14/06/25
12/06/25
Formazione rivoluzionaria delle donne - Appunti per un nuovo pensiero e prassi
11/06/25
Esito referendum - sosteniamo questa posizione "controcorrente"
Nell'affrontare l'esito del referendum noi partiamo da un punto importante che rivolgiamo a noi stessi, ai nostri compagni, ai proletari d'avanguardia e alle masse popolari in generale. Innanzitutto noi non pensiamo affatto che il referendum sia una sconfitta. E questo è il primo problema che bisogna affermare.
A fronte di un trend astensionista che ormai tocca il 50% e in tante realtà oltre il 50%, che è un astensionismo di carattere strutturale su cui abbiamo parlato in altre occasioni, il risultato del referendum è positivo. Oltre il 30% ha votato e in tutti e cinque i referendum il sì ha nettamente prevalso. In maniera schiacciante sui referendum sociali: il primo quesito 87,57 % contro i 12,43%, il secondo quesito 86,02 a fronte del 13,98, il terzo quesito 87,53 rispetto al 12,47, il quarto quesito 85,78 rispetto al 14,22. Anche sul quinto quesito, quello più difficile, il sì ha prevalso con il 63,34% rispetto al no del 34,66%.
Circa 15 milioni di persone hanno non solo partecipato al voto referendario, ma hanno votato massicciamente il sì. Questa è una vittoria, non una sconfitta.
Certo, con le leggi attuali esistenti sui referendum, questi referendum non hanno superato il quorum, ma in questa situazione non sono i referendum che sono sbagliati, ma il quorum; vale a dire, deve valere anche per i referendum la legge che vale per le normali elezioni che si fanno in questo Paese.
Non si capisce perché rispetto alle normali elezioni qualsiasi percentuale è valida, quindi si può diventare Presidente del Consiglio non arrivando neanche al 17%, si può arrivare a essere sindaci avendo preso i voti di un'estrema minoranza della popolazione votante, e invece non si possono considerare validi, effettivi e dirimenti il numero dei voti che vengono espressi nel referendum.
Si sta parlando di modifica delle leggi sul referendum e chiaramente anche qui la nostra posizione è che il referendum deve essere mantenuto, perché un diritto democratico all'interno di un sistema democratico borghese è l'unico strumento di cosiddetta democrazia diretta esistente in questo sistema, quindi il referendum deve essere mantenuto e difeso, mantenuto e difeso significa che bisogna respingere le proposte del governo di parte della stessa opposizione che chiede un aumento delle firme per presentare, per farle. L'unica modifica democratica necessaria è di riconoscere il referendum per quello che sono e che i numeri del referendum sono sufficienti per determinare la vittoria del sì e il no sui singoli quesiti, eliminando la soglia del quorum.
Detto questo, noi non ci uniamo al coro di coloro che dicono che il referendum è stata una sconfitta, il referendum è stata una vittoria nell’attuale situazione per i numeri raggiunti e per la netta prevalenza del sì, ed è stata una vittoria anche sul quinto referendum che era sicuramente molto difficile, in cui i diretti interessati non potevano votare, e ciò nonostante ha visto una prevalenza significativa del sì. Come non considerare che all’astensionismo, che non poteva certo essere modificato dal fatto che c'erano i referendum, si è aggiunta una campagna sfrenata del governo, della sua stampa, televisioni, che ha oscurato il referendum, impedito a tanta parte dell'opinione pubblica e delle masse di saperne esattamente la natura. Chi, come noi, analizza e comprende la natura moderno fascista del governo non poteva e non può essere sorpreso da questo risultato referendario.
Tutto questo è stato fatto volutamente per far fallire il referendum e nascondere dietro la non partecipazione al voto la sconfitta inevitabile che le forze governative e padronali avrebbero avuto in questi referendum.
Tantomeno ci uniamo al coro che dice: ma dato che non si può raggiungere il quorum allora non bisognava farli, questa è una perfetta idiozia, Continuamente ogni giorno chi lotta sa che se si dovessimo fare le nostre battaglie, e perfino assai difficile come quella sui referendum, basandoci sul fatto se la possiamo vincere, la maggior parte delle battaglie non le avremmo fatte - perfino negli anni settanta, quando le lotte non erano scaturite dal nulla, ma sono nate da scelte di minoranze, che poi hanno trovato nelle condizioni date il consenso di massa e trasformato quelle lotte nell'autunno caldo.
Quindi le battaglie referendarie si fanno anche quando non si possono vincere, il problema è se sono giuste o sbagliate, questo è l'unico criterio che vale. Una volta che sono giuste si fanno e chiaramente i risultati influenzano il loro proseguimento.
Quindi noi siamo contro tutti coloro che ora oggettivamente salgono sul carro del governo sostenendo: lo sapevamo, abbiamo perso, è colpa di chi l'ha fatto e così via.
No, la scelta di fare il referendum è stata giusta. Solo se guardiamo le cose da questa ottica possiamo valutare il valore di questa battaglia. Senza fare il referendum sarebbe stato difficile, nelle condizioni date, spingere larghe fette dei lavoratori e delle masse popolari di ogni genere e tipo, a discussioni legate ai partiti di governo e ai padroni, ad esprimersi contro il governo e i provvedimenti che si volevano modificare, sia pure parzialmente.
Da questo punto di vista noi dobbiamo dare un messaggio positivo alle avanguardie e ai lavoratori, spiegare bene le cose e incoraggiare a proseguire nella strada di sfidare il governo in battaglie politiche, sociali, su posti di lavoro e a livello nazionale, sui temi che attaccano la condizione dei lavoratori e sui temi caldi, come è quello dell'immigrazione.
Nello stesso tempo, nelle condizioni date del trend astensionista, della campagna volgare, antidemocratica svolta dal governo usando tutti gli strumenti a sua disposizione, il fatto che una fetta consistente di proletari, masse popolari si sia espressa nettamente per il Sì e abbia dato sostegno alle battaglie pratiche che stiamo facendo, è un fatto positivo da cui ripartire.
Chiaramente in tutto questo va tenuto conto che il fronte del Sì, vale a dire dei promotori del referendum, non è in certo stato compatto.
Sappiamo come da un lato le forze di opposizione che pure hanno sostenuto il referendum, lo hanno fatto in parte senza condividerne gli assunti; dall’altro c’è quella parte dell'opposizione che apertamente non ha sostenuto il Sì in questi quesiti. Pensiamo ai partiti di governo precedenti che non lo ha sostenuto, da Renzi a Calenda, alla componente cosiddetta “riformista” del PD e così via. Poi, per quanto riguarda i Cinque Stelle, vi è stata dissociazione dal referendum sull'immigrazione. Per di più, questi partiti sono in parte autori delle leggi precedenti, alcune delle quali venivano messe in discussione dai referendum.
Quindi i Sì sono contro anche le responsabilità di chi ha governato precedentemente e di coloro che in questo referendum hanno assunto una posizione più vicina al governo che all'opposizione.
Questo vale anche per il movimento sindacale. E' inutile dire che c'è stato un sindacato, che certamente ha la sua influenza tra i lavoratori, la CISL, che si è schierata dall'altra parte.
Così come la stessa Uil ha sostenuto in maniera assai tiepida alcuni referendum e non ne ha sostenuti assolutamente altri.
Quando noi dicevamo che si trattava di un voto contro il governo, contro i padroni, tutti, grandi, medie e piccoli - perché sappiamo che la larga parte dei padroni, medi e piccoli, è proprio su alcuni punti del referendum che è più oltransista - contro i sindacati collaborazionisti, la linea sindacale collaborazionista che in questi anni ha permesso che questi provvedimenti venissero approvati o non venissero contrastati. Ciò che si è espresso è un voto proprio contro tutto questo.
E un voto contro tutto questo è oggi una notizia positiva, non negativa.
Un’ultima cosa. Certamente poi siamo assolutamente contrari a quelle parti del sindacalismo di base o della presunta estrema sinistra che criticano il fatto di aver fatto i referendum e se ne vantano quasi.
Così si fanno più realisti del re. Il peso politico e sociale di queste forze non è attualmente cosa di cui vantarsi - il sindacalismo di base non ha la forza neanche di proporli i referendum.
Tocca, evidentemente, alle forze del sindacalismo di base e di classe lavorare, come spesso si sta facendo, per sviluppare lotte e battaglie, anche alternative al sindacalismo confederale, che possano riportare i lavoratori con una forza materiale maggiore, anche a scadenze referendarie.
Siamo chiaramete contro la posizione di Landini. Landini prima ha detto che doveva fare la rivolta sociale, cosa giusta e necessaria - noi siamo perché si lavori per sviluppare la rivolta sociale, perché solo la rivolta sociale è in condizione di fermare la marcia reazionaria sia sui temi oggetto del referendum, sia in generale, su guerra, sulla questione palestinese, su tutte le altre grandi questioni che ci sono oggi nel Paese – poi Landini a un certo punto dice che la rivolta sociale è il voto. Ma il voto non è la rivolta sociale, il voto, quello referendario in particolare, è una delle forme con cui si conduce la lotta generale dei lavoratori che ha innanzitutto bisogno delle sue armi: gli scioperi, i blocchi, le manifestazioni, appunto la rivolta sociale e di tutte le forme interne a questa battaglia che possano aiutare i lavoratori ad ottenere dei risultati, dai ricorsi legali al referendum.
Quindi, dire che la rivolta sociale è il voto è una posizione sbagliata. Non è con il voto si possono ottenere queste cose, il voto aiuta ma non sostituisce la lotta; è uno degli strumenti che si utilizzano in una battaglia che è al centro sempre la lotta.
Poi, che fa Landini? Ora che il risultato non è vincente, promuove la cultura della sconfitta, attacca coloro che non hanno votato, si descrive la situazione sociale delle masse come fatta da gente che non capisce niente, ecc.
Tutto ciò evidentemente è un modo per trasformare una sconfitta referendaria tecnica, perché tale è e tale rimane, in una disfatta dei lavoratori, per seminare pessimismo e sfiducia tra i lavoratori. Questa posizione di Landini è molto grave e noi dobbiamo duramente attaccare la posizione di Landini, che invece di valorizzare il voto, il fatto che tantissimi operai e lavoratori e settori delle masse hanno sostenuto in quest'occasione posizioni giuste, svalorizza.
Certo se i referendum avessero vinto, saremmo andati molto in là degli stessi contenuti dei referendum, ma sicuramente non è un voto in più o in meno, che cambia la realtà per i lavoratori sui posti di lavoro.
Noi dobbiamo riaffermare che è la lotta, non il voto la via dei lavoratori. E che i referendum è utile farli quando sono giusti.
Noi dobbiamo partire dal fatto che esiste un numero rilevante di proletari e masse popolari che si è attivizzato in occasione del voto e che ha sostenuto il sì e che questo sì deve incoraggiare le lotte e non certo deprimerle.
10/06/25
NON SI ARRESTA LA GUERRA, A BASSA INTENSITA', CONTRO LE DONNE...
Un altro femminicidio, Sueli Leal Barbosa, 48 anni, operatrice sanitaria all'istituto dei tumori, è morta dopo essersi lanciata dal quarto piano di un palazzo in viale Abruzzi a Milano nel disperato tentativo di sfuggire alle fiamme.
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Intervento, volantinaggio all'Ist Tumori dove lavorava Sueli Leala |
09/06/25
Con le lavoratrici che lottano, denunciano - Massimo sostegno
Le lavoratrici di Max Mara vanno in sciopero: “Ci dicono che siamo grasse e ci chiamano ‘mucche da mungere'
Le lavoratrici del colosso della moda Max Mara incrociano le braccia per protestare contro le condizioni di lavoro durissime e contro le pressioni sulle dipendenti.
In sciopero per protestare contro "condizioni di lavoro inaccettabili, rigidità organizzativa, pressioni individuali e usura fisica". Le lavoratrici di Max Mara, colosso del made in Italy e del lusso nel settore dell'abbigliamento, hanno elencato una serie di motivi accanto a quelli presentati da Filctem Cgil di Reggio Emilia come motivazioni per la protesta.
Oltre alla pressione sulla vita privata e sulla salute, le dipendenti lamentano anche un mancato riconoscimento economico e dei passaggi di livello, oltre che una scarsa disponibilità al confronto con le rappresentanze sindacali. In una nota Filctem fa sapere che le lavoratrici coinvolte in queste dinamiche sono 220.
"Ci hanno chiamato mucche da mungere – hanno raccontato alcune dipendenti a Il Fatto Quotidiano -. Ci hanno detto che siamo grasse, obese, ci hanno pure consigliato esercizi da fare a casa per dimagrire. Ci pagano praticamente a cottimo e controllano anche quante volte andiamo in bagno, ma siamo tutte donne e tutte abbiamo il ciclo. È disumano e vogliamo che questa cosa finisca".
La vicenda si aggiunge ad altri scandali che hanno colpito brand illustri della moda: tra questi, per esempio, gli accertamenti dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro che hanno evidenziato come alcune borsette di noti brand di lusso vendute a prezzi stellari fossero in realtà realizzate in laboratori-dormitorio sparsi per le province di Milano e Bergamo in subappalto. Il valore di produzione, insomma, sarebbe stato dai 40 ai 90 euro, mentre il prezzo di vendita si attesta tra i 1800 e i 3000.
Supermercati, mini stipendi
Lavoro povero Vita da banconista: «Lo stipendio è sotto gli 800 euro al mese per 20 ore a settimana. Io e tanti colleghi saremmo disposti a lavorare 30 ore per guadagnare di più ma l’azienda rifiuta»
Il vaso di Pandora lo ha aperto la procura di Milano: nella grande distribuzione organizzata c’è un problema diffuso con gli appalti e i contratti. L’inchiesta dei pm, avviata nel 2021, riguarda lo sfruttamento dei lavoratori della logistica ma le criticità riguardano anche cassieri e banconisti.
Stipendi bassi, turni ballerini e dipendenti costretti a lavorare la domenica e i festivi sono una costante non solo nei supermercati, ma anche nelle catene di abbigliamento e articoli per la casa. E gli scioperi sono sempre più numerosi. Uno dei più recenti riguarda Lidl, ma altre vertenze e indagini sono in corso in aziende come Carrefour, Esselunga e Coin.
LO STATO DI AGITAZIONE dei 23mila dipendenti Lidl è iniziato con un’intera giornata di sciopero, lo scorso 24 maggio. «80 supermercati su 700 sono stati costretti a rimanere chiusi; buona parte degli altri ha aperto solo perché i direttori e i manager si sono messi alla cassa»
«Siamo in trattativa dal 2023 per il contratto integrativo, nonostante l’elevata adesione allo sciopero l’azienda continua a non dare risposte soddisfacenti alle nostre richieste». Che riguardano un tema: «Aumentare i salari per distribuire più guadagni tra i dipendenti, i principali protagonisti degli ottimi risultati della catena».
Lidl Italia fattura 7 miliardi l’anno e nell’ultimo quinquennio ha dichiarato un utile pre-imposte di 1,3 miliardi «eppure – afferma Di Labio – non investe abbastanza sui lavoratori, per il 75% part time su scelta aziendale».
LE CONDIZIONI sono testimoniate da una banconista che chiede l’anonimato: «Lo stipendio è sotto gli 800 euro al mese per 20 ore a settimana. Inoltre il carico di lavoro è molto stressante, perché i supermercati Lidl hanno meno personale rispetto alle altre catene...
L’unica proposta arrivata dall’azienda è stata l’aumento dei buoni spesa da 100 a 200 euro all’anno da spendere nella stessa Lidl: «L’abbiamo respinta, è insufficiente e poco gradita»...
ALTRO ANNOSO PROBLEMA della grande distribuzione riguarda il lavoro la domenica e i festivi, introdotto nel 2011 dal decreto Salva-Italia del governo Monti. «Era stata presentata come una norma per aumentare i consumi e l’occupazione; in realtà ha contribuito a peggiorare le condizioni lavorative nel settore, senza migliorare l’economia...