30/03/09

Appello alle lavoratrici, alle precarie, alle immigrate, alle disoccupate, alle studentesse, alle compagne femministe.


VENITE TUTTE A TARANTO IL 18 APRILE!


Appello alle lavoratrici, alle precarie, alle immigrate, alle disoccupate, alle studentesse, alle compagne femministe.

IL 18 APRILE VI SARA' UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE A TARANTO per la sicurezza sui posti di lavoro, contro la salute negata e la precarietà.
A questa manifestazione - che segue l'altra nazionale fatta il 6 dicembre a Torino, in occasione dell'anniversario della strage degli operai della Thyssen – vi chiediamo di portare con forza e visibilità l'attacco alla vita e alla salute di noi donne che spesso è messo sotto silenzio, che è in alcuni aspetti simile a quello che subiscono tutti i lavoratori, ma ha molti aspetti differenti legati proprio alla condizione generale di doppio sfruttamento e oppressione di noi donne.

Questa manifestazione la facciamo a Taranto perchè è la città con l'Ilva seconda fabbrica siderurgica più grande d'Europa, che ha il record nazionale di operai ammazzati sul lavoro e da lavoro, di morti nei quartieri, tra la popolazione di tumori. E' anche la città in cui per il profitto di padron Riva (proprietario dell'Ilva) nascono bambini già condannati, malati di leucemia a soli 11 anni, la città in cui le donne non possono dare il loro latte ai bambini perchè contiene diossina, la città che ha visto anche donne morte indirettamente per le fibre di amianto respirate lavando le tute.

MA L'ILVA E TARANTO SONO ANCHE LA FABBRICA E LA CITTÀ IN CUI MOGLI, MADRI DI OPERAI MORTI HANNO TROVATO NEL DOLORE LA FORZA PER COMBATTERE, ORGANIZZARSI, E FAR RIVIVERE ANCHE COSÌ I LORO CARI, CONTINUARE LA LOTTA PER LA GIUSTIZIA E LA VERITÀ PER I LORO FIGLI.
Queste donne di Taranto, come della Thyssen di Torino, come di Molfetta, come dell'Umbria Oil, come tante altre, hanno cambiato la loro vita si sono trasformate, sono diventate forti, coraggiose; per amore e per ribellione sono uscite dalle case, dando voce anche a tutte le altre donne, mogli, madri, sorelle, figlie di operai morti che ancora tacciono.
Alcune di queste donne che non vogliono neanche essere delle figure cristallizzate, che ora vogliono parlare non solo al passato dei propri cari ma anche della battaglia che stanno facendo e del futuro, che non vogliono ricevere finte solidarietà, che danno loro forza agli altri, saranno insieme per la prima volta alla manifestazione di Taranto del 18 aprile.
*****

UNA REALTÀ DELLE DONNE DI CUI SI PARLA POCO:
“il 27,5% degli infortuni colpisce le donne, circa 250mila su un totale di oltre 910mila. L'8% delle donne muore per infortunio” -
Questi dati che possono sembrare bassi, non testimoniano affatto una condizione di maggiore sicurezza per le donne ma solo una condizione di MINOR LAVORO; muoiono meno perchè lavorano meno, soprattutto al sud, nei settori industriali.
“Negli infortuni in itinere, invece, la quota rappresentata dalle lavoratrici, è rilevante e pari esattamente al 46,1%. e le morti delle donne in questi infortuni vanno oltre il 50% dei decessi (contro il 22,3% tra gli uomini)” -
Anche questi dati sono il frutto della realtà diversa delle donne; denunciano la morte di braccianti, precarie che per arrivare sui posti di lavoro a volte devono viaggiare, spesso assiepate nei pulmini dei caporali o degli intermediari, mezzi spesso non a regola che vanno veloci; ma denunciano anche la corsa che le donne devono fare per e da lavoro, per correre, già stanche e stressate, a fare l'altro lavoro, quello gratis in casa.

Vengono nascosti gli infortuni e gli attacchi alla salute nei settori, in cui le lavoratrici sono a nero, come l'agricoltura, il commercio, le piccole ditte, o totalmente “clandestine” come sono spesso le lavoratrici immigrate, dalle “schiave dei rifiuti” del nord est, alle badanti in tutt'Italia.
Tra le immigrate i dati ci dicono che molto elevati sono gli infortuni per le donne “provenienti da Ucraina (51%), Polonia (41,8%) e Ecuador (37,9%), occupate prevalentemente nei servizi alle imprese e alle famiglie (pulizie, badanti, colf, ecc.)”.
Tra le immigrate negli ultimi tempi, collegate alle criminali e razziste misure del pacchetto sicurezza e alla presenza da sceriffi dei poliziotti e carabinieri, vi sono state morti “su strada” di prostitute investite mentre scappavano dalla polizia. Anche queste morti, che non vengono contabilizzate, sono invece parte dell'attacco alla vita e alla salute delle donne e sono una pericolosa avvisaglia.

MA SOPRATTUTTO DENUNCIAMO CHE NON VIENE REGISTRATA LA MORTE LENTA DELLE DONNE, CHE SI AMMALANO, INVECCHIANO, MUOIONO PER FATICA, PER STRESS. E nella crisi, questa condizione sta peggiorando.
Nelle fabbriche, come la Fiat, alle vecchie condizioni di lavoro fondate su ripetitività, parcellizzazione, su aumento dell'orario, si stanno sommando le nuove fondate su aumento e nuovi ritmi produttivi, pesantezza dei turni di lavoro. E il paradosso è che più ti ammazzi di lavoro, ora anche per la paura di essere licenziate, più produci e più, come ora, vai in cassintegrazione.
Il nuovo modello contrattuale rinviando gli aumenti salariali all'incremento della produttività, vuole costringere e ricattare le donne a lavorare più intensamente, a rinunciare ai diritti di assenze per maternità, malattie dei figli; si vuole eliminare il divieto al lavoro notturno per le donne in gravidanza e nel primo anno di vita dei figli.

La fatica si somma alla precarietà del futuro, e LA PRECARIETÀ DIVENTA DI PER SÉ UN FATTORE DI STRESS, DI RISCHIO SALUTE FISICA E PSICHICA.
Nei call center, settori emblematici della precarietà, hanno inventato un nuovo termine: “tecnostress”: le donne rischiano la salute fino ad ammalarsi non solo per il fatto di stare ore ed ore davanti un computer, ore ed ore a sentire voci in cuffia, ma anche per lo stress di essere costantemente sotto controllo dei capi, di dover ripetere per ore le stesse frasi centinaia di volte; di dover essere “ottimiste” e allegre quando sono solo stanche e arrabbiate, e così via.

PER LE DONNE DOPO LA FATICA DEL LAVORO COMINCIA L'ALTRA FATICA DEL LAVORO IN CASA; anche qui, al lavoro domestico e di cura familiare sempre esistente, si aggiungono nuove fatiche. Il governo con i tagli e il peggioramento ai servizi sociali, alla scuola, alla sanità, scarica sempre di più sulle donne il peso dei bambini, dei disoccupati, degli anziani. In nome della crisi e dei modelli di “convivenza sociale” proposti (vedi Libro Verde di Sacconi) i servizi sociali prima erogati dallo Stato saranno demandati al mercato e alle famiglie, cioè alle donne. E le donne si ammalano, si esauriscono.

Infine dobbiamo denunciare un altro taciuto aspetto di rischio per le donne: LE MOLESTIE SUI LUOGHI DI LAVORO, FINO ALLE VIOLENZE SESSUALI SONO ANCHE ATTACCO ALLA SALUTE ALLA VITA DELLE DONNE. Ma questi dati non li troveremo mai nelle statistiche.

Questa condizione delle donne, quindi, se in termini di freddi dati di infortuni, di morti sul lavoro, è inferiore a quella dei lavoratori maschi, mostra le varie e dure facce di questo attacco alla vita e alla salute, e pone in maniera più chiara la necessità di legare anche questa battaglia per la sicurezza sui posti di lavoro, per la vita, la salute alla battaglia più generale contro questo sistema capitalista di morte, che schiaccia le vite in nome del profitto.

PER QUESTO CHIAMIAMO TUTTE A VENIRE A TARANTO IL 18 APRILE!

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario - Taranto
per aderire alla manifestazione: mfpr@fastwebnet.it - manifestazione18aprile@gmail.com

Lotta di classe nel genere, lotta di genere nella classe

Sabato 28 marzo, nella manifestazione indetta dai sindacati di base, abbiamo portato una presenza qualitativa del Tavolo 4 "Lavoro/precarietà/reddito" della Rete sommosse. E' stato appeso uno striscione nella scalinata alta di via Cavour che è stato visibile da tutto il corteo: "Noi la crisi non la paghiamo le doppie catene unite spezziamo". Abbiamo poi distribuito centinaia di volantini e affisso locandine con la 'piattaforma' "per lo sciopero delle donne" e l'appello al nuovo appuntamento del 18 aprile a Taranto.
L'importanza della presenza del tavolo 4 alla manifestazione del 28, è stata confermata dalla presenza attiva e massiccia delle donne migranti di Action e delle studentesse e delle precarie della scuola e dell'Università, nonché delle compagne dell'assemblea delle donne di Valle Aurelia, che hanno sfilato con lo striscione: "per fare economia ci mandate tutte a casa".
Questo il messaggio che abbiamo rilanciato anche ai promotori della manifestazione (nella cui piattaforma hanno dimenticato le donne, le lavoratrici che presto si vedranno innalzata l'età pensionabile) :

LOTTA DI CLASSE NEL GENERE, LOTTA DI GENERE NELLA CLASSE!


Tavolo4 "Lavoro/precarietà/reddito" della Rete sommosse

15/03/09

Violenza, razzismo e fascismo come armi politiche di gestione della crisi

8 MARZO 2009

GLI STUPRI UN'ARMA POLITICA DEL GOVERNO BERLUSCONI NELLA MARCIA VERSO IL MODERNO FASCISMO.

ROVESCIAMO QUESTO GOVERNO, QUESTO STATO, QUESTO SISTEMA CAPITALISTA CHE NON SONO LA SOLUZIONE MA LA CAUSA DEGLI STUPRI, DELLO SFRUTTAMENTO, DELL'OPPRESSIONE DELLE DONNE!

Il governo Berlusconi, il parlamento, con una martellante e quotidiana campagna stampa e televisiva razzista e superallarmista che attribuisce agli immigrati in quanto tali gli stupri, la vera causa di pericolo per le donne, che aizza la cacciata di massa di tutti gli immigrati; nel pieno sviluppo di raid fascisti, dell'organizzazione neonazista Forza Nuova contro chiunque abbia la fisionomia di immigrato; di interventi manu militare da parte delle amministrazioni comunali per l'abbattimento di campi rom buttando in mezzo alla strada al freddo e di notte donne, bambini; e all'interno di una parallela campagna volta a misure di controllo e restrittive della libertà delle donne, per cui le donne dovrebbero andare in giro sempre accompagnate da maschi, meglio se militari o poliziotti, dovrebbero tornare presto a casa, uscire meno; ha varato un "pacchetto sicurezza" che legittima le ronde contro tutti gli immigrati, fatte da ex militari o da "cittadini per bene" leghisti, fascisti; che allunga i tempi di detenzione di tutti gli immigrati nei campi che sono sempre più dei vari e propri lager, campi di concentramento; impone inoltre ai medici di denunciare gli immigrati clandestini che si facessero curare da loro.
Un pacchetto di "INSICUREZZA", di apartheid di Stato di intere popolazioni, di moderno fascismo, che attacca i più elementari principi democratici costituzionali; un "pacchetto" che in nome delle donne, colpisce le donne immigrate e mette sotto "tutela"/controllo tutte le donne.

NON IN NOSTRO NOME!
NON SUI CORPI DELLE DONNE, VIOLENTATI DUE VOLTE!
Questo governo sta usando strumentalmente le violenze sessuali per imporre nei quartieri, che lasciano sempre e comunque degradati, una massiccia presenza di militari, per lasciare che i fascisti si rafforzino nel paese. Per questo sta creando un clima oscurantista/emergenziale sempre ideale per la coltivazione di idee e pratiche fasciste, maschiliste, di sopraffazione; crea città invivibili che diventano terreno pericoloso soprattutto per le donne -- e c'è un rapporto diretto tra aumento delle misure di "sicurezza" e l'aumento degli stupri, delle uccisioni delle donne. Sembra di assistere, purtroppo dal vivo e come principali protagoniste, a quei film dell'orrore prossimo futuro, che mostrano una società-galera, ipercontrollata, da "coprifuoco", in cui le vittime delle violenze sono più represse dei violentatori.
L'imperialismo è capace nel suo imbarbarimento, di andare anche oltre il moderno medioevo!
Gli stupri sono sempre usati dagli eserciti nelle guerre imperialiste contemporaneamente come arma di subordinazione e di giustificazione per imporre la "democrazia"/dittatura degli stati imperialisti; oggi sono utilizzati dal governo italiano come "guerra di bassa intensita'" all'interno per imporre uno Stato di polizia e razzista e la legittimazione della marcia verso moderno fascismo.

DELLE DONNE NON GLIENE IMPORTA NIENTE.
Questa manipolata e ossequiosa campagna stampa, da fare invidia ai tempi del fascismo, nasconde ad arte il fatto che la stragrande maggioranza degli stupri, delle uccisioni delle donne, avviene in famiglia, da parte di italiani, che 7 donne su 10 sono uccise dal proprio partner, che gli stupri fatti dagli immigrati sono solo il 10% del totale fatti da italiani, ecc.; nasconde i tanti casi di donne immigrate violentate da italianissimi. Non contano le donne, le loro sofferenze, il loro dolore, le loro denunce. Questa sofferenza ha più o meno clamore a seconda di chi è lo stupratore. Tanto che immaginiamo i ghigni delle iene ridens di Berlusconi, Alemanno, Ratzinger, caporioni fascisti con cui reagiscono alle violenze sessuali, quasi sfregandosi le mani che questi stupri danno loro rinnovata possibilità di fare nuovi provvedimenti securitari, mentre nel frattempo lasciano che i loro mostri rampolli, pieni di vuoto disperante, brucino qualche immigrato, a mò di "prove tecniche".
SEMBRANO UNA SORTA DI "VIOLENZA SU COMMISSIONE".
La realtà è che diventa sempre più difficile capire chi sono gli stupratori. Berlusconi, che dichiara che lo stupro "è inevitabile" e ci propone di essere accompagnate dai militari, quelli che si sono distinti in Somalia per orrendi stupri e torture, o quelli a Parma che hanno buttato seminuda in una cella una prostituta nigeriana, è corresponsabile di stupri o no? Le aziende, come la Relish di MI che mettono a Napoli mega cartelli pubblicitari in cui i militari perquisiscono palpeggiando delle ragazze, e la giunta di Napoli che se ne "accorge" solo quando la notizia appare sui giornali, o altre giunte, "in nome della legge", rifiutano di rimuoverli, sono corresponsabili di incitamento allo stupro, o no? I fascisti di Forza Nuova che dicono "difendiamo le nostre donne -- via tutti gli stranieri", che, quindi, considerano il corpo delle donne di loro proprietà, meglio se vestito da sposa, per essere chiari sul ruolo patriottico di moglie e madre delle donne, sono degli stupratori, ideologicamente e spesso praticamente, o no?
VOGLIONO MORTI I VIVI E IMPORRE UNA ESISTENZA DI MORTE!
Questo governo, con una larga maggioranza in parlamento, sostenuto da ampi settori di questo Stato, mentre condanna persone vive, immigrate a possibile morte, donne immigrate a partorire in casa, ad abortire clandestinamente perchè non possono più farsi curare, partorire negli ospedali italiani senza rischiare di essere denunciate, negli stessi giorni del varo del "pacchetto sicurezza", in collegamento/esecuzione dei voleri del Vaticano di Ratzinger, ha tentato di varare in fretta e furia una legge che impedisse a Eluana Englaro di essere libera di cessare una vita che non era vita. Un governo, uno Stato che fanno morire i vivi, che, invece, impongono una vita a chi è già morto, al solo scopo di affermare con l'autorità di decreti legge e della Chiesa ufficiale che le persone non possono decidere della propria vita, che è solo questo governo, questo Stato, Ratzinger e company che possono decidere della nascita, della vita, della morte, è un governo e uno Stato che stanno marciando verso un moderno fascismo, ed è legittimo rovesciarli!
QUESTO GOVERNO USA GLI STUPRI PER DISTOGLIERE L'ATTENZIONE DALLA CRISI E DAI SUOI PESANTI EFFETTI SULLE NOSTRE VITE.
Le prime a pagare la crisi sono le donne, con licenziamenti, cassintegrazione massiccia di non ritorno, aumento della precarietà del lavoro e della vita, peso dei tagli dei servizi sociali, reintroduzioni di discriminazioni su maternità, stato sessuale, che si uniscono alle discriminazioni già esistenti su salari, diritti; la vita delle donne diventa sempre peggiore e più oppressa. Non è azzardato pensare, quindi, che l'enorme rilevanza mediatica data in questi mesi agli stupri degli immigrati abbia anche lo scopo di distogliere l'opinione pubblica dalla crisi, dalle misure che in fretta e furia il governo sta facendo per peggiorare le condizioni di vita delle donne, di tutti i lavoratori, di tutta la popolazione, come quelle sull'aumento dell'età pensionabile, come i tagli dei fondi alle scuole, delle spese sociali, ma come anche la nuova legge di attacco al diritto di sciopero con l'introduzione delle "liste di proscrizione" per chi sciopera, perchè nella crisi si deve impedire ai lavoratori anche di lottare, il nuovo modello contrattuale che legando salari a produttività, tempi di lavoro, darà un'ulteriore giustificazione ai padroni per abbassare i salari delle lavoratrici, ecc., ecc.

Ci sono sempre più telegiornali da "cronaca nera", dove pur di dare un'immagine allarmista mettono insieme episodi di violenze vicini e lontani, e nulla dicono sulla vita NERA che ci stanno imponendo con la loro crisi, del fatto che tantissimi operai sono ridotti a vivere con 750 euro di cassintegrazione, che i giovani non trovano più lavoro e chi lo ha, soprattutto le donne, lo perde, del fatto che non ci si arriva più neanche a metà mese, che il taglio dei servizi sociali ci sta riportando indietro di decenni; del fatto che tutto questo porta, proprio quando viene messa al centro la "famiglia", a far diventare la famiglia il baratro in cui si scaricano tutte le frustrazioni, tutte le sofferenze quotidiane, e quindi il centro dell'oppressione fino alle violenze e uccisioni delle donne.

Sembra che ci sono i giornalisti che, se mai, fino all'altro giorno non hanno dedicato neanche un rigo o solo un trafiletto alle tante violenze sessuali e non, che colpiscono sempre le donne, fatte in famiglia, da italianissimi; ma da alcuni mesi invece, in coincidenza con l'avvio della crisi economica, vadano con taccuino e macchina da presa in cerca, come avvoltoi, delle violenze, perchè si parli di queste, si facciano ore di trasmissione su queste e gli immigrati, e non si parli -- se non per qualche rara e lodevole eccezione -- degli effetti della crisi sulle persone e sulle donne in particolare.

QUESTO SISTEMA SOCIALE CAPITALISTA, con i suoi attacchi, peggioramento delle nostre vite, negazione dei nostri diritti, aumento dello sfruttamento e oppressione, con la sua propaganda di cultura e ideologia maschilista, da moderno medioevo contro le donne, NON È LA "SOLUZIONE" MA LA CAUSA DELLE VIOLENZE SESSUALI.

Alcune belle anime del ceto politico femminista, della "sinistra" contro tutto questo moderno fascismo pensano di fare delle belle operazioni culturali, di sensibilizzazione, formazione dalla nascita dei maschi, e sugli immigrati di fare dei distinguo tra buoni e cattivi. Sono patetiche o complici, volontarie o involontarie.

Non c'è altra strada che l'organizzazione delle donne, che l'unità delle donne italiane e immigrate, che un esercizio di fatto di una sacrosanta "violenza" di lotta delle donne, di esercizio di un contropotere delle donne nei quartieri, lì dove avvengono gli stupri, "illuminiamoli", facciamo vivere i quartieri, le città con la nostra presenza organizzata.

MA SOPRATTUTTO, SIAMO IN PRIMA FILA, PERCHÈ ABBIAMO DOPPIE RAGIONI, NEL NECESSARIO PROCESSO RIVOLUZIONARIO SOCIALE E POLITICO PER ROVESCIARE QUESTO SISTEMA CAPITALISTA CHE HA NEL SUO DNA LO SFRUTTAMENTO, L'OPPRESSIONE, LA VIOLENZA VERSO LE DONNE.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
mfpr@fastwebnet.it
8.3.09

Teme la denuncia e non va in ospedale prostituta immigrata muore di Tbc

Riceviamo e pubblichiamo:

Comunicato stampa

Una giovane donna nigeriana è morta di tubercolosi in Puglia, è l'epilogo di una drammatica storia di vita. Storia di emarginazione e sfruttamento e di leggi ciniche e crudeli.

Se un cliente non avesse sfidato la paura di essere coinvolto e magari sanzionato per essersi fermato con una prostituta quella donna sarebbe morta in strada.

Questo dramma mette in risalto cosa può accadere oggi in Italia per una persona prostituta clandestina e perseguitata dalle ordinanze antiprostituzione e dal decreto sicurezza.

Anni di lavoro sul campo e di dibattito politico sulla salute e la prevenzione ci hanno insegnato che non si deve escludere dalle cure nessuna persona, la salute pubblica viene messa in pericolo dalle politiche che ostacolano l’accesso ai servizi sanitari. Questo non è solo il nostro punto di vista ma è anche quello dettato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Inoltre ci chiediamo: ma se era al Cara (struttura di accoglienza per richiedenti asilo) non era mai stata visitata? dunque al Cara manca la tutela di un diritto fondamentale, quale quello della salute: e il Cara è (formalmente) la struttura di accoglienza di persone richiedenti asilo, dunque potenzialmente persone in situazioni di salute critiche e difficili proprio a causa della loro condizione di fuga e di essere profughi.
Noi confidiamo nei medici i quali stanno dimostrando di resistere contro l’indegno decreto ministeriale che vorrebbe privare delle cure gli irregolari. Facciamo appello alle tante colleghe straniere che si trovano irregolarmente in Italia di non aver paura a rivolgersi a questi medici, esiste un sito web fatto da noi e dedicato alla prevenzione dove si possono trovare gli indirizzi dei centri di cura e assistenza ai quali rivolgersi senza paura www.services4sexworkers.eu con rispetto dell’anonimato e in modo confidenziale. Chiediamo ai clienti di divulgare questa informazione fra le lucciole che frequentano.
Chi governa questo Paese si scandalizza della prostituzione e in nome della “pubblica morale e decenza” pretende di fare pulizia nelle strade. Noi siamo convinte che la vera immoralità e indecenza siano queste leggi inumane, vergognose e pericolose per la salute di tutte/i.

Pia Covre
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Onlus

E' LA POLITICA DI "SICUREZZA" RAZZISTA E MODERNO FASCISTA DEL GOVERNO CHE HA UCCISO LA GIOVANE DONNA NIGERIANA CON IL SUO FALSO MORALISMO CHE MIRA IN REALTA' A FAVORIRE SOLO LA PROSTITUZIONE D’ALTO BORDO PER LORO STESSI, I RICCHI, E SCATENA UNA NUOVA CACCIA CONTRO LE DONNE IMMIGRATE ACCENTUANDO LA CLANDESTINIZZAZIONE DELLA PROSTITUZIONE

mfpr Palermo
___________________________________________________________________________

L’Articolo:

"Teme la denuncia e non va in ospedale prostituta muore di Tbc
"

di MARA CHIARELLI

Il Policlinico di Bari
BARI - Era clandestina da alcuni mesi, per vivere faceva la prostituta e per paura non è andata in ospedale: è morta per tubercolosi polmonare avanzata, e dunque altamente contagiosa. E ora scatta l'allarme sanitario: Joy Johnson, la giovane nigeriana di 24 anni, trovata agonizzante da un cliente venerdì sera nelle campagne alle porte di Bari, potrebbe aver contagiato decine di persone che avevano avuto rapporti con lei, gli stessi soccorritori e i connazionali del centro d'accoglienza dove per un mese aveva vissuto. Per precauzione ieri è stato chiuso l'istituto di medicina legale del Policlinico. E medici e poliziotti invitano chi avesse avuto rapporti con la nigeriana a contattare il più vicino ospedale.

Quella di Joy era una tragedia annunciata. All'arrivo dei sanitari del 118, Joy Johnson, da novembre in città, perdeva sangue dalla bocca. La ragazza era malata da diversi mesi, ma se si fosse sottoposta a un esame del sangue o a una radiografia, oggi sarebbe ancora viva. L'allarme, ora, e l'invito a farsi controllare è rivolto ai clienti e a tutti coloro che dal 14 novembre (data di arrivo al Cara di Bari) hanno avuto contatti ravvicinati con lei. Tra questi, quell'uomo che, usando il telefono cellulare di Joy Johnson, ha chiesto aiuto alla polizia.

"La tubercolosi va curata subito - dichiara il primario di Pneumologia del Policlinico di Bari, Anna Maria Moretti - perché anche le forme inizialmente non contagiose, senza terapia adeguata, lo possono diventare". Basta un colpo di tosse per contrarla, visto che si diffonde per via aerea. "È consigliabile sottoporsi a un test, l'intradermo reazione alla turbercolina, da fare in ospedale - spiega la specialista - Si tratta dell'inoculazione sotto cute di una sostanza che produce una reazione, da monitorare a casa per tre giorni. Se fosse positiva, va fatta la radiografia al torace, ma questo lo deve decidere il medico".

Si associa all'invito, ridimensionando l'allarme, il questore di Bari, Giorgio Manari: "E' idoneo e opportuno - dichiara - rispettare ciò che un medico e le autorità sanitarie dicono in questo senso". Subito dopo aver ricevuto il referto dell'autopsia, effettuata dal medico legale Francesco Introna, il pm incaricato delle indagini, Francesco Bretone ne ha dato comunicazione alle Asl, come prevede la legge. Immediati è scattata la profilassi nel Cara e nei confronti di chiunque abbia avuto contatti con la giovane donna, anche dopo il decesso. In caso di contagio accertato, la terapia, di tipo farmacologico, è lunga (dai sei ai nove mesi) ma dà il controllo totale della malattia.

Bisogna però, sostengono i medici, tenere più alta l'attenzione su una patologia che, considerata scomparsa, si sta nuovamente manifestando in Italia a causa di due fattori: scarsa prevenzione e l'arrivo di extracomunitari che si portano dietro malattie endemiche nei loro Paesi, come la tubercolosi e l'Aids.

(13 marzo 2009)

Ben fatto, giovane operaia...!!!

“La ragazza violentata era ... furiosa!...Ha quindi impugnato una grossa forbice puntandogliela contro"

Le donne stuprate non sono tutte sono uguali, ci sono vittime e vittime. Qui la vittima è un’operaia e quello che segue il vergognoso articolo di un cronista della Gazzetta di Mantova, che quasi giustifica lo stupro della ragazza per il suo “viso dolce” e il “fisico attraente”

SABATO, 14 MARZO 2009 , Gazzetta di Mantova

Violenza in fabbrica su una 18enne a Ponti sul Mincio, l’aggressore ha chiesto di patteggiare la pena.

PONTI SUL MINCIO. Quella ragazza 18enne dal viso dolce e dal fisico attraente la vedeva tutti i giorni sul posto di lavoro e il desiderio di avvicinarla si faceva sempre più sfrenato fintanto che il 24 luglio di due anni fa non ha più resistito alla tentazione. E si è lasciato andare. L’ha avvicinata toccandole repentinamente il sedere. Ma non si è accontentato. Infatti ha poi tentato di baciarla sulla bocca bloccandole le braccia. La morsa ha funzionato, tant’è vero che è riuscito a baciarla poi sul collo e sul seno. L’uomo ha desistito solo quando la ragazza è riuscita a liberarsi dalla presa dopo averlo strattonato. Ha quindi impugnato una grossa forbice puntandogliela contro. Solo a quel punto l’aggressore si è arreso allontanandosi, perchè ha visto che la ragazza, furiosa, era decisa a tutto. La violenza sessuale - come detto - è stato commessa a Ponti sul Mincio a fine luglio 2007, in fabbrica, da un marocchino, ora 52enne, residente a Roverbella, Id Bahsine Lhassane. Che ieri mattina è comparso davanti al Gup Gianfranco Villani avendo chiesto il pubblico ministero Rosaria Micucci il rinvio a giudizio per violenza sessuale. Il difensore ha avanzato la possibilità di patteggiare la pena. Ha quindi chiesto un aggiornamento dell’udienza, spostata all’8 maggio prossimo, data in cui al marocchino dovrebbe essere applicata la pena, che sarà fissata in accordo con la pubblica accusa. Id Bahsine era stato denunciato dalla stessa vittima di Ponti sul Mincio. Con il patteggiamento della pena può ottenere lo sconto di un terno. Che non è poco tenuto conto della gravità del reato che gli viene contestato, ovvero - come detto - quello di violenza sessuale.

LE LAVORATRICI DISCRIMINATE SU TUTTO

Un articolo apparso il 9 marzo che non fa che confermare la necessità di organizzare una lotta diretta delle lavoratrici e di tutte le donne.
Il Tavolo 4 ha lanciato e sta portando avanti la proposta dello "sciopero delle donne".
Facciamo appello anche alle giornaliste a dare una mano perchè questa campagna arrivi dovunque le donne sono doppiamente sfruttate, oppresse, discriminate.

Le LAVORATRICI DISCRIMINATE SU TUTTO
Eliana Como, Liberazione, 8 marzo 2009

- Il prezzo della crisi e dell'arretramento delle condizioni sociali nel paese è molto alto per tutti - lavoratori e lavoratrici - ma le ricadute sulle donne rischiano di avere una portata persino maggiore
(...)

Allo stesso modo, le misure del governo e della Confindustria - che pure attaccano i diritti del mondo lavoro nel suo complesso - sembrano puntare con particolare accanimento a mettere in discussione i diritti e la libertà delle donne.
In Italia, il tasso di occupazione femminile era - già prima della crisi - tra i più bassi d'Europa.
Da sempre, alle donne vengono offerti i posti di lavoro più precari, meno qualificati e meno pagati; da sempre le loro pensioni sono le più basse.
La crisi economica, oggi, amplifica e drammatizza queste disparità, aumentando le discriminazioni e peggiorando, in tutti i settori e in tutte le aree del paese, le condizioni di lavoro e di vita di moltissime donne.
Nel settore tessile - già duramente provato dalle delocalizzazioni e da una crisi strutturale di lungo periodo - sono molte migliaia le lavoratrici che in questi mesi hanno perso o rischiano di perdere il lavoro.
Nel settore metalmeccanico, sono spesso proprio le donne le prime a entrare in cassa integrazione o a essere licenziate.
Questo avviene perché ancora oggi il lavoro di molte è considerato accessorio e marginale, ma anche perché - già prima - molte di loro avevano una condizione peggiore, sia dal punto di vista salariale che normativo.
Ben prima della recessione, l'inchiesta della Fiom (i questionari sono stati raccolti nei primi sei mesi del 2007) testimoniava una vera e propria questione femminile nel settore.
Su tutti gli aspetti affrontati le risposte delle donne - soprattutto delle operaie - mostrano una condizione di grande fatica e sfruttamento e anche quando va male per tutti, per le donne va comunque peggio.
Già prima della crisi, i loro salari erano i più bassi (in media 200 euro in meno degli uomini); il loro lavoro il meno qualificato (il 70 per cento delle operaie non supera il 3° livello), le loro mansioni più ripetitive e monotone (il 90 per cento delle operaie svolge un lavoro che comporta atti e movimenti ripetitivi), le loro condizioni più precarie (le metalmeccaniche hanno il 25 per cento di probabilità in più rispetto a un uomo di avere un contratto precario, i loro contratti sono più brevi e per contro i percorsi di precarietà più lunghi).
Quelle stesse operaie, oggi sono le prime a perdere il posto di lavoro e saranno anche le prime - nel settore metalmeccanico come negli altri - a subire gli effetti della controriforma del sistema contrattuale.
L'accordo firmato da governo, Confindustria, Cisl e Uil, indebolendo il Ccnl e rinviando gli aumenti salariali all'incremento della produttività, finirà, infatti, per aumentare orari e ritmi di lavoro e allargare i già altissimi differenziali salariali tra uomini e donne.
Anche nel settore pubblico, nella scuola e nella sanità, le donne stanno pagando un prezzo pesantissimo.
I tagli del governo in questi settori significano centinaia di migliaia di posti di lavoro femminile in meno e una riduzione della quantità e della qualità dei servizi pubblici, che, comunque, saranno soprattutto le donne a pagare.
Nel modello stesso di convivenza sociale proposto con il Libro Verde e con la bilateralità, i servizi sociali prima erogati dallo Stato saranno demandati al mercato e alle famiglie, cioè alle donne, a cui quasi interamente è affidato il lavoro di cura della casa, dei figli e degli anziani.
Ha davvero ragione, dunque, la Corte di Giustizia Europea a dire che le lavoratrici italiane sono discriminate.
È chiaro, però, che le cause sono strutturali e riguardano l'impianto sociale e economico nel suo complesso, dal mercato del lavoro ai servizi pubblici; dalla ineguale divisione dei compiti nei nuclei familiari fino ai rapporti nei posti di lavoro.
Far passare come misura anti-discriminatoria l'aumento obbligatorio dell'età pensionabile - ora per le donne del pubblico impiego, domani per quelle del privato - è inaccettabile e di per sé discriminante.
Questo serve soltanto a fare cassa per pagare la crisi e non a aumentare le pensioni delle donne che, se sono le più basse, è appunto perché guadagnano meno, hanno carriere più difficili e percorsi più discontinui (non è un caso che la maggior parte delle donne accede alla pensione di vecchiaia e non di anzianità).
Allo stesso modo, proporre l'eliminazione del divieto al lavoro notturno per le donne in gravidanza e nel primo anno di vita dei figli è criminale e, anche in questo caso, serve soltanto a aumentare la ricattabilità delle donne, non certo i loro salari.
L'8 marzo sia allora anche una occasione per una ripresa di iniziativa e di parola delle donne sui temi del lavoro e della precarietà e per dire al governo e alla Confindustria che non possono cancellare i nostri diritti e non possono limitare la nostra autonomia.

VERGOGNA!

A Milano, circa 1400 lavoratrici delle mense scolastiche, guadagnano dai 300 ai 500 euro al mese e ad ogni bando cambiano cooperativa. Per queste donne il il padron “dalli belli braghi bianchi” è la cooperativa "la centenaria" e la direzione scolastica del Comune di Milano.
Come tavolo 4 abbiamo portato lo sciopero delle donne anche a queste lavoratrici.
Qui sotto pubblichiamo la vergognosa lettera che molte "scodellatrici" (le lavoratrici che servono i pasti nelle mense scolastiche) hanno dovuto firmare per mantenere il posto di lavoro:

Chiedo scusa alla direzione scolastica, alla società Milano ristorazione e alla cooperativa La Centenaria per il mio comportamento scorretto.


Io sottoscritta dichiaro che ieri non mi sono recata a scuola per somministrare i pasti ai ragazzi, pur consapevole che avrei creato un disservizio.

Ho aderito allo sciopero per ordine dei sindacati.

Dalle delegate dei sindacati di base

Oramai è chiaro a tutte Brunetta non è un comico, Sacconi non è un burlone e suor Gelmini non fa beneficenza...

La pensione a 65 anni per le donne del pubblico impiego potrebbe diventare realtà più velocemente di quanto si possa credere.
Questa eventualità sarebbe l'ennesimo grave attacco alle condizioni di vita e di lavoro delle donne con conseguenze gravissime per tutti i lavoratori di tutti i settori (pubblico e privato).
Le lavoratrici e i lavoratori precari vedrebbero ulteriormente limitata la possibilità di una stabilizzazione in un contesto, come quello della scuola, dove l'unica politica in atto è fatta di tagli e privatizzazione, dove le donne sono la maggioranza, sia precarie che a tempo indeterminato.
D'altra parte, proprio nel settore privato è più violenta la discriminazione che le lavoratrici vivono tutti i giorni: licenziamenti, turni notturni, negazione della maternità e del lavoro di cura.
Mediamente le donne lavorano di più per paghe più basse.
Se nel pubblico impiego le garanzie conquistate con tanti sacrifici si sono mantenute (almeno a parole), per lor signori è giunto il momento di eliminarle definitivamente per consentirgli di arraffare il più possibile: loro fanno una vita di sprechi insulsi e a noi ci tocca pagare la crisi che hanno generato.
In altri settori il processo di privatizzazione è ad un livello più avanzato, sanità, trasporti, edilizia popolare: è davanti gli occhi di tutti il generale degrado dei servizi essenziali e l'imbarbarimento delle condizioni di lavoro di chi ci lavora (per fare un paio di esempi il caso Alitalia).
Brunetta “salvatore” delle donne vuole renderci tutti uguali: uomini e donne, del pubblico e del privato.
Sappiamo per certo che ci vogliono tutte schiave.
Il mito del più forte, il senso d'impotenza nel tentativo di raggiungere livelli decenti di sopravvivenza, sfocia frequentemente in violenza cieca contro le donne: cresce il numero dei casi di violenza famigliare molto più di quelli perpetrati da “extracomunitari o stranieri”.
Tutta la demagogia e la strumentalizzazione razzista si schianta davanti a casi come quello di una nostra collega precaria che dopo essere stata violentata mentre andava a scuola, rischiava di perdere il posto se non riprendeva a fare lo stesso tragitto tra casa e lavoro.
Non abbiamo bisogno di ronde che ci difendano ma di un posto di lavoro sicuro e di servizi pubblici funzionanti.

Giovedi 19 marzo 2009 dalle 16 alle 20.00
Assemblea ITIS “E.Fermi” di Roma Via Trionfale 8737 (Monte Mario) con la partecipazione di delegazioni di lavoratrici dell'Alitalia, del Comune di Roma e della Sanità.
Le nostre nonne hanno conquistato la democrazia e la pace, le nostre madri la maternità, i servizi sociali, il divorzio, la 194 ci stanno togliendo tutto, a noi tocca difendere la nostra dignità.

28 Marzo
Manifestazione Nazionale A Roma Contro la politica dei tagli per la Giustizia Sociale


23 Aprile
VERO Sciopero Generale dell’intera giornata
Indetto dal Patto di Base CUB SCUOLA ROMA via dell’Aeroporto 129, 00175 Roma tel\fax 06 76 96 85 14 email: cubscuola.roma@tiscali.it

Anche Action denuncia le cooperative rosse

11.03.2009
Comunicato stampa

ACTION OCCUPA LA SEDE DELLA LEGACCOP PER CHIEDERE DI ROMPERE IL CONTRATTO DI GESTIONE DEL CPT DI LAMPEDUSA

Questa mattina ACTION diritti in movimento ha occupato la sede della legacoop,via guattani 9 a roma, noto ente al quale aderiscono due cooperative, il consorzio sisifo e la blu coop che continuano a gestire il cie, ex cpt di Lampedusa, dove vengono rinchiusi centinaia di immigrati in condizioni disumane.
Dal 2007, quando è stato vinto l’appalto queste due cooperative continuano ad essere complici di un disumano progetto di “accoglienza”, che calpesta i diritti umani e la dignità.
IL PRESIDENTE POLETTI della LEGACOOP SICILIA HA DICHIARATO NEL 2007: “finchè i cpt esistono è chiaro che debbano essere gestiti al meglio... per cercare di garantire... un’accoglienza il più possibile degna di questo nome”.
Non è tollerabile che la vita delle persone diventi progetto imprenditoriale, soprattutto quando si tratta di centri come Lampedusa che ci insegnano che il razzismo e la discriminazione sono un’attualità inequivocabile.

Nonostante ciò Lampedusa è scomparsa dai principali mezzi di informazione, quasi fosse la normalità trattare come bestie esseri umani, donne e uomini colpevoli sono di fuggire dalla miseria.
Si tenta di fermare nell’isola tutti i migranti che vi arrivavano, al punto da trasferire in quel lembo di terra persino le procedure di asilo.
Con la commissione territoriale, costretta per qualche settimana ad una improvvisa missione, da Trapani a Lampedusa, una missione poi interrotta di fronte al rischio di una procedura di infrazione davanti alla Corte di giustizia, per la evidente violazione di tutte le normative di emanazione comunitaria in materia di asilo e protezione internazionale.
Adesso la situazione di Lampedusa viene spacciata dal governo come ”ritorno alla normalità”, dopo il rogo del centro di accoglienza trasformato in gran fretta in un centro di identificazione ed espulsione, un rogo innescato dalla disperazione dei migranti rinchiusi per mesi senza un provvedimento legittimo di trattenimento mentre continua la violazione delle più elementari normative sulla sicurezza.

LA POLITICA DEL GOVERNO è DISUMANA e non è tollerabile oltre l’attività del centro.

Questi i motivi che ci hanno spinto a chiedere alla legacoop di imporre alle proprie associate di rescindere i contratti con il ministero per la gestione del centro di Lampedusa.

È ORA CHE LEGACOOP PRENDA POSIZIONE E DICA DA CHE PARTE STA.
Crediamo che la vera sicurezza è garantire i diritti delle persone.
ASSEMBLEA PUBBLICA AL CENTRO SOCIALE LA STRADA VIA PASSINO 24, VENERDì 13 H 16

Donne e sicurezza sul lavoro

Un articolo da liberazione del 07/03/2009 su infortuni sul lavoro delle donne (l'articolo non prende in considerazione gli incidenti domestici: come dire che il lavoro domestico non ha la dignità di essere riconosciuto come tale, salvo dover pagarne l'assicurazione obbligatoria)

Lavoro, sul totale degli infortuni 1 su 4 coinvolge le donne
Di Beatrice Macchia
"Il pericolo è soprattutto la strada"

Per le donne gli infortuni sul lavoro avvengono sul tragitto casa lavoro e viceversa.
Il 46,1% degli infortuni e il 50% dei casi mortali accade "in itinere".
E il dato è ancora più rilevante se paragonato agli incidenti che colpiscono i loro colleghi uomini sul percorso per andare al lavoro (22%).
Sul totale degli infortuni però solo 1 un incidente su 4 è rosa (27,5%).
I dati sono stati diffusi dal presidente dell'Inail Marco Fabio Sartori intervenuto ieri mattina a Roma alla presentazione del concorso musicale "Note scordate" promosso dall'Anmil in collaborazione con l'Inail in occasione dell'8 marzo.
Sulla base dei dati Istat, su una popolazione di quasi 60 milioni di residenti in Italia, le donne rappresentano il 51,4%, poco più di 30 milioni.
La situazione rilevata a livello occupazionale, mostra uno sbilanciamento a favore degli uomini: solo il 40% degli occupati è donna, 9 milioni su un totale di 23.
Dal punto di vista infortunistico, però, solo il 27,5% degli eventi è "rosa": circa 250mila infortuni su un totale di oltre 910mila.
La percentuale si abbatte se si passa all'esame dei casi mortali: meno di 100, che corrispondono all'8% del totale.
Ciò è indice che le donne vengono occupate in settori meno rischiosi e adibite a mansioni di tipo prevalentemente impiegatizio.
Nella distribuzione degli infortuni in itinere (non avvenuti in occasione di lavoro), invece, la quota rappresentata dal genere femminile, è rilevante e pari esattamente al 46,1%.
Ancora più significativa la percentuale degli infortuni mortali avvenuti in itinere tra le donne, oltre il 50% dei decessi (contro il 22,3% tra gli uomini).
A livello territoriale, la percentuale degli infortuni occorsi alle donne è più elevata al Centro con il 30,5% del totale, seguita dal Nord-Ovest (28,1%).
Al di sotto del valore medio relativo all'Italia (pari a 27,5%), vi sono il Nord-Est (26,3%), le Isole (26,2%) e il Sud (25,4%).
Per i casi mortali, si registra un'incidenza femminile del 10,5% nelle Isole, seguita dal Nord-Est con il 9,6%, mentre il Centro con l'8% è perfettamente in linea con la media nazionale, mentre al di sotto si collocano il Nord-Ovest (7,1%) e il Sud (6,3%).
Se consideriamo la nazionalità degli infortunati, la quota delle donne infortunate straniere scende al 20,3% (rispetto al 28,8% delle italiane), differenziandosi, però, per paese di nascita.
Infatti si rilevano dei picchi molto elevati per le donne provenienti da Ucraina (51%), Polonia (41,8%) e Ecuador (37,9%), occupate prevalentemente nei Servizi alle imprese e alle famiglie (pulizie, badanti, colf, ecc.), coerentemente alla composizione per sesso dei flussi migratori.
Risultano quindi superate in graduatoria Romania, Albania e Marocco, ai primi posti nella classifica degli infortuni occorsi a stranieri di sesso maschile, occupati invece per lo più nelle industrie pesanti, costruzioni, agricoltura e commercio.

Il governo si appresta a fare la festa alle donne!

Il governo si appresta a fare la festa alle donne!

Per l'imminente festività dell'8 marzo, il governo, in linea con la sua condotta in tema di diritti, ha pensato bene di fare un regalo a tutte le donne: la proposta di innalzare nel settore pubblico l'età pensionabile a 65 anni.

(... ) Come al solito, dopo le affermazioni, va di scena la confusione.
Abbiamo sentito: "E' colpa dell'Europa che ha richiamato l'Italia ad intervenire sulla disparità uomo-donna sul tema delle pensioni di vecchiaia" (anche di anzianità visto che per le donne il limite massimo è di 60 anni); oppure chi sostiene al governo "che sulla questione devono decidere le donne attraverso la volontarietà".
La commissione Europea spesso interviene per peggiorare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori con circolari agli stati membri in applicazione di normative quasi sempre meno garantiste, ma, questa volta, il punto posto dal governo è molto parziale visto che la richiesta della commissione europea richiama alla parità tra uomo-donna contro la discriminazione delle donne in Italia e dopo aver constatato le peggiori condizione di lavoro e di qualità della vita.
A proposito del criterio di volontarietà sottolineiamo che esiste già, infatti, le donne possono avvalersi del diritto a rimanere fino all'età di 65 anni usufruendo dell'art. 30 del decreto legislativo n. 198 del 2006, valido sia per le dipendenti delle aziende pubbliche che per le dipendenti delle aziende private.

Quindi, tutta questa discussione o è una bufala, oppure, il governo sta prevedendo l'obbligatorietà e siamo certi che quanto prima verrà portata avanti.
Le discriminazioni che subiscono le donne sui posti di lavoro sono diverse, infatti, percepiscono in media salari più bassi di circa il 30%, vengono maggiormente sfruttate con lavori al nero e con forme di lavoro precario, senza considerare un fattore poco tenuto in conto e cioè, che le donne svolgono costantemente e prevalentemente il lavoro domestico e la gestione dei figli.

Purtroppo in questi ultimi periodi sta aumentando l'uso di psico-farmaci a causa dello stress, delle violenze e della forte "instabilità" sociale ed individuale delle donne.
Questa proposta di aumentare l'età pensionabile nel pubblico impiego è da rigettare perchè rappresenterebbe un precedente da applicare anche al settore privato per almeno un duplice effetto: fare cassa per utilizzare i risparmi per altre fasce sociali; allungare e ridurre l'ingresso nel mondo del lavoro alle nuove generazioni.
Questa proposta vuole peggiorare la vita delle donne che lavorano e che sono già ampiamente colpite da questa recessione.

Lunedì 09 Marzo 2009 09:28 - RSA ICCREA (Fisac Cgil)

09/03/09

Taranto verso l'8 marzo e lo sciopero delle donne

VENERDI' 6 MARZO A TARANTO
Nonostante il tempo molto brutto, circa 30 lavoratrici delle ditte di pulizia hanno manifestato nella piazza del Comune. Vi erano le lavoratrici delle pulizie degli uffici comunali, una buona parte delle quali a fine mese rischiano di essere licenziate. Le lavoratrici hanno denunciato che non è solo il lavoro MA E' TUTTA LA NOSTRA VITA CHE VIENE RESA PRECARIA! Ci costringono a difendere anche la miseria di un salario di 500 euro al mese. Una lavoratrice ha detto ai rappresentanti del Comune: GUARDATE CHE IL 31 MARZO LA NOSTRA CASA DIVENTA IL COMUNE, nel senso che ve lo occupiamo! Vi erano lavoratrici delle pulizie degli asili comunali, per cui alla precarietà del contratto di lavoro si aggiunge un'altra precarietà quasi quotidiana, vengono trasferite da scuola a scuola dalla ditta per coprire rilevanti carenze o sono chiamate a fare sempre più spesso sostituzioni, a volte comunicate nella stessa giornata; situazione che, tenendo conto che le lavoratrici hanno sulle loro spalle sempre il problema di organizzarsi il tempo lavoro e tempo vita, di sistemare figli anche piccoli, significa una rincorsa, uno stress permanente. Vi erano le lavoratrici delle pulizie delle scuole statali, in cui proprio in questi giorni il governo ha ridotto i fondi per i servizi di pulizia da 370 milioni a 110 milioni di euro l'anno. Questo vuol dire in tutt'Italia tagli per 16 mila lavoratori di cui la stragrande maggioranza sono donne, con figli a carico, spesso sole. A Taranto abbiamo già subito un pesante taglio dei fondi se passassero questi ulteriori tagli, per le donne, molte non giovanissime, soprattutto in questo tempo di crisi, vorrebbe dire non avere alcuna possibilità di trovare un altro lavoro. Per questo le lavoratrici hanno gridato: Nessuno può permettersi di "celebrarci" ipocritamente l'8 marzo e affossarci gli altri 364 giorni! Nel corso della manifestazione vi è stato un momento di assemblea in cui si è parlato dello "sciopero delle donne", visto come necessario, inevitabile, ma anche come espressione della più forte determinazione delle donne, portata nelle lotte.
SABATO 7 MARZO ALLA FIAT DI MELFI
Al cambio turno alla Fiat Sata vi è stato volantinaggio dell'appello "Per uno sciopero delle donne". Questa iniziativa ha, tra l'altro, coinciso con il primo sabato di straordinari imposti dalla Fiat e accettati da Fim e Uilm, Fismic, dopo un lungo periodo di cassintegrazione, che ha riproposto il paradosso, ma pienamente interna alla logica dei padroni, che - come denunciavano delle operaie - ora ti chiedono di ammazzarti di lavoro, ma più produci e più rischi tra un pò di andare di nuovo in cassintegrazione; una cig che per le donne può significare "ritorno a casa", a subire per prime licenziamenti strutturali. Questo nelle fabbriche come la Fiat Sata si unisce alla pesantezza delle condizioni di lavoro, in cui alle vecchie condizioni fondate su ripetitività, parcellizzazione, su aumento dell'orario, si sommano le nuove fondate su aumento e nuovi i ritmi produttivi, pesantezza dei turni di lavoro, e ora straordinario. La fatica si somma alla precarietà del futuro, allo stress psicofisico del doppio lavoro per le donne, dentro la fabbrica e in casa. L'appello per uno sciopero delle donne, in questo senso, ha costituito una positiva novità.
LE INIZIATIVE CONTINUANO OGGI, 8 MARZO, CON UN SIT IN AL CENTRO CITTA' DI TARANTO, IN CUI ALLO SCIOPERO DELLE DONNE UNIAMO LA DENUNCIA CONTRO LA VIOLENZA SESSUALE E L'USO STRUMENTALE DI ESSA DA PARTE DEL GOVERNO.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario - TARANTO

Palermo verso l'8 marzo: lavoratrici della scuola in lotta

Anche la precarietà e la disoccupazione sono violenza!
Per uno sciopero delle donne!

Sabato 7 marzo
Volantinaggio mattutino delle lavoratrici precarie nelle scuole

Col taglio alla scuola pubblica previsto dalla riforma della scuola per favorire quelle private, il governo taglia migliaia di posti di lavoro soprattutto al femminile, eliminando il tempo pieno ricaccia a casa noi donne, confinandoci al solo lavoro di cura familiare.
Nella già totale assenza di servizi pubblici per l'infanzia e di insufficienza clamorosa di asili nido, vedi una regione come la Sicilia, la riduzione dell'orario per esempio nella scuola elementare da 40 a 24 ore settimanali penalizzerà soprattutto noi donne: sia come madri lavoratrici perchè ci impone di ricorrere ad una colf o a dei servizi alternativi privati ma molte di noi, in particolare precarie, non possiamo permetterci e per questo saremo costrette a lasciare il lavoro e a tornare tra le pareti domestiche sia come insegnanti, lavoratrici ata, che rischiano di essere tagliate fuori da un mercato del lavoro che già in Italia conta un livello bassissimo, peggiorato di giorno in giorno dall' attuale fase di acuta crisi globale, di donne che lavorano e che le vede sempre più spesso sfruttate in lavoro sempre più precari e sottopagati e vittime di discriminazioni anche sessuali.
Perdere il lavoro significa DIPENDENZA ECONOMICA che è una tra le pricipali cause che costringono una donna a restare fisicamente e psicologicamente in situziazioni di VIOLENZA sempre più spesso all'interno della famiglia.
DICIAMO NO A PROVVEDIMENTI CHE ATTACCANO DOPPIAMENTE LE CONDIZIONI DI VITA DI NOI DONNE e già abbiamo fatto sentire la nostra protesta al presidio di mercoledì 4 marzo davanti l'Ufficio Scolastico Provinciale dove abbiamo diffuso l'appello del tavolo 4 "per uno sciopero delle donne" alle lavoratrici presenti ma non ci fermeremo.


CONTRO LA VIOLENZA DELLA PRECARIETA' E DELLA DISOCCUPAZIONE LA NOSTRA LOTTA


VERSO L'8 MARZO PER UNO SCIOPERO DELLO DONNE

mfprpa@libero.it

07/03/09

Lega coop contro le donne. Le donne contro lega coop

L’8 MARZO NON SI LAVORA E NON SI FA FESTA
L’8 MARZO SI LOTTA!

SCIOPERO DELLE DONNE!



NON C'È LIMITE! ORA L'8 MARZO DIVENTA LA GIORNATA DI PIÙ LAVORO PER LE DONNE!

UN’ALTRA INCREDIBILE PROVOCAZIONE DEI PADRONI CHE USANO ANCHE LA NOSTRA GIORNATA DI LOTTA PER GUADAGNARE DI PIÙ.

PER L'OTTO MARZO 2009, LE COOPERATIVE LEGATE AL CONSORZIO LEGA – COOP, DOVE LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DELLE MAESTRANZE È DONNA, HANNO DECISO L'APERTURA DOMENICALE PER “CELEBRARE” LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA.

OLTRE ALLO SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA FEMMINILE, LE COSIDDETTE “COOPERATIVE ROSSE” GESTISCONO ANCHE IL LAGER DI LAMPEDUSA, DOVE IL 25 GENNAIO SEDICI DONNE MIGRANTI SONO ENTRATE IN SCIOPERO DELLA FAME PER PROTESTARE CONTRO I PROVVEDIMENTI DI ESPULSIONE E LE CONDIZIONI DISUMANE DI QUELLE PRIGIONI A CIELO APERTO, IN CUI SONO RISTRETTE MIGLIAIA DI DONNE E UOMINI

L’8 MARZO 2009 SAREMO DAVANTI ALL’IPERCOOP, PER DENUNCIARE IL CINICO AFFARISMO DI LEGA COOP E PADRONI, CHE CONSENTE LORO DI FARE PROFITTI ANCORA UNA VOLTA CON E SULLA PELLE DELLE DONNE

LA SICUREZZA DEI PADRONI E’ REPRESSIONE E RAZZISMO
LA NOSTRA SICUREZZA E’ LIBERTA’ E GIUSTIZIA SOCIALE

VIA LE MANI DAL CORPO DELLE DONNE!

Tavolo4 “Lavoro/Reddito/Precarietà” della Rete sommosse - Perugia

LEYLA ZANA


APPELLO PER LEYLA ZANA

L'8 dicembre 1994 Leyla Zana, parlamentare turca di etnia kurda, perseguitata per aver auspicato in Parlamento la fratellanza tra il popolo kurdo ed il popolo turco, con affermazione proferita sia in turco che in kurdo, fu condannata in Turchia a 15 anni di carcere da una sentenza che per ben due volte e' stata dichiarata contraria alla convenzione europea per i diritti dell'uomo dalla Corte Europea di Strasburgo. La Corte Europea ritenne infatti che la condanna inflitta fosse conseguenza di processo non giusto, condotto da un organo giudiziario non imparziale per la presenza di giudici militari e nel quale il diritto di difesa era stato del tutto negato (gli imputati non poterono neppure presentare testi a discarico). Per adeguarsi alla pronuncia della Corte Europea la Turchia scelse di rifare il processo nel 2003, ma anche in questo caso, come documentato alla relazione finale della ICJ/CIJL (International Commission of Jurists'/ Centre for the Independence of Judges and Lawyers), risultarono nuovamente violati i diritti degli imputati ad un tribunale imparziale, alla liberta' e alla sicurezza. Dei 15 anni di reclusione inflitti, Leyla ne ha scontati 10, a conclusione dei quali ha ripreso la sua battaglia a favore dei diritti della minoranza curda ottenendo tra l’altro riconoscimenti come il premio Sakharov per la Pace. Lo scorso aprile è stata nuovamente condannata a 2 anni di reclusione "per aver affermato di nuovo di non ritenere il Pkk un gruppo terroristico e di considerare il capo terrorista Ocalan come un leader del popolo curdo''. Leyla arringando la folla durante il Newroz, dichiarò: "I curdi hanno tre leader: Massoud Barzani, Jalal Talabani e Abdullah Ocalan" e "Sono grata a questi tre leader. Tutti loro hanno un posto nei cuori e nelle menti dei curdi". 5 dicembre 2008: il tribunale turco di Diyarbakir condanna in primo grado Leyla Zana a dieci anni di reclusione a causa dei contenuti di nove suoi discorsi pubblici ritenendola colpevole di "affiliazione e sostegno al Pkk", il Partito del Lavoratori del Kurdistan. Su questa sentenza deve pronunciarsi ora la Corte di Cassazione. Quella che segue è una campagna di raccolta firme, lanciata per chiedere l’annullamento della condanna di primo grado. Qui sotto pubblichiamo la campagna per Leyla e il suo intervento durante la settima udienza del processo che nel 2003 con la conferma del giudizio di colpevolezza decretò al tempo stesso la condanna delle Corti di giustizia turche dinanzi alla storia
______________________________________________________

Campagna di raccolta firme in sostegno di Leyla Zana

Leyla Zana è una persona che ha vissuto tutte le difficoltà di essere kurda e donna. Si è sposata assai giovane e ha avuto dei bambini. Ben presto, suo marito fu imprigionato ed essa attese per anni davanti alle porte della prigione. Si è impegnata nella vita politica. Voleva dar voce al suo popolo nell' Assemblea nazionale. Ma è stata imprigionata a causa della politica senza uscita sul problema kurdo. Fu condannata a 15 anni. In prigione, si ammalò. Nonostante l'esistenza del rapporto medico-legale che le avrebbe permesso di essere liberata, essa rifiutò la liberazione in queste circostanze. Uscita di prigione, si ricongiunse ai suoi bambini da cui era rimasta separata per lunghi anni. Allo stesso tempo, iniziò a condividere le sue idee con la società. Ma i seguaci della violenza ancora una volta non hanno sopportato la sua presenza. Leyla è stata condannata a dieci anni di prigione per i suoi interventi. Il suo dossier si trova attualmente davanti alla Corte di Cassazione. Non permettiamo che sia nuovamente imprigionata! Perché fintantoché Leyla Zana e tutti coloro che danno voce alla contestazione saranno in prigione, non saremo liberi neppure noi. Firmando questo testo, chiamiamo la Corte di Cassazione ad annullare il giudizio contro Leyla Zana ed esigiamo dai parlamentari l’eliminazione di tutti gli ostacoli giuridici alla libertà di espressione e di opinione. Per firmare: http://leyla-zana.blogspot.com/ ________________________________________________________
Ankara, 15 settembre 2003
Intervento dell'imputata Leyla Zana nella settima udienza del processo:
La giustizia viene rappresentata da una donna, perché si vuole esprimere una purezza di intenzioni. Gli occhi di questa donna sono coperti da una benda, perché si vuole esprimere l'imparzialità del giudizio. La bilancia nelle mani di questa donna simboleggia l'eguaglianza dinanzi alla legge. E la spada simboleggia la forza del diritto, perché appoggiato dallo stato. La giustizia oggi in Turchia se vuole rispettare questi simboli deve diventare il rifiuto di ciò che e' stata e continua a essere. La giustizia deve tornare in Turchia libera dal potere politico, deve tornare a essere indipendente, deve tornare a rifarsi ai principi universali del diritto. Nel nostro paese alla giustizia e' stata tolta a suo tempo la benda, così essa e' diventata parziale, mentre la spada che ha in mano non e' la sua, potrebbe essere quella di un generale o di un capo della mafia o di un aspirante alla dittatura personale o di un qualsiasi altro tipo di potere dispotico. La giustizia in Turchia quando nel 1980 ci fu il colpo di stato si pose al servizio dello stato autoritario. Sorsero tribunali speciali, nuovi tribunali dell'Inquisizione - le Corti per la Sicurezza dello Stato - che si scagliarono e continuano a scagliarsi contro chiunque critichi il potere. In ogni paese dove tutto questo e' accaduto ne sono sempre derivate cose molto negative. Veniamo da un secolo di barbarie, ci sono state due guerre mondiali e massacri terribili. In queste guerre e in questi massacri sono morte molte donne e molte altre hanno curato i feriti. Così alla fine di questo secolo le donne si sono trovate molto forti. Hanno quindi cominciato a spezzare le loro catene e a giocare un loro ruolo importante nei cambiamenti sociali. Le donne sono diventate alla fine di questo secolo simbolo di lotta per la pace, la libertà e la democrazia. Offendendo la dea della giustizia in Turchia si e' voluto perciò colpire in primo luogo le donne. La nostra lotta e' la lotta del nuovo contro il vecchio, della luce contro il buio. C'e' un'immensa differenza tra noi e i nostri avversari. E' per questa natura totalmente vecchia e buia dei nostri avversari che in Turchia e' così difficile il ambiamento. Il Primo ministro Erdogan ha presentato all'Unione Europea l'elenco delle riforme in cantiere e ha dichiarato che l'80% della popolazione turca e' a favore dell'ingresso nell'Unione Europea. Il Ministro della Giustizia ha accettato, a sua volta, il rifacimento del nostro processo. Persino il capo ell'esercito ha lanciato un messaggio di cambiamento, dichiarando che il potere deve fondarsi sulla saggezza, non sulla forza delle armi e sullo spargimento di sangue. Abbiamo così sperato che la giustizia venisse liberata, che le riforme progredissero davvero, che cadessero i tabù nei confronti dei diritti dei curdi. Abbiamo lanciato messaggi di pace e di fraternità con cuore sincero. D'altro canto noi siamo innocenti di uanto ci si accusa. Tuttavia successivamente e' accaduto che stiamo arretrando. Erdogan ha affermato che i curdi non esistono come popolo, quindi che non esiste una questione curda in Turchia. Anche lui come me ha subito una condanna per avere dissentito dal governo in carica; però oggi sostiene solamente le riforme che li convengono. E a sua volta questa Corte continua a rifiutarsi come tribunale imparziale. Nella scorsa udienza non abbiamo voluto intervenire proprio per protesta contro il carattere illegittimo di questo processo. La questione curda pero' esiste lo stesso; esisteva ieri, esiste oggi, continuerà a esistere se non si giungerà a dare una risposta democratica alla domanda da parte dei curdi di riconoscimento dei loro diritti. Dopo il colpo di stato del 12 settembre 1980 mio marito (Mehdi Zana era sindaco a Diyarbakir) venne rrestato. Quando andai trovarlo in carcere vidi che era stato torturato. Non sapevo arlare in turco e gli chiesi "come tai" in curdo. Le guardie che mi accompagnavano mi dissero che il curdo era vietato e che dovevo parlare a mio marito guardandolo in faccia. Dovetti quindi rimanere in silenzio. In quel momento capii la mia realtà. Signori giudici, io come voi sono un prodotto del colpo di stato del 12 settembre 1980. Ero una donna di casa, non appartenevo a nessuna tribù e non avevo nessun sostegno, dopo le torture a mio marito mi sono trasformata in una donna sensibile alle questioni della società. Ho scoperto che tante persone erano state picchiate davanti alle Corti per la Sicurezza dello Stato mentre protestavano contro la repressione e mi sono aperta al loro dolore. Ho poi conosciuto direttamente la violenza dello stato. Nel 1990 la questione curda era più che mai terreno minato, per questo siamo stati arrestati e condannati a 15 anni di carcere. Con questa condanna venne praticata la condanna di un intero popolo. Una guerra sporca scatenata in quegli stessi anni contro questo popolo si prefiggeva di cancellarne efinitivamente l'identità. Invece i protagonisti del potere di allora oggi non contano più nulla. Diyarbakir e' di nuovo il cuore della ultura curda. Gli intellettuali curdi sono oggi impegnati in una lotta per la democratizzazione che attraversa tutta la urchia e che riguarda la Turchia come tale. Signori giudici, io e voi apparteniamo alla stessa generazione. Mentre io ho lottato per la pace, la solidarietà tra i popoli della Turchia e la libertà, voi avete lottato per il contrario, e continuate a farlo. Voi continuate a voler ribaltare il corso della storia. Non capite che la società oggi chiede cambiamenti, che non vuole più la guerra civile, che ha in sé un profondo desiderio di pacificazione, di fraternità, di fiducia tra tutte le sue componenti. Voi giudici vi ostinate a negare l'esistenza di un popolo e i suoi diritti più elementari. E avete in mano in questo momento una grande responsabilità: quella di eterminare l'andamento della lotta in Turchia tra il vecchio e il nuovo. Se imporrete una decisione di questo processo a partire dalle vostre posizioni la Turchia subira' una sconfitta grave. Se la resistenza al cambiamento prevarrà, a partire da questo processo, più in generale nella realtà della Turchia, ancora molto sangue verrà versato, e alla fine lo stato si disintegrerà. E le vostre coscienze non potranno più essere tranquille: pensateci. La sentenza di questo processo probabilmente é già stata emessa. Avevamo sperato che ci fosse un passo in avanti, pare che ci siamo sbagliati. Comunque la vostra decisione per noi personalmente non e' molto importante. Una nostra nuova condanna sarà invece una condanna definitiva delle Corti per la Sicurezza dello Stato dinanzi alla storia. Il nostro impegno per una Turchia democratica continuerà ugualmente, e alla fine ce la faremo, anche contro queste Corti.
Leyla Zana