Da L'Espresso
Respinti i ricorsi del movimento per la vita
contro la delibera con cui la Regione imponeva ai consultori pubblici di
garantire le prescrizioni di anticoncezionali e i certificati di
gravidanza. "Ora le altre amministrazioni seguano l'esempio"
Prima le donne. Prima le donne e la loro
possibilità di "autodeterminarsi" e di scegliere. Poi tutto il resto,
fra cui il diritto all'obiezione di coscienza dei professionisti che
dovrebbero soltanto aiutarle ad ottenere la prescrizione di
anticoncezionali o ad avere un certificato, all'interno dei consultori pubblici.
Il Tar del Lazio, con una sentenza che entra, dopo due anni di battaglie, nel merito, ha respinto, ritenendoli "infondati", i ricorsi del Movimento per la vita e delle associazioni dei medici cattolici contro la delibera con cui la Regione Lazio imponeva ai consultori familiari pubblici di rispettare i loro doveri. E quindi di prescrivere pillole del giorno dopo o anticoncezionali e garantire i certificati alle donne che ne avevano bisogno per chiedere un'interruzione volontaria di gravidanza in ospedale.
Attività su cui, sosteneva la Regione, non si poteva oppore l'obiezione di coscienza, come invece accade ancora in molti servizi per le donne di tutta Italia, come ha mostrato anche un'inchiesta de l'Espresso. I movimenti per la vita, nel ricorso, insistevano sul fatto che il ruolo dei consultori non fosse «preparare l'interruzione di gravidanza ma fare il possibile per evitarla», sostenevano che la delibera regionale violasse «il diritto fondamentale all'obiezione di coscienza», e le convenzioni europee.
Ma secondo i giudici del tribunale amministrativo regionale per il Lazio, così non è. Anzi. Il primo argomento sarebbe «del tutto estraneo» alla missione di questi servizi, mentre l'obiezione, spiegano, secondo la legge 194, non può esonerare «dall'assistenza antecedente e conseguente l'intervento», per questo, scrivono, «è da escludere che l'attività di mero accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico di un consultorio si presenti come atta a turbare la coscienza dell'obiettore, trattandosi, per quanto sopra chiarito, di attività meramente preliminari non legate al processo d'interruzione».
Per gli anticoncezionali lo stesso: riguardano il diritto della donna ad «autodeterminarsi», e non possono essere considerati aborto, nemmeno nel caso delle pillole post-coito. Quindi: ha ragione la giunta del Lazio. Che ha escluso l'obiezione di coscienza dai consultori pubblici.
«Chiediamo ora che tutti i presidenti di Regione seguano l’esempio del Presidente Zingaretti, affinché la legge sull’ aborto sia applicata correttamente, a tutela della salute, dei diritti delle donne e dello Stato di diritto», chiede ora l'associazione Luca Coscioni.
Il Tar del Lazio, con una sentenza che entra, dopo due anni di battaglie, nel merito, ha respinto, ritenendoli "infondati", i ricorsi del Movimento per la vita e delle associazioni dei medici cattolici contro la delibera con cui la Regione Lazio imponeva ai consultori familiari pubblici di rispettare i loro doveri. E quindi di prescrivere pillole del giorno dopo o anticoncezionali e garantire i certificati alle donne che ne avevano bisogno per chiedere un'interruzione volontaria di gravidanza in ospedale.
Attività su cui, sosteneva la Regione, non si poteva oppore l'obiezione di coscienza, come invece accade ancora in molti servizi per le donne di tutta Italia, come ha mostrato anche un'inchiesta de l'Espresso. I movimenti per la vita, nel ricorso, insistevano sul fatto che il ruolo dei consultori non fosse «preparare l'interruzione di gravidanza ma fare il possibile per evitarla», sostenevano che la delibera regionale violasse «il diritto fondamentale all'obiezione di coscienza», e le convenzioni europee.
Ma secondo i giudici del tribunale amministrativo regionale per il Lazio, così non è. Anzi. Il primo argomento sarebbe «del tutto estraneo» alla missione di questi servizi, mentre l'obiezione, spiegano, secondo la legge 194, non può esonerare «dall'assistenza antecedente e conseguente l'intervento», per questo, scrivono, «è da escludere che l'attività di mero accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico di un consultorio si presenti come atta a turbare la coscienza dell'obiettore, trattandosi, per quanto sopra chiarito, di attività meramente preliminari non legate al processo d'interruzione».
Per gli anticoncezionali lo stesso: riguardano il diritto della donna ad «autodeterminarsi», e non possono essere considerati aborto, nemmeno nel caso delle pillole post-coito. Quindi: ha ragione la giunta del Lazio. Che ha escluso l'obiezione di coscienza dai consultori pubblici.
«Chiediamo ora che tutti i presidenti di Regione seguano l’esempio del Presidente Zingaretti, affinché la legge sull’ aborto sia applicata correttamente, a tutela della salute, dei diritti delle donne e dello Stato di diritto», chiede ora l'associazione Luca Coscioni.
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