30/09/18

"Sono stata aggredita dalla polizia al Pride, portata in questura e denunciata ma non ho paura ma l'ansia di reagire e lottare contro questo governo/Stato fascista-razzista-sessista" l'intervento della compagna del Mfpr alla tre giorni cittadina contro le politiche del governo Salvini/Di Maio

Allo Studentato Autogestito Malarazza, si è svolta una tre giorni di assemblee e dibattiti contro le politiche fascio-razziste del governo Salvini/Di Maio, contro la repressione



Contro il governo della guerra contro i poveri, Costruiamo l'opposizione sociale nella nostra città!

Nella seconda giornata, il 28 settembre, dopo l'introduzione il primo intervento è stato quello della compagna Cettina del Movimento femminista proletario rivoluzionario, una compagna aggredita dalla polizia durante il Pride perchè distribuiva un volantino di denuncia dal punto di vista delle donne contro il governo Salvini/Di Maio e poi addirittura portata in questura dai poliziotti dinnanzi alla sua più che legittima ribellione contro quell'atto di servi dei servi fascisti. 

La compagna ha voluto iniziare informando l'assemblea con la bella notizia dell'assoluzione di Nadia Lioce che era arrivata proprio poche ore prima  dalle compagne presenti al presidio a L'Aquila, leggendo il primo comunicato pubblicato 
http://femminismorivoluzionario.blogspot.com/2018/09/nadia-lioce-assolta.html 

E' seguito poi l'intervento che riportiamo sotto, che è stato condiviso con molta solidarietà da tutti i presenti con un caloroso applauso ma anche da messaggi diretti di compagni e presenti che si sono avvicinati alla compagna, tra cui l'organizzatore del Pride che ha fatto le scuse ufficiali di tutto il Pride per l'accaduto, ma ha anche denunciato le difficoltà che come organizzatori hanno incontrato con la Digos/polizia per lo svolgimento del corteo.

Da parte di tutti la volontà di fare fronte comune contro le politiche di questo governo fascista, razzista che saranno sempre più repressive e da stato di polizia (il decreto sicurezza/migranti è su questa linea).
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L' intervento della compagna del Mfpr Palermo

Sono stata aggredita dai poliziotti della Digos mentre volantinavo come compagna del Movimento femminista proletario rivoluzionario alla manifestazione del Pride, un’ aggressione di stampo fascista e da stato di polizia contro di me e un compagno di proletari comunisti … hanno strappato alcune locandine che avevamo attaccato mentre altri due agenti della digos ci hanno intimato di consegnare locandine e volantini “perché non siete autorizzati a fare questo”.
E' iniziata una discussione accesa contro la violazione del nostro pieno e legittimo diritto a manifestare all’interno di una manifestazione organizzata, contro la libertà di pensiero e di espressione, diritti che questo GOVERNO FASCIO RAZZISTA POPULISTA E DEL MODERNO MEDIOEVO contro le donne vuole cancellare con la polizia al loro pieno servizio, cercando non senza difficoltà anche di attirare l’attenzione delle persone circostanti a noi, ho visto che qualche ragazzo prendeva il telefonino e faceva foto ma tutto è avvenuto molto rapidamente.
Un governo Salvini/Di Maio che, come abbiamo scritto sul volantino, appena insediato ha dato la sua impronta attaccando subito le donne con l'attacco al diritto d’aborto, con un ministro alla famiglia  Fontana - FASCISTA ANTIABORTISTA che ha subito concentrato i suoi proclami/propaganda  oscurantisti e reazionarii sulla centralità della famiglia, della “Sacra Famiglia”, facendoci tornare indietro di almeno 50 anni o ancora peggio. Un ministro che dice “Basta figli delle immigrate che hanno “invaso” l’Italia ora tocca alle italiane” che non riconosce le unioni civili dicendo:“NON ESISTONO QUESTE FAMIGLIE” . 
IL FASCISMO e IL RAZZISMO sono le vie per la  legittimazione del sessismo che deviano diritti e libertà di autodeterminazione e si manifestano poi nelle forme più repressive come successo sabato 22/9/2018, in forma violenta e sessista la polizia ha  volutamente prendere me, militante e donna anziché il mio compagno maschio. Questo è emblematico della doppia violenza di questo Stato e di tutti i suoi apparati repressivi.
SONO ARRABBIATA MOLTO ARRABBIATA SONO ANZI MOLTO INCAZZATA PER QUANTO ACCADUTO E SUBITO.
Noi stavano volantinando e attaccando locandine al Pride contro questo governo fascio-razzista-populista, locandine  chiare e nette con la faccia di Salvini e Di Maio… 
TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE  IL PROPRIO PENSIERO CON LA PAROLA, LO SCRITTO E OGNI ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE, direbbe la Costituzione, 
LA STAMPA NON PUÒ ESSERE SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONI O CENSURE .SI PUÒ PROCEDERE A SEQUESTRO SOLTANTO PER ATTO MOTIVATO DALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA  NEL CASO DI
 DELITTI , PER I QUALI LA LEGGE SULLA STAMPA ESPRESSAMENTE LO AUTORIZZI, O NEL CASO DI VIOLAZIONE DELLE NORME CHE LA LEGGE STESSA PRESCRIVA PER L’INDICAZIONE DEI RESPONSABILI.  ……… Tutto questo non deve con questo governo non deve più esistere!
A fronte della ribellione mia e del compagno inizia una sorta di colluttazione con i poliziotti, iniziano a strattonarmi prendendomi violentemente per il braccio e dicendomi che se non diamo i documenti subito ci identificheranno in questura, replico che non mi possono mettere le mani addosso e non mi devono toccare, continuo a gridare  che voglio parlare con il mio avvocato vista l’aggressione che sto subendo… perché devo essere identificata, quale reato avrei commesso???  
Mi dicono che ho 5 minuti per chiamare il mio avvocato ma cazzate! Mi sollevano i con VIOLENZA GRATUITA mentre il compagno si scontrava con gli altri poliziotti e poi divincolandosi corre a chiamare le altre compagne che stavano volantinando più in là.
Nel giro di pochi minuti per mettermi dentro la volante forse erano 4 o di più mi sono sentita prendere,  non avevo più i piedi a terra, e buttata dentro la volante la testa sul sedile posteriore,  mentre mi buttavano dentro la volante ho visto un braccio vicino la mia bocca d’istinto e ho dato un morso, ho sentito uno di loro che diceva “PORCA TROIA TI FAREMO VEDERE NOI QUELLO CHE TI FACCIAMO”, nel frattempo qualcuno mi girava il braccio destro all’indietro e sentivo qualcun’altro che diceva “le manette portate le manette”  dopo mi ritrovo il braccio destro  AMMANETTATO  e nel braccio sinistro, davanti a me, tenevo ancora il cellulare e qualcuno gira dall’altro lato aprendo lo sportello mi strappa il cellulare  dalla mano sinistra e poi gridandomi PORCA TROIA mi tira x i capelli e mi sposta sul sedile intanto mi avevano rigirato il braccio sinistro e messe le manette dopo di che si parte per la questura mi avevano levato gli occhiali, i miei sono da vista.
Mi portano in questura
Ho detto: tutto questo non lo fate quando prendete un delinquente un mafioso o un fascista???
Non possiamo stare fermi, non possiamo aspettare che succeda ancora non possiamo pensare che questo sia un caso è così che cercano di prendere campo, e si incarogniscono se trovano chi si ribella e non si piega… QUESTO È  IL “CAMBIAMENTO”   IN PEGGIO  PER TUTTI I SETTORI DELLE MASSE POPOLARI di questo governo fascista, razzista, sessista e patriarcale….
La lotta deve essere messa in campo in ogni forma militante, ideologica, politica, culturale… noi cerchiamo di lavorare tra le donne in particolare le proletarie, le lavoratrici, le precarie, le disoccupate... per organizzarle e coinvolgerle in questa lotta ma occorre fare fronte comune
Ma se Salvini/Di Maio e i loro “servi dei servi” pensano che la repressione possa  fermare la ribellione e lotta, soprattutto delle donne, contro lo stato di cose esistente ed un governo fascio-populista che si appresta a peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro e di vita delle masse popolari, si sbaglia alla grande! LA REPRESSIONE ALIMENTA LA RIBELLIONE!

La violenza - la barbarie - l’arroganza - la prepotenza - l’abuso di potere - la vigliaccheria tutto questo ho subito - tutto questo è sostenuto dal Ministro dell’Interno Salvini e da Di Maio. 
In questo atto repressivo di stampo fascista,  maschilista, sessista che ho subito c’è un doppio attacco  perché come militante donna non posso e non devo esprimere il dissenso e le contestazioni…“E' Salvini che vi dice di fare questo” ho detto ai poliziotti mentre mi trasportavano in questura a Palermo
Mi hanno denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata dentro una manifestazione autorizzata!!!
Ma la  rabbia che mi rode dentro non mi fa stare nella paura ma in un’ansia tremenda, l’ansia di reagire e lottare contro la odiosa repressione fascista, razzista e sessista di questo governo, di questo Stato.
I messaggi di solidarietà che sono arrivati danno forza.

LA CGS HA SANZIONATO LO SCIOPERO DELLE DONNE, MULTANDO LO SLAI COBAS SC PER 2.500 EURO



Nei giorni scorsi la Commissione Garanzia Scioperi ha trasmesso una Delibera (di cui sotto riportiamo le pagine principali) con cui sanziona lo Slai cobas per il sindacato di classe per aver proclamato lo sciopero delle donne dell’8 marzo scorso in tutti i settori lavorativi, nessuno escluso, violando, pertanto - come motiva la CGS - la franchigia elettorale (5gg dopo le elezioni) che escludeva dallo sciopero alcuni settori.

Le lavoratrici dello Slai cobas sc e le compagne del Mfpr che hanno sostenuto la sua decisione, ribadiscono che lo sciopero delle donne dell'8 marzo era di tutte le lavoratrici. 
Questo sciopero – come è stato detto alla CGS - non era uno sciopero ordinario, doveva essere fatto per forza nella giornata dell’8 marzo, per il grande significato di questa giornata in cui in tutto il mondo le donne scendevano in sciopero. Escludere dei settori lavorativi avrebbe significato porre una discriminazione verso alcune lavoratrici, mettere in discussione l’unità e l’uguaglianza di tutte le donne lavoratrici, e non ci potevano essere divisioni tra lavoratrici/donne con più o meno diritti.

La CGS, nell'audizione fatta agli inizi di luglio scorso, ha parlato di “civiltà”, “rispetto dei cittadini”. Ma si esprime un concetto di "civiltà/rispetto" che di fatto in questo sistema mette all’ultimo posto la "civiltà" e il "rispetto" per la condizione e i diritti delle donne.
D'altra parte queste parole suonano quanto mai oggi altamente vuote e ipocrite, visto che proprio da quelle elezioni del 4 marzo (che si dovevano "salvaguardare" impedendo lo sciopero ad alcune lavoratrici) è sorto il governo fascista/razzista/sessista che ci ritroviamo e che vuole portare la condizione delle donne ad un moderno medioevo (vedi Pillon).
Noi dobbiamo rispettare la legge, i regolamenti burocratici (lo sciopero delle lavoratrici - fatto 4gg dopo le elezioni, tra l'altro in settori a prevalenza maschile: Vigili del fuoco, trasporto marittimo... non avrebbe affatto messo in discussione le elezioni), quando loro non rispettano neanche i più elementari nostri diritti democratici!?

Questa sanzione della CGS è quindi profondamente ingiusta ed è un grave segnale contro la lotta delle donne! Per questo la sanzione non interessa solo chi la sta subendo, interessa tutte noi.

Ma dobbiamo dire che questa sanzione ha trovato la sua giustificazione (come si legge nella Delibera) anche dall'atteggiamento degli altri sindacati che avevano proclamato lo sciopero delle donne dell'8 marzo, ma che hanno subito hanno accettato - in primis Usb, sindacato con più iscritti -
la franchigia elettorale e, quindi, di escludere dallo sciopero settori di lavoratrici.
Questi sindacati di base hanno ragionato in maniera burocratica; hanno di fatto considerato il valore dello sciopero delle donne dell’8 marzo alla stregua di un normale sciopero sindacale; non hanno tenuto conto della volontà della maggioranza delle lavoratrici, né della confusione, difficoltà che ha creato tra le lavoratrici, in uno sciopero che sicuramente non è facile.

Noi pensiamo che di fronte a norme che vogliono limitare i nostri diritti, lo sciopero, non ci si può limitare sempre e solo alla denuncia. C'è il momento – e il valore dello sciopero delle donne nella giornata dell'8 marzo era il momento giusto e necessario – in cui dalla denuncia si deve passare ai fatti, alla "disobbedienza civile". Altrimenti nella situazione attuale, con leggi fasciste, razziste, sessiste, illegittime che faranno, le dovremo rispettare sempre? 

Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe
MFPR



28 settembre a L'Aquila, primo report e rassegna stampa


Una bella giornata quella di ieri (28 settembre) a L'Aquila, illuminata dal sole e dalla mobilitazione al Tribunale e al carcere di compagn@ di varie realtà, che ancora una volta hanno osato lottare contro il regime disumano del 41 bis, contro la tortura di Stato, applicato da 13 anni a Nadia Lioce. Una giornata in cui nella grigia aula del Tribunale sono risuonate forti le parole di Nadia Lioce e delle sue legali, rivendicando la giustezza e le motivazioni della sua protesta.


Lottare contro un regime che vieta alle persone il diritto di parola non solo è un diritto ma è anche un dovere politico, un dovere che anche Nadia, come compagna rivoluzionaria si è assunto.


Daremo presto quindi la parola a Nadia e alla sua difesa, perché i media ufficiali anche questa volta non si sono smentiti, arrivando a prendere lucciole per lanterne, come scambiare la testimonianza di una detenuta in 41 bis, per quella di un'agente di custodia (Il centro, 29.09.18).



Ma andiamo per gradi.

L'udienza si è svolta a porte aperte e una settantina di compagne e compagni hanno tenuto un presidio davanti al tribunale, durante l'udienza. Molti di noi sono entrati in aula, altri sono rimasti fuori a mantenere il presidio e a volantinare.

L'udienza è iniziata con la deposizione di una detenuta in 41 bis, che ha affermato di non aver mai visto Nadia Lioce, nè di aver mai sentito schiamazzi in sezione. Dopo la sua testimonianza, Nadia ha reso la sua dichiarazione spontanea e ha spiegato chiaramente i motivi legittimi della sua protesta, con lucidità e determinazione disarmanti. Un intervento toccante, che merita di essere ascoltato.

Dopo la dichiarazione di Nadia, la PM ha chiesto l'assoluzione per insufficienza di prove (del disturbo).

Ma le arringhe delle avvocate Carla Serra e Caterina Calia sono andate oltre una difesa tecnico-legale, chiamando il giudice a giudicare non Nadia, ma il regime di tortura del 41bis e svelando i veri propositi che l'amministrazione penitenziaria intendeva nascondere sotto questo processo. Anche i loro interventi meritano di essere ascoltati interamente.

L'assoluzione di Nadia Lioce è perché il fatto non sussiste, ma la tortura di questo regime speciale sussiste eccome. Ed è con questa consapevolezza che dopo il tribunale ci siamo recati sotto il carcere di L'Aquila, con un breve corteo spontaneo.

Dalle finestre a bocca di lupo alcuni detenuti sono riusciti a salutarci. Ci hanno incoraggiato nella lotta e noi abbiamo fatto altrettanto. Abbiamo condiviso con loro le ragioni per lottare contro questo sistema capitalistico, che semina razzismo, guerra tra poveri, guerre imperialiste, violenza e repressione contro donne e bambini.

Abbiamo affermato che contro un sistema che nega il diritto alla vita, alla dignità delle classi sfuttate, all'autodeterminazione, le donne e gli uomini proletari devono unirsi, dentro e fuori le prigioni, in un abbraccio di classe per rovesciarlo, per la libertà, per l'umanità.


Per la prima volta sotto il carcere di L'Aquila c'erano anche bandiere palestinesi e contro sfratti, sgomberi e pignoramenti e sono stati letti stralci del Messaggio di solidarietà dai prigionieri palestinesi allo sciopero nazionale dei detenuti negli Stati Uniti.

Nell'intervento di una compagna del MFPR è stato evidenziato che malgrado lo stato abbia prorogato il 41bis a Nadia Lioce, la sentenza di assoluzione ha dimostrato invece che le iniziative di mobilitazione, la vasta e articolata campagna di solidarietà portata avanti da più di un anno, la protesta, la denuncia dall'interno delle carceri di una compagna prigioniera, quando si mettono insieme, anche nelle differenze, possono vincere. Ha inoltre affermato che questa battaglia deve proseguire e allargarsi sempre più a livello di massa, perché la repressione è di massa e in questo Stato di polizia il diritto di parola viene duramente represso, come è successo alla compagna del MFPR di Palermo, aggredita e arrestata perché volantinava. Quindi ha lanciato la proposta di una prossima mobilitazione ampia davanti al Ministero della Giustizia.


Il sole ci ha accompagnato dolcemente in tutta la giornata. Un filo rosso di passione e solidarietà ha unito tutti gli interventi, fino ai saluti finali. Ci siamo lasciati nella consapevolezza che indietro non possiamo tornare e che questa giornata bellissima ci darà la forza e le ragioni per andare avanti.

GRAZIE NADIA!


Qui sotto l'articolo del Messaggero:



Da media indipendenti pubblichiamo invece l'audio degli interventi più significativi dell'ultima udienza del processo. Il giudice si è dato 90 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza.


Ascolta la dichiarazione di Nadia Lioce

Ascolta le arringhe di Carla Serra e Caterina Calia

29/09/18

Massima solidarietà alle operaie della Montello


Le operaie della Montello devono essere tutte assunte dalla nuova Cooperativa!
Il consorzio e la nuova coop con il cambio appalto vogliono buttare fuori 17 operaie che lavorano alla Montello da anni.
Improvvisamente e stranamente dalle pratiche del "cambio appalto" sono "spariti" i nomi delle operaie.
Queste operaie sono le prime 17 di una importante vertenza che stanno portando avanti con lo Slai cobas sc per il pagamento della mezz'ora di mensa: "8 ore pagare 8!".
Sono le operaie coraggiose che il 20 settembre hanno fatto un presidio al Tribunale.
Ora le si vuole punire per questo?
Cooperative e CGIL non vogliono rilasciare alle operaie copia dell'accordo di cambio appalto che hanno firmato con i nomi delle operaie comprese nel cambio.

Attenzione e massima solidarietà
In preparazione iniziative.

Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe

per inviare comunicati, scrivere a:
sindacatodiclasse@gmail.com
o
mfpr.naz@gmail.com

28/09/18

NADIA LIOCE ASSOLTA!!

E' la vittoria della continua mobilitazione, presidi fatti ad ogni udienza, al Tribunale e al carcere, come anche oggi, ed estesa ad iniziative in tante città; dell'appello raccolto da lavoratori, donne, democratici, ecc. alla solidarietà che si è sviluppata in maniera vasta e in varie forme; è la vittoria della lucida determinazione di Nadia durante il processo nello spiegare i motivi legittimi della sua protesta contro il regime 41bis; del ruolo delle avvocatesse di Nadia che non si sono limitate affatto ad una difesa tecnico-legale ma hanno dimostrato come il 41bis = tortura.

Una vittoria che dice che questa battaglia contro le condizioni di detenzione e il regime del 41bis verso Nadia Lioce deve e può continuare e deve unirsi alla battaglia per la libertà di Nadia Lioce e di tutti i prigionieri politici rivoluzionari.

Faremo, in seguito, un resoconto della giornata ricca di oggi.

Info MFPR

Informazione: NUDM-Roma Report assemblea nazionale “Le città femministe esistono e resistono"





La giornata di sabato 22 settembre, organizzata da Non una di Meno Roma presso la Casa delle donne Lucha y Siesta, ha visto la partecipazione di circa 200 donne provenienti da tutta Italia.

Per facilitare la discussione ci si è suddivise in due tavoli di lavoro.

Nel primo tavolo la discussione si è concentrata sulla condivisione di idee e strumenti utilizzati in questi anni dagli spazi femministi nel dialogo con le istituzioni o con il privato, per riformulare quelli non idonei alla realizzazione del nostro diritto di esistere in forma autonoma, libera e autodeterminata. Il secondo tavolo di lavoro ha focalizzato il dibattito sulle macro e micro pratiche di conflitto al fine di favorire l’emergere delle vertenze che animano i livelli territoriali da cui proveniamo.
La giornata si è poi conclusa con una ricca e partecipata assemblea plenaria.
Le partecipanti ai tavoli hanno rappresentato diverse esperienze di gestione e autogestione di spazi delle donne, centri antiviolenza, case delle donne, consultori, singole, gruppi e associazioni. Storie diverse che si sono ritrovate con l’intento di dare una lettura comune agli attacchi che si diffondono in maniera capillare a danno tanto degli storici luoghi delle donne, quanto delle esperienze più recenti sbocciate negli ultimi anni sull’onda del movimento di Non una di meno. Nate in contesti e climi differenti, tutte le esperienze hanno denunciato una sostanziale difficoltà nell’ interlocuzione con le istituzioni che, quando non ingaggiano uno scontro frontale, non ne riconoscono affatto il valore politi co, storico e culturale.
Spesso legati a bandi, concessioni o convenzioni di breve periodo, molti spazi femministi vivono con disagio e incertezza il proprio futuro e denunciano un tentativo di svuotamento del loro senso politico da parte di soggetti esterni (asl, assessorati e amministrazioni comunali, enti territoriali). È stata condivisa la necessità di rifiutare le logiche di mercificazione degli spazi femministi, stretti da debiti e costi insostenibili per luoghi nati senza scopo di lucro e che tali riteniamo debbano rimanere.
Altre realtà hanno riportato esperienze di liberazione di spazi pubblici lasciati abbandonati nate dal basso e in città dove non esistevano prima luoghi femministi di incontro e di elaborazione. È necessario sostenere con più forza queste esperienze e favorire forme di solidarietà diffusa in primis da parte degli altri spazi femministi, che le metta nelle condizioni di chiedere il dovuto riconoscimento. Molte denunciano che le mobilitazioni svoltesi in diverse città per evitare la chiusura di centri, case e servizi e del loro valore storico e simbolico, sono rimaste senza esito, così come richieste di incontri e tavoli avanzate ai vari soggetti competenti. Nei tribunali, soprattutto in sede civile, si nota un a simile ostilità verso le donne che denunciano (e i gruppi che le sostengono) e che devono affrontare lunghi percorsi giudiziari.
In modo unanime l’assemblea ha sottolineato come, al di là del loro valore fisico, non vi sia differenza tra luoghi e pensiero femminista. Attaccare i luoghi femministi significa dunque anche attaccare la possibilità di fare politica femminista, sottrarci lo spazio entro il quale la nostra elaborazione politica nasce e si rinnova, mettendo in crisi anche gli spazi misti della politica, dove si fa molta fatica a portare interventi di contrasto alla violenza di genere. Le città in cui viviamo stanno diventando terreni scivolosi, dove  è difficile continuare ad operare a causa di un contesto politico che anima un clima sociale ostile ai luoghi di aggregazione e socialità, ostile ai soggetti che promuovono forme di integrazione con i soggetti migranti, ostile alle forme di autorganizzazione innovativa. La politica femminista basata sulla relazione continua, sulla centralità dei bisogni e dei desideri e sulla valorizzazione dell’altra, è in grado di dimostrarsi saldamente antifascista e antirazzista e si propone oggi più forte che mai come fondamentale arma di Resistenza culturale contro gli attacchi del patriarcato e i pericoli del neoliberismo. Per questo non dobbiamo mai smettere di stare nelle piazze e di parlare con i territori al di là dei nostri spazi fisici.
L’attacco agli spazi delle donne è dunque un attacco alla politica femminista e a quanto essa ha prodotto negli ultimi decenni in termini di pratiche di contrasto alla violenza e di allargamento dell’agibilità politica dei movimenti delle donne. Si sta agendo su più fronti e con particolare ferocia negli ultimissimi tempi. Si tratta di uno schema di ingegneria sociale antifemminista che intende riportare tante nelle case e negli ambiti esclusivamente privati, negando luoghi di incontro, diritti di cittadinanza e libertà civili. Consapevoli di star vivendo un passaggio storico e simbolico fondamentale, dobbiamo situarci nella complessità del presente per poter incidere nella società che ci circonda a tutela soprattutto di quelle che vivono le più cruente forme di violenza sulla loro pelle, le donne migranti.
Data la gravità e urgenza del tema, molto si è discusso in merito i decreti Pillon di cui se ne denuncia la pericolosità che va ad inasprire fortemente il quadro già presente nei Tribunali italiani con particolare riferimento alla sede civile. Si tratta infatti di un impianto normativo classista che tende a danneggiare il coniuge con la situazione economica meno favorevole, generalmente la madre. Si denuncia che quanto proposto in termini di alienazione parentale viola ogni forma di contrasto alla violenza domestica, a partire dalla Convenzione di Istanbul in quanto contribuisce alla non emersione del fenomeno e soprattutto non tiene nella dovuta considerazione le ripercussioni che vivono i minori che assistono alle violenze. Ne discende un quadro fortemente patriarcale promotore di strumenti, quali la mediazione familiare, che il movimento femminista rifiuta e denuncia come estremamente dannosi. I decreti Pillon vanno contrastati in maniera univoca e unendo tutte le nostre forze. 

Serena Mollicone, uccisa dallo stato per metterla a tacere

Da Repubblica

Serena Mollicone è stata uccisa all'interno della caserma dei carabinieri di Arce. Al principale sospetto dei magistrati di Cassino, impegnati a distanza di 17 anni dall'omicidio a far luce sulla morte della ragazza, è arrivata ora la conferma dai carabinieri del Ris.

Gli investigatori in camice bianco hanno ultimato la perizia sui frammenti di legno recuperati, nel corso della nuova autopsia effettuata sulla salma della vittima, sul nastro adesivo con cui erano stati bloccati mani e piedi della diciottenne e si sono convinti che quel materiale provenisse dai locali appunto della caserma.

Il 1 giugno 2001 Serena Mollicone, 18enne di Arce, in provincia di Frosinone, uscì di casa per recarsi all'ospedale di Isola Liri e nel primo pomeriggio, rientrata nel suo paese, sparì. Il corpo della giovane studentessa venne trovato due giorni dopo da alcuni volontari della Protezione civile in un boschetto di Anitrella, frazione del vicino Monte San Giovanni Campano, con un sacchetto di plastica sulla testa, e le mani e i piedi legati. Venne presto indagato un carrozziere di Rocca d'Arce, con cui la diciottenne si sospettò avesse un appuntamento, Carmine Belli, ma l’uomo venne prosciolto in via definitiva ed è ora tra quanti invocano giustizia per Serena.

Nel 2008 poi si verificò un altro episodio misterioso, il suicidio del carabiniere Santino Tuzi, che era tra i militari presenti in caserma il giorno della scomparsa della 18enne. Un dramma che ha portato gli investigatori a intensificare le nuove indagini intanto aperte per cercare di scoprire i colpevoli dell’omicidio. In Procura a Cassino si sono man mano convinti che la giovane sia stata picchiata a morte, dopo un violento litigio, all'interno della caserma dell'Arma di Arce, dove si era recata forse per denunciare strani traffici in paese, che sia stata portata agonizzante nel boschetto di Anitrella e che, scoperto che respirava ancora, sia stata soffocata. Un omicidio a cui avrebbe fatto seguito una serie di depistaggi.

Sono stati così indagati, con le accuse di omicidio volontario e occultamento di cadavere, l'ex comandante della stazione di Arce, il maresciallo Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna, il luogotenente Vincenzo Quatrale per concorso morale nell’omicidio e per istigazione al suicidio del brigadiere Tuzi, e l'appuntato Francesco Suprano per favoreggiamento.

Le indagini dei carabinieri di Frosinone, consegnata anche la perizia dei Ris, appaiono ormai concluse e a breve il sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo dovrebbe tirare le somme. Forse l'ora della verità su uno dei peggiori cold case italiani è giunta.

24/09/18

Verso e oltre il 28 settembre, contro la tortura di stato, per la libertà di Nadia Lioce




Il 28 settembre si terrà a L’Aquila la quinta udienza del processo contro Nadia Lioce, prigioniera politica rivoluzionaria da 13 anni in regime di 41bis presso la sezione femminile speciale delle Costarelle (AQ).

Le vengono contestate delle battiture (effettuate due volte a settimana al termine di ogni perquisizione, con una bottiglietta di plastica e della durata di mezz’ora l’una) iniziate a marzo del 2015 a seguito della sottrazione di materiale cartaceo, corrispondenza e atti giudiziari. Nadia concluse la sua protesta nel settembre del 2015 quando il materiale le fu parzialmente riconsegnato.

Per quelle battiture lo Stato ha già condannato Nadia in via pregiudiziale: il 6 settembre 2016 le ha prorogato per altri 2 anni il regime di 41 bis, nonostante questo regime detentivo ultrarestrittivo non abbia più fondamento di proseguire, né per lei, né per gli altri prigionieri delle BR-PCC, dato che questa organizzazione è stata smantellata nel 2003.

Per quelle battiture lo stato ha inflitto a Nadia, in soli 3 mesi, una settantina di provvedimenti disciplinari, condannandola a 2 anni di isolamento totale. Una “vessazione continua”, come fecero osservare i suoi legali alle scorse udienze. Ma allora perché trascinarla in tribunale?
Il pretesto non può essere solo il reato contravvenzionale, con addebito a Nadia Lioce di presunti “danni” provocati da una bottiglietta di plastica vuota sulla porta blindata della cella.

In ballo c’è la dignità, personale e politica di Nadia Lioce, e con essa di tutti i prigionieri che si ribellano a condizioni di vita inumane e degradanti. In ballo c’è il diritto di parola, di espressione del pensiero, il diritto di denuncia, di manifestazione del dissenso. E questo non solo dentro, ma anche fuori del carcere. Ed è per questo che il processo a Nadia Lioce e la campagna per la sua liberazione, contro il carcere e il 41 bis, riguarda tutte e tutti noi.

Nelle intenzioni dello Stato, questo processo a Nadia deve servire a dimostrare che la persecuzione di una brigatista è legittima e che la sua protesta, anche se attuata in forma pacifica, è sintomatica della «sua indole rivoluzionaria» e della sua «pericolosità sociale», perciò suscettibile di ulteriori sanzioni disciplinari, come l’applicazione della misura dell’isolamento punitivo (14 bis Op).

Ma nelle intenzioni di Nadia, che ha fatto opposizione al decreto penale di condanna, e anche nelle nostre, questo processo deve servire, e in parte lo ha già fatto, a far emergere la “parola segregata”.
«La “parola”, ovvero quella facoltà innata del genere umano che storicamente presso un po’ tutte le civiltà ne tipicizza la dignità rispetto alle altre specie animali, viene criminalizzata in sé stessa [..] verso chiunque altro “consentisse” al detenuto in 41 bis di “comunicare” con “l’esterno”… la previsione legislativa del 2009 è l’incriminazione penale» (dalla memoria difensiva di Nadia Lioce, 24 nov. 2017)

Dal 2005 ad oggi, Nadia Lioce ha assistito ad una progressiva restrizione del regime detentivo cui è sottoposta. In particolare dal 2011, da quando cioè è stato introdotto il divieto, per i detenuti in 41 bis, di ricevere libri e riviste dall’esterno (divieto confermato dalla circolare del 2 ottobre 2017), le restrizioni hanno preso di mira la possibilità di leggere, studiare, pensare, scrivere, parlare, salutare. Un’ora di colloquio mensile con vetro divisorio e non più di 15-18 ore annue di confronto con i propri avvocati, sono il tempo di conversazione disponibile che Nadia Lioce riesce a consumare nell’arco di quattro stagioni, poco più di 24 ore di parola, per un silenzio lungo 364 giorni.
Mentre nel 2013, con la sentenza Torreggiani che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della CEDU, le condizioni materiali di detenzione di Nadia Lioce hanno subito un adeguamento - la cella singola in cui è reclusa è di normale grandezza, sufficientemente luminosa ed areata e può fare l’ora d’aria in un passeggio grande ed attrezzato - sono le deprivazioni immateriali e sensoriali che definiscono adesso il moderno regime di tortura bianca cui è sottoposta.
Ma le famigerate celle 2 metri per 2 e la vasca di cemento per l’ora d’aria, 3 metri per 3, che hanno “ospitato” Nadia ed altre 6 detenute in 41 bis nel carcere aquilano, non sono andate certo dismesse! Adesso sono “riservate” alle donne detenute in Alta sicurezza, che di fatto sono sottoposte al regime di 41 bis, sepolte vive in quei tuguri, senza neanche il “privilegio” di far conoscere la loro condizione in un’aula di tribunale.

Il processo a Nadia Lioce è quindi anche un’occasione, per chi si batte contro il carcere e il regime di tortura del 41 bis, di conoscere e di far emergere, dalla tomba in cui sono sepolte, le “parole segregate”, le afflizioni, le contraddizioni, le lotte che attraversano la struttura carceraria e che si rovesciano, inevitabilmente, su quella sociale.
Partecipando all’udienza per Nadia Lioce del 4 maggio scorso ad esempio, abbiamo appreso che da marzo di quest’anno l’intera sezione maschile in 41 bis del carcere dell’Aquila ha avviato una battitura di protesta contro il divieto di tenere la televisione accesa oltre la mezzanotte, tanto che l’avvocata di Nadia, Caterina Calia, ha chiesto se si intendesse trascinare in aula anche tutti gli altri detenuti per il medesimo reato (sono 147 i detenuti uomini ristretti in 41 bis nel carcere aquilano).
Naturalmente il processo a Nadia Lioce non è un processo come tutti gli altri, perché è un processo a una prigioniera politica rivoluzionaria irriducibile, che lo Stato tiene in ostaggio con una misura non più “emergenziale”.

A Nadia Lioce viene richiesta esplicitamente “un’abiura politica” come prezzo da pagare per una detenzione “normale”. L’abiura politica e il silenzio, non solo suo, ma di chiunque provi a denunciare le condizioni di vita dei prigionieri in 41 bis, a solidarizzare con le loro lotte, ad affermare che contro le ingiustizie “Ribellarsi è giusto”.

A svelare il senso stesso del 41 bis, basterebbero le motivazioni accampate dai governi per rendere permanente questo regime speciale ai prigionieri politici. E questo al di fuori e al di sopra della nostra Carta Costituzionale e delle raccomandazioni dei vari organismi europei e internazionali contro la tortura.
Nel decreto ministeriale di proroga del 41 bis a Nadia si legge ad esempio che “un’eventuale mancata proroga del regime detentivo speciale, nei confronti della detenuta Lioce, potrebbe essere interpretata dal variegato movimento protagonista delle iniziative di solidarietà, come un attestato dell’efficacia della campagna di sostegno condotta”. Sempre nel decreto si tira in ballo la crisi, agitando lo spettro della rivoluzione: "Sussiste un concreto pericolo che la Lioce, attestata su posizioni di irriducibilità, ancora titolare di indiscusso carisma in ambito carcerario ed in contesti di eversione di sinistra, intrattenendo contatti ordinari con l'esterno, possa contribuire a generare propositi di attentato alla sicurezza dello Stato. Del resto il perdurare nel nostro Paese di una situazione di recessione socio-economica risulta potenzialmente favorevole a dare concretezza ad un messaggio rivoluzionario, che si potrebbe tradurre in iniziative simboliche e funzionali alla propaganda armata".

Come si evince da questo decreto, è la ripresa della capacità rivoluzionaria della classe, quella che preoccupa oggi lo Stato e che “giustificherebbe” il 41 bis per i prigionieri politici. Una potenzialità rivoluzionaria che sarebbe certo favorita dalla crisi che questo stesso sistema capitalistico ha generato, scaricando sulle masse il prezzo di uno sviluppo diseguale, sui giovani, le donne, i lavoratori e i proletari maggiore sfruttamento e repressione, sui migranti le sue guerre imperialiste e di rapina, le sue morti in mare. Una potenzialità rivoluzionaria che la politica dell’attuale governo fascio-populista, in continuità con i governi che lo hanno preceduto, ma questa volta senza troppi orpelli “democratici” e in palese violazione della Costituzione nata dalla Resistenza, si affretta a scongiurare a suon di taser, daspo, sgomberi, respingimenti, istigazione all’odio razziale, ecc...

Il 41 bis per i prigionieri politici rivoluzionari è dentro la repressione che questo Stato sta portando avanti da tempo e che colpisce praticamente ogni movimento di lotta. E la detenzione inutilmente persecutoria verso Nadia Lioce sta a rappresentare, simbolicamente, tutto questo.

Oggi la battaglia per Nadia Lioce, contro il 41 bis, deve continuare ad allargarsi sempre di più a livello di massa ed essere parte integrante della necessaria lotta contro la repressione, lo Stato di polizia e il moderno fascismo.
Per questo sosteniamo la mobilitazione del 28 settembre a L’Aquila, e proponiamo una più larga iniziativa al Ministero della Giustizia, contro i provvedimenti governativi su rafforzamento ed estensione del 41bis e di altre misure restrittive della libertà personale, contro l’inasprimento delle condizioni carcerarie, la repressione, la tortura di Stato e la chiara persecuzione, anche pregiudiziale, verso Nadia Lioce.

MFPR

Sbirri assassini, leghisti e M5S, sono costoro che in piazza a Palermo non dovevano stare il giorno del gay pride

Il governo Salvini/Di Maio sta portando avanti la seconda crociata contro le donne, i migranti, l'aborto, il divorzio e le coppie gay. Eppure si legge, da Repubblica di Palermo, che anche il M5S, alleato al governo con la Lega, era presente al gay pride di Palermo il 22 settembre. Si legge ancora che nei pressi del corteo era allestito un banchetto della Lega in sostegno di Salvini, con chiaro intento intimidatorio nei confronti della Procura della Repubblica. A questi vermi fascisti non è stato impedito di manifestare e l'azione poliziesca si è rovesciata sulla nostra compagna Cettina che stava volantinando al corteo del gay pride. Buttata di peso dentro una macchina della polizia, insultata e ammanettata quando era in macchina, già in condizioni di non potersi difendere. Ora la compagna è stata rilasciata, ma è ancora sotto shock per l'aggressione subita.

Intanto le sono arrivati altri messaggi di solidarietà:

Un abbraccio solidale a Cettina. Giù le mani dello stato, zozze di sangue e violenza razzista e sessista dalle compagne!
Cettina non sei sola, con te il nostro amore rivoluzionario, contro i servi dello stato la nostra rabbia e il nostro odio
Luigia

Un abbraccio da Trieste
Stiamo organizzando contromanifestazione per il 3 novembre
Casa Pounda
Manifestazione nazionale
Geni

Tutta la nostra solidarietà e profonda riflessione contro questo atto gravissimo.
Insieme nella lotta dalle lavoratrici Delle Poste.
Antonella poste milano

Il governo Lega/M5S da un colpo di acceleratore  alla marcia del fascismo e dello stato di polizia!

MASSIMA SOLIDARIETA’ A CETTINA COLPITA  A PALERMO DALLA REPRESSIONE FASCISTA
DELLO STATO

Abbiamo appena appreso che Cettina, una lavoratrice e compagna del MFPR, ieri è stata strattonata e portata in manette in caserma dalla polizia, solo perché, giustamente, non si era lasciata intimidire e strappare dalla Digos i volantini che stava distribuendo durante la manifestazione del Gay Pride di Palermo.

Si tratta di un fatto gravissimo, anche se non ci sorprende affatto, dato che il governo Lega/M5S ha già ampiamente mostrato la sua vera natura fascio-populista oltreché razzista, come dimostrano pure la questione immigrati e la legittimazione dello squadrismo nazifascista di CasaPound e FN.

Se adesso è vietato pure manifestare liberamente le proprie idee attraverso il volantinaggio, siamo proprio in dittatura. Cosa che non deve assolutamente essere sottovalutata!

Ma se Salvini/Di Maio e i loro “servi dei servi” pensano che la repressione possa  fermare la ribellione e lotta, soprattutto delle donne, contro lo stato di cose esistente ed un governo fascio-populista che si appresta a peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro e di vita delle masse popolari, si sbagliano alla grande!

LA REPRESSIONE ALIMENTA LA RIBELLIONE!


23.09.2018
Lavoratrici SLAI Cobas sc- Policlinico-Palermo

Queste le locandine e i volantini ritenuti "non adatti alla manifestazione" dalla polizia


sulla stampa
 
Giornale di Sicilia pag. 47

«I gay sono istigati dal diavolo»: parla il prete consigliere del ministro Lorenzo Fontana.... Ovvero il pensiero oscurantista/reazionario del governo, non dissimile dall'ideologia nazista

Il governo della Reazione torna al passato, guarda indietro e attacca i diritti. Una vera e propria crociata capitanata dal ministro leghista della famiglia Lorenzo Fontana, che assalta il divorzio, l'aborto, le unioni gay. Dietro di lui una rete di preti che dicono la messa in latino. Cardinali tradizionalisti e americani vicini al guru trumpiano Steve Bannon. Uomini di chiesa, come il consigliere spirituale (e politico) di Fontana, che invoca una nuova alleanza trono-altare, considera gli omosessuali guidati dal demonio e le donne incapaci di concentrarsi. Gli antimoderni all'assalto dell'Italia e dell'Europa, un vero e proprio movimento reazionario che ha deciso di guardare al passato.

La guida spirituale (e politica) del leghista titolare del dicastero della Famiglia ha le idee chiare: l'omosessualità è un peccato voluto dal demonio, l'aborto un crimine, serve un'alleanza tra trono e altare.

di Elena Testi
21 settembre 2018

Leggi svuotate dei diritti acquisiti. Una strategia per riportare gli antichi valori cattolici in un'Europa smarrita. Un ministero creato ad arte dal carattere evocativo. Nel numero in edicola da domenica 23 settembre L'Espresso svela il lato mistico del Carroccio, legato a doppio filo con Burke, il cardinale anti Bergoglio. Una guerra silenziosa si sta combattendo con eserciti di preghiera che prendono d'assalto i cieli e ginocchia genuflesse. I crociati dall'Italia si spostano all'Europa, sino a stringere patti con il movimento populista dell'ex stratega della Casa Bianca, Steve Bannon. Ogni mattina, alle sette e un quarto, a pochi passi da palazzo Farnese, ponte Sisto e via Giulia, un uomo varca la porta dell'imponente chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, si inginocchia e partecipa all'antico rito tridentino, la messa in latino che si celebrava prima della riforma liturgica fortemente voluta dalla Santa Sede dopo il Concilio Vaticano II. L'uomo che nella penombra si percuote il petto con il pugno in segno di contrizione per tutti i suoi peccati, è il ministro Lorenzo Fontana.
Don Vilmar Pavesi è il consigliere spirituale del ministro Fontana. Fidatissimo parroco della Lega , ora officia nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini a Roma, dove prende la messa in latino proprio il titolare del dicastero della famiglia. Abbiamo incontrato il sacerdote dopo l'omelia. Che con il sorriso sulle labbra ha pronunciato le sue sentenze. Contro le donne, i migranti, l'aborto, il divorzio e le coppie gay. "C'è il diavolo dietro ogni peccato di superbia, di sensualità, di lussuria - dice. "L'omosessualità è un peccato contro natura. Istigato dal maligno".
   
Terminata la solenne liturgia, si dirige dentro la sacrestia e incontra la sua guida spirituale, nonché consigliere fidato, don Vilmar Pavesi. Questo sacerdote, vestito con la tunica nera, per anni ha animato la vita politica veronese, benedicendo sedi di partito del Carroccio e lanciando castighi divini ogni volta che gli veniva impedito di celebrare cerimone reazionarie. Il prete pronuncia le sue sentenze terribili  protetto da un sorriso che non si spegne mai. «In questa Chiesa vengono solo uomini perché ci vuole uno sforzo mentale per seguire la messa in latino». E ancora: «I gay? Sono istigati dal diavolo, dietro ogni peccato di sensualità e lussuria c'è la mano del maligno». Per don Pavesi  l'aborto diventa un crimine, la civiltà necessita di una nuova alleanza tra trono e altare, bisogna tornate agli antichi regni italici e i migranti «non mi sembra scappino dalle guerre». Parole che lasciano perplessi, ancor di più se pronunciate da un prete che dovrebbe gridare dignità, perdono e carità, ma parla solo di gerarchia, dipendenza e legame.
Di questo padre brasiliano, amico non solo di Fontana ma anche di Matteo Salvini, non si è saputo nulla, eppure la sua chiesa, la santissima Trinità dei Pellegrini, è frequentata da politici di spicco e da quei porporati che mettono in discussione il pontificato di Francesco.
Il governo della Reazione torna al passato, guarda indietro e attacca i diritti. Una vera e propria crociata capitanata dal ministro leghista della famiglia Lorenzo Fontana, che assalta il divorzio, l'aborto, le unione gay. Dietro di lui una rete di preti che dicono la messa in latino. Cardinali tradizionalisti e americani vicini al guru trumpiano Steve Bannon. Uomini di chiesa, come il consigliere spirituale (e politico) di Fontana, che invoca una nuova alleanza trono-altare, considera gli omosessuali guidati dal demonio e le donne incapaci di concentrarsi. Gli antimoderni all'assalto dell'Italia e dell'Europa, un vero e proprio movimento reazionario che ha deciso di guardare al passato.

L'internazionale sovranista ha qui, nel cuore di Roma, tra madonne, crocifissi ed evangelisti, uno dei suoi nascosti punti di riferimento. Una rete che comprende il cardinale Raymond Leo Burke, il segretario di Ratzinger, Georg Ganswein e l'ultracattolico Steve Bannon, intenzionato a dirigere l'Europa. Intrighi, accademie finanziate con soldi che arrivano da oltreoceano e un passato che rende chiaro il futuro.


L'inchiesta integrale su L'Espresso in edicola da domenica 23 settembre