06/07/25

India - Donne braccianti costrette per lavorare ad asportare utero, ovaie e altri organi dell’apparato riproduttivo

Donne braccianti in India. L’orrore che rimane nascosto dietro la barbarie del lavoro da schiavi

Di fronte all’orrore di migliaia di donne costrette a farsi togliere l’utero per poter fare un lavoro da schiavi, va in frantumi ogni illusione sul capitalismo come miglior mondo possibile.

Di fronte all’orrore di migliaia di donne costrette a farsi togliere l’utero per poter fare un lavoro da schiavi, va in frantumi ogni illusione sul capitalismo come miglior mondo possibile.

Che sia in “affitto” o sia “rimosso”, l’utero delle donne, dopo e nonostante una lunga e proficua stagione di lotte femministe, “può” e “dovrà” essere gestito a seconda delle esigenze del capitale, e della condizione socio-economica (la povertà), che si trovano ad affrontare le singole donne. La società di mercato impone le leggi su cui si fonda, quelle della mercificazione e del valore di scambio, rimuovendo il confine tra ciò che è merce e ciò che non può esserlo, Marx lo aveva detto “TUTTO DIVENTA MERCE” (Miseria della filosofia 1847)...

...Facciamo un salto in India e precisamente nelle piantagioni di canna da zucchero del Maharashtra. Ogni anno in questa zona arrivano migliaia di lavoratori stagionali. Che affrontano viaggi lunghi anche centinaia di chilometri, nella speranza di un lavoro. Quello che trovano più che un lavoro è un impiego a tempo pieno come schiavi. 15 ore di duro lavoro giornaliero, senza riposi e giorni di pausa, per tutti i mesi della durata della raccolta. Molte famiglie sono costrette a portare con loro anche i figli, che non potranno accedere alla scuola, e che dovranno aiutare i loro genitori nel lavoro, senza essere pagati. I “lavoratori-schiavi” sono costretti a faticare fino allo sfiancamento sotto temperature infuocate, e spesso non ricevono neanche i soldi, perché i loro salari vengono trattenuti dai loro padroni aguzzini, per ripagare i debiti che sono costretti a contrarre ad interessi da usura. Il meccanismo di assegnazione degli appalti della raccolta della canna da zucchero si basa su un sistema, a dir poco, per niente trasparente. Passa attraverso mediatori legati ad interessi politico-clientelari locali, di industrie che riforniscono le grandi e potenti multinazionali come Coca Cola, Pepsi-co, e Unilever, sollevandole formalmente dalle responsabilità dello sfruttamento degli operai. (Inchiesta del NYT). Ma l’orrore che rimane nascosto dietro questa barbarie di lavoro da schiavi è ancora una volta il destino delle donne, che reggono interamente il peso di questa filiera infernale che va oltre qualsiasi immaginazione.

Il 36% delle braccianti censite ha subito una “isterectomia”, gli è stato cioè asportato senza necessità, utero, ovaie e altri organi dell’apparato riproduttivo. Potrebbero essere molte di più dal momento che in India milioni di persone non hanno documenti di identità, Ad obbligarle alla rimozione degli organi sono ovviamente i loro aguzzini, i “datori di schiavitù”. In questa maniera eliminano il rischio di gravidanze, eliminando così le pause per l’allattamento, e dulcis in fundo si eliminano le mestruazioni, che in queste condizioni lavorative, mancanza di acqua, per le donne sarebbero difficili da gestire, ma soprattutto si eliminano le pause, per il cambio assorbenti. (da un articolo di Davide Longo) Viene detto ai lavoratori che hanno facoltà di decidere se restare o andare via, ma in realtà chiunque tenti di andarsene viene “catturato” e costretto a rimanere, anche perché le paghe basandosi sul meccanismo del debito, non lasciano molta scelta ai lavoratori.
Inutile sottolineare che di questa condizione estrema di schiavitù, e soprattutto dell’abuso che subiscono le donne, il mondo politico che ci gira intorno, e che trae enormi profitti dal lavoro di questi stagionali, è molto variegato. Politici e leccaculo locali, ministri dell’attuale governo indiano, politici nazionalisti Indù, del Bharatiya Jamata Party, (al governo), ed anche membri dell’opposizione dell’Indian National Congress. Evidentemente il profitto unisce i padroni e i loro politici al di là della bandiera. Dall’Agro pontino a Latina fino a Maharashtra, in India anche il destino delle operaie, operai di tutto il mondo è unito dallo stesso sfruttamento, basta unire i puntini su di una mappa immaginaria, per capire quanta forza si può scatenare da questa massa di proletari, disseminati ai vari angoli del pianeta. Uniti anche loro dagli stessi interessi, farla finita con i padroni, farla finita con il capitalismo.

05/07/25

Seguire l'esempio delle operaie e operai dell'Electrolux


In fabbrica fa troppo caldo e gli operai se ne vanno:
"L'azienda ha ignorato l'allerta" 
I dipendenti della Electrolux di Forlì hanno abbandonato il turno di lavoro alle 12:15 invece che terminare alle 17; sono state seguite da altri reparti, che hanno abbandonato le postazioni. La decisione unilaterale è stata presa dopo che nella struttura, fanno sapere i sindacati, si sono toccate temperature vicino ai 40 gradi.
Secondo quanto riferisce la Fiom-Cgil, l'azienda avrebbe completamente ignorato l'allerta rossa per le alte temperature emessa da Arpae (azienda regionale per la protezione ambientale dell'Emilia-Romagna). Gli operai non l'hanno fatto e hanno così deciso, in autotutela, di concludere prima del dovuto la loro giornata lavorativa. "La salute per Electrolux non è una priorità", denuncia dalla Fiom la rappresentante per la sicurezza dei lavoratori Cinzia Colaprico. Secondo la delegata del sindacato, l'azienda non avrebbe adottato misure per alleggerire il carico di lavoro, aumentare le pause o introdurre strategie per mitigare il calore nei reparti.
"I dirigenti lavorano al fresco, chi è sulle linee invece sopporta temperature insostenibili". Le tensioni erano già emerse nella riunione del 2 luglio tra azienda e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. I sindacati avevano chiesto l'attivazione di un orario ridotto (dalle 6 alle 14) per proteggere il personale durante i giorni più critici. Tra questi c'era proprio il 4 luglio. L'azienda ha respinto ogni modifica.
E le operaie e operai hanno abbandonato il lavoro e se ne sono andati a casa.

Lotta per la casa, contro il caro affitti a Milano - Le lavoratrici Slai cobas e del Mfpr sostengono e partecipano



03/07/25

La formazione rivoluzionaria delle donne riprende a settembre

Da oggi sospendiamo la Formazione rivoluzionaria delle donne, la riprenderemo a settembre; perchè in questo periodo estivo stiamo preparando nuovi opuscoli, nuovi materiali. 
Stiamo pensando anche ad alcuni momenti di FR fatti on line, che possano favorire il dibattito, il confronto.
Nel frattempo potete richiedere uno o più opuscoli del catalogo - che pubblichiamo - ve li invieremo gratuitamente in Pdf.
Per richiederli, basta scrivere all'e mail: mfpr.naz@gmail.com o a WA 3519575628









02/07/25

La festa dei ricchi, la fame dei popoli. Riflessione sulla trilogia Hunger Games di Suzanne Collins


C’è una saga letteraria e cinematografica che, a dispetto della sua confezione commerciale, racconta una storia dura e attuale. Hunger Games, scritta da Suzanne Collins tra il 2008 e il 2010, narra di un mondo diviso tra una Capitale ricca e crudele chiamata Capitol City, e una serie di Distretti impoveriti, oppressi e sfruttati. Ogni anno, due ragazzɜ da ogni Distretto vengono sorteggiatɜ per combattere a morte in un’arena televisiva, uno spettacolo di violenza che serve a mantenere il controllo e a distrarre chi subisce. La protagonista, Katniss Everdeen, si offre volontaria per salvare la sorella, dando vita a una storia di sopravvivenza, sacrificio e ribellione.
Ma Hunger Games non è solo finzione. Capitol City esiste. È la rappresentazione estrema dell’élite globale che vive nell’opulenza mentre miliardi lottano per la sopravvivenza. È New York, Londra, Tel Aviv. È Bruxelles che arma i confini e controlla i mari. È Washington che finanzia il genocidio a Gaza. È Roma che firma decreti razzisti e respinge migranti. Il mondo reale si divide tra pochi ricchi e potenti che festeggiano, si abbuffano e vomitano per continuare a mangiare, e milioni di persone che muoiono di fame, di guerra, di sfruttamento.
Capitol City non è solo il luogo della ricchezza sfrenata e dello sfruttamento. È anche il teatro di un grande spettacolo, dove il dolore, la sofferenza e la morte sono messi in scena per anestetizzare le coscienze e normalizzare l’orrore. Nel racconto di Suzanne Collins, ogni anno i Distretti assistono a quella che dovrebbe essere una tragedia reale ma diventa uno show televisivo, una sorta di reality crudele, in cui la morte è spettacolarizzata, e chi soffre diventa un mero intrattenimento.
Nel nostro mondo reale, questo meccanismo si riproduce con impressionante fedeltà. Le immagini di bambini morti, di quartieri rasi al suolo, di donne e uomini in fuga sono sfilate ogni giorno sui nostri schermi, ma il loro significato si dissolve in un flusso infinito di notizie, immagini, tweet, video che saturano e confondono. La ripetizione continua produce assuefazione, una sorta di anestesia collettiva che ci impedisce di indignarci davvero, di agire, di sentire l’urgenza di cambiare.
Parallelamente, la verità stessa diventa terreno di guerra. Con leader come Donald Trump, capace di dichiarare “fake news” qualsiasi cosa non si allinei ai suoi interessi, e di rimodellare il concetto stesso di realtà, si crea un cortocircuito pericoloso: ciò che è vero o falso non dipende più dai fatti, ma dalla volontà di chi detiene il potere. La disinformazione e la manipolazione diventano armi per controllare le masse, per dividere e indebolire ogni forma di resistenza.
La devastazione non si limita alle strade, ai corpi o all’informazione. Si estende alle fondamenta stesse della società: la scuola. Smantellare l’educazione pubblica, ridurre spazi e risorse per la formazione critica, delegittimare il sapere sono armi potenti di questo sistema. Privare le nuove generazioni degli strumenti per interpretare e decostruire la realtà significa condurle verso uno stato di passività e ignoranza, una condizione che può essere efficacemente descritta con la metafora degli zombie.
Fin dai tempi di George Romero, lo zombie rappresenta l’essere che cammina senza coscienza, incapace di vedere, pensare o ribellarsi. Lo zombie perde la capacità di reagire e tipicamente torna nei luoghi abituali in maniera automatica, come i centri commerciali. È la perfetta incarnazione di una società anestetizzata dalla spettacolarizzazione del dolore e dalla manipolazione della verità, che perde la capacità di reagire e che, ormai distratta, contribuisce attivamente alla distruzione di chi ancora è umano.
Accanto al controllo della verità e dell’informazione, il dominio estetico è un’altra forma di potere che l’élite esercita con precisione chirurgica. Il legame tra bellezza e bontà affonda le radici nella storia dell’arte e della filosofia occidentale. Già Platone, nella Grecia classica, associava il bello al vero e al bene, concependo un ideale estetico che non era solo forma, ma valore morale. Nel Rinascimento, la bellezza diventò strumento di potere, usata per legittimare autorità e costruire gerarchie sociali.
Oggi questo retaggio si è trasformato in un dominio estetico mercificato e politicizzato: le élite impongono modelli di “bellezza” che servono a distinguere chi detiene il potere, a creare gerarchie visibili e a mantenere privilegi. In questo sistema, “bello” diventa sinonimo di “meritevole” e “giusto”, alimentando insicurezze e plasmando identità in funzione del controllo sociale.
Un esempio concreto di come l’estetica venga usata come strumento di potere è “The Beautiful Bill”, la legge proposta da Donald Trump nel 2021 che mirava a trasformare la percezione pubblica della “bellezza” in un affare di controllo sociale. Non è solo una questione di apparenza: è una strategia per legittimare politiche esclusive, per imporre modelli di comportamento e per definire chi merita cosa. In questo modo, “bello” diventa sinonimo di “meritevole”, mentre chi non rientra in questi standard viene marginalizzato e escluso.
Questo controllo estetico si traduce anche in una narrazione pubblica attentamente costruita, fatta di immagini, discorsi e simboli studiati per legittimare chi detiene il potere, anche quando esercita violenza e sopraffazione. L’élite occidentale, attraverso media e diplomazia, costruisce uno spettacolo di normalità e razionalità, in cui le proprie azioni vengono presentate come inevitabili, giuste e “belle” nel senso di ordinate e legittime, nascondendo così la brutalità sottostante.
È in questo contesto che il 7 ottobre 2023, quando è iniziata l’offensiva militare israeliana su Gaza, abbiamo assistito a una narrazione mediatica che ha scelto di mascherare l’orrore con formalismi diplomatici e retoriche di “autodifesa”. Giorgia Meloni ha dichiarato senza esitazione il suo “pieno sostegno a Israele”, Ursula von der Leyen ha rinsaldato l’alleanza con una visita a Tel Aviv, e Joe Biden ha continuato a fornire armi e a bloccare risoluzioni ONU per il cessate il fuoco.
Questa è l’estetica del potere che non solo si mostra negli abiti e negli eventi, ma si declina in narrazioni pubbliche che anestetizzano, legittimano e riproducono violenza e disuguaglianze. Chi tace o minimizza diventa parte integrante di questo meccanismo, che mantiene in piedi un regime di apartheid militare con il sostegno dell’Occidente.
La sproporzione tra la ricchezza sfrenata di miliardari come Jeff Bezos — capace di spendere 300 milioni di dollari per un matrimonio a Venezia, una cifra che supera di gran lunga qualsiasi reddito medio, come quello di una lavoratrice italiana che guadagna 1.500 euro al mese — non è solo un abisso economico. È la manifestazione plastica di un sistema che costruisce e mantiene gerarchie radicali di potere e privilegio, traducendo la disuguaglianza in controllo culturale e simbolico. Questi numeri raccontano una storia di chi può vomitare dopo una festa esagerata per continuare a mangiare, mentre milioni muoiono di fame, una verità atroce che il sistema spettacolarizza e nasconde.
In questo scenario si inserisce la narrazione di Hunger Games, dove Capitol City rappresenta la Capitale dell’opulenza e dello spreco, mentre i Distretti incarnano le popolazioni sfruttate e marginalizzate. Peeta, che crede nella possibilità di un cambiamento dentro il sistema, viene piegato, torturato, reso un simbolo vuoto e manipolato. Katniss, al contrario, rifiuta quella sottomissione; la sua ribellione nasce dalla consapevolezza dell’ingiustizia strutturale, da un’urgenza che si traduce in lotta reale per la dignità e la sopravvivenza.
Questo legame tra disparità materiale e resistenza simbolica è fondamentale per comprendere il nostro presente. Non si tratta solo di numeri o di racconti: è la rappresentazione concreta di un conflitto globale, in cui il lusso sfrenato e la fame coesistono come estremi dello stesso sistema di dominio. Comprendere questa relazione ci permette di non cadere nella trappola della spettacolarizzazione passiva, ma di alimentare una lotta consapevole, intersezionale, che sappia mettere in discussione le radici di quel potere.
Il Brasile oggi ha cambiato formalmente governo, ma le ferite profonde causate dalla devastazione ambientale e dalla violenza sistemica contro le comunità indigene e marginalizzate restano intatte. L’ecocidio, l’etnocidio culturale e il femminicidio sistemico sono processi strutturali che non si fermano con un semplice cambio di nome o facciata politica.
Se non spezziamo questo meccanismo, se non costruiamo alleanze forti e radicali, saremo solo pubblico a guardare lo show di chi ci domina.
L’arena è ovunque.

Vi lascio il primo film completo

Alice Castiglione

30/06/25

Il femminicidio esiste ed è un delitto di potere - Un contributo

Riportiamo questo testo/commento dell'avv. Antonietta Ricci. La tematica che affronta è importante e centrale nella battaglia politica, teorica contro i femminicidi. 
Su alcuni passaggi riteniamo che la discussione vada approfondita.
In particolare:
l'Mfpr ritiene che la "matrice" della violenza maschile contro le donne (che abbiamo sottolineato nel testo), sia capitalista in un sistema sempre più in crisi in tutti i sensi in marcia verso un moderno fascismo - sull'uso del "patriarcato" siamo più volte intervenute, analizzandolo criticamente - Ultimo nella Formazione rivoluzionaria di giovedì 26/6.



29/06/25

Dalla grande manifestazione del pride in Ungheria - più di 200mila persone - ci arrivano foto, commenti/info

Il Pride in Ungheria è stato più di una normale Giornata dell’Orgoglio ma un vero atto di rivolta contro il Governo Orban molto al di là dei membri della discriminata comunità LGBTQ+ ungherese. Orban aveva tentato in tutti i modi di vietare il Pride e di far passare i suoi partecipanti come pedofili, agenti dell’Unione Europea e traditori dei valori nazionali. Ci ha provato minacciando anni di galera agli organizzatori e sguinzagliando contro di loro e la comunità le tante bande nazi ungheresi, suo vero e proprio squadrone personale armato. Il risultato è stato il più grande Pride della storia ungherese 














MA...

28/06/25

Governo Meloni - Decreti, provvedimenti sono illegali! - Decreto sicurezza, dalla Cassazione: “Criticità nel metodo e nel merito”

Dal blog proletari comunisti

Contro il decreto sicurezza ci sono state tante manifestazioni - ultima il 21 giugno - e chili di carte di denuncia - Avevamo pienamente ragione. 

Ma noi vogliamo che l'intero decreto sia bocciato! Non ci accontentiamo certo che vengano solo rimosse le "criticità" più abnormi. E' tutto il decreto nel merito e nel metodo che è illegale.

E un governo che fa leggi illegali - e questa del Decreto sicurezza non è che l'ultima - se ne deve andare, deve essere rovesciato!

Dalla stampa:

La Corte di Cassazione si pronuncia sul decreto sicurezza, evidenziando criticità nel metodo e nel merito. ...la decretazione d’urgenza, le norme troppo eterogenee e le sanzioni sproporzionate rappresentino aspetti problematici che richiedono un’attenta riflessione. Quindi: «severe perplessità anzitutto sulla (in)sussistenza dei presupposti giustificativi per il ricorso alla decretazione d’urgenza, tanto più che neppure il governo proponente si era mai avvalso della facoltà, prevista dall’art. 72 Cost. e dai regolamenti parlamentari, di chiedere l’esame con procedura d’urgenza di quel disegno di legge». «A ciò si aggiunge l’estrema disomogeneità dei contenuti», si legge nella relazione, che «avrebbe richiesto un esame ed un voto separato sulle singole questioni». Si occupa, infatti, di una pluralità di materie vastissime e disparate che non sono tra loro connesse e omogenee: terrorismo, mafia, beni confiscati, sicurezza urbana, tutela delle forze dell’ordine, vittime dell’usura, ordinamento penitenziario, strutture per migranti e coltivazione della canapa. Questa eterogeneità è considerata un ulteriore vizio di legittimità costituzionale per i decreti legge.

L'Ufficio del Massimario della Suprema Corte denuncia la "disomogeneità" della legge e l'abuso della decretazione d'urgenza in materia penale. Il ministro della Giustizia Nordio: "Incredulo"

Il documento, di 129 pagine, contiene una bocciatura senza appello del provvedimento-bandiera del governo, a partire dalla scelta di trasformare da un giorno all’altro in decreto legge il “vecchio” ddl Sicurezza, all’esame del Parlamento da oltre un anno, riprendendone i contenuti “quasi alla lettera“. Riportando le critiche già espresse da decine di giuristi, la Cassazione sottolinea l’“evidente mancanza” dei presupposti di “straordinaria necessità ed urgenza” imposti dalla Costituzione, poiché “nessun fatto nuovo è occorso tra la discussione alle Camere del ddl sicurezza e la scelta trasformarlo in un decreto legge dal medesimo contenuto”. Inoltre, viene denunciata la “disomogeneità” dei contenuti della legge (che interviene su settori diversissimi, dalla cannabis light ai poteri dei servizi) e l’abuso della decretazione d’urgenza in materia penale (il decreto introduce 22 tra nuovi reati e aggravanti).

Nel merito, le criticità riguardano quasi tutti i contenuti del provvedimento. Durissimo in particolare il giudizio sul cosiddetto “scudo” ai servizi, la norma che consente agli agenti sotto copertura di dirigere e organizzare associazioni terroristico-eversive senza commettere reato: si tratta, scrive il Massimario, di “un assoluto inedito, posto che la direzione e organizzazione delle predette associazioni è fenomeno ben diverso, più grave e più pericoloso rispetto alla già sperimentata possibilità di “infiltrazione”. I pericoli del salvacondotto erano già stati denunciati dai familiari delle vittime delle stragi, che hanno definito la norma una “licenza criminale“, ricordando il ruolo ricoperto da frange dei servizi nelle pagine più oscure della nostra storia nazionale.

Sulla possibilità di far scontare la pena in carcere alle detenute incinte o madri di bambini sotto un anno di età, la relazione cita un commento del celebre penalista Emilio Dolcini secondo cui la scelta è “una patente violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia” e “di umanità della pena, tanto più in considerazione delle condizioni in cui versano le carceri italiane e dei pochi posti disponibili nei soli quattro istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam)”. Viene denunciato il concetto, che “guarda non a ciò che l’uomo fa, bensì a quel che l’uomo è” (ad esempio, il riferimento alle borseggiatrici Rom), rischia di colpire le persone non per la condotta illecita specifica, ma per il loro status sociale o l’appartenenza a determinate categorie, violando i principi di uguaglianza e non discriminazione.

Netto anche il giudizio sulla trasformazione in reato (punito da sei mesi a due anni) del blocco stradale: in questo modo, si legge, si attribuisce rilevanza penale “a comportamenti che molto spesso sono costituiti da riunioni pacifiche e atti di resistenza passiva, con l’effetto di incidere profondamente sull’attività di pubblica manifestazione del dissenso”

Nello stesso decreto, peraltro, si prevede che il nuovo reato di rivolta in carcere possa realizzarsi anche attraverso atti di resistenza passiva: un’equiparazione “aberrante” secondo gli studiosi citati dalla Cassazione, in quanto finisce per incriminare “la mera disobbedienza”, ossia “ogni atto di ribellione non connotato da violenza o minaccia, quali, ad esempio, il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria”.

Preoccupazioni analoghe riguardano i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr), dove si rischia di criminalizzare la disobbedienza e la resistenza passiva, aggravando ulteriormente situazioni già critiche; nel caso delle rivolte in carcere e nei Cpr, «il precetto non fa alcun riferimento alla “legittimità” degli ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza», oltre a violare il «principio di proporzionalità» nell’eventuale uso di resistenza passiva. 

Anche il divieto di commercializzazione dei prodotti a base di cannabis light (priva di principio attivo stupefacente), “in assenza della dimostrazione scientifica” che il loro uso “possa provocare effetti psicotropi o nocivi sulla base dei dati scientifici disponibili e condivisi, potrebbe confliggere con principi di rango costituzionale”, in particolare il principio di affidamento del privato e quello di libertà di iniziativa economica. 

Sulla cosiddetta norma “anti-no Ponte”, la nuova aggravante della resistenza a pubblico ufficiale commessa “al fine di impedire la realizzazione di infrastrutture“, la Corte condanna – citando un commento scientifico – la scelta di prevedere “pene draconiane sulla base delle motivazioni ideologiche poste a fondamento del dissenso, vale a dire l’opposizione alla realizzazione della grande opera, le quali non possono considerarsi di per sé indice di maggiore o minore gravità” del reato.

La Cassazione mette in guardia sul «rischio di colpire eccessivamente gruppi specifici, come minoranze etniche, migranti e rifugiati» e sulle potenziali «discriminazioni e violazioni di diritti umani». Dalla disamina si evince l’estrema «incertezza applicativa» di alcune norme, per come sono state formulate le fattispecie di reato ma anche le aggravanti e gli aumenti di pena. in Molte parti del testo governativo i giudici riscontrano la possibile violazione dei principi costituzionali di «materialità», «precisione e determinatezza», «offensività», «uguaglianza», «autodeterminazione», «ragionevolezza» e «libertà di manifestazione del pensiero».

DISCRIMINANTE è anche l’art. 15 che prevede l’esecuzione della pena negli Icam solo per le donne incinte o madri di figli di età inferiore ad un anno (un giorno in più all’anagrafe del bimbo fa la differenza). Come lo è distinguere tra i pubblici ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza nei reati di resistenza o violenza: «disparità di trattamento». Sempre in materia di ordine pubblico, il via libera a usare armi diverse da quelle d’ordinanza senza licenza non ha – attesta la relazione – alcun «plausibile ratio politico-criminale».

E poi ancora: la norma che punisce le occupazioni abusive presenta «eccessiva indeterminatezza», è «di difficile configurabilità», e non prevede alcuna possibile «forma di impugnazione».

In materia di terrorismo, sanziona «indistintamente comportamenti di carattere divulgativo» e attentati reali alla pubblica incolumità. 

La relazione della Cassazione individua “profili problematici” anche nei contenuti di alcune norme:    aggravanti “di luogo”: vengono citate le aggravanti introdotte per i reati compiuti “dentro e fuori le stazioni ferroviarie e della metro”. La Cassazione sottolinea come non sia chiaro per tutte le condotte punibili il nesso con il principio di offensività (secondo cui un reato deve ledere o mettere in pericolo un bene giuridico). Inoltre, il riferimento alle “immediate adiacenze” delle stazioni può generare incertezze interpretative e disparità di trattamento, come già evidenziato dal CSM (Consiglio Superiore della Magistratura); dubbi vengono espressi anche sulle aggravanti che rischiano di colpire “l’area della manifestazione del dissenso”, come quelle applicabili nei cortei. Questo potrebbe portare a una criminalizzazione eccessiva di condotte legate alla protesta e alla libera espressione.

Dichiarazione delle prigioniere politiche iraniane contro l'aggressione Israele/Usa - Traduzione della dichiarazione

Raffaella Formenti - Taranto:  

"I bombardamenti israeliani sull'Iran uccidono i prigionieri non li liberano!"

17 ore fa

Dichiarazione di quattro prigioniere politiche nel carcere di Evin: comunicato pubblicato sulla pagina del Kanoon-e Zanan-e Irani (Centro delle Donne Iraniane) mentre vincitrici del Premio Nobel per la Pace o registi premiati con riconoscimenti politicizzati scelgono di tacere sull’illegalità di un attacco al proprio Paese e si concentrano solo sulla questione dell’arricchimento dell’uranio, leggete cosa scrivono combattenti e prigioniere politiche dal carcere di Evin.

"L’identità degli Stati Uniti e del “regime fascista di Israele” è fondata su “aggressione” e “infanticidio

Quattro donne prigioniere politiche nel carcere di Evin, tra cui Variesheh Moradi, condannata a morte, hanno pubblicato una dichiarazione con tono deciso, in cui definiscono i crimini del regime israeliano a Gaza e in altri Paesi del Medio Oriente come “genocidio” e “barbarie sistematica”, criticando duramente il sostegno delle potenze globali, in particolare degli Stati Uniti, a tali crimini. Sottolineando che Israele è nato con l’occupazione e la violenza, affermano che fare affidamento su forze del genere è un tradimento nei confronti del popolo iraniano e delle genti della regione.

Testo integrale della dichiarazione:

Israele è nato attraverso massacri e crimini, ha preso possesso delle terre con l’occupazione, e nel corso della sua esistenza ha trasformato il Medio Oriente in un campo di guerre infinite con aggressioni e genocidi.

Israele, come avamposto degli Stati Uniti in Medio Oriente, è emerso come rappresentante delle superpotenze mondiali nel dopoguerra e fin dall’inizio ha mostrato la sua barbarie al mondo: in Palestina, Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen, e più recentemente con il genocidio a Gaza.

In nessuno di questi Paesi si sono trovate armi nucleari né vi erano preparativi per l’arricchimento dell’uranio.

Il genocidio non ha bisogno di una giustificazione logica, ma la democrazia occidentale cerca sempre un pretesto per giustificare la sua barbarie permanente e per conservare la facciata democratica che rivendica.

L’identità degli Stati Uniti e del “regime fascista di Israele” si è formata attraverso l’aggressione e l’infanticidio; ovunque si siano rivolti, hanno portato solo guerra e distruzione.

Condanniamo l’attacco all’Iran, l’uccisione di civili e la distruzione delle infrastrutture del Paese da parte del “regime sionista” e dei suoi sostenitori americani — come condanniamo anche gli altri loro crimini nel mondo e nel Medio Oriente.

Il sostegno a Israele e la fiducia nel suo potere distruttivo da parte di qualsiasi individuo, gruppo o movimento politico, qualunque sia il sogno o l’illusione perseguita, è anch’esso condannabile e riflette la bassezza e la meschinità dei suoi sostenitori.

La nostra liberazione, quella del popolo iraniano, dal regime dittatoriale che governa il Paese, sarà possibile solo con la lotta delle masse e facendo affidamento sulle forze sociali — non sperando nel sostegno delle potenze straniere.

Queste potenze, che da sempre perseguono i propri interessi attraverso lo sfruttamento, il colonialismo, le guerre e i massacri, non porteranno altro che rovina e una nuova forma di sfruttamento per i Paesi della regione.

La distruzione delle infrastrutture della Siria dopo la caduta di Assad, e la prospettiva di applicare lo stesso metodo in Iran, dimostrano la brama di Israele per un Medio Oriente debole e soggiogato.

Questo indica che, nel nuovo disegno per il Medio Oriente, potrà sopravvivere solo un ordine che accetti senza condizioni il dominio di “Israele” sulla regione.

Ai traditori dell’Iran,

ai traditori dei popoli del Medio Oriente,

ai traditori delle lotte per la libertà del popolo contro l’oppressione:

sappiate che il vostro tradimento e la vostra ignominia saranno registrati nella memoria del popolo iraniano e nella storia.

Le generazioni future ricorderanno con vergogna coloro che hanno danzato sui cadaveri di un popolo indifeso.

Reyhaneh Ansari,
Sakineh Parvaneh,
Varisheh Moradi,
Golrokh Iraee

Giugno 2025

Carcere di Evin"

HELIA HAMEDIANI

Lega e Fdi riscrivono il reato di femminicidio: solo chi uccide una donna per reazione a un “rifiuto” verrà punito

Da Fanpage - stralci
La nuova versione del reato di femminicidio prevede l’ergastolo solo nel caso in cui l’assassinio scaturisca dal rifiuto di una donna di stabilire o continuare una relazione affettiva, o dal tentativo di costringerla a una condizione di sottomissione. Una stretta normativa che chiarisce alcuni punti ma rischia di lasciare fuori moltissimi altri casi.
Le relatrici del disegno di legge, la presidente della Commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno (Lega) e la senatrice Susanna Campione (Fratelli d’Italia), hanno presentato infatti un emendamento che modificherebbe radicalmente la nuova fattispecie introdotta nel Codice penale, con l’obiettivo di rendere "meno vaga e più applicabile la norma". 
Se nel testo varato dal Consiglio dei ministri lo scorso marzo si puniva con l'ergastolo chi uccideva una donna come "atto di discriminazione o di odio" legato alla sua appartenenza di genere o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti e libertà, adesso l'attenzione si sposta sulla prova di una motivazione specifica e circoscritta. Secondo la nuova versione, il reato si configurerebbe solo quando l'assassinio è diretta conseguenza del rifiuto della donna di stabilire o mantenere una relazione affettiva, oppure della sua opposizione a subire "una condizione di soggezione o limitazioni della sua libertà imposte in ragione della sua condizione di donna".
Una stretta normativa che rischia, nella pratica, di lasciare fuori moltissimi casi di femminicidio. Uno degli esempi più emblematici, come viene spiegato da alcuni esperti in materia, è la vicenda di Giulia Tramontano, uccisa da quello che era allora il suo compagno, oggi condannato all’ergastolo, per cui è stata però esclusa la premeditazione. In quel caso, pur essendoci un contesto di maltrattamento e prevaricazione. In altre parole, pur essendo chiara la matrice di violenza e prevaricazione sulla donna, potrebbero restare fuori dal reato specifico di femminicidio episodi che invece lo rappresentano a pieno e finendo per penalizzare la realtà dei fatti.

Le perplessità dei giuristi e dei magistrati andrebbero poi oltre la definizione dei motivi alla base dell’omicidio e toccherebbero un altro nodo: il rispetto del principio di uguaglianza. Come osservato dal professor Gian Luigi Gatta, limitare la nuova fattispecie alla sola uccisione di una donna finirebbe per sollevare alcuni problemi; il primo fra tutti riguarderebbe l’identificazione stessa della persona offesa: la norma, riferendosi esplicitamente alla “donna” e facendone un requisito essenziale, secondo Gatta, sembra legata a una concezione strettamente biologica del genere. "In base al principio di legalità e al divieto di analogia in materia penale, ciò significherebbe escludere dal reato chiunque non rientri in quella definizione, come ad esempio una persona transgender in fase di transizione, pur essendo percepita e colpita in quanto donna".
Come molti esperti e operatrici sul campo continuano a sottolineare, la risposta alla piaga dei femminicidi non può esaurirsi solo nell’inasprimento delle pene. Le radici della violenza di genere vanno recise a monte... Senza un quadro normativo chiaro e inclusivo, e soprattutto senza una visione più ampia e coraggiosa di prevenzione e protezione, c'è il rischio di rendere la nuova norma troppo stretta e, paradossalmente, di lasciar fuori troppi casi drammatici.

27/06/25

I bombardamenti israeliani sull'Iran uccidono i prigionieri non li liberano! - Dichiarazione contro l'aggressione delle prigioniere politiche iraniane


 Depuis la prison d’Evin à éhéran, quatre prisonnières politiques dénoncent l’agression militaire des États-Unis et d’Israël contre l’Iran à travers la publication d’une déclaration.  […] Nous condamnons l’attaque contre l’Iran, le massacre de civils et la destruction des infrastructures du pays par le « régime sioniste » et ses soutiens américains, tout comme nous condamnons les autres crimes commis dans le monde et au Moyen-Orient.

De même, tout individu, groupe ou courant politique qui soutient Israël ou s’appuie sur sa puissance destructrice – quels que soient ses rêves ou sa vision – est condamné sans équivoque. Un tel soutien est une marque de honte et de corruption morale.

La libération du peuple iranien de la dictature qui règne sur notre pays ne se fera que par la lutte de masse et la puissance des forces sociales, et non par l’attachement ou l’espoir d’une intervention étrangère. […]

Varisheh Moradi, Sakineh Parvaneh, Reyhaneh Ansari, Golrokh Iraee

Varisheh Moradi est condamnée à mort, elle est membre de la Communauté des femmes libres du Kurdistan oriental (KJAR) et a également combattu Daech en Syrie. Sakineh Parvaneh est aussi kurde et a été condamnée à sept ans et demi de prison et également arrêtée lors des manifestations de Mahsa Amini. Reyhaneh Ansari est une militante syndicale condamnée à quatre ans de prison. Golrokh Iraee est une écrivaine et militante arrêtée lors des manifestations après la mort de Mahsa Amini.

Lire la déclaration    https://www.instagram.com/p/DLChpTZI0Up/?igsh=MTJnNDZ5Z3YxeHM2OQ%3D%3D&img_index=8

26/06/25

Formazione rivoluzionaria delle donne - Chiarezza sul "patriarcato"

Nel movimento femminista, sia in Italia, sia all'estero e in particolare nel movimento delle donne nei paesi imperialisti, è uso comune usare il termine "patriarcato" nella denuncia della condizione di oppressione, delle varie forme di violenza sessuale, femminicidi delle donne. Pur appoggiando la motivazione e il significato che viene dato a questo termine, riteniamo che soprattutto nei paesi imperialisti occorre fare chiarezza, al servizio di una analisi attuale dell'oppressione delle donne, che ha implicazioni sulla lotta da fare.
In un dibattito con compagne di altri paesi imperialisti affrontammo questa questione - riportiamo un pezzo. (E' disponibile l'opuscolo che raccoglie alcuni di questi incontri internazionali, in cui si sono affrontate tante altre questioni).
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"...- La differenza tra paesi oppressi dall'imperialismo e paesi imperialisti. Nei paesi oppressi la permanenza di sistemi feudali o semifeudali e quindi di condizioni semifeudali sono la base materiale dell’esistenza di forme di patriarcato. Nei paesi imperialisti non c'è evidentemente il “patriarcato” come forma storica di organizzazione sociale, ma è il sistema capitalista allo stadio più avanzato, l'imperialismo, che esercita direttamente ogni forma di oppressione verso le donne, intrecciando forme moderne e forme “patriarcali”, che noi abbiamo sintetizzato nella parola “moderno medioevo”. 
- Nei paesi imperialisti è importante denunciare il legame dell'oppressione sessuale, del ruolo della famiglia, con il percorso verso regimi moderno fascisti dei paesi imperialisti, nella attuale fase di crisi economica. Il moderno fascismo è l’edificazione a sistema di tutto ciò che è reazionario, maschilista. La crisi, poi, con tutte le sue conseguenze economiche, lavorative, di vita, non porta solo pesanti, drammatiche effetti sulle condizioni dei lavoratori, nelle famiglie, ma porta anche un elemento di frustrazione, di sofferenza/devastazione ideologica, che sempre più si trasforma in imbarbarimento dei rapporti umani, di cui le donne subiscono tutte le conseguenze. L'oppressione verso le donne nei paesi imperialisti è più, quindi, frutto della reazione, dell'attuale odio verso le donne che vogliono ribellarsi, rompere legami familiari (“Uomini che odiano le donne”), che frutto di riproposizione di concezioni patriarcali. 

Questa chiarezza sul “legame” è necessaria anche nella lotta nei paesi imperialisti contro il riformismo, il femminismo borghese e piccolo borghese. 
Per combattere, da un lato, l'idea che la condizione di discriminazione e oppressione delle donne, il ruolo di subordinazione che viene mantenuto e anzi rafforzato nella crisi, all'interno della famiglia perchè sempre più utile come “ammortizzatore sociale”, con tutto il carico tragico di violenze sessuali e uccisioni, siano da addebitare unicamente al permanere di aspetti del patriarcato, e come tali, in contrasto con l'attuale sistema sociale; e di conseguenza, a questo normalmente si risponde con proposte e politiche riformiste che vedono l'albero e non la foresta, gli effetti e non la causa e vogliono mascherare la vera causa che è l'attuale sistema capitalista e deviare la lotta contro di esso.
Dall'altro l'idea, presente soprattutto nei settori della borghesia, che negando una pesante presenza di concezioni, ideologie, condizioni di vita, che possiamo definire "patriarcali", vogliono negare la condizione generale e sociale di subordinazione delle donne, o nei fatti la limitano a situazioni individuali in contrasto con una società che consentirebbe alle donne un percorso emancipativo; e di conseguenza a questo si risponde con il pensiero e la politica del "gli ultimi restano indietro" (per colpa loro), e con la "emancipazione" solo per una ristrettissima minoranza di donne della propria classe, e rigidamente all'interno dei canoni del sistema borghese..."

Il diritto d'aborto non si tocca! Chiaro?!

da vdnews

«La Repubblica assicura la tutela della vita di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale». È questa la formula, densa di implicazioni ideologiche e giuridiche, che apre la bozza di legge sul suicidio assistito presentata da Fratelli d’Italia, attesa alla discussione formale nella prossima seduta del Comitato ristretto del Senato, fissata per martedì 1° luglio.
Un testo ancora in fase di definizione, ma già nella sua forma attuale capace di scuotere le opposizioni e persino di creare malumori all’interno della stessa maggioranza. Perché quella formula, ripresa direttamente dal vocabolario della galassia pro-life e della dottrina cattolica più rigorosa, rischia di diventare un grimaldello per mettere in discussione, anche indirettamente, la legge 194 sull’aborto.
Le preoccupazioni non si fermano alla formula d’apertura. La bozza prevede infatti l’istituzione di un Comitato nazionale di valutazione etica, incaricato di esaminare le richieste di accesso al suicidio medicalmente assistito. Una volta ricevuta la domanda, il comitato avrà 60 giorni di tempo per esprimersi, prorogabili di ulteriori 60 nei casi più complessi. Se la richiesta venisse respinta per mancanza dei requisiti, la persona malata non potrà ripresentarla prima di 48 mesi.
Un ulteriore passaggio critico riguarda le cure palliative: il testo prevede che, prima di poter accedere al suicidio assistito, la persona debba necessariamente essere stata messa in condizione di riceverle. In teoria una garanzia, nella pratica un potenziale ostacolo burocratico, soprattutto alla luce delle gravi carenze territoriali nella rete delle cure palliative.
Ma è soprattutto sulla formula d’apertura dell’articolo 1 che si gioca la partita più insidiosa. L’introduzione del principio della tutela della vita “dal concepimento alla morte naturale” in una legge sul fine vita rischia di creare un precedente giuridico pericoloso. Il rischio è che una volta approvata, quella formula potrebbe essere richiamata in giudizio per contestare l’interruzione volontaria di gravidanza.

25/06/25

Il corpo di Adriana Smith come Gilead: distopia reale del patriarcato capitalista

(Di Alice Castiglione)
Il corpo di Adriana Smith come Gilead: distopia reale del patriarcato capitalista
Nel mondo di The Handmaid’s Tale, le donne fertili vengono costrette a partorire per conto dello Stato. Perdono nome, diritti, volontà. Diventano funzione. Solo uteri ambulanti per una società teocratica che santifica la vita non nata, mentre distrugge quella viva.
Non serve più immaginare Gilead.
Gilead è già qui.

Adriana Smith era cerebralmente morta. Ma il suo corpo è stato mantenuto in funzione come macchina riproduttiva, non perché lei lo avesse scelto, non perché la sua famiglia lo desiderasse, ma perché la donna é proprietà dello Stato.
Come le Ancelle di Atwood, la sua esistenza è stata ridotta a uno scopo riproduttivo. E anche nella morte, quel compito le è stato imposto.

La Georgia non è Gilead per caso.
È Gilead perché condivide gli stessi principi fondanti:

   Il feto ha più diritti della donna.
    La maternità è dovere.
    Il corpo femminile è una risorsa pubblica gratuita da sfruttare.
    La legge non protegge: controlla.

Il capitalismo patriarcale si nutre di questo schema.
Non gli basta che le donne lavorino: vuole anche che producano forza lavoro gratuita attraverso la riproduzione, possibilmente senza reclamare il diritto di scegliere.
Adriana è stata sacrificata in nome di un culto della vita che odia le vite libere, soprattutto se femminili.

Questo non è un caso clinico. È biopolitica necrocratica.
È l’estensione del dominio sulla carne anche oltre la morte.
Adriana è stata un’Ancella senza voce, senza nome, senza scelta.
Un corpo sospeso, colonizzato, controllato.
“Nolite te bastardes carborundorum” – ci ricorda June, la protagonista del racconto. Non lasciare che i bastardi ti schiaccino.

Ma chi può resistere quando sei morta e ti usano comunque?
Il corpo morto di Adriana Smith è il monumento macabro a un ordine sociale che calpesta la libertà, i diritti e la dignitá.
Anche in suo nome dobbiamo lottare per una rivoluzione delle Ancelle reali

Gilead non è fiction.
È politica.
E deve finire.