Un articolo apparso il 9 marzo che non fa che confermare la necessità di organizzare una lotta diretta delle lavoratrici e di tutte le donne.
Il Tavolo 4 ha lanciato e sta portando avanti la proposta dello "sciopero delle donne".
Facciamo appello anche alle giornaliste a dare una mano perchè questa campagna arrivi dovunque le donne sono doppiamente sfruttate, oppresse, discriminate.
Il Tavolo 4 ha lanciato e sta portando avanti la proposta dello "sciopero delle donne".
Facciamo appello anche alle giornaliste a dare una mano perchè questa campagna arrivi dovunque le donne sono doppiamente sfruttate, oppresse, discriminate.
Le LAVORATRICI DISCRIMINATE SU TUTTO
Eliana Como, Liberazione, 8 marzo 2009- Il prezzo della crisi e dell'arretramento delle condizioni sociali nel paese è molto alto per tutti - lavoratori e lavoratrici - ma le ricadute sulle donne rischiano di avere una portata persino maggiore (...)
Allo stesso modo, le misure del governo e della Confindustria - che pure attaccano i diritti del mondo lavoro nel suo complesso - sembrano puntare con particolare accanimento a mettere in discussione i diritti e la libertà delle donne.
In Italia, il tasso di occupazione femminile era - già prima della crisi - tra i più bassi d'Europa.
Da sempre, alle donne vengono offerti i posti di lavoro più precari, meno qualificati e meno pagati; da sempre le loro pensioni sono le più basse.
La crisi economica, oggi, amplifica e drammatizza queste disparità, aumentando le discriminazioni e peggiorando, in tutti i settori e in tutte le aree del paese, le condizioni di lavoro e di vita di moltissime donne.
Nel settore tessile - già duramente provato dalle delocalizzazioni e da una crisi strutturale di lungo periodo - sono molte migliaia le lavoratrici che in questi mesi hanno perso o rischiano di perdere il lavoro.
Nel settore metalmeccanico, sono spesso proprio le donne le prime a entrare in cassa integrazione o a essere licenziate.
Questo avviene perché ancora oggi il lavoro di molte è considerato accessorio e marginale, ma anche perché - già prima - molte di loro avevano una condizione peggiore, sia dal punto di vista salariale che normativo.
Ben prima della recessione, l'inchiesta della Fiom (i questionari sono stati raccolti nei primi sei mesi del 2007) testimoniava una vera e propria questione femminile nel settore.
Su tutti gli aspetti affrontati le risposte delle donne - soprattutto delle operaie - mostrano una condizione di grande fatica e sfruttamento e anche quando va male per tutti, per le donne va comunque peggio.
Già prima della crisi, i loro salari erano i più bassi (in media 200 euro in meno degli uomini); il loro lavoro il meno qualificato (il 70 per cento delle operaie non supera il 3° livello), le loro mansioni più ripetitive e monotone (il 90 per cento delle operaie svolge un lavoro che comporta atti e movimenti ripetitivi), le loro condizioni più precarie (le metalmeccaniche hanno il 25 per cento di probabilità in più rispetto a un uomo di avere un contratto precario, i loro contratti sono più brevi e per contro i percorsi di precarietà più lunghi).
Quelle stesse operaie, oggi sono le prime a perdere il posto di lavoro e saranno anche le prime - nel settore metalmeccanico come negli altri - a subire gli effetti della controriforma del sistema contrattuale.
L'accordo firmato da governo, Confindustria, Cisl e Uil, indebolendo il Ccnl e rinviando gli aumenti salariali all'incremento della produttività, finirà, infatti, per aumentare orari e ritmi di lavoro e allargare i già altissimi differenziali salariali tra uomini e donne.
Anche nel settore pubblico, nella scuola e nella sanità, le donne stanno pagando un prezzo pesantissimo.
I tagli del governo in questi settori significano centinaia di migliaia di posti di lavoro femminile in meno e una riduzione della quantità e della qualità dei servizi pubblici, che, comunque, saranno soprattutto le donne a pagare.
Nel modello stesso di convivenza sociale proposto con il Libro Verde e con la bilateralità, i servizi sociali prima erogati dallo Stato saranno demandati al mercato e alle famiglie, cioè alle donne, a cui quasi interamente è affidato il lavoro di cura della casa, dei figli e degli anziani.
Ha davvero ragione, dunque, la Corte di Giustizia Europea a dire che le lavoratrici italiane sono discriminate.
È chiaro, però, che le cause sono strutturali e riguardano l'impianto sociale e economico nel suo complesso, dal mercato del lavoro ai servizi pubblici; dalla ineguale divisione dei compiti nei nuclei familiari fino ai rapporti nei posti di lavoro.
Far passare come misura anti-discriminatoria l'aumento obbligatorio dell'età pensionabile - ora per le donne del pubblico impiego, domani per quelle del privato - è inaccettabile e di per sé discriminante.
Questo serve soltanto a fare cassa per pagare la crisi e non a aumentare le pensioni delle donne che, se sono le più basse, è appunto perché guadagnano meno, hanno carriere più difficili e percorsi più discontinui (non è un caso che la maggior parte delle donne accede alla pensione di vecchiaia e non di anzianità).
Allo stesso modo, proporre l'eliminazione del divieto al lavoro notturno per le donne in gravidanza e nel primo anno di vita dei figli è criminale e, anche in questo caso, serve soltanto a aumentare la ricattabilità delle donne, non certo i loro salari.
L'8 marzo sia allora anche una occasione per una ripresa di iniziativa e di parola delle donne sui temi del lavoro e della precarietà e per dire al governo e alla Confindustria che non possono cancellare i nostri diritti e non possono limitare la nostra autonomia.
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