Riceviamo
e pubblichiamo questo comunicato giunto da Rete Campagne in Lotta.
Lo
facciamo da un lato perché rispettiamo e stimiamo il lavoro che da anni fa
Campagne in Lotta e soprattutto le compagne che ci mettono cuore e
intelligenza. In alcune occasioni nel recente passato abbiamo anche lavorato
insieme per iniziative di mobilitazione comuni, e ci siamo scambiate le
esperienze di lotta locali nel lavoro di organizzazione e lotta dei migranti.
In alcune occasioni abbiamo avuto e vogliamo continuare ad avere anche un
dibattito franco sul come sviluppare una rete reale tra effettive realtà di
lotta che "si sporcano le mani".
Pubblichiamo
quindi questo comunicato, perché siamo d'accordo che occorra un bilancio da cui
trarre lezioni positive e negative, facendo piazza pulita di posizioni,
concezioni, pratiche "gruppettare" e strumentali - la questione della
lotta al sessismo, come fatto generale e strategico per tutti, sfonda per noi
una porta aperta -.
Ma riteniamo che queste valutazioni debbano uscire da un dibattito
"interno" per sviluppare lotta
e organizzazione più elevate, che questa fase del governo fascio-populista, che
ha al suo centro la guerra contro i migranti ed è perciò cementato dal razzismo,
richiede urgentemente.
IL
COMUNICATO DI RETE CAMPAGNE IN LOTTA
"Approfittiamo
dell’invito, rivoltoci dal SICOBAS e ancora prima da uno dei suoi membri, a
partecipare all’assemblea in oggetto e alla giornata di lotta in programma il
26 ottobre, per esprimere alcune valutazioni rispetto non soltanto alla
giornata, a cui abbiamo deciso di non partecipare per le ragioni di cui diamo
conto qui, ma anche al percorso intrapreso insieme con le parole d’ordine “no
confini, no sfruttamento” nel 2016-2017. Ci sembra, infatti, doveroso (sebbene
con ritardo, di cui ci rammarichiamo) cominciare a riflettere sulle ragioni per
le quali quell’esperimento è naufragato, perché eventuali futuri tentativi (che
ci auguriamo potranno emergere) non ricadano nelle stesse dinamiche.
Iniziamo
da un assunto banale, ma forse non troppo: non esistono più le
mezze stagioni. Da tempo. Ragione per la quale riteniamo di diffidare
di qualsiasi appello ad un fantomatico “autunno caldo”...qui
nei nuovi tropici dove ci troviamo a vivere e lottare, che sia
la stagione delle piogge o
quella secca, tocca stare sempre in guardia e soprattutto passare all'offensiva per non farsi schiacciare, ad agosto come a gennaio, con un lavoro quotidiano che possa appunto fare dell’antirazzismo una pratica necessaria della lotta di classe. Ce lo ha insegnato e ce lo insegna tutti i giorni chi viveva ai tropici da prima che noi perdessimo l'autunno. Forse alcuni tra di noi, però, tardano a recepire l'insegnamento.
quella secca, tocca stare sempre in guardia e soprattutto passare all'offensiva per non farsi schiacciare, ad agosto come a gennaio, con un lavoro quotidiano che possa appunto fare dell’antirazzismo una pratica necessaria della lotta di classe. Ce lo ha insegnato e ce lo insegna tutti i giorni chi viveva ai tropici da prima che noi perdessimo l'autunno. Forse alcuni tra di noi, però, tardano a recepire l'insegnamento.
In generale, riteniamo che guardare indietro – a quanto di buono è stato fatto da chi ci ha preceduto, come da ciò che essi combattevano – sia utile solo nella misura in cui non ci ingabbia dentro logiche e ragionamenti che appartengono al passato, un passato che non ritorna mai uguale a se stesso. Il fascismo del secolo scorso, così come l'Occidente imperialista, per citarvi, non possono essere il nostro nemico di oggi (il capitalismo non è più fondato su base nazionale, nonostante l'apparente risorgere del sovranismo), né possono essere quelli del secolo scorso gli strumenti per combattere chi ci vuole divise, succubi e sfruttate. I fascismi e gli imperialismi hanno cambiato volto.
Guardare al passato, d'altra parte, deve significare anche e soprattutto riconoscere gli errori di quegli stessi che ci hanno preceduto, per provare a non ricaderci - e quindi riconoscere anche i nostri, di errori. È questo, forse, il nodo più importante e la ragione che ci spinge, nonostante tutto, a rispondere al vostro invito. Invito che ci lascia non poco spiazzate, visti i trascorsi. A cominciare da una questione di genere e di 'razzializzazione' mai veramente affrontata, che ci sembra ancora una volta trattata in maniera superficiale e persino strumentale nell'appello che chiama a questa assemblea e alle prossime mobilitazioni, stile appunto 'autunno caldo'. Il riferimento alla questione di genere (che, mettiamocelo in testa una volta per tutte, non riguarda soltanto le donne, così come il razzismo non riguarda soltanto i neri) sembra piuttosto una concessione a un'ondata di lotte e ribellioni che non si può più ignorare, che non il frutto di una reale riflessione su quanto l'estrazione di lavoro gratuito e sottopagato sulla pelle e sul corpo di molte donne, o più in generale dei soggetti femminilizzati, sia fondante del sistema di sfruttamento che dite di voler combattere. Non c'è lotta antirazzista senza lotta anti-sessista. Non ci si può indignare delle stragi di immigrati, di persone definite di colore, per poi tacere sulla strage di donne, un quotidiano stillicidio passato sotto silenzio. E la lotta contro il sessismo in tutte le sue forme ci pone davanti al fatto che non possiamo concentrarci unicamente sul lavoro salariato, ma dobbiamo guardare alla questione della riproduzione sociale nel suo complesso.
Nel vostro appello vi rivolgete sempre e soltanto a compagni maschi ed italiani, compagni che 'sostengono le lotte degli immigrati'. D'altronde, il vostro linguaggio è per lo più incomprensibile a quelli che voi, compagni italiani e uomini, chiamate immigrati. E, detto per inciso, per favore smettiamo di dare corda al linguaggio razzista avvalorando l'idea che esistano entità chiamate 'etnie' o 'razze', o che esistano persone 'meticce'. Per favore. E smettete di utilizzare l'immagine, buona alla bisogna per dimostrare quanto siano sfruttati i lavoratori immigrati, del bracciante di Foggia o di Rosarno, quel bracciante che avete abbandonato alla sua lotta, senza spiegazioni valide. Ci sembra, infatti, piuttosto grottesco voler lanciare una piattaforma antirazzista senza fare minimamente riferimento al percorso comune a cui diverse realtà che saranno presenti il 23 settembre, e probabilmente il 26 ottobre, hanno aderito nel 2016.
Un percorso, quello che si era formato intorno allo slogan 'no confini, no sfruttamento', che partiva dal principio di una reale auto-organizzazione; dall'importanza che riveste per noi una battaglia per un reale riconoscimento paritario, anche a livello amministrativo e giuridico, di chi vive e lavora in Europa, indipendentemente dalle origini; e da una volontà compositiva che evidentemente si è scontrata con calcoli politici e ripiegamenti identitari e verticistici che a noi puzzano di paternalismo, di sessismo e sì, anche di razzismo. D'altronde nessuno o nessuna di noi può considerarsi immune da questi virus, che ci hanno instillato alla nascita in quanto cittadini e cittadine dell'Europa dello sfruttamento, delle gerarchie e della competitività. Occorrerebbe, quindi, ripartire da noi, guardare al passato in maniera critica e riflessiva, riprendere le fila di un dibattito e di un percorso di cui mai si è dimostrata la volontà reale di fare perlomeno un bilancio. Lo dobbiamo alle migliaia di compagne e compagni di strada che ci hanno creduto, che hanno investito le loro energie in questo percorso, e che tuttora non comprendono, così come non le comprendiamo appieno nemmeno noi, le ragioni del suo affossamento. Possiamo tutt’al più proporre qualche riflessione. Ci troverete sempre pronte al confronto, purché sia franco, leale e affrontato ponendoci tutte e tutti, indipendentemente da esperienze, vissuti, forme e colori, sullo stesso piano. Se non siamo capaci di fare questo, qualsiasi piattaforma antirazzista sarà destinata a naufragare insieme alle speranze di quante e quanti vi ripongono la loro fiducia.
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