoratori non scioperassero non opporrebbero alcun ostacolo agli effetti nefasti di quegli “avvenimenti” - ndr) Sono azioni collettive che smentiscono la mistificatoria lettura del diritto di sciopero come strumento di difesa di interessi corporativi lesivi dell’interesse generale, giacché è proprio la praticabilità del conflitto a rendere possibile la tutela del bene fondamentale della salute davanti alla pretesa di subordinarlo ad interessi economico- produttivi. L’emergenza allora, piuttosto che delegittimare l’arma dello sciopero, ne amplifica la funzione di risorsa ultima di autotutela collettiva, tanto più indispensabile quanto più si riducono gli ordinari spazi di confronto democratico.
D’altra parte, non si può non cogliere un tratto di involontaria e paradossale ironia nel giustificare il divieto generalizzato di scioperare (che implica un obbligo a non allontanarsi dal luogo di lavoro) con l’esigenza di contenere il contagio, nel mentre si adottano misure d’urgenza per rendere possibile ovunque il ricorso al c.d. lavoro agile, proprio per allontanare i lavoratori dagli stessi luoghi di lavoro onde evitare rischi di contagio.
La via per difendersi da eventuali sanzioni per sciopero illegittimo è costituita dall’art. 2, comma 7 della l. 146/90, che ammette la deroga agli obblighi di preavviso e di preventiva indicazione della durata dell’astensione in caso di “protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Ma la norma è ambigua nel non richiamare anche la sospensione dell’obbligo di erogare le prestazioni indispensabili; un’ambiguità evidentemente aumentata dalla generalizzata ingiunzione a non scioperare della Commissione. E neppure aiuta a fare chiarezza il comunicato del 12 marzo con il quale la stessa Commissione ha richiamato le aziende al rigoroso rispetto delle misure di sicurezza previste dal governo per far fronte ai rischi epidemici, onde evitare appunto scioperi che compromettano l’erogazione dei servizi pubblici: nel comunicato si omette infatti di precisare che il blocco del servizio pubblico conseguente ad una astensione fondata sull’art. 2, comma 7 non espone in nessun caso i lavoratori alle sanzioni di legge...
Gli atti adottati in questi giorni hanno, certo, un carattere straordinario ed eccezionale per il contesto affatto inedito nel quale si collocano, ma si iscrivono in un processo, in atto da tempo, di disconoscimento del conflitto come leva di progresso ed emancipazione. La Commissione sembra infatti ispirare la propria azione alla sola logica della massima compressione possibile degli spazi di esercizio del conflitto sindacale, visto evidentemente come “male” sociale. Ma è una logica che la stessa legge 146/90 non giustifica. La Commissione di garanzia si chiama infatti così perché ad essa spetta garantire “il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti”, alla cui tutela i servizi pubblici sono funzionali. “Contemperare” e non “vietare”, dal momento che qualsiasi regolazione dello sciopero dovrebbe tener conto della sua dimensione di diritto costituzionale, cioè di valore costitutivo dell’ordine democratico.

La costrizione a stare a casa esaspera maggiormente gli animi aumentando la violenza sulle donne e i femminicidi all’interno del sacro focolare domestico!

UN’ALTRA DONNA UCCISA IN AMBITO FAMILIARE
Tre giorni fa, a Roma, una donna di 46 anni è stata uccisa a coltellate e poi decapitata, dal figlio ventenne, dopo una lite.
Questo ulteriore femminicidio/matricidio segue quello del 19 marzo scorso, avvenuto nel brindisino, dove un 23enne ha accoltellato a morte la propria madre,51 anni, in seguito ad un litigio per futili motivi.
E’ indubbio che l’essere costretti a stare in casa, agli “arresti” domiciliari, pena multe e denunce penali, non può che esacerbare gli animi e scatenare maggiormente la violenza domestica contro le donne, soprattutto in quelle famiglie dove ci sono uomini e figli violenti, che poi tentano di uccidere la propria moglie (come accaduto di recente a Taranto, dove un uomo ha tentato di uccidere la consorte, ma beffa delle beffe, è stato messo agli arresti domiciliari anziché essere arrestato), o arrivano finanche ad uccidere la propria madre, come i due casi sopra descritti.
Questa è una ragione in più perché le donne dicano a gran voce : ”IO NON CI STO!”, altro che “io resto a casa”.
IO NON CI STO A CONTINUARE AD ESSERE IL CONTENITORE DI TUTTE LE FRUSTRAZIONI FAMILIARI E SOCIALI, GRAZIE AD UN SISTEMA MODERNO FASCISTA,MASCHILISTA E MISOGINO, COME QUELLO CAPITALISTICO, CHE SCARICA PRINCIPALMENTE SULLE DONNE I SUOI GLI EFFETTI PIU’ NEFASTI E TUTTA LA SUA BARBARIE!
IO NON CI STO, SOPRATTUTTO IN QUESTO FRANGENTE, A RIUNCHIUDERMI IN CASA PER SUBIRE VIOLENZA SU VIOLENZA, O A FARMI MASSACRARE!
IO NON CI STO A SGOBBARE MAGGIORMENTE, DALLA MATTINA ALLA SERA, PERCHE’ MARITO, FIGLI, GENITORI E SUOCERI DEVONO STARE SEMPRE IN CASA!


M.S. -SLAI COBAS sc ed MFPR 25.03.2020


DONNE CHIUSE IN CASA... COL PROPRIO ASSASSINO?

 Ancora di più in questo periodo le donne rischiano la vita. Tante in casa sono costrette a stare con "uomini che odiano le donne" - E la provocazione arriva addirittura al fatto, come è successo nei giorni scorsi a Taranto, che alcuni giudici incredibilmente hanno mandato agli arresti domiciliari un marito che aveva tentato di uccidere la moglie.
Va agli arresti in casa a completare l'"opera"...? Quale sarà il più grande terrore per la moglie, contagiarsi per il coronavirus o essere ammazzata dal marito?
QUESTO UOMO NON DEVE STARE IN CASA!


Nella piattaforma dello sciopero delle donne è scritto:
- Interventi immediati contro i denunciati per violenze, stalking, maltrattamenti
- Divieto di permanenza in casa, di familiari o conviventi violenti
- Consultori laici gestiti e controllati dalle donne; case rifugio, centri antiviolenza, case delle donne.

IL MFPR METTE A DISPOSIZIONE PER OGNI DENUNCIA, SEGNALAZIONE, I SUOI MEZZI DI COMUNICAZIONE:
mfpr.naz@gmail.com - FB movimento femminista proletario rivoluzionario - tel nord: 3339415168 - centro: 3287223675 - sud: 3339199075 - 3408429376

24/03/20

UN’ALTRA INFERMIERA SULLA TRINCEA COVID-19 SI SUICIDA PER STRESS LAVORO-CORRELATO - PAGHERETE CARO, PAGHERETE TUTTO!

Apprendiamo in questo momento che oggi un’infermiera, Daniela Trezzi, 34 anni, assegnata al reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Gerardo di Monza, una delle tante trincee COVID-19, si sia suicidata.

All’estremo gesto, come sottolineano i suoi colleghi, ha pesantemente contribuito lo stress lavoro correlato vissuto soprattutto in quest’ultimo periodo.

Si tratta della seconda vittima nel giro di una settimana, causata da condizioni di lavoro massacranti e dalla paura di potersi ammalare, grazie alla mancanza di idonei DPI e di strutture inadeguate. Infatti, già lo scorso 18 marzo un’infermiera di 49 anni, in servizio presso il reparto COVID-19 nell’ospedale di Jesolo (Ve), si è suicidata gettandosi nel Piave.

Queste morti annunciate, così come quelle di tutte le persone decedute per il coronavirus (grazie ad un sistema sanitario allo sfascio, causato dai continui tagli, in nome del risparmio e del profitto) e che hanno sofferto e se ne sono andate senza potere avere neppure il conforto dei propri cari, avvolti inoltre in sacchi di plastica, come carne da macello, messe in bare trasportate di notte sui tir per essere cremate, all’insaputa dei propri familiari, manco si trattasse di peste; tutto questo orrore non lo dimenticheremo mai, anche se “la nottata” prima o poi passerà.

PER LE LAVORATRICI, I LAVORATORI E I PROLETARI UCCISI NON BASTA IL LUTTO, PAGHERETE CARO, PAGHERETE TUTTO!


Lavoratrici SLAI COBAS sc ed MFPR -Policlinico Palermo 24.03.2020

23/03/20

Femminicidi in tempi di coronavirus - MFPR

Per tante donne stare chiuse in casa per molte settimane sta diventando una causa aggravante del rischio femminicidi, violenze, maltrattamenti continui. Già, solo per quello che emerge dai mass media, vi sono stati gravissimi tentativi di femminicidi. E chissà quante violenze fisiche, psicologiche e sessuali si stanno perpetrando nel chiuso e silenzio delle mura domestiche.
Da quello che sappiamo poche sono le Regioni, i Comuni che stanno mettendo in atto alcune misure perchè le donne non siano sole e possano denunciare, ma è troppo poco; mentre nei vari decreti del governo questo problema semplicemente non esiste e le misure di restrizioni, di maggior scarico di assistenza e servizi sulle famiglie, che poi al 90% significa sulle donne in questo sistema borghese, stanno contribuendo moltissimo ad aumentare l'oppressione familiare delle donne.

Noi NON POSSIAMO STARE FERME E ZITTE:
  • da un lato dobbiamo pretendere dalle Istituzioni, dal governo interventi massicci di sostegno alla condizione delle donne, sia quotidiani sia di emergenza contro i femminicidi; far sentire con forza la denuncia, la voce delle donne, come delle lavoratrici che sono ancora nei vari posti di lavoro subendo doppio sfruttamento e oppressione sul lavoro e in casa;
  • dall'altra AUTORGANIZZIAMOCI, in tutti i modi possibili, osservando chiaramente le misure sanitarie, sui posti di lavoro, nei quartieri, nei caseggiati.

L'unità, la lotta ancora di più per le donne vuol dire: salvezza di vita!

IL MFPR METTE A DISPOSIZIONE PER OGNI DENUNCIA, SEGNALAZIONE, I SUOI MEZZI DI COMUNICAZIONE:
mfpr.naz@gmail.com - FB movimento femminista proletario rivoluzionario - tel nord: 3339415168 - centro: 3287223675 - sud: 3339199075 - 3408429376

21/03/20

Per le nostre sorelle migranti nessuna protezione, solo reclusione

 

“Gridavamo libertà, libertà”, dice Ylian, con la voce spezzata dalle lacrime, mentre racconta di aver protestato il 18 marzo dietro alle grate del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma, chiedendo di essere rilasciata, perché teme per la sua salute insieme a una quarantina di donne, rinchiuse da settimane nel Cpr in una situazione di promiscuità mentre fuori la pandemia avanza.
“Qui dormiamo in camere da sei o da quattro, mangiamo tutte insieme, usiamo gli stessi servizi. Non tutte rispettano le norme igieniche e di sicurezza”, racconta la donna di 26 anni, che è rinchiusa nel centro di detenzione da più di un mese. Nel centro sono ospitate in tutto circa 120 persone, tra settore femminile e settore maschile.
“Vediamo in televisione quello che sta succedendo fuori e abbiamo paura”, continua. È arrivata in Italia sei mesi fa con un visto turistico, poi alla scadenza del visto è rimasta nel paese da irregolare, dice di essere vittima di tratta e di non poter tornare nel suo paese, Cuba, per timore di essere perseguitata. Ha fatto domanda di asilo ed è in attesa di una risposta, ma in ogni caso è rinchiusa in un centro di detenzione, perché non ha un permesso di soggiorno valido, è una sans papier, un’irregolare.

Senza un protocollo
Nonostante la maggior parte dei voli di rimpatrio sia stata sospesa a causa dell’epidemia di coronavirus, i centri di detenzione per il rimpatrio italiani continuano a funzionare a pieno regime, senza che sia previsto nessun protocollo di sicurezza, né per gli ospiti né per gli operatori e i poliziotti che ci lavorano.
Sono circa quattrocento le persone rinchiuse nei Cpr italiani in un regime di detenzione amministrativa e se qualcuno dovesse risultare positivo al test del coronavirus, non ci sarebbe una procedura stabilita per affrontare la situazione. “Nessuno rispetta la distanza di sicurezza di un metro, non ci sono né mascherine, né guanti, né disinfettanti”, racconta la donna. “Chiediamo che ci facciano stare recluse in casa o che ci tengano nelle comunità, nei centri di accoglienza, ma non qui dentro, dove la sicurezza è impossibile”.
Mentre l’Italia sta vivendo la più grave emergenza sanitaria della sua storia, in alcuni contesti come i Cpr o le carceri, non valgono le stesse regole esistenti all’esterno e questo alimenta tensioni e paure. Per gli stranieri, ma anche per gli operatori. “Ogni volta che entra un nuovo o una nuova, siamo terrorizzati anche da un semplice raffreddore”, spiega Ylian. “Ho smesso di mangiare per la paura di prendermi la malattia negli spazi comuni come la mensa”, conclude.
“Gli ingressi non sono bloccati, ma la maggior parte dei voli di rimpatrio è sospesa”, conferma il direttore del Cpr di Roma, Enzo Lattuca. “Non ci sono possibilità reali di rimpatrio per il momento”, continua il funzionario. Il prefetto ha mandato tre circolari sulla salute degli ospiti dei Cpr, tuttavia non ci sono protocolli nazionali prestabiliti, né per gli operatori, né per gli ospiti e tutto è affidato al buon senso dei gestori. “Abbiamo preso delle misure: abbiamo sospeso le visite delle associazioni come quelle antitratta per evitare che il centro sia sovraffollato, abbiamo comunicato con dei cartelli in tutte le lingue la necessità di prendere precauzioni”.
Ma nessun documento ufficiale, né tantomeno il decreto governativo Cura Italia menziona le misure necessarie da adottare per garantire sicurezza in questo tipo di realtà. L’operatrice antitratta Francesca De Masi conferma che da due settimane sono sospese le visite delle associazioni come la sua nel centro, per ragioni di sicurezza.

LE DONNE DELL'8 E 9 MARZO - Un Dossier in uscita MFPR - mfpr.naz@gmail.com

Stiamo preparando un Dossier sull'8 e 9 marzo.

Sarà un dossier differente da quelli che abbiamo fatto negli altri anni in occasione dell'8 marzo e dello sciopero delle donne.
Quelli erano essenzialmente di evidenziazione della forza dello sciopero delle donne. Questo sarà soprattutto un dossier di "combattimento", che rappresenterà la lotta che c'è stata per poter fare, mantenere comunque lo sciopero sfidando, con forza, orgoglio, determinazione, coerenza, i divieti del governo/ministero degli Interni che in questo ha fatto di più e peggio di Salvini vietando per la prima volta nella storia della Repubblica uno sciopero nazionale, generale; le minacce dei padroni, che in alcune importanti realtà hanno preferito proprio il 9 marzo chiudere la fabbrica piuttosto che trovarsi di fronte ad uno sciopero riuscito delle operaie. Ma abbiamo dovuto sfidare anche l'opportunismo grave di chi subito ha accettato quei divieti e si è tirato/a indietro.
 
VI è stata una polarizzazione, necessaria. E aver mantenuto questo sciopero delle donne, insieme a presidi, iniziative di piazza dove è stato possibile e li abbiamo imposti, è stata la prima vera sfida al clima di "terrorismo" che hanno poi creato e che vogliono rafforzare, in cui, come abbiamo detto, le donne subiscono il doppio danno del "tuttiacasa".
Non è stato semplice, ma chi ha scioperato è stata grande!
Questo vogliamo rappresentare e restituire alle donne, lavoratrici, ragazze, migranti con il dossier.

Per le misure del coronavirus i tempi di uscita non saranno brevi.
Appena, sarà pronto, sarà di tutte!

MFPR 

20/03/20

Ci dispiace ma lo avevamo detto, e difendere l'arma dello sciopero delle donne andava fatto: 18 donne uccise dall'inizio dell'anno, 3 i femminicidi oscurati dall'emergenza coronavirus


Pesaro, separati in casa ma non possono uscire per l'isolamento: tenta di uccidere la moglie a martellate


PESARO - Le mura di casa che opprimono un rapporto matrimoniale già naufragato. L’emergenza Coronavirus mette a dura prova anche le coppie. Tanto che un 70enne ha tentato di uccidere la moglie a martellate al culmine di un litigio. E’ successo a Sant’Angelo in Lizzola intorno alle 7,30 del mattino in una abitazione di campagna in cui vive la coppia di 70enni nell’appartamento al piano inferiore. Sopra il figlio con la sua famiglia. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti e dalle notizie che si apprendono dagli avvocati, la coppia era praticamente separata in casa. E in questi tempi in cui non si può uscire a causa delle misure draconiane imposte dal dilagare del contagio, gli attriti tra i due anziani coniugi sarebbero aumentati. Ieri mattina ancora un litigio. Finchè il 70enne, originario di Benevento, ha preso una mazzetta e ha iniziato a colpire la moglie alla testa. Momenti concitatissimi, interminabili. Ma i rumori e le urla hanno allertato la nuora e la nipote di 17 anni che sono corse immediatamente al piano inferiore per capire cosa stesse succedendo.

La scena che si sono trovate davanti era agghiacciante. La donna era a terra, piena di sangue, si teneva la testa con le mani. L’uomo stava in fronte a loro con il martello. La ragazzina ha iniziato a urlare contro l’uomo: «Non toccare la nonna. Non la toccare: smettila». La nuora si è subito frapposta tra i due per evitare che il pensionato ormai fuori controllo potesse andare avanti nei suoi intenti aggressivi. E nel farlo ha ricevuto lei stessa una martellata riportando una leggera contusione. Immediata la chiamata al 118 e ai carabinieri. Sul posto sono intervenuti i militari di Montecchio che hanno arrestato il pensionato con l’accusa di tentato omicidio.


Gennaio

12 vittime

Milano
Domenica 5
Catania
Domenica 5
Formia
Giovedì 9
Verona
Martedì 21
Valenza
Venerdì 24
Bedizzole
Lunedì 27
Mazara del Vallo
Mercoledì 29
Versciaco di San Candido
Giovedì 30
Mussomeli
Venerdì 31
Mussomeli
Venerdì 31
Alghero
Venerdì 31
Genova
Venerdì 31

Febbraio

2 vittime

Piossasco
Giovedì 6
Ossi
Sabato 15

Marzo

4 vittime

Camaiore
Mercoledì 4
San Michele di Appiano sulla Strada del Vino
Martedì 10
Beinasco
Venerdì 13
San Vito dei Normanni
Giovedì 19

Le lavoratrici precarie ai tempi del coronavirus - la denuncia di Madalina

Dalla pagina fb Vogliamo tutto

Lettera di Nicoletta dalle vallette


Care Compagne e Compagni, sta per iniziare un’ordinaria settimana di coronavirus. Per chi è in carcere sono giorni più pesanti che mai. Cresce l’impressione di sentirsi in trappola, costretti ad aspettare immobili un male che, da un momento all’altro, ci può saltare addosso.
La tempesta di comunicati sul virus ci cala in testa dall’alto, dalle TV accese in tutte le celle. Le statistiche dei contagiati, dei morti, la corsa affannosa per tappare i buchi di una sanità pubblica da decenni volutamente falcidiata fanno da controcanto al tamburo del cuore che tra queste sbarre batte il ritmo dell’ineluttabile. Qui dentro non c’è prevenzione reale. Anzi, le cosidette “misure preventive” non hanno avuto altro risultato che peggiorare disagio ed isolamento. Niente colloqui con i parenti; niente pacchi, nè portati nè spediti; sospese tutte le attività scolastiche e culturali; nessuna possibile attività di supplenza via internet, dal momento che in carcere non c’è accesso a strumenti informatici. Anche le cose più semplici come lavare gli indumenti personali qui dentro diventano un’impresa: da settimane la lavatrice a gettoni non è utilizzabile; l’unica alternativa è farsi il bucato nella doccia comune, dove gli scarichi funzionano male e si è costretti a lavorare con i piedi immersi nell’acqua.
Se qualcosa è cambiato, lo è in peggio, come il rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità, acquistabili soltanto allo spaccio interno. E veniamo alle presunte “misure igieniche” per prevenire il virus: per noi si limitano ad un bicchierino di sapone liquido ed una mezza bottiglietta di disinfettante per ogni cella (ci sono vietati i disinfettanti quali candeggina, alcool, ammoniaca).
Quanto alle cosiddette mascherine, sono obbligatorie per gli avvocati, ma ne sono totalmente sprovvisti gli agenti (che pure vanno e vengono dall’esterno).
Insomma… “io speriamo che me la cavo...”. Il dato più incontrovertibile e preoccupante è il sovraffollamento del carcere con la presenza di bambini, detenuti anziani e malati cronici: come nel resto del Paese anche alle Vallette si vive in una specie di polveriera, che deflagherarà al primo colpito dal morbo.
La speranza di tutti è un qualche provvedimento che permetta la scarcerazione.
Giorni fa è comparso nelle sezioni un avviso in merito, parallelamente alla distribuzione di una “brochure informativa su misure alternative alla detenzione”, in realtà vecchia già di un anno. Il comunicato precisa che “si è costituita una commissione” per vagliare le domande alle misure alternative (ma le condizioni sono quelle già in vigore…). L’unica cosa chiara del comunicato è che al momento sono sopesi per i detenuti tutti i permessi di uscita dal carcere...del resto il Ministro di “ingiustizia” l’ha dichiarato: niente svuotacarceri, indulti, amnistie; tranquilli “uomini d’ordine”.
Insomma, l’ordinario rigore non muta, anzi peggiora in un clima di preoccupante irrazionalità: ci sentiamo più che mai espropriati di noi stessi ed in balia di chi “ci controlla”. Mentre scrivo mi arriva il rumore dell’ennesima battitura alle inferriate….tra poco saranno alla mia cella… Poche sere fa qui tirava un’aria particolarmente di minaccia: aumento della vigilanza in sezione; ronde potenziate ai camminamenti sulle mura; autoblindo nei cortili; il ronzio dell’elicottero sopra il carcere. Tutta questa militarizzazione per “fronteggiare” un preannunciato (e non avvenuto) “saluto dei parenti e solidali”. Mentre scrivo, mi giungono dalla TV immagini dalle città nell’epidemia: strade deserte, ma un tripudio di balconi con famiglie affacciate, canti e inni che si inseguono da casa a casa...sventolio di drappi e di bandiere. Su tutte il tricolore, lo stesso che un paracadutista dell’esercito fa sventolare, mentre plana verso terra appeso al suo paracadute. Anche qui in carcere, ieri, una detenuta proponeva un’applauso collettivo al mondo fuori, in nome della “patria che resiste”. Ma la sua proposta non ha avuto successo. Quell’inno e quella bandiera non li sentiamo nostri: la fratellanza è una cosa seria, che non si confà all’indifferenza che dall’esterno sentiamo per il nostro destino di “figli di un dio minore”. Quanto al tricolore, è lo stesso che, insiema al vessillo UE, staziona all’ingresso del carcere e che viene esibito ogni giorno sulle divise dei nostri carcerieri. Non ci appartiene.

Nicoletta. Dalle Vallette

18/03/20

Le donne nel CPR di Ponte Galeria ai tempi del coronavirus


Dall’interno ci dicono che ora non ci sono rivolte, ma alcune ragazze sono rinchiuse volontariamente nelle loro stanze perché hanno paura di contagiarsi a causa del virus.
Ci raccontano però che 2 giorni fa una ragazza tunisina ha bevuto della candeggina ed è stata portata in ospedale da dove non ha ancora fatto ritorno e di cui, per ora, non si hanno notizie.
Dopo questo fatto il Direttore è andato a parlare con le recluse, le quali hanno chiesto condizioni migliori (cibo, cure ) e hanno espresso la loro paura per il contagio, ma sembra che il Direttore abbia fatto orecchie da mercante e se ne sia andato rivolgendo loro un solo “mi dispiace”.
Sembra che negli ultimi giorni non siano entrate nuove ragazze, ci dicono però che ieri sono stati portati dentro due uomini, ma non si hanno notizie dalla sezione maschile.
Da altre fonti, siamo venute a conoscenza del fatto che le donne all’interno del CPR sono 30 di varie nazionalità, tra cui 10 da Marocco e Tunisia. Gli ingressi nel Cpr sono fermi, ma comunque continuano a convalidare.
Né associazioni, né avvocati possono entrare a Ponte Galeria. Gli unici che hanno l’autorizzazione a farlo sono la “comunità di Sant Egidio”; le ragazze però ci dicono che fino ad ora non hanno visto nessuno, neanche loro.

Sei donna. E sei nata in un altro paese. Il Governo (di Confindustria) fa un decreto che pretenderebbe di contenere misure di sicurezza sociale rispetto alla crisi. E si "dimenticano" di te, anzi, ti escludono esplicitamente

Due milioni di colf e badanti a rischio. Dimenticate dal decreto "Cura Italia"Per loro, come per le baby sitter, niente cassa integrazione in deroga. E neanche congedi parentali. Cresce il rischio di licenziamenti

ROMA - Cosa ne sarà di 2 milioni tra colf, badanti e babysitter? Uno zoccolo del welfare italiano, ora a rischio come tutti per la crisi sanitaria. Meno protetto di altri e in parte trascurato dal "decreto marzo" appena varato. La cassa integrazione in deroga, reintrodotta e rafforzata, non si estende a questi lavoratori (per il 90% donne e per due terzi stranieri). Un'esclusione esplicita: articolo 22 comma 2.

Le scelte possibili delle famiglie:
 
Chi ha un contratto in regola da convivente (si stima siano il 36% del totale) non avrà il problema degli spostamenti, ma dovrà limitarsi a uscire solo per necessità, rinunciando ad esempio alle 24 ore libere la domenica, da sospendere in questa fase per rispettare le regole del lockdown.

Per il resto, per esigenze del datore si può decidere una sospensione per un determinato periodo di tempo, fermo restando il pagamento della retribuzione. Oppure le associazioni di categoria consigliano di ricorrere alle ferie maturate e ai permessi retribuiti. Se è il lavoratore a richiederlo, o c’è comunque accordo, è possibile anche concedere una sospensione del rapporto durante la quale utilizzare i permessi non retribuiti (una specie di aspettativa), ma bisogna tutelarsi siglando una scrittura privata vincolata a un periodo di tempo (anche sei mesi, non ci sono limitazioni), seppur prorogabile. «Bisogna avere senso di responsabilità - aggiunge Gasparrini - e continuare, finché possibile, a pagare il lavoratore. È una categoria debole, che ha bisogno di soldi».

Un’altra via è la riduzione dell’orario di lavoro: «Il lavoro domestico non prevede il part time - precisa Zini di Assindatcolf - ma non c’è nemmeno l’obbligo del rispetto dell’orario di lavoro concordato: per una ventina di giorni si possono segnare meno o più ore, senza effettuare variazioni del contratto».

Se non si riesce a raggiungere un accordo, infine, l’alternativa è quella di interrompere il rapporto di lavoro per giusta causa, con il licenziamento o le dimissioni a seconda che a interrompere sia il datore o il lavoratore: «Il contratto di lavoro domestico garantisce una flessibilità che oggi può essere sfruttata, permettendo alla colf o alla badante di richiedere la Naspi», conclude Gasparrini.

Le misure del Governo
Per dare sostegno alle famiglie che si trovano ad affrontare queste problematiche il Governo innanzitutto ha previsto la sospensione dei termini relativi ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali, dando la possibilità di effettuarli entro il 10 giugno 2020 (anche mediante rateizzazione) invece che entro il 10 aprile. Inoltre, è prevista la “riattivazione” dei voucher babysitter (fino a 600 euro mensili, tramite libretto famiglia) alternativi al congedo parentale straordinario per chi ha figli. Una soluzione che, però, non accontenta i rappresentanti della categoria: ora che i genitori non lavorano o fanno smart working la misura rischia di essere inefficace. Diversa è la necessità di cura degli anziani (anche nelle case di riposo, chiuse alle visite). Per questo il Governo sta lavorando per dare alle pubbliche amministrazioni la possibilità di fornire prestazioni individuali domiciliari: servizi comunali di assistenza potenziati, insomma, che potrebbero essere erogati in emergenza, anche in deroga alle precedenti clausole contrattuali degli appalti in essere.

18 marzo 1871 – 2020 - Non siam più la Comune di Parigi, che tu, borghese, schiacciasti nel sangue...

ma siam sempre isolate e divise, ed abbiamo sempre più bisogno di ritessere la tela delle nostre relazioni sociali. Di ricordare come le donne della Comune di Parigi hanno segnato la storia di tutta l’umanità

Louise Michel
Molte sono diventate famose, come Louise Michel, Elisabeth Dmitrieff o Nathalie Lemel, ma migliaia rimangono sconosciute. La maggior parte di loro erano donne operaie, e alcune, convinte da concetti femministi e socialisti, provenivano da ambienti benestanti. Tutte erano ammirevoli per il loro valore, ardore e abnegazione.
Il ruolo delle donne, nella Comune di Parigi, è stato importante, anzi determinante, lo hanno dimostrato il 18 marzo 1871, il primo giorno della Comune; furono loro che invocarono l'insurrezione. Louise Michel e molte parigine impedirono alle truppe inviate dal governo di recuperare i cannoni di Montmartre e convinsero i soldati a fraternizzare con gli insorti.
Il 9 aprile 1871, sotto la guida di un’operaia rilegatrice, Nathalie Lemel, e di un’insegnante, l’aristocratica russa Elisabeth Dmitrieff, nacque l’«Unione delle donne per la difesa di Parigi e le cure ai feriti», la prima associazione organizzata dalle donne.
Il Comitato centrale dell'Unione delle donne, che comprendeva, oltre alle due attiviste, Marceline Leloup (sarta), Blanche Lefevre (lavandaia), Aline Jacquier (cucitrice), Theresa Collin (calzolaia) Aglaë Jarry (rilegatrice), pubblicò manifesti e organizzò incontri pubblici nei distretti e nei quartieri della capitale. Il 12 aprile, il primo appello alle donne venne affisso sui muri di Parigi, e diceva in sintesi: «I nostri nemici sono i privilegiati del presente ordine sociale, tutti coloro che hanno sempre vissuto coi nostri sudori, che si sono ingrassati con la nostra miseria ... L'ora decisiva è arrivata ... Che ce ne facciamo del vecchio mondo! Vogliamo essere libere! ... »
Elisabeth Dmitrieff
Elisabeth Dmitrieff
Il Comitato gestiva cucine e ambulanze, riceveva denaro e donazioni in natura per feriti, vedove e orfani. Pur perseguendo queste azioni di aiuto reciproco e di solidarietà, non dimenticò il lavoro di rivendicazione, l'istruzione e la lotta.
L’Unione delle donne istituì un programma rivoluzionario. Proclamava la parità dei salari, l’organizzazione dei laboratori autogestiti, scuole professionali e orfanotrofi laici, corsi serali per le adulte, asili nido e assistenza alle ragazze madri affinché non affondassero nella prostituzione; riconoscimento dell’unione libera e di una pensione corrisposta alle vedove di guardie nazionali uccise negli scontri, sposate o no, e per i loro figli legittimi o illegittimi; ottenne la chiusura delle case di tolleranza e la soppressione della prostituzione considerata come «una forma di sfruttamento commerciale di creature umane da parte di altre creature umane»; rifiutò il divieto di stampa dei giornali di destra sostenendo "la libertà senza limiti"; ottenne il voto per le donne e per gli stranieri e, infine, si applicò, ben prima della legge che in Francia venne emanata nel 1905, il principio della separazione tra Stato e Chiesa nelle scuole, ospedali, carceri, eliminando le religiose da quegli istituti e sostituendole con madri di famiglie "che", dicevano, "fanno meglio il loro dovere",. Quest'ultima decisione è importante perché segna, in generale, l'importantissima tendenza anticlericale delle donne della Comune.
Nathalie Lemel
Le idee che le animavano sono quelle della Rivoluzione sociale e del socialismo. Quelle donne acclamavano la «Repubblica universale», «l'abolizione di tutti i privilegi, di tutti gli sfruttamenti», «sostituzione del regno di lavoro a quello del capitale» e ricordavano che «ogni disuguaglianza e tutto l'antagonismo tra i sessi, sono la base del potere delle classi dirigenti».
Le donne della Comune oltre ad essere innovative, organizzatrici, erano anche coraggiose combattenti. Alcune di loro affrontarono il pericolo e la morte come quelle che lavoravano per i rifornimenti alle guardie nazionali o addette alle ambulanze; altre, armate di fucile, presero il loro posto nelle barricare, sparavano agli assalitori e combattevano fino all'ultimo e, nello stesso momento, incoraggiavano i loro compagni più deboli.


La repressione versagliese, che seguì contro di loro, fu terribile. Quando venivano trovate con le armi in mano, venivano fucilate sul posto. Le prigioniere, in attesa di un finto processo, furono mandate al sinistro campo di Satory sotto i fischi, gli insulti, i colpi dell’idiota folla borghese di Versailles. Come Louise Michel, si confrontarono con i loro giudici con tanto coraggio e dignità, sostenendo le loro azioni e vennero condannate alla deportazione in Nuova Caledonia. Viaggiarono per centoventi giorni su vecchie fregate, in condizioni abominevoli e in gabbia come animali.
Molto più che i Comunardi, furono calunniate, insudiciate, umiliate, trattate da puttane o incendiarie dai vincitori e dalle loro mogli.
Durante gli anni trascorsi in prigione, continuarono a ribellarsi e a difendere con energia e orgoglio i loro diritti di detenute politiche.
Fu attraverso il coraggio e la straordinaria dedizione di una giovane paramedica, una certa Louise, (da non confondersi con Louise Michel) uccisa mentre soccorreva i feriti e incontrata domenica 28 maggio sulla barricata di rue Fontaine-au-Roi, che Jean-Baptiste Clément, dedicandole la sua famosa canzone Le Temps des Cerises (Il Tempo delle ciliegie), rese omaggio alle donne eroiche della Comune del 1871, la maggior parte semplici lavoratrici che pagarono a caro prezzo la loro lotta per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità.