Il #Metoo contro McDonald’s
Due giorni fa in dieci città degli Stati Uniti con la sigla
#Metoo McDonald’s le lavoratrici hanno scioperato e sono scese in piazza contro
il colosso degli hamburger per denunciare le molestie sessuali ai danni di
venticinque dipendenti. Il 18 settembre le lavoratrici della più grande catena
multinazionale di fast food hanno indetto un giorno di sciopero contro
le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Lo sciopero ha attraversato ben dieci
città (Chicago, Kansas City, St. Louis, Los Angeles, Miami, Milwaukee, New
Orleans, Orlando, San Francisco e Durham) ed è stato sostenuto da Fight for
$15 (e quindi da diverse sigle sindacali), dalla Women’s March e da Time’s
Up tra gli altri. Lo sciopero arriva dopo ben 25 denunce arrivate alla
Commissione per le pari opportunità (EEOC) degli Stati Uniti che sono state
completamente ignorate dai vertici di McDonald’s. “Non sono nel menù” è lo
slogan che è stato utilizzato durante la protesta per segnalare che le
lavoratrici e i lavoratori non sono merce in vendita, ricattabile, sfruttabile
e “molestabile”. Nella lettera d’indizione della manifestazione, le
lavoratrici scrivono:
«Caro McDonald’s:
McDonald’s vorrebbe essere una «azienda di hamburger
progressista» – ma ha FALLITO nell’affrontare l’accusa di molestie sessuali nei
suoi punti vendita da parte delle lavoratrici.
Palpeggiamenti. Commenti volgari. Proposte di sesso. E quando le
lavoratrici hanno denunciato I comportamenti inappropriati, la direzione non ha
detto nulla – o, ancora peggio, le ha licenziate e si è vendicato. Siamo
solidali con le lavoratrici che stanno lottando a livello nazionale il 18
settembre e affermiamo:
È tempo di applicare le regole
dell’azienda che proibiscono le molestie sessuali.
È tempo di portare avanti corsi di
formazione obbligatori per i dirigenti e i dipendenti sulle molestie sessuali.
È tempo di ascoltare i lavoratori
e difendere i gruppi per assicurarsi che NESSUN* lavoratore/lavoratrice di
McDonald’s subisca molestie sessuali sul posto di lavoro».
Le richieste che questa
rete di organizzazioni e sigle ha espresso sono tre: che le linee guida di
gestione di McDonald’s contro le molestie che sono enunciate solo formalmente
vengano rese effettive e siano rinforzate; che si realizzi un sistema non solo
di “educazione” e “formazione” contro le molestie, ma anche uno spazio in cui
le denunce vengano realmente ascoltate; e, infine, che si creino delle
commissioni miste tra lavoratori, responsabili del singolo negozio,
responsabili corporate e associazioni in difesa dei diritti delle donne
(come Time’s Up e il National Women’s Law Center and Equal Rights
Advocates) per fare in modo che nessuna lavoratrice sia lasciata sola a
confrontarsi con l’amministrazione nel caso ci fossero molestie. La protesta
mostra come il #Metoo sia chiaramente esteso molto oltre i luoghi
dell’industria cinematografica e dello spettacolo mainstream e come le
lotte femministe di questi anni stiano continuando a propagare la loro ondata
di forza. Ma indica anche come la lotta sulle molestie, non sia separabile da
una richiesta di salario minimo (o di reddito), e questa a sua volta
dall’organizzazione di condizioni lavorative che siano non solo retribuite, ma
sostanzialmente diverse dai modelli di organizzazione produttiva attuali.
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