Ieri 18 settembre
2018 le agenzie hanno battuto la notizia di questa tragedia:
«Tragedia all’interno della sezione “nido” del
carcere romano di Rebibbia, dove sono ospitati bimbi fino a tre anni con le
proprie madri. Poco dopo le 12 di ieri, una detenuta di 30 anni, di nazionalità
tedesca, ha gettato i due figli dalle scale del carcere di Rebibbia. La più
piccola è morta, aveva sei mesi, il bambino di 20 mesi è gravissimo e
ricoverato all’ospedale Bambino Gesù. La donna era in carcere dallo scorso
agosto per detenzione e spaccio di stupefacenti».
Siamo stati
tutti e tutte colpiti da questo dramma. È impossibile restare indifferenti.
Ma ci siamo
posti la domanda: cosa ci facevano due creature appena nate in un
carcere? Ci siamo dati una risposta? E poi, abbiamo messo in moto una semplice
riflessione critica sul perché esistono queste strutture feroci che ingoiano e
detengono bambini e bambine, in un paese che si ritiene progredito?
Lascio a voi
le risposte a queste domande. Su questo blog potete trovare alcuni spunti per
capire cos’è il carcere e perché, dopo oltre 500 anni, ancora gestisce le
questioni della cosiddetta “giustizia”.
Le
istituzioni stanno già preparando la loro risposta: “la donna aveva problemi
psichici, la soluzione è nella psichiatria”. Le istituzioni se la cavano sempre
con questa formula; chi non gioisce per quest’ordine economico-sociale oppure
si ribella, va preso in carico dalla psichiatria. È un pazzo o una pazza.
Vorrei
vedere voi, saccenti moralisti, come reagireste stando in carcere con due
creature, nel momento che provate a progettare o solo auspicare un futuro per
loro.
Io vi
propongo una lettera che mi è giunta da una di queste mamme dopo aver appena
partorito una bellissima bambina in carcere. Sono le parole più emozionanti che
ho ricevuto dal carcere (che pure conosco bene per averlo frequentato per
decenni) l’ho già pubblicata sei anni fa su questo blog, ma è efficace leggerla
ora con la tensione e la sensibilità al massimo.
*^*^*^*
La parola a chi sta in carcere: è nata
una bambina!
Ciao…,
mi è arrivata oggi la tua lettera e mi ha fatto un immenso piacere anche perché
vengo da giorni e giorni di silenzio. La bambina è nata il …. e
l’ho chiamata S…. Ed è bella davvero. Alla fine di una lunga e complicata
storia, son riuscita a tenerla con me. Ma domani, proprio domani, lascio questo
carcere per andare in una comunità per mamme con bambini. Agli arresti. Se
fosse arrivata domani la tua, non l’avrei mai ricevuta.
Ho dovuto
accettare questa comunità altrimenti non avrei avuto, probabilmente, la mia
bambina. Questo ha deciso il Tribunale dei minori. Dico così perché non ci vado
con molta “gioia” visto che mi è stata vietata la corrispondenza, le telefonate
e che ho un colloquio ogni 2 mesi e solo con mia madre che, tra l’altro, non ha
i mezzi per venire.
Questo è
stato il prezzo (caro) per avere con me la bimba. Quindi da un carcere ad un
lager. Il passo è breve. Queste misure son state messe perché io da qui potevo
uscire con una pena sospesa, da lì con i bimbi, invece, ho un programma di
almeno 3 anni. Non sai quanto avrei voluto continuare ad avere una
corrispondenza con te/voi. Quanto ne avrei avuto conforto in questo momento. Ma
in ‘sta vita troppe volte le cose son arrivate, se e quando, o troppo presto o
troppo tardi.
Dopo tutta
una gravidanza in infermeria mi son trovata in ospedale per 10 giorni (per via
di un’emorragia alla milza sono restata così tanti giorni) sola, completamente
sola in mezzo a donne che condividevano con compagni, amici e parenti il lieto
evento. Avrei voluto un volto amico vicino a me in quei giorni, anche per 1
minuto mi sarebbe bastato. Mi son detta: “non piangere …”, non piangere, ed ho
trattenuto il respiro come quando si va in apnea.
Ecco, ho
riniziato a respirare di nuovo, anche se a fatica, una volta lontana da
quell’ospedale che x me rappresenta un surrogato del mondo fuori a cui io
non appartenevo da troppo tempo.
Il nido. Mi
son ritrovata qui. Il carcere con i bambini! Quanto male fa, credimi. Vedere
così tante anime “pulite” in questo inferno. Qui ho vissuto fino ad oggi,
la bambina è la più piccola di tutti e già si è presa la bronchite (quindi
tantissimi farmaci che sta prendendo x forza perché qui le madri non decidono
niente per il bene dei loro figli) perché i bimbi stando chiusi se la passano a
rotazione e stanno sempre male.
Inoltre mi
sono ritrovata ad essere una minoranza (cosa che ho già sperimentato tante
volte nella vita mia) perché son quasi tutte …. Ovvio che per me non è
assolutamente un problema, ma credo lo sia per qualcuna di loro. È notte, tutto
tace ed io mi sono accorta solo ora che scrivo da 1 ora senza mai fermarmi
neanche per pensare. La bambina dorme, ogni tanto sorride. Domani andremo via e
spero solo che per lei sia un posto migliore di questo.
Mi chiedo
come sia possibile che questi bimbi siano qui li vedi correre su e giù per
questi corridoio prima della chiusura e credimi che sanno, forse più di noi
adulti “inquinati”, dove sono e cos’è questo posto. Vedi madri, x dio, che, come
me, stanno con i loro figli qui da appena arrivati in ‘sto mondo, e che a breve
compiranno 3 anni e verranno allontanati. Le vedi dagli occhi ‘ste madri.
E non ho mai visto così tanto dolore come nei loro occhi.
Qui tutti
decidono, non solo per te, ma anche per loro al posto tuo. Ed è atroce sentirti
dire come tenerlo, educarlo, incoraggiarlo o sgridarlo. Perché non è vero, o
non è detto che lo sia a priori che se una persona ha commesso dei reati sia
quindi una cattiva madre.
Sognavo da
sempre di dare vita alla mia vita, di sentirmi nascere dentro un’anima nuova.
Di poter dare il meglio di me, di potermi riscaldare di questo calore nuovo,
unico ma così naturale che è divenire madre che ora, seduta su questo letto che
condivido con ‘sta piccola vita mia, mi guardo intorno e vedo solo sbarre,
cemento. Sento il lezzo della prigionia. Mi chiedo se sia stato giusto. Se
–perdio – mettere un’altra vita in ‘sto mondo che non mi piace e convince
neanche un po’ sia stato uno sbaglio.
Ma poi, lo
sai che c’è, la guardo, afferro una sua manina, ascolto il suo cuore e mi
scendono le lacrime per l’emozione e mi dico, a bassa voce, piano per non farmi
sentire, che per una volta, una sola volta, non sono io ad aver sbagliato, che
valeva la pena (perché anche per una sola vita vale sempre la pena) anche se
nasce in galera, anche se si è soli in mezzo a tanti, anche se il cuore ti
scoppia per il dolore non ho sbagliato io stavolta. Questa volta no!
Mia figlia è
in galera, è nata in galera. E questo mondo, ‘sta società permette questo. È
umiliante, credimi, è atroce vederli qui ‘sti bimbi, che poi verranno portati
via dalle loro madri con cui vivono un rapporto ancor più intenso ed unico
vista la situazione. S… si è svegliata che vuole mangiare, a lei
non importa dove si trova in ‘sto momento, per lei esistiamo solo io e lei. Né
sbarre, né galere. Lei mi guarda ed io sono lì – la sua mamma – a lei non
importa dove ho sbagliato, che cazzo di reato ho commesso. A lei non importa
chi sia la guardia di turno a controllarmi, lei afferra un solo dito della mia
mano e mi tira, mi porta su, in un mondo nuovo, il suo, dove le persone sono
tutte uguali, dove un sorriso genera allegria, dove esiste la libertà di essere
ciò che si è, dove tutto è più semplice, davvero.
Spero un
giorno di poterci scrivere di nuovo – quando riavrò la possibilità di avere la
corrispondenza te lo farò sapere. Ti ringrazio tanto perché la tua lettera mi
ha fatto aprire un po’ ed era troppo tempo che stavo in apnea, nei giorni
sempre uguali, in un silenzio che mi gridava da troppo tempo.
Grazie,
davvero, che ci siano persone come te …
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