24/04/25

ASSEMBLEE E SCIOPERI CONTRO L'ACCORDO BIDONE CGIL/2.19 DELLE OPERAIE BERETTA

Non vogliamo tornare al tempo delle cooperative, basta appalto, basta multiservizi

Negli scioperi delle operaie appalto/Beretta, contro l'accordo bidone Cgil/2.19 

la denuncia dei salari come emergenza nazionale, la solidarietà al popolo palestinese

Nella fabbrica dell'appalto che condanna le operaie ad un lavoro precarizzato con 400 euro in meno con la paga delle pulizie per un lavoro UGUALE a quello delle operaie dirette Beretta e che le mette in concorrenza dividendole, un nuovo fronte di lotta si è aperto contro l'accordo aziendale Cgil/2.19, che prima di tutto calpesta il diritto a decidere delle operaie, firmato a sorpresa senza e contro le lavoratrici, dalla Cgil. Senza mandato. E come avrebbe potuto essere! 

Per un aumento di 2.19 euro lordi al mese, difende solo i profitti padronali, prevede l’appalto e la condizione di sottomesse per le operaie, comprende l’aumento della produttività che il sindacato ha già concesso e con pochi euro di maggiorazione spinge le operaie, come vuole l'azienda, a fare gli straordinari e i turni più disagiati. E' un attacco alla ribellione delle operaie, a partire da quelle organizzate con Slai Cobas, che tra avanzamenti ed inevitabili difficoltà, hanno sperimentato in questi anni un modo diverso per affrontare la fabbrica unendosi nella lotta e non solo nella fatica e nello sfruttamento.

Con un nuovo giro di assemblee in un ritrovato positivo clima di unità, sono state decise ancora iniziative di mobilitazione contro questo accordo che merita solo di essere contestato, strappato e per smascherare il collaborazionismo della Cgil.

https://cobasperilsindacatodiclasse.blogspot.com/2025/03/accordo-alla-beretta-quanto-valgono-le.html

Nelle assemblee abbiamo provato anche a vedere, dal punto di vista operaio, la situazione attuale tra dazi, riarmo, crisi scaricate sugli operai, la questione salariale che è una vera e propria emergenza nazionale, da sciopero generale contro padroni e governo.

E mentre aumentano, siamo a circa 18, le grandi inchieste avviate in provincia sulle cosiddette società serbatoio di manodopera (anche Beretta ne fu coinvolta nel 2022), la Cgil al Salumificio ha alzato la bandiera del padrone a tal punto che l’accordo/2.19 non contiene più la clausola di garanzia per il posto di lavoro per le operaie dell’appalto sottoscritta da Slai Cobas con Beretta nell’accordo precedente del 2021, creando un clima di tensione e ansia tra le lavoratrici per le prospettive occupazionali. Proprio quello che vuole l’azienda, che da anni ci prova a spingere le operaie Slai Cobas ad abbandonare la fabbrica con dimissioni incentivate.

Mentre, anche come possibile effetto delle inchieste, in altre fabbriche del gruppo Beretta gli appalti vengono chiusi… internalizzati come alla Del Zoppo Bresaole in Valtellina o alla Wuber in provincia di Bergamo.

  Nel link il servizio sull'accordo di Radio Onda D'Urto

https://www.radiondadurto.org/2025/04/22/bergamo-vertenza-al-salumificio-beretta-due-scioperi-per-dire-no-allaccordo-interno/

Verso l'80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo - NOME DI BATTAGLIA ELENA! La doppia lotta della compagna partigiana, gappista, Carla Capponi

Un grande esempio quello di Carla Capponi, militante del PCI, insieme a tante altre compagne partigiane, a cui guardare nella fase attuale del moderno fascismo e moderno medioevo che avanza, per la lotta  che serve oggi
Verso una nuova Resistenza. 
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La  militanza di Carla Capponi comincia il giorno dopo l’assedio di San Lorenzo, a Roma. Carla, che proviene da una famiglia di origine marchigiana di fede antifascista, lavora come dattilografa nel Corpo reale delle miniere quando, il mattino del 14 luglio 1943, sente le sirene dell’allarme suonare. Va subito a soccorrere i feriti e a nascondere nella Basilica gli ebrei rimasti in città. Il giorno dopo la fine del bombardamento, da cui il quartiere esce libero e resistente, un’amica le chiede di ospitare a casa sua una riunione di alcuni cattolici comunisti. Mentre gli antifascisti redigono copie clandestine de L’Unità, Carla suona i notturni di Chopin al pianoforte per coprire i rumori della riunione: è l’inizio della sua attività politica.
Ma è solo dopo l’8 settembre che Carla si unisce alla Resistenza. Il suo primo incontro con i partigiani è casuale: li vede camminare davanti a casa sua e, ignorando l’insistenza della madre che cerca di dissuaderla dall’uscire e unirsi a loro, decide di raggiungerli. Qui si trova, disarmata e impreparata, in mezzo agli scontri di Porta San Paolo. L’esperienza la segna nel profondo: estrae i corpi dei soldati dai carri armati, soccorre i feriti usando come garze la sua sottoveste e per la prima volta capisce cosa sia la guerra. Decide che non può più stare a guardare, e che vuole seguire quelle donne e quegli uomini armati finché ce ne sarà bisogno. La sua casa nel frattempo è diventata una sorta di quartier generale dei comunisti romani e, quando si costituiscono i Gap (ndr. organzzati dal Partito Comunista d'Italia), i Gruppi di azione patriottica, lì comincia a riunirsi la sezione femminile. Carla prende il nome di battaglia di Elena. Interi quartieri si mobilitano per contrastare i nazisti: alla Garbatella le armi si nascondono dappertutto, al cinema, dal farmacista, nelle trattorie. All’ospedale di San Giacomo si organizzano corsi clandestini per insegnare alle volontarie a fermare emorragie e fare iniezioni.
Inizialmente a Carla vengono assegnati compiti di sorveglianza o da staffetta, ma la giovane non vuole restare nell’ombra, vuole combattere. I Gap però si rifiutano di fornire armi alle donne che, nel caso di attacchi, avrebbero dovuto fingersi loro fidanzate per non essere coinvolte in prima persona. Carla allora decide di rubarne una, sfilando una Beretta 9 a un militare della Guardia nazionale repubblicana su un autobus affollato. È una donna coraggiosa e sicura di sé, a volte sprezzante del pericolo: quando Guglielmo Blasi (che poi verrà processato per collaborazionismo) era scappato per la paura durante l’attacco contro alcuni camion tedeschi in piazza Vittorio, era rimasta da sola a combattere contro i nazisti. Dopo lo sbarco di Anzio e dopo aver contribuito alla fuga di Pertini, comincia un periodo duro per i Gap romani, arrestati uno dopo l’altro. Carla allora, insieme a compagne e compagni, si dà alla clandestinità, rifugiandosi a Centocelle. Il 3 marzo 1944, quando assiste all’uccisione da parte di un soldato tedesco di Teresa Gullace (raccontata anche in Roma città aperta di Rossellini) – una donna che stava cercando di parlare col marito prigioniero nella caserma di viale Giulio Cesare – Carla reagisce d’impulso puntando la pistola contro il militare. Viene immediatamente arrestata dai nazisti, ma non prima che la sua amica Marisa Maru le tolga l’arma dal cappotto e le infili un tesserino del Partito fascista in tasca. In caserma, Carla si presenta come Marisa e, approfittando del fascino che esercita sul soldato di guardia, riesce a farsi rilasciare.
                                         Carla Capponi (in basso al centro) insieme a un gruppo di gappisti romani, 1944

L’attentato di via Rasella. Giovedì 23 marzo, i Gap romani decidono di attaccare la colonna di SS che passa di lì ogni giorno, di ritorno dalle esercitazioni dal poligono di tiro di Tor di Quinto. Via Rasella viene scelta per la sua conformazione: stretta, priva di negozi (e quindi poco frequentata), ma soprattutto in salita. Il progetto iniziale prevedeva una bomba a tempo depositata all’altezza di palazzo Tittoni, a cui sarebbe seguita una scarica di bombe a mano all’incrocio di via del Boccaccio. Ogni gappista ha un ruolo: l’ordigno principale viene nascosto in un carrettino della spazzatura, e sarebbe stato innescato da Rosario “Paolo” Bentivegna travestito da spazzino. Carla invece deve trasportare dei mortai in alcune buste della spesa, celati da qualche verdura, e aiutare Paolo nella fuga facendogli indossare un cappotto per nascondere la divisa da spazzino. Al passaggio del I battaglione del Polizeiregiment Bozen, dato il segnale, Paolo accende la miccia e in circa cinquanta secondi la bomba esplode, causando la morte di 33 militari e qualche civile. È il caos. L’esplosione innesca le granate dei soldati, generando ulteriori deflagrazioni, mentre la colonna viene raggiunta da altre tre bombe a mano. Segue un feroce scontro a fuoco, in cui nessuno dei gappisti rimane ucciso o ferito, né viene fatto prigioniero. I nazifascisti, colti di sorpresa, cominciano a sparare verso le finestre, mentre Carla e Paolo scappano.
La reazione tedesca  è terribile. Il quartiere viene devastato per cercare i responsabili della strage e i rastrellamenti culminano nel terribile eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui perdono la vita 335 persone, 10 per ogni soldato tedesco. Su questo episodio, si sono svolti numerosi processi per stabilire se l’attentato abbia costituito un’azione di guerra legittima o meno. Nel 1999 la Prima Sezione Penale della Corte di cassazione ha confermato che si è trattato di un “atto legittimo di guerra”... (da The Vision).


Dall'intenso libro scritto da Carla Capponi "con Cuore di Donna" 

"...Avevo bisogno di ritrovare tutte le ragioni che mi portavano a compiere quell'attacco [di via Rasella]. Ripensai al bombardamento di San Lorenzo, a quella guerra ingiusta e terribile, alle voci dei bambini del brefotrofio imprigionati dal crollo, allo strazio delle distruzioni che si vedevano ovunque e di cui avevamo notizia ogni giorno; ai nostri compagni fucilati, torturati a via Tasso; a tutti i deportati di cui non avevamo più notizia; ai duemila ebrei nei lager; a tutti i paesi oltralpe sconvolti dalla devastazione. A quanti tra i miei amici erano già morti: sul fronte russo, in Grecia, in Iugoslavia, a mio cugino Amleto Tamburri morto a El Alamein, lui, figlio di un socialista. [...] Ma a poco a poco mi convinsi che non preparavo un agguato a innocenti: quegli uomini erano stati educati, abituati a uccidere; l'operazione di "selezione della razza" (l'attuale pulizia etnica) era per loro un risanamento della società. [...] Così, recuperai la visione esatta della realtà che stavo vivendo: per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi..."

Verso l'80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Il ruolo delle donne dall'opuscolo :"Una mattina mi son svegliata" - 3

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA 
La celebrazione di questo giorno è svolta in una atmosfera di giubilo per la vittoria dell’esercito rosso e delle armate angloamericane sul suolo tedesco. Le donne italiane hanno fatto dell’8 marzo una giornata di mobilitazione e di lotta di tutte le forze femminili antifasciste ed antitedesche. All’ appello e sotto la direzione dei Gruppi di difesa della donna, in tutte le città, nei grandi e nei piccoli centri, tutte le operaie, le impiegate, le casalinghe e le intellettuali, sono scese in campo agitando tutte le rivendicazioni immediate contro la fame e le violenze nazifasciste. In questo giorno sono state ricordate tutte le donne cadute eroicamente sulla breccia e le combattenti che lottano clandestinamente, sfidando ogni giorno la deportazione, il carcere, le torture ed anche la morte. A Milano alcune centinaia di donne si sono recate al cimitero ricoprendo di fiori le tombe dei nostri eroici caduti. I mazzi di fiori erano legati con nastro tricolore portando i nomi dei Gruppi di difesa della donna. 

Dopo qualche minuto di raccoglimento e fra la commozione di tutti i presenti un’aderente lesse l’elenco delle nostre eroine cadute per la liberazione dell’ Italia e commemorò tutte le vittime. Un’ altra donna prese pure la parola incitando alla lotta; un cieco vittima del fascismo, presente alla manifestazione, volle prendere la parola. Mentre parlava copiose lacrime scendevano dai suoi occhi spenti, suscitando ancora più la commozione dei presenti. Sempre a Milano, una grande manifestazione avvenne alla prefettura ed alla SEPRAL, dove centinaia di donne reclamavano viveri e combustibili. “Siamo la rappresentanza di tutte le donne milanesi”, esse dissero, “vogliamo viveri perché abbiamo fame e della legna perché manca il gas.” Le donne si batterono coraggiosamente contro il prefetto e i dirigenti della SEPRAL che cercavano di calmarle e lasciarono gli uffici solo in seguito alla promessa che sarebbe avvenuta subito una distribuzione di viveri. Quasi in tutte le fabbriche vi furono alcune ore di sciopero e la presentazione a mezzo di delegazione, di rivendicazioni salariali; distribuzione di manifestini che spiegavano il significato dell’8 marzo, affissione di manifestini con i nomi delle eroine cadute e grandi cartelli con le scritte a stampatello inneggianti alla giornata della donna, ai Gruppi di difesa, ai partigiani. In alcune fabbriche furono esposte fotografie di donne fucilate, con la dedica: “Gloria e onore alle eroine cadute”. L’ esposizione è durata tre ore e durante tutto questo tempo due aderenti ai “Gruppi della donna”, a turno, con i nastri tricolori puntati sul petto, montarono la guardia d’ onore. 

Tutte le maestranze riverenti e commosse hanno sfilato dinanzi alle fotografie. Gli stabilimenti furono imbandierati un po’ dappertutto. Bandierine su ogni macchina, sugli orologi dei reparti, nastri tricolori sui capelli e sul petto delle donne. Furono raccolte somme a favore dei Gruppi e del nostro giornale “Noi donne” e pro partigiani. In vari stabilimenti nostre aderenti, venute da fuori, hanno parlato alle maestranze, nei refettori e nei reparti, sollevando ovunque vivissimo entusiasmo. I comizi terminavano al canto di inni e inneggiando ai Gruppi di difesa della donna. Anche a Torino ebbero luogo manifestazioni al cimitero e nelle fabbriche. Così in Liguria, in Emilia, veneto e dovunque, l’ 8 marzo è stato per le donne dell’ Italia occupata un giorno di lotta contro i nemici della patria. 

(Della manifestazione al cimitero di Torino abbiamo riportato sopra) ASSISTENZA L’ assistenza è uno dei compiti più importanti della nostra organizzazione. In un primo tempo l’assistenza veniva praticata quasi tutta attraverso ai vari partiti e solo in piccola parte a mezzo delle organizzazioni femminili e dei comandi militari. Ora quasi tutto il lavoro assistenziale è svolto dai Gruppi di difesa: assistenza morale e materiale alle famiglie colpite dalla reazione, assistenza sanitaria alle famiglie sussidiate, distribuzione di generi vari oltreché di denaro ai più bisognosi (scarpe, indumenti, viveri ecc.). Nostre insegnanti si prestano a dare lezioni ai bambini che ne abbisognano, offrendo loro libri e quaderni. E’ svolta inoltre l’assistenza ai carcerati con l’invio di pacchi, denaro, scambio di lettere tra famiglie e carcerati. Per pasqua erano stati inviati ai carcerati pacchi collettivi. 

A Milano per esempio furono inviati cinquantasei pacchi contenenti ognuno cento ravioli, due salami, diciotto uova sode, cinque pacchi di sigarette, un chilogrammo di formaggio grana, tre etti di burro, due etti di sale, quattro etti di zucchero, tre colombe dolci da mezzo chilogrammo l’una, un vaso di marmellata, un vaso estratto di carne. La merce in alcuni posti è stata offerta dal CLN ed i pacchi confezionati dalle donne dei Gruppi. Sempre per opera dei gruppi in varie località viene svolto abbastanza bene il servizio postale fra partigiani e famiglie. Si aiutano poi i malati e i tubercolosi ritornati dalla deportazione in Germania. Ormai tutti i partiti apprezzano l’attività e il grande lavoro svolto dalla nostra organizzazione nel campo dell’assistenza. Si riconosce che tutti i compiti assistenziali devono essere affidati a questo organismo femminile che ha già dato tante buone prove. Ogni mese milioni e milioni di lire vengono distribuite in modo equo fra migliaia di famiglie. VOLONTARIE DELLA LIBERTA’ 



Già prima che si costituissero le brigate e i distaccamenti delle “Volontarie della libertà”, per iniziativa dei Gruppi, le donne lavoravano attivamente con le organizzazioni armate (partigiani, GAP, SAP, ecc.) come infermiere nelle formazioni, staffette, portaordini ecc. Il primo distaccamento si è costituito in Piemonte sei o sette mesi fa. Composto di spose, di mamme e di sorelle di partigiani. Le componenti questo distaccamento che lavoravano sulla montagna accanto alla II brigata Garibaldi, “Giambone”, avevano vari compiti: qualcuna funzionava come collegatrice o staffetta, ma in maggioranza esse davano la loro opera come cuoche, lavandaie e stiratrici. In Liguria, poco dopo, furono costituite tre brigate cittadine di SAP femminili con i nomi di “Alice Noli” prima donna genovese fucilata; “Irma Bandiera”, fucilata a Bologna; “Anita Garibaldi”. Gruppi di volontarie funzionano poi in Piemonte, in Lombardia, in Emilia ecc. In questi ultimi tempi si stanno organizzando pronte a partecipare all’ attacco finale. Le volontarie sono inquadrate in squadre di pronto soccorso di sanità, in squadre per il recupero di armi e munizioni, per i tagli dei fili telegrafici, per asportare pali indicatori tedeschi e per il lancio di chiodi sulle strade camminabili. Vi sono delle squadre di informatrici, staffette, collegatrici. Abbiamo alcune commissarie politiche nelle formazioni partigiane. Delle audaci volontarie hanno portato via dagli ospedali i partigiani feriti che erano in attesa di essere fucilati. In alcuni posti se li sono caricati sulle spalle, non potendo i feriti camminare, trasportandoli in luoghi più sicuri. Le nostre volontarie espongono continuamente la vita e lo fanno con grande coraggio. Sovente vengono elogiate e citate all’ ordine del giorno per atti d’audacia e abnegazione. 

Molte di esse arrestate e torturate si sono comportate magnificamente non pronunciando una parola che potesse recar danno alle loro compagne e all’ organizzazione. Fra di esse vi sono delle fanciulle come Edera Francesca (19anni), la Irma Bandiera, le sorelle Arduino e tante altre, delle spose e delle mamme come la Clelia Corradini, Alice Noli ecc., che lasciarono dei bimbi in tenera età, e vi sono delle donne come la Binda Teresa, una vecchia mamma di 70 anni, fucilata perché riforniva di viveri il figlio partigiano e i suoi compagni. Le nostre eroine cadute raggiungono già un numero rilevante: Edera Francesca, Irma Bandiera, Alice Noli, Clelia Corradini, Binda Teresa, Sante Adele, Negri Ines, Paola Garelli, Franca Lanzoni, Arduino Libera, Arduino Vera e tante altre delle quali non abbiamo ancora i nomi.

23/04/25

Verso l'80° della liberazione del nazifascismo: un numero enorme di donne... - Dall'opuscolo "Una mattina mi sono svegliata..." - 2

I Gruppi di difesa delle donne. 
A proposito, del vuoto sui Gdd , la lacuna da colmare è che: “All’interno della resistenza, infatti, hanno assunto rilievo alcuni episodi che non sono forse i più importanti rispetto alla guerra guerreggiata, ma che hanno avuto un peculiare significato per il loro carattere di movimento e di azione organizzata condotta da donne in quanto tali, senza riscontro, credo, nel passato. Mi riferisco alle diverse manifestazioni dei Gdd e fra queste, esemplare a Torino, quella che avvenne al cimitero in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino, che appartenevano ai Gdd e che furono trucidate dai fascisti nella notte tra il 12 e il 13 marzo 1945. Questa manifestazione per la data in cui avvenne, il 16 marzo 1945, per l’adesione che ottenne (raccogliere pubblicamente qualche centinaio di donne in pubblica protesta non era, allora, fatto indifferente, per le conseguenze che ne seguirono (un centinaio di arresti), per le finalità cui era destinata, ha assunto nel ricordo di molte particolare rilievo. Rappresentava infatti il risultato di un lungo e tenace lavoro condotto per tanti mesi, tendente a unificare la partecipazione delle donne. E le donne vennero e con degli evidenti simboli comuni: mazzi di fiori, corone con “scritte”, “tutte con qualcosa di rosso”. Espressione di un movimento femminile organizzato che pur muovendosi nel contesto generale, ha saputo esprimere anche un’autonoma capacità di lotta…”. E’ il caso di rendere onore alle sorelle Vera e Libera Arduino – dal ricordo/commemorazione contenuto nel “Rapporto dei Gruppi di difesa della donna”: “Barbara uccisione di due giovani dirigenti – A Torino verso la fine di marzo il padre e due giovani ragazze erano prelevate da una squadra di fascisti, portate alla Pellerina e barbaramente uccise. Vera e Libera Arduino, due giovani di diciannove e ventun anni, lavoravano per l’organizzazione con tanta fede e volontà, riscuotendo le simpatie e l’ammirazione di tutte le donne con le quali erano in contatto. Una grande manifestazione di affetto verso le vittime e di esecrazione per l’atroce delitto ebbe luogo al cimitero. Una fiumana di popolo, più di duemila persone, si recarono con fiori e corone ad attendere le salme per dar loro l’estremo saluto…”. 

Quante sono state le donne che hanno partecipato alla Resistenza? I dati ufficiali: - 35.000 partigiane, sappiste e gappiste - 512 comandanti e commissarie di guerra - 4.633 arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti - 2750 deportate in Germania - 623 fucilate e cadute in combattimento - 1.750 ferite - 70.000 organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna Dati ufficiali che si discostano in maniera significativa dalle considerazioni di Arrigo Boldrini - famoso comandante - nome di battaglia Bulow - della guerra di Liberazione ed esperto militare che ebbe a dire: “Se in un esercito normale il rapporto fra combattenti e addetti ai servizi è di uno a sette, nella guerra partigiana è di uno a quindici; intorno a ogni patriota ci sono quindici persone che in grande maggioranza sono donne”. Il dato numerico è straordinario in sé, come straordinario e contro la vulgata che vorrebbe le donne spinte da spirito materno il ruolo delle donne, già dai primi giorni. Come giustamente ricostruito dopo l’8 settembre i soldati, sbandati, senza direttive in tantissimi abbandonano le divise e tentano di tornare a casa evitando treni e strade per non imbattersi nei tedeschi che, intanto, avevano avuto tutto il tempo per riorganizzarsi e rastrellavano gli uomini da mandare a lavorare in Germania. Sono le donne che si rendono conto della situazione e li nascondono, forniscono abiti civili, in qualche modo “danno indicazioni”, nello smarrimento generale. 
La parola d’ordine “basta con la guerra” accomuna da nord a Sud, militari e civili, soprattutto le donne che, in tantissime sono rimaste da sole con i vecchi e i bambini. “A Castelfranco Emilia circa mille marinai, provenienti da La Spezia, trovano al loro passaggio ai lati della via Emilia donne munite di abiti borghesi, scarpe e viveri. A Sassuolo, in piazza della Libertà, i tedeschi avevano concentrato i militari prigionieri, circondandoli con mitragliatrici: le donne non esitano, passando tra i tedeschi e le mitragliatrici per raggiungere i militari, a incoraggiarli a tentare la fuga”. Come mai tante donne? Il fascismo aveva rappresentato per le donne un “ritorno indietro”, dalle affermazioni sulle “caratteristiche” delle donne alla doppia morale, sul loro ruolo nella società: o madri prolifiche, successivamente meglio se di morti in guerra o strumenti di piaceri del maschio fascista ; ma è soprattutto con leggi apertamente discriminatorie, in primis sul lavoro, verso le donne che si dà applicazione pratica a queste concezioni, ricacciando le donne nel “focolare” e verso una condizione di sempre maggiore oppressione. Insomma, l’oppressione aumenta la ribellione: “Si può avanzare l’ipotesi che, poiché qui le leggi fasciste si erano sommate a una tradizionale arretratezza culturale, a una borghesia più reazionaria e a una Chiesa più potente – che nella sottomissione della donna trovavano ciascuna il suo tornaconto- proprio il maggior peso dell’oppressione abbia provocato la maggiore ribellione”. "E’ facile perché… 
 Perché il fascismo alle donne, non aveva proprio nulla da offrire, mentre c’era da temere che gli restasse sempre ancora qualcosa da togliere.” In tutti i lavori su donna e Resistenza si mette in evidenza come le donne hanno scelto, andando spesso contro genitori, mariti, vicini e/o, spesso, nascondendo la vera attività che svolgevano fuori casa, ma si coglie che tante sono state le motivazioni, la spinta iniziale: motivazioni di classe, lo sdegno per le persecuzioni degli ebrei, la solidarietà umana, l’aspirazione, forte, a un mondo diverso senza discriminazioni, migliore per le donne, senza sfruttamento… ma comunque già per se stesso un fatto dirompente. D’altra parte, la partecipazione fa maturare rapidamente, insieme alla preparazione politica e teorica che sarà impartita dalle “vecchie” militanti, come anche le regole della clandestinità. Soprattutto se si pensa al clima di terrore instaurato dai nazifascisti che significava carcere, torture, stupri, deportazione nei campi di concentramento, morte. 
Quel che è certo è che non fu un gruppo ristretto a partecipare, ma, in mille forme, contribuendo in vario modo, perché tutto è indispensabile, un numero enorme di donne: la rete di informazioni sui movimenti del nemico, l’organizzazione delle fughe dagli ospedali e dalle carceri, la cura dei feriti, l’approvvigionamento, il trasporto di viveri e armi, il sostegno alle famiglie dei deportati, dei prigionieri politici, informare le famiglie dei lutti, portare direttive. Un altro aspetto da tenere in considerazione è lo sviluppo ineguale che si è avuto nelle diverse regioni della Resistenza, ma anche la durata dell’occupazione nazifascista, oltre che una diversa coscienza nelle regioni in cui si erano sviluppate le lotte contadine ed operaie. La partecipazione per un più lungo tempo, la consuetudine con le lotte e l’organizzazione ha permesso di sviluppare una maggiore coscienza, come appare bene dalle testimonianze sullo sviluppo nelle diverse Regioni. 

E, allora, cosa furono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà, quale ruolo, attività svolsero? Intanto, la scelta del nome creò più di una perplessità soprattutto non si comprendeva la necessità di un’organizzazione specifica delle donne (ancora oggi sentiamo ”quando si lotta si lotta per le donne e gli uomini”, in una visione idealista – vedi in proposito La scintilla dello sciopero delle donne a cura del mfpr-), ma anche perché sembra voler relegare le donne a un ruolo “di genere” o la possibilità di un lavoro trasversale di donne appartenenti ad organizzazione diverse. Viene, invece, ben accolta dalle più giovani e dalle donne non appartenenti a un partito, perché dà loro la possibilità di partecipare in modo concreto ed, appunto, organizzato, visto che spontaneamente e/o a piccoli gruppi tante donne già si erano mobilitate. Diventerà, inoltre, la base per sviluppare- con non poche “defezioni”- una piattaforma sui problemi specifici delle donne per il dopo Liberazione. Dal citato Rapporto che ricordiamo è stato redatto nel corso della Resistenza, già, questo, basta a rendere conto della rete clandestina efficientissima, dell’enorme lavoro svolto in condizioni proibitive: “Nel novembre 1943 (a Milano, ndr) si riunirono alcune donne (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato comuniste; Laura Conti e Lina Merlin socialiste; Elena Dreher e Ada Gobetti, azioniste), appartenenti ai vari partiti aderenti al CLN, per gettare le basi di una organizzazione femminile, unitaria e di massa. Venne così elaborato ed approvato il programma dei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”. L’organizzazione che stava per sorgere doveva essere aperta alle donne di ogni ceto sociale: operaie, impiegate, massaie, intellettuali e contadine, alle donne di ogni fede religiosa e di ogni tendenza politica e a tutte le donne senza partito, persuase di unire le loro forze nella lotta contro i tedeschi e i traditori fascisti, disposte a dare la propria opera per la liberazione della patria e decise a far valere le proprie rivendicazioni. 
I compiti fissati erano i seguenti: organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne la resistenza alle violenze tedesche, il sabotaggio della produzione, il rifiuto dei viveri agli ammassi, raccogliere viveri, denaro, indumenti per i combattenti della libertà ed aiutarli in ogni modo; assistere le famiglie dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in Germania e tutte le vittime della reazione nazifascista. Inoltre, si doveva esigere con gli scioperi, con le fermate di lavoro, e con le dimostrazioni di massa: l’aumento delle razioni alimentari insufficienti a garantire il minimo indispensabile alla vita; l’ aumento dei salari adeguato all’ aumento del costo della vita; l’ alloggio alle famiglie degli sfollati e dei sinistrati; i combustibili, i vestiti, le scarpe; i locali necessari per le scuole, il loro riscaldamento, e le refezioni, i vestiti e le scarpe per i bimbi, la proibizione del lavoro a catena, del lavoro notturno, dell’impiego nelle lavorazioni nocive; un salario uguale, per un uguale lavoro, a quello degli uomini; delle vacanze sufficienti e l’ assistenza nel periodo che precede e segue il parto. Il programma fissava, inoltre, che a liberazione avvenuta le donne dovevano chiedere ATTIVITA’ SVOLTA Le difficoltà causate dalla situazione esistente, i vent’ anni di fascismo durante i quali fu negato alla donna il diritto di partecipare alla vita politica, la necessità di osservare le più strette norme cospirative, rendevano oltremodo difficile il nostro lavoro, inoltre gli elementi più sicuri e capaci svolgevano altra attività politica… 
La prima campagna iniziata dai gruppi fu quella delle mondariso e la preparazione dell’ 8 marzo… Nei grandi scioperi del marzo 1944 i Gruppi erano già presenti, benché in numero ristretto, nelle principali fabbriche e seppero tenere degnamente il loro posto accanto alle altre organizzazioni di lotta…I Gruppi furono presenti e attivi in tutte le agitazioni, in tutti gli scioperi. Per una settimana le donne di Parma manifestarono e si scagliarono contro i carnefici dei patrioti riuscendo così a salvare dalla morte alcune decine di giovani italiani. Qui si ebbero le nostre prime vittime. A Forlì durante una dimostrazione fu uccisa una madre di cinque figli e ferita gravemente un’altra madre di tre bambini. Queste donne chiedevano pane per sfamare i loro bambini Fu poi organizzato il grande sciopero delle mondine, sciopero vittorioso al quale partecipavano più di diecimila donne. Ovunque le aderenti alla nostra organizzazione hanno tenuto valorosamente il loro posto di lotta. Nelle fabbriche, delegazioni femminili hanno chiesto ai padroni: viveri, vestiti, scarpe, carbone e legna, aumenti di paghe e miglioramenti delle mense aziendali. Le nostre donne sono state attivissime e piene d’entusiasmo e spesse volte esse riuscivano a scuotere l’apatia di certe masse maschili e a trascinarle nella lotta Nel mese di settembre fu inviata al cardinale Schuster una lettera che ha riscosso l’approvazione e la firma di diecimila donne milanesi, lettera che chiedeva l’intervento del cardinale contro le deportazioni di donne in Germania. Nel mese di novembre a Schio delle giovani ragazze venivano aggredite da militi ubriachi e veniva loro usata violenza. Sparsasi la notizia, il giorno dopo, i Gruppi di difesa, d’accordo col Comitato d’agitazione delle fabbriche, dove le ragazze lavoravano, proclamavano lo sciopero di protesta per l’inaudita violenza, reclamando il castigo dei delinquenti. Tutte le fabbriche della città aderirono allo sciopero che divenne così generale assumendo il carattere di grande manifestazione antifascista. Lo sciopero durò due giorni e cessò solo dopo aver avuta l’assicurazione che i colpevoli sarebbero stati puniti. (grassetto a cura del r.) Casi analoghi avvennero in altri luoghi. Le manifestazioni di piazza per reclamare viveri sono state e sono numerose. In questi ultimi tempi poi, in alcuni posti esse assumono un carattere veramente insurrezionale. A Torino le donne si recano in gran numero al Doche- Dora e alla Venchi – Unica per reclamare zucchero che viene loro concesso e si recano dal prefetto chiedendo viveri e combustibili. Assalgono poi vari depositi di legna e di carbone. Anche a Milano e provincia delegazioni femminili, appoggiate da centinaia di donne si recano ai municipi e alle prefetture reclamando il necessario per vivere. Durante l’ultimo sciopero generale del mese scorso, al quale hanno partecipato compatte le maestranze compatte di oltre cento fabbriche milanesi, le nostre organizzazioni non solo hanno aderito allo sciopero con entusiasmo, guidando le masse femminili, ma hanno parlato a folle di popolo: nelle fabbriche, nelle mense rionali, sulle piazze, al “Corriere della Sera” ecc. spiegando alle compagne di lavoro che lo sciopero aveva questo significato: esigere senza indugio pane, viveri, la cessazione del terrore nazifascista, la liberazione dei prigionieri politici, il ritorno dei fratelli e delle sorelle deportate nell’ interno della Germania. Il 14 aprile i Gruppi organizzano una manifestazione di donne e di popolo nelle piazze. Dai vicoli e nelle piazze della città le donne gridano il loro basta contro l’affamamento e gli affamatori mentre i patrioti armati di mitra sono schierati pronti a difenderle. Circa mille e cinquecento donne hanno partecipato alle manifestazioni. Ma in modo particolare è in Emilia che i gruppi organizzano quasi tutti i giorni delle manifestazioni che si concretizzano con l’assalto agli ammassi ed ai magazzini di viveri destinati ai tedeschi e ai fascisti. Tutti i viveri vengono poi distribuiti, in modo equo, a tutta la popolazione, da commissioni femminili nominate dalle dimostranti. In certi paesi del bolognese le nostre dirigenti sono divenute coi CLN le vere autorità riconosciute dal popolo. Esse dirigono ospedali e ospizi di vecchi, organizzano in unione agli altri organismi di massa le cooperative, e provvedono alla distribuzione di viveri, legna ecc. 

GRANDI MANIFESTAZIONI POLITICHE I novembre – La manifestazione organizzata dai Gruppi per rendere omaggio agli eroici fucilati è riuscita in ogni luogo in un modo grandioso e commovente. In quei giorni, tante e tante donne hanno sfilato dinnanzi alle tombe dei cari caduti, ed ogni fiore che esse deponevano era accompagnato da una promessa. Promessa di continuare la lotta per vendicarli e vincere… Settimana pro partigiano – Nelle vallate prossime alle zone partigiane, le contadine si sono molto prodigate nell’ assistenza ai patrioti, ricoverandoli nelle loro case, curando i feriti e gli ammalati, fornendoli di tutti i viveri necessari, sfidando coraggiosamente il terrore e la brutale reazione nazista e fascista. Le donne di città hanno sempre aiutato e aiutano con grande entusiasmo tutti i partigiani: hanno raccolto viveri, denari, indumenti, confezionano maglie, calze, guanti ecc. Questa attività non è mai cessata, ma si è maggiormente sviluppata e ha preso carattere di grande manifestazione politica in occasione delle varie “settimane pro partigiano” organizzate in ogni città e in ogni paese. Le donne italiane hanno in tale occasione scritto ai volontari della libertà centinaia di lettere per far sentire di quanto affetto e di riconoscenza sono circondati. All’inizio di questa settimana pro partigiano nei luoghi di lavoro, nelle officine, negli uffici ecc. gli operai, gli impiegati, i tecnici e le donne, i giovani hanno sospeso il lavoro per alcuni minuti ricordando in silenzio e a capo scoperto gli eroici caduti nella lotta per la liberazione della patria. Furono esposti nei reparti fotografie di caduti ornati di fiori e del tricolore e sulle torrette di alcune fabbriche vennero messi grandi cartelli inneggianti i partigiani…… Migliaia e migliaia di manifestini sono stati distribuiti con lanci per le strade, grandi manifesti affissi ai muri della città annunciavano ogni giorno l’elenco degli oggetti offerti…

22/04/25

Sulla morte di papa Bergoglio

Dal blog proletari comunisti

La morte del papa è un evento tragico in questa situazione; su guerra/corsa agli armamenti/migranti/ e in misura minore su Palestina, la sua posizione era in contrasto e in critica con l’imperialismo dominante i suoi Stati, i suoi governi, i suoi servi e complici, quindi la sua morte lascia loro più campo libero. Questo è un fatto negativo - la sua, peraltro, non è una chiesa "strutturata" e quindi la sua influenza sul popolo è relativa - anche se la sua morte può influire sulla loro coscienza; possiamo dire che il suo ‘popolo’ è più indietro di Bergoglio. E nelle file del proletariato e del popolo il nostro lavoro è quello che stiamo facendo. 

proletari comunisti



Verso l’ 80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo - Dall'opuscolo "Una mattina mi sono svegliata..." - 1

Verso l’ 80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Iniziamo da oggi questo breve excursus su donne e Resistenza che ci accompagnerà sino al 25 aprile. Perché, in particolare, focalizzarsi sul ruolo delle donne nella Resistenza? 
Perché ci aiuta a comprendere la doppia, tripla lotta che le donne hanno dovuto fare sia all’interno della famiglia e contro le convenzioni sociali sia contro la diffidenza nell’accettarle nella lotta partigiana. Ancora oggi le testimonianze delle partigiane sono ricche di insegnamenti per l’agire di oggi nel lungo e difficile cammino verso la liberazione delle donne.

Vogliamo iniziare con la canzone simbolo della Resistenza partigiana: 

Una mattina mi son svegliato O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Una mattina mi son svegliato E ho trovato l'invasor O partigiano portami via O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao O partigiano portami via Che mi sento di morir E se io muoio da partigiano O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao E se io muoio da partigiano Tu mi devi seppellir Mi seppellire lassù in montagna O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Mi seppellire lassù in montagna Sotto l'ombra di un bel fiore E le genti che passeranno O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao E le genti che passeranno Mi diranno: "Che bel fior" È questo il fiore del partigiano O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao È questo il fiore del partigiano Morto per la libertà. 

Scrive Bianca Guidetti Serra: “Nei libri di Storia della Resistenza, e sono ormai molti, si legge che nel dicembre del 1943 si costituirono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà. Non si dice però che cosa fossero, che cosa facessero, quali finalità perseguissero…”. “Hanno raccontato queste cose per la prima volta, almeno ai fini di una pubblicazione e hanno accettato di farlo perché convinte che la loro esperienza poteva servire ad altri, ai giovani soprattutto…”. “La scelta antifascista, infatti, nata negli anni remoti per le più anziane, nel 1943-1945 per le più giovani, aveva trovato ragione d’impegno prima della “resistenza”, durante e, per quasi tutte, anche dopo. 


La militanza nei Gdd o in altre organizzazioni appariva insomma il naturale e necessario anello di un’unica catena rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo..”. Testimonianze “che tengono a dare prova della non passiva accettazione delle donne, di certe donne, dei fatti della storia, come singole e come collettività…”. “..Destino di donne che da un lato inibisce loro di formarsi culturalmente, dall’altro le costringe però a contribuire al sostentamento della famiglia. Ma neppure la relativa autonomia economica le rende più libere. Il condizionamento sociale le costringe all’accettazione di regole di costume mutuate o imitate, tra l’altro, dalla classe di cui sono subalterne […]. Destino di donne che si perpetua nell’età matura. 

A “casa” dal lavoro con destinazione “casalinga”, resteranno molte, dopo il matrimonio e, in un certo senso, le più fortunate. Il numero delle ore lavorate infatti, cumulato a quelle necessarie per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale mancanza di servizi di sostegno erano tali da rendere angoscioso il contemporaneo espletamento dei due ruoli […] quale era la scelta alternativa al lavoro di fabbrica? Quello artigianale o il lavoro cosiddetto terziario, talvolta quello a domicilio”.

19/04/25

ANCORA UNA VOLTA GRIDIAMO CON FORZA "UNO STUPRO E' STUPRO! IL CONSENSO NON E’ AUTOMATICO!" - dalle aule dei tribunali ad ogni ambito la lotta contro la violenza sulle donne è necessariamente a 360 gradi

Imputati per violenza sessuale di gruppo nei confronti di una giovane all'epoca 18enne spinta anche a bere vino e superalcolici, due schifosi uomini di 34 e 33 anni, sono stati assolti dallo stupro perché la vittima era “consenziente anche se ubriaca".
Dopo il collegio penale di Ravenna in primo grado, con decisione e motivazioni che destarono scalpore, la corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza di assoluzione piena.

Un'altra sentenza schifosa che tutela gli schifosi stupratori, un ex calciatore del Ravenna calcio e un commerciante d'auto usate, il primo era indicato come colui che aveva incitato riprendendo la scena con il telefonino e l'altro come chi aveva materialmente abusato della ragazza.

Un’altra sentenza ripetiamo schifosa che è nuovamente violenza contro la giovane donna stuprata, che era andata a denunciare con il fidanzato lo stupro qualche giorno dopo ricordando solo poco di ciò che era successo.
Nel video era palese lo stato di stordimento della ragazza, come ha riportato l'accusa, la pm Angela Scorza parlando di "scena raccapricciante" , di una ragazza "completamente indifesa" nelle luride mani di due stupratori dal "comportamento denigratorio”.
Ma per i giudici che hanno assolto, tutto questo non è affatto esistito! perché il fatto non costituisce reato". “𝐄𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐧𝐳𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐮𝐛𝐫𝐢𝐚𝐜𝐚.”

ANCORA UNA VOLTA DOBBIAMO GRIDARE CON FORZA QUELLO CHE DOVREBBE ESSERE UN RICONOSCIMENTO OGGETTIVO: UNO STUPRO E’ UNO STUPRO!


Ancora una volta dobbiamo dire con forza che il CONSENSO NON E’ AUTOMATICO né desumibile come hanno fatto in modo osceno questi giudici dal fatto che la ragazza avrebbe telefonato a degli amici e alla madre prima del rapporto sessuale, ignorando completamente invece lo stato vulnerabile e alterato della ragazza, peraltro riconosciuto dai giudici della corte di primo grado quando scrissero “avendo bevuto molto e trovandosi in uno stato di non piena lucidità…”, ma diedero schifosamente l’assoluzione in primo grado. E le schifose riprese con il telefono dello stupro, anche questo non era reato??

Questa “giustizia” è ancora una pesante ingiustizia nei confronti delle donne vittime di violenza, stuprate ancora una volta di fatto, che ci chiama a comprendere in primis che la lotta contro la violenza sulle donne deve investire ogni ambito di questa società, compreso quello dei tribunali da cui sempre più spesso vengono emesse sentenze oscene che contribuiscono ad aggravare la condizione ideologica e pratica di oppressione sociale della donne.

E se necessarie sono le battaglie immediate volte per esempio ad ottenere la procedura d’urgenza nei processi per stupro, stalking, molestie sessuali e femminicidi, l’accettazione delle parti civili di organizzazioni di donne, con patrocinio gratuito per le donne, la formazione della magistratura sul tema della violenza maschile contro le donne...
è sempre più necessario però comprendere che queste lotte devono essere inserite in una lotta più ampia: le sentenze di alcuni giudici come questa sono parte di uno degli apparati di questo Stato in questa società borghese che non è affatto al di sopra delle parti, che non è neutro, che non è immune ma che oggettivamente e in questo caso soggettivamente influenzato dalla ideologia borghese dominante, fondata sulla condizione di doppia oppressione della maggioranza delle donne in questa società, e che si manifesta concretamente in forme e azioni intrise di maschilismo, sessismo, di patriarcalismo in forme moderne oggi ancor più visibili nel nostro paese in una fase in cui avanza l’ideologia moderno fascista e da moderno medioevo, vedi l’attuale governo Meloni e tutti gli apparati al suo servizio.

18/04/25

"In Sudan strupri sistematici come arma di guerra" mentre sempre più bambini muoiono per la guerra, di fame e di sete - la denuncia dell'ONU

«Abbiamo assistito a un aumento del 288% della richiesta di interventi salvavita da parte di chi ha subito stupri e violenze sessuali. Stiamo cominciando a vedere l'uso sistematico di stupro e violenza sessuale come arma di guerra» ha detto Anna Mutavati, direttrice regionale dell'agenzia Donne delle Nazioni Unite, parlando in videocollegamento da Port Sudan ai giornalisti riuniti nella sede Onu di Ginevra.
Senza scuola il 90% dei bambini. La metà degli oltre 30 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria sono bambine e bambini. Come lo è più della metà dei quasi 15 milioni di sfollati. Quasi uno su tre ha meno di cinque anni.
Nelle aree dove si presentano opportunità di ritorno, denuncia l'Unicef, gli ordigni inesplosi e l'accesso limitato ai servizi essenziali mettono a rischio la vita dei più piccoli. I tassi di vaccinazione sono in calo e il 90% degli alunni non va più a scuola. «Con l'arrivo della stagione delle piogge - osserva la direttrice generale, Catherine Russell - i bambini che stanno già soffrendo per la malnutrizione e le malattie, saranno più difficili da raggiungere. E i bisogni continuano a superare i finanziamenti a disposizione».
Già all'inizio del 2023 la situazione del Sudan, paese poverissimo e già travagliato dal conflitto ventennale interno nella regione occidentale del Darfur - dove nel febbraio del 2003 i ribelli avviarono gli scontri con il governo di Kharthum accusato di opprimere la popolazione locale non araba -, era disastrosa, con 7,8 milioni di bambine e bambini bisognosi di assistenza umanitaria. Ora quel dato risulta raddoppiato.

L'emergenza nei campi profughi in Ciad e Sud Sudan. Senza cibo e nel tentativo di mettersi in salvo dai combattimenti, sempre più persone sono spinte a fuggire oltreconfine in Ciad e in Sud Sudan, affollando ulteriormente i campi profughi di due Paesi tra i più poveri al mondo e alle prese con crisi interne.
«Abbiamo lasciato le nostre case, insieme ad altre famiglie, e abbiamo percorso 61 chilometri a piedi, senza acqua né cibo. Dopo due giorni di sofferenza sulla strada, siamo arrivati a al-Fasher (capitale del Darfur), dove abbiamo trovato molte persone sfollate nella scuola di Tombasi e abbiamo deciso di restare». Abu Hassan è una delle 125 milioni di persone che Coopi Cooperazione Internazionale ha supportato in venti anni di attività in Sudan.

Ad al-Fasher negli ultimi giorni si sono intensificati gli attacchi dei paramilitari. Oltre 400 i morti in meno di una settimana. Ai raid aerei si aggiungono gli assalti delle bande criminali. A Nyala, nel sud Darfur, la popolazione vive da due anni senza energia elettrica e sotto coprifuoco, scarseggiano i beni di prima necessità e il numero degli abitanti è quadruplicato con l'arrivo degli sfollati.
*
«Mai visto bimbi in condizioni così gravi». Dal Centro pediatrico di Nyala, nel Sud Darfur, l'infermiera e coordinatrice medica di Emergency, Laura Ena testimonia: «Vediamo pazienti che arrivano in condizioni sempre peggiori. La pessima alimentazione e la mancanza di acqua potabile causano un aumento costante dei casi di gastroenteriti e infezioni, ma anche malnutrizione severa e anemia. Non ho mai visto bambine e bambini in condizioni così gravi prima dell'inizio di questa guerra. Noi siamo aperti 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 per far fronte alle necessità di tutti».
Nella capitale Emergency, che non ha mai lasciato il Paese, è l'unica Ong internazionale presente ed è rimasta sempre operativa, con un centro di cardiochirurgia e un ambulatorio pediatrico.
Molti sono arrivati completamente disidratati, molti bambini sono morti di sete durante il tragitto.
La guerra delle milizie e delle forze armate contro i civili sudanesi è entrata nel terzo anno. La strage continua.

da Avvenire.it

QUESTA E' GUERRA CONTRO LE DONNE!

e non  possiamo più dire solo BASTA FEMMINICIDI ma dobbiamo necessariamente organizzarci per rispondere a questa guerra quotidiana di bassa intensità contro le donne lottando contro questo Stato borghese che non difende affatto le donne, questo femminicida era ai domiciliari e aveva il braccialetto elettronico ma ha potuto uccidere ugualmente!, lottando contro questo sistema sociale marcio, vera causa dei femminicidi e della violenza contro le donne. 

*****

Udine, uccide l’ex moglie a coltellate durante un permesso. 

Il femminicidio nella casa della donna: l'uomo era ai domiciliari e con il braccialetto elettronico e ha violato il divieto di avvicinamento

17/04/25

Denunciamo con forza le decisioni di Londra, Orban, a cui si unisce l'integralista Roccella: è moderno medioevo!

Ha iniziato Orban con un emendamento ad una legge che attacca le persone Lgbtq+, vietando loro manifestazioni, riunioni pubbliche, imponendo l'uso di software per il riconoscimento facciale" e dichiarando che "il sesso di una persona alla nascita è una caratteristica biologica e può essere solo maschile o femminile".
Ieri è seguita la Corte suprema britannica legiferando che "il sesso è biologico" e quindi è solo questo che definisce una donna, escludendo, quindi, le persone transessuali e vietando loro di definirsi "donne", con la conseguenza di togliere diritti, stile di vita riconosciute alle donne.
E' andata subito dietro la reazionaria integralista ministra Roccella: «I maschi in transizione non possono avere le nostre tutele... Ci si può dire donna soltanto se lo si è biologicamente..."
In più questa squallida ministra che considera che il ruolo principale delle donne è nella famiglia e nel fare figli, ha usato strumentalmente la battaglia delle donne, per dire che verrebbero "scavalcate da uomini che si sentono donne... Io ho sempre detto che questa è una nuova forma di patriarcato», offendendo la lotta per la libertà, i diritti delle donne che mai e poi mai è stata ed è una lotta per privilegi contro altre, e indicando le persone transessuali come quelle che possono fare violenza verso le donne - una oscena provocazione.
Una campagna e decisioni a cui subito le forze di destra, in particolare a Londra, hanno applaudito; forze che stanno avanzando rapidamente in Europa, che fanno della lotta all'ideologia gender in realtà una battaglia al "marxismo culturale", come da questi fascisti viene chiamata. 
Una campagna e azioni populiste (come giustamente hanno detto alcuni giornalisti) il cui scopo è farsi autopropaganda e rafforzare l'ideologia di estrema destra nel proprio paese, conquistandone l'appoggio.
In questo senso questi attacchi non riguardano solo le persone trans, ma riguardano tutte noi!
E' un altro passo verso il moderno medioevo, verso il moderno fascismo, usando anche in questo caso le donne.
Anche su questo facciamo sentire la nostra voce!

Formazione rivoluzionaria delle donne - "Da dove provengono le idee"

Il testo che segue è tratto da questo opuscolo che tratta dei temi:
- L'oppressione della donna non è immutabile
- Da dove provengono le idee
- analisi concreta della situazione concreta
- Repubblica democratica, famiglia monogamica, mostrano nuda e cruda la condizione di oppressione della donna
- La rivoluzione nella rivoluzione
- Lotta rivoluzionaria e violenza rivoluzionaria
- A proposito di emancipazione - liberazione
- Contro il femminismo borghese
- Perchè il Femminismo Proletario Rivoluzionario

L'opuscolo si può richiedere a WA 3408429376




Afghanistan, dai libri ai telai: così le ex studentesse sono costrette a fare le operaie tessili - info

Il divieto di studio per le donne lascia poca scelta: il business dei tappeti è l’unica via di salvezza per l’occupazione femminile nel paese oppresso dai Talebani (da Repubblica) 

15/04/25

All’operaia Luisa Ciampi, operaia dell'Electrolux - per non dimenticare - Ci uniamo con grande affetto e solidarietà

Da Bottega del Barbieri

Il ricordo di compagne e compagni dell’Electrolux.

12 novembre 2001 l’esplosione,
15 aprile 2002 la morte. 
15 aprile 2025 la memoria.
 
ALL’OPERAIA LUISA CIAMPI, PER NON DIMENTICARE.
A 23 anni dalla morte il nostro imperituro ricordo.
Alle 6 di mattina, mentre in tutto lo stabilimento Electrolux di Susegana le linee di produzione venivano avviate, alla linea 3, nella buca di saldatura, le operaie accendevano il cannello di saldatura.
Un boato e un’esplosione di fuoco improvvisa trasformarono tutto.
Durante la notte tra l’11 e il 12 novembre 2001, dalle cabine di carica era fuoriuscito il gas inodore, il quale, depositandosi aveva riempito le buche di saldatura (profonde 50 centimetri), dove gli operai saldatori scendevano i pochi gradini, per trovarsi il frigorifero a misura utile per saldare le tuberie dei motori.
Non c’erano sensori. La fuga di gas trovata fu sottostimata, nessun allarme.
A innestare l’esplosione fu l’accensione dei cannelli di saldatura.
Un inferno. Rimasero ustionati diversi operai, alcuni in modo grave, e diverse donne. Non tutti si salvarono.
Tanti i feriti portano per la vita i segni esterni del fuoco e altri interni nell’animo.
Cicatrici, queste ultime, altrettanto inguaribili che coinvolsero tanti lì presenti in quel fatale giorno.
Tutto cambiò. La fabbrica fu chiusa per giorni.
Dopo 6 mesi di atroci sofferenze nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Padova, il 15 aprile 2002, a 41 anni, morì Luisa Ciampi.
Lasciò figlio, fratelli, genitori, la vita.
Oggi, in quel tragico punto la fabbrica si è trasformata, ha altri impianti, altri operai, altre storie.
Nella memoria di chi c’era, resta la certezza che tutto era evitabile e che tutto non abbia mai più a ripetersi.

CIAO LUISA, NOI OPERAI.
Compagn@ Electrolux

13/04/25

Con le donne palestinesi - dal presidio a Taranto del 12 aprile


Quale legame tra la resistenza palestinese e la guerra popolare in India - Intervento del Mfpr

Sempre sulla oscena sentenza per La Russa - Riceviamo e pubblichiamo

Nonostante le inchieste abbiano dimostrato che la ricostruzione dei fatti proposta dalla vittima fosse vera e sebbene una perizia ospedaliera abbia confermato i segni compatibili con un rapporto non consensuale, l’accusa di stupro contro Leonardo La Russa e Tommaso Gilardoni è stata archiviata, a dimostrazione di quanto poco contino il corpo e la parola di una donna in tribunale.
Le indagini hanno persino confermato la presenza di Ghb nei capelli della vittima, sostanza nota come “droga dello stupro”, ma questa evidenza è stata minimizzata fino ad essere liquidata come produzione fisiologica. La ragazza era, secondo tutte le testimonianze, in stato di alterazione psicofisica evidente, ma il fatto che non si sia opposta esplicitamente è stato usato come alibi, ignorando che il consenso non può esistere in assenza di lucidità.
È inaccettabile che la giustizia possa archiviare un caso del genere quando il principio fondamentale dovrebbe essere che senza un “sì” esplicito, è semplicemente un “no”. Oltretutto vi è stata la diffusione non consensuale di un video intimo: un caso di revenge porn che ha aggravato ulteriormente la violenza subita e l’umiliazione pubblica (unica accusa a restare in piedi). 
La scelta di archiviare nonostante la gravità dei fatti – la violenza, lo stato di incoscienza, il video condiviso – è un atto di sistemica protezione del potere.
In una società realmente civile l’accertamento del consenso dovrebbe essere la base di ogni giudizio: qui è stato ignorato, come se bastasse l’inerzia di un corpo per assolvere chi lo usa. Archiviare questo caso non è solo un insulto alla vittima, è un messaggio pericoloso per tutte le donne: la tua verità conta o meno in base a chi è il tuo aggressore.

12/04/25

Settimana india - Le donne Adivasi sfruttate e oppresse dal capitalismo/patriarcalismo - Ma creano un nuovo capitolo nella Storia rivoluzionaria


Il capitalismo, ovunque si sia affermato, ha eliminato alcuni valori patriarcali feudali, ma il capitalismo ha dato vita a una nuova forma di valori patriarcali che svalutano il lavoro delle donne.


"...Il fascismo brahmanico Hindutva ha esteso i suoi tentacoli in ogni sfera della vita, e d'altra parte, l'imperialismo ha intensificato le sue misure di sfruttamento nei confronti dei popoli e delle nazioni oppresse. Ora siamo sotto il giogo di due mostruosi terrorismi... Le donne affrontano moltitudini di sfruttamento economico ed extraeconomico che rimane impunito e la dominazione maschile fa da barriera alla vista generale della società. Che si tratti delle regioni dilaniate dalla guerra dell'Asia occidentale, della Palestina o dell'Ucraina o, che si tratti delle fabbriche di abbigliamento di Dhaka, della valle del Manipur o delle cinture forestali del centro dell'India, le donne di tutto il mondo stanno affrontando l’incendio delle crisi imperialiste. 

In India, la condizione della donna non è sublime come propagandato dal fascista del BJP Narendra Modi. Il fascismo brahmanico Hindutva con il sostegno dell'imperialismo dà slancio e forza ad una delle forme più disumane di sistema di gerarchia sociale che trasforma le donne in un oggetto di 'piacere' e sfruttamento. 

Il capitale finanziario per la sua valorizzazione richiede un mercato unificato, fonte di forza lavoro a basso costo e abbondante risorse naturali. L'oppressione delle donne nell'era del capitalismo moribondo è interconnessa con l’autocrazia del capitale finanziario. Incapaci di vedere queste corde che legano: è come dare pugni nel buio. Non c'è dubbio che il Capitalismo del libero-scambio, del periodo manifatturiero, ha portato un numero significativo di donne dalle oscure segrete delle faccende di casa alle fabbriche. A causa di questa espansione senza precedenti della produzione sociale, i movimenti delle donne della classe operaia entrarono in scena e diedero vita alla soggettività dei movimenti dei diritti delle donne. Il capitalismo, ovunque si sia affermato, ha eliminato alcuni valori patriarcali feudali, ma il capitalismo ha dato vita a una nuova forma di valori patriarcali che svalutano il lavoro delle donne... La società capitalista trasforma ogni oggetto in merce e le donne non fanno eccezione... Nel sistema Manuvadi [privilegi per casta alta] la donna non è considerata come un essere libero. Dalla nascita alla morte deve essere sotto il dominio del maschio. Il diritto di possedere le forze produttive, in particolare la terra e il diritto sulla sfera della riproduzione è stato negato dalle classi dominanti in India.

Le politiche burocratiche borghesi filo-imperialiste e feudali del governo del BJP hanno spezzato la schiena alla dignità della donna e ai suoi diritti democratici. Lo sfollamento forzato a causa di un modello di sviluppo aziendalistico ha tolto tutti i beni di prima necessità alle classi emarginate... La precarizzazione della forza lavoro in India si dimostra un mezzo efficiente per l'estrazione di profitti da parte imperialista e dal modello CBB dello Stato indiano. Ciò ha portato alla “non-formalizzazione” della forza lavoro nel settore non organizzato che è significativamente composto da forza lavoro femminile a basso costo. Concentrazione e centralizzazione del capitale nell'era dell'imperialismo ha oltrepassato la linea rossa. Anche questo ha devastato la vita normale del popolo oppresso, specialmente delle donne. Centinaia di migliaia di industrie su piccola scala sono state costrette a chiudere durante i 10 anni di Modi. La conseguenza di ciò è stato l'aumento significativo dell'esercito di manodopera di riserva. È stata la donna che ha dovuto portare il peso della disoccupazione su di sé, dato che la maggior parte della forza lavoro nelle piccole industrie è composta da donne. Epoiché la fonte di reddito è diventata minuscola a causa della debole condizione economica, la percentuale di tratta delle donne e di quelle che si prostituiscono ha rialzato la sua brutta testa dopo l'orribile lock down. Tutti questi fattori stanno portando verso la femminilizzazione della forza lavoro rurale che rafforza il patriarcato brahmanico con maggiore intensità. 

Lo sfruttamento sessuale e lo sfruttamento economico delle donne vanno di pari passo, perchè i mali sociali sono inseparabili. Attualmente la maggior parte della manodopera agricola a basso costo è rappresentata dalle donne che allo stesso tempo subiscono lo sfruttamento sessuale da parte dei latifondisti e degli usurai. Secondo il report della Banca Mondiale sulla partecipazione della Forza lavoro (2022), solo il 24% delle donne in India ha un lavoro retribuito. Ridimensionamenti della forza lavoro delle aziende IT sono diventati la norma nel momento in cui il capitalismo sta attraversando una crisi generale. La maggior parte dei dipendenti licenziati nei settori IT sono donne. Anche la saggezza dei giganti dell'IT che si basa sul capitale finanziario non è esente dal patriarcato... Secondo il rapporto sulla parità del Divario Globale di Genere 2023, l’India si attesta al 127° posto su 146 paesi nell'indice di parità di genere. Non ci sarà potere delle donne fino a quando il paese rimarrà legato alle catene dell'imperialismo. Le crisi economiche intensificano la violenza patriarcale nella società ed è stabilito dal fatto che più di 400mila casi relativi alla violenza domestica affollano i tribunali. Oggi, l'analfabetismo è più alto tra le donne in India. Per ogni 100 donne, possiamo trovare più di 30 donne analfabete. A causa della mercificazione dell'istruzione che serve i giganti aziendali dell'istruzione, la scolarizzazione dagli studi elementari a quelli superiori sono fuori dalla portata delle classi oppresse. Anche il tasso di abbandono scolastico nelle scuole e nelle università è più alto tra le donne... 

L'RSS-BJP è estremamente impegnato a propagandare la cosiddetta emancipazione femminile (Nari Shakti Vandana) del governo di Narendra Modi. Non c'è niente di più esilarante che ascoltare dalla bocca di fascisti chiacchiere sulla giustizia di genere e l'emancipazione femminile. Applausi e complimenti da parte delle femministe liberali su Narendra Modi per il suo eccezionale sforzo di far passare Il disegno di legge della Camera sulle “agevolazioni” per le donne che è rimasto bloccato per più di 27 anni e per il cui blocco di questi lunghi 27 anni il BJP-RSS aveva svolto un ruolo di primo piano... 

Viene propagandato dalle femministe liberali e dai clan RSS-BJP che questo disegno di legge aspira a portare più donne nelle alte sfere del potere che promulgheranno politiche a favore delle donne e una parità di genere nella società... Lo sfruttamento economico e sociale rimane parte integrante per le donne in India. Questo sfruttamento delle donne viene perpetrato con il pretesto della democrazia e della emancipazione delle donne. Il capitalismo finanziario imperialista ha tenuto il nostro paese in catene che hanno negato ogni forma di sviluppo.

Le donne sono visibili in ogni lotta, sia nell'Aganwadi, sia nel Kashmir, nel Manipur contro la violenza delle forze terroriste Hindutva sostenute dallo stato indiano, sia le donne tribali che stanno combattendo contro l'aziendalizzazione e la militarizzazione nelle aree forestali dell'India centrale, contro la CAA-NRC, nelle proteste contadine, nella lotta contro il fascismo Hindutva, nella lotta contro l'imperialismo, le donne sono il nocciolo di tutti questi movimenti democratici... Queste sono tutte lotte di classe e senza lotte di classe contro il feudalesimo, la borghesia burocratica compradora e l'imperialismo non ci può essere emancipazione femminile...

Il movimento delle donne di Dandakaryana sta creando un nuovo capitolo nella Storia rivoluzionaria della specie umana. Sono una fonte di ispirazione per la classe oppressa e le masse oppresse...

 Rela Madkam, Organizzazione delle donne Adivasi (Bastar).