Pubblichiamo,
di seguito, il comunicato di Rete
Evasioni - Rete Campagne in lotta - compagne e compagni di Hurriya, ed esprimiamo alle
2 compagne la piena solidarietà del mfpr, rilanciando la mobilitazione per il
giorno del processo:
Lunedì
1 ottobre, avrà inizio a Palmi uno dei processi contro chi supporta le lotte
autorganizzate dalle persone immigrate che vivono nei ghetti e sono
sfruttate nelle campagne.
In
questo caso, l’accusa rivolta a due nostre compagne è di aver aiutato una
persona a sfuggire all’identificazione e, per una di loro, di averlo fatto
con l’uso della forza contro un carabiniere, durante la giornata di lotta
del 22 marzo 2017 a
San Ferdinando.
Questo
processo, così come alcune segnalazioni e i verbali di perquisizione che
attestano il ritrovamento di volantini e striscioni, è alla base del
foglio di via impartito la scorsa estate a 3 compagnx, conseguentemente
alla giornata di resistenza che ha visto gli abitanti della tendopoli
puntare i piedi davanti all’ennesimo tentativo di sgombero. Operazione umanitaria-militare
che ha solo prodotto il moltiplicarsi di ghetti, tra cui il campo di
lavoro inaugurato il giorno stesso dallo stato: un insieme di tende
ministeriali perimetrato da recinzioni, telecamere, con accesso e orari
gestiti dal controllo tecnologico e dall’assedio delle forze dell’ordine e
numerose altre limitazioni.
Il
teorema che la questura continua a ricamare sui nostri compagni e compagne
è che farebbero parte di una regia occulta che incita e pilota le persone
immigrate a ribellarsi. Con gli stessi presupposti altri solidali sono
stati denuncianti in seguito ad un’altra giornata di lotta, tenutasi
sempre nelle strade di San Ferdinando. Così come a Foggia, dove alcuni compagni
e compagne, per le stesse lotte, subiranno un processo nelle prossime
settimane. Infatti, anche nella provincia pugliese, le persone costrette a
vivere nei ghetti da anni si sono autorganizzate per cambiare le proprie
condizioni di vita e di lavoro. Qui, come in Calabria, le risposte sono stati
sgomberi, campi di lavoro e denunce.
In
questi casi allo stato serve raffigurare gli immigrati e le immigrate come
incapaci di intendere e di volere, manovrate da cattivi consiglieri. Non
sarebbero dunque gli abusi delle guardie, l’assenza di documenti, la
sopravvivenza in baracche e tende senza luce e acqua, il passaggio
obbligatorio nei campi di stato, lo sfruttamento nelle campagne,
l’impossibilità di scegliere dove e come vivere, a spingere le persone a
lottare, a fuggire davanti un controllo, a rifiutare deportazioni e compromessi.
Per
accompagnare militarmente anche l’introduzione della Zona
Economica Speciale (ZES) nell’area industriale del porto di Gioia Tauro,
lo stato ha scelto di regolamentare i campi di concentramento per
lavoratori immigrati e, cosciente che le rivendicazioni delle dure lotte
portate avanti vanno ben oltre la sopravvivenza nei ghetti, ha deciso
di isolarle totalmente da una presenza solidale, da occhi indiscreti.
Fino
a oggi il lavoro della questura sembra piuttosto semplice perché ben
pochi/e compagni e compagne hanno risposto agli appelli di chi lotta nelle
campagne.
Mentre
le forze dell’ordine s’impegnano ad attaccare qualsiasi presenza solidale
con denunce, minacce e umiliazioni, lo stato ha scelto un suo referente,
un soggetto che deve rappresentare, con una sola voce, tutte le persone
costrette nei ghetti.
All’USB
(Unione Sindacale di Base) vengono quindi date le sale del comune di San
Ferdinando per inscenare i monologhi dei propri dirigenti, davanti ad una
silenziosa platea di lavoratori; così come gli è stata affidata la
gestione di uno sportello per agevolare le pratiche dell’ufficio anagrafe,
e concesso l’ingresso nel campo di stato inaugurato solo un anno fa.
Di
fronte alla quotidiana repressione che riguarda le persone che
vivono nelle tendopoli, compare la mano rassicurante di un sindacato, che
parla con lo stato e “ottiene qualcosa”.
In
forma episodica sono state raccontate le numerose occasioni in cui l’USB
ha affiancato gli interessi dello stato, dimenticando le rivendicazioni
delle persone direttamente coinvolte. Forse, la più eclatante, fu proprio
nel tentativo di sgombero della vecchia tendopoli accompagnato dalla
mediazione e l’invito a lasciare le tende per cercare, in futuro, di cambiare
le cose.
Un
invito perpetuo alla calma, anche davanti a vere e proprie tragedie, che
descrive “il consentito” fuori dal quale resta solo la repressione
frontale. Lo raccontano bene le testimonianze e i comunicati scritti in
più lingue da chi vive e lotta nella piana di Gioia Tauro.
Noi
crediamo a quelle voci e a quelle persone non smetteremo di dimostrare che
siamo al loro fianco nonostante i tentativi di questure e tribunali.
Settembre
2018
Rete Evasioni
Rete Campagne in lotta
Le compagne e i compagni di Hurriya
Nessun commento:
Posta un commento