30/09/20

le donne devono subire umiliazioni e vessazioni quando decidono di autodeterminarsi, la 194 lungi da essere applicata correttamente per l'ipocrisia dei troppi medici obiettori, un diritto acquisito dalle feroci lotte delle donne è diventato tortura legalizzata da un sistema cattopatriarcale fascista che ancora vuole criminalizzare chi abortisce Noi donne dobbiamo lottare contro padroni, governo, Stato. Lo sciopero come forma di difesa e di attacco verso l'insieme degli attacchi alle nostre vite .


Il diritto di aborto trasformato in tortura. Vi racconto la mia cicatrice, in nome di tutte

Il feto malformato, l’urgenza di un’interruzione terapeutica di gravidanza. L’inizio di un calvario  fatto di umiliazioni, silenzi, disprezzo. A Roma: dove ci sono 5 medici non obiettori per 3 milioni di abitanti

BEATRICE DONDI E ELENa Testi


PER L’ESPRESSO 
È il 22 febbraio 2020. In televisione passano le notizie di una possibile zona rossa nel Lodigiano provocata dal primo caso italiano di Coronavirus. Codogno è in sottofondo. Al tavolo siamo in tre. Tre generazioni diverse. Tre storie. Una di noi ha una figlia ormai avviata alla vita adulta, l’altra di figli non ne ha e forse non ne vuole avere. E poi c’è lei che, pochi mesi fa, si è sottoposta a un aborto terapeutico.

Tiriamo fuori uno smartphone per registrare. Ogni parola deve rimanere, lo decidiamo mentre il Covid-19 entra da una tv accesa. Lei ha un parka verde, i capelli stretti in una coda arruffata. «Me lo posso togliere?», dice mentre è già con solo il maglione indosso e il vassoio di pasticcini appoggiati sul tavolo. Calma, lucida, affilata: «Vi dico già che non voglio un nome di fantasia, anzi non voglio proprio un nome perché quello che è accaduto a me può accadere a tutte». Ci indica con il dito e poi si mette seduta, fa cenno di procedere con la registrazione. Che diventa in un attimo una chiacchierata tra amiche, tra donne che ne conoscono altre nella stessa situazione, che hanno già sentito questa storia. La stessa ripetuta tra generazioni diverse ma che ha sempre la medesima procedura. L’unica cosa che cambia è la sensazione che ti lascia. La cicatrice, la chiamano.

Lei comincia a parlare, parte la registrazione: «Quella mattina, il 5 settembre, accompagno mia figlia a scuola con mio marito. Ha cinque anni, è sveglissima, forse anche tro ppo. Fuori le madri mi vedono con la pancia. Ero quasi al sesto mese».

Non fa mai una pausa, mai una lacrima, mai qualcosa che ci spinga a farle prendere un secondo di attesa dal ricordo. «Dopo averla lasciata andiamo a fare la “morfologica”. Sono eccezionali queste nuove tecnologie, vedi tutto, riesci persino a capire a chi assomiglierà». L’ecografia morfologica serve per accertare l’esistenza di eventuali malformazioni, ma quasi sempre di fronte allo schermo che proietta l’immagine del feto ti concentri nei tratti somatici. È una caccia ai lineamenti. «A un certo punto il ginecologo smette di parlare, poi ci dice che qualcosa non va. Il feto è malformato, ha un ventricolo solo e l’aorta schiacciata. Il giorno dopo ci manda da un’altra specialista. Conferma la diagnosi, ci dice che potremmo farla nascere comunque con un’operazione fatta da un luminare. Avrei dovuto metterla al mondo e farla intubare; al sesto mese sottoporla a una nuova operazione per un’aspettativa di vita massimo di tre anni. Mi sono rifiutata. La specialista era una neocatecumenale».

Per arrivare a questo breve inizio è servita un’ora, intervallata da frasi, domande. Un buco di dubbi di fronte a un feto che cresce ma è “inadeguato alla vita”, questa la formula lessicale usata dai medici. «Quando ho deciso che non avrei messo al mondo una bambina così malata, pensavo che sarei riuscita a fare tutto presto, subito. Pensavo che trovare un ospedale in grado di farmi abortire non fosse un’odissea, pensavo di aver bisogno di un chirurgo, pensavo di non dover sentire dolore. Pensavo che una legge sarebbe bastata. Invece sono entrata in un inferno infinito, in cui le informazioni e l’aiuto ricevuto sono stati pari a zero, in cui ogni giorno venivo rimandata al successivo. Dal giovedì al venerdì, dal venerdì al sabato, poi c’è il week end, forse lunedì, forse no. E per tutti quei giorni sono rimasta in piedi, in piedi come un cavallo, per non sentirla muovere, sperando solo che finisse presto, imbottita di vino e di Xanax».

Questa donna, che non vuole un nome e vuole essere il nome di tutte, ha la stessa storia di molte altre: l’aborto, che sia terapeutico o no, ha dei tempi di attesa che assomigliano a una pena da scontare. Un silenzio di giorni durante i quali devi trovare un ginecologo che non sia obiettore di coscienza, che abbia un turno libero e che sia disponibile a prendere in carico il tuo caso. A Roma i medici disposti a praticare un aborto terapeutico sono cinque in tutta la città. Cinque medici per quasi tre milioni di abitanti. Poi c’è la visita psichiatrica. Secondo la legge 194 chi si sottopone ad aborto terapeutico può procedere solo nel caso in cui la propria salute fisica o psichica sia in pericolo. L’incompatibilità del feto con la vita non viene presa in considerazione. E quindi uno psichiatra deve accertare che la salute mentale della donna sia a rischio, nonostante la motivazione sia un’altra.

In ospedale entri in mezzo alla vita che scorre, mentre quella che porti in grembo sai che non nascerà. Felicità che si mischia al dramma. Al tavolo la registrazione non viene mai bloccata. Le parole continuano, poche domande che si intrecciano al racconto: «Ho atteso un’ora e quaranta prima che qualcuno si accorgesse di me, ho dovuto urlare per farmi notare. Poi c’è stato l’incontro con lo psichiatra. Un incontro freddo, una pratica da sbrigare senza empatia». È l’inizio della tortura di un diritto riconosciuto per legge. Partoriscono, in alcuni casi, senza che nessuno spieghi loro come avverrà. Non esiste uno sportello informativo. Sentono frasi crudeli e inutili, come «Io ne conosco di persone nate con un ventricolo solo, e stanno benissimo».

Vedono il figlio desiderato uscire dal loro corpo. Sole, spesso dentro un bagno, abbandonate. Ritrovate sopra una tazza del cesso mentre spingono il feto, perché un’ostetrica ha deciso che in sala parto non ci devono stare.

C’è chi si rifiuta di praticare loro la terapia del dolore perché gli anestesisti obiettori di coscienza, per esempio nel Lazio, sono quasi la totalità. C’è chi invece inietta morfina quando ormai è troppo tardi. Sono costrette a risentire il battito prima del parto. A rimanere ricoverate per giorni perché l’unico medico non obiettore ha ormai terminato il turno e bisogna attendere che torni. E allora le culle intorno a loro si riempiono e sentono la gioia della nascita della compagna di stanza. Il travaglio dell’altra. Con le ostetriche, anch’esse obiettrici, che ti guardano con disprezzo.

«Ricordo che c’era solo gente che partoriva, palloncini, fiocchetti e gridolini», lo dice con rabbia, ma con un sorriso, tra le labbra strette: «Mi hanno fatta stare in quell’ospedale a forza, per quattro lunghissimi giorni, nel silenzio. Non sapevo quando sarebbe successo, non sapevo che sarei rimasta ricoverata tutto quel tempo. Non sapevo che nessuno mi avrebbe praticato l’epidurale. Non sapevo i medicinali che mi avrebbero somministrato». Chiede se è giusto, chiede se è normale. Chiede. E noi ascoltiamo con un registratore acceso, consapevoli che quelle domande sono state già fatte tante volte, troppe volte, da altre donne. Da altre coppie.

«Quando è arrivato il giorno, mi hanno dato alcune pasticche, senza spiegarmi niente. Neppure dopo ho potuto capire cosa fossero, visto che la cartella clinica che mi è stata consegnata subito dopo le dimissioni, conteneva solo la data di accettazione e quella di uscita».

Il Covid-19 continua in un fruscìo lontano, lo commentiamo mentre l’inviato di una tv all-news tenta una diretta. Nessuna di noi sa che il Sistema sanitario nazionale verrà completamente messo in discussione da lì a pochi mesi, mentre noi lo stiamo già facendo. «È stato un attimo: appena prese quelle pillole è iniziato un dolore che non si può descrivere. Il parto è cominciato, un vero parto, non un’operazione. E nessuno mi aveva preparata a questo. Urlavo come una pazza e alla fine mio marito ha creduto che sarei morta. È uscito per chiedere aiuto e chi è entrato nella mia stanza mi ha sbeffeggiata: “Ma che è tutta questa scena, sei al secondo figlio, che non sai come si fa?”». Passano le ore, senza aiuti, senza epidurale. Il feto è scivolato via, non si ricorda se lo abbia visto. Semplicemente non ricorda o non vuole farlo.

Di questa registrazione, datata 22 febbraio, abbiamo tolto tanto, il sangue, la vista, la crudeltà eccessiva. Lo abbiamo fatto per rispetto di chi ha voluto denunciare e rileggerà la sua esperienza. Per rispetto di tutte quelle donne che hanno vissuto lo stesso atroce diritto violato e garantito dalla legge italiana. Lo abbiamo fatto perché quello che è stato trascritto è sufficiente per comprendere.

La donna, che un nome non vuole avere e che vedete nelle foto, è stata costretta a sottoporsi alla Emdr, tecnica di psicoterapia praticata ai reduci di guerra per superare i traumi subiti e lo ha potuto fare perché «benestante, colta e con un marito e una famiglia capace di aiutarla», come lei stessa ha detto. Ma non sempre è così. Ci sono donne che non possono permettersi un percorso terapeutico dopo un trauma. Famiglie distrutte e aborti negati. Donne costrette come ladre a emigrare in Paesi stranieri perché non riescono a trovare un medico che prenda in carico la loro cartella clinica, mentre in Italia si discute se la Ru-486, conosciuta come aborto farmacologico, possa essere applicato in day hospital, senza necessità di un ricovero di tre giorni. Quando quei tre giorni significano dover subire violenze psicologiche e fisiche.




La pietas negata e conquistata con la legge 194 del 1978, più di 40 anni fa e ancora male accettata con un numero di medici obiettori di coscienza che sfiora il 70 percento nella maggiore parte delle regioni italiane.
Silvana Agatone, presidente Laiga, racconta come tutto sia peggiorato con il Covid-19: «Non trovavamo ospedali dove poterle indirizzare, soprattutto in Lombardia. Venivano respinte, le diagnosi prenatali arrivavano tardi e allora molte di loro si sono viste costrette ad andare in Inghilterra o in altri Paesi europei, dove i tempi per praticare un aborto terapeutico sono più lunghi».

Alla domanda come mai è così difficile trovare un medico che ti aiuti, spiega: «Molti di noi vengono denunciati dai colleghi e allora iniziano anni di lotte in tribunale, Laiga nasce ad esempio perché nel 2008 la polizia fece irruzione in un ospedale di Napoli, accusando madre e medico di eseguire un aborto illegittimo. Così, oltre al trauma, devi anche finire di fronte al giudice». Reparti fermi, medici che si rifiutano, un ministero della Salute che non rende noti i dati e le donne costrette ad attaccarsi al telefono con la speranza che non finisca il termine previsto di 22 settimane. Laiga per aiutarle ha deciso di creare una mappa che almeno indichi loro in quale ospedale andare. Per il resto solo silenzio.
 

26/09/20

Comunicato sull' assemblea telematica del 17 settembre

Circa 70 donne, operaie, lavoratrici, giovani precarie delle varie realtà lavorative, dal nord al sud, anche dall'estero, compagne hanno partecipato all'assemblea telematica “crisi/pandemia: la furia delle donne scateniamo” del 17 settembre durata dalle 16 ad oltre le 20.30. Hanno partecipato collegandosi via internet, ma tante anche in presenza in alcune città come Taranto e Palermo, dai posti di lavoro, anche mentre erano in presidio alle fabbriche, come le operaie di Bergamo. 

Ne sono intervenute quasi la metà, la stragrande maggioranza intervenendo direttamente, altre, impossibilitate per il lavoro, inviando messaggi, registrazioni; solo il tempo - che abbiamo dovuto restringere perchè “partissimo e concludessimo” l'assemblea il più possibile tutte insieme - non ha permesso che tante altre parlassero. 


L'assemblea telematica, promossa da Mfpr e lavoratrici slai cobas sc, è stata buona, diversa, contro ogni ritorno alla “normalità”.

“Bellissima, emozionante, uno spirito combattivo, deciso da parte delle lavoratrici, un’assemblea che ci ha permesso di conoscerci e cominciare a collegarci, unirci”, sono i giudizi più comuni. Un successo niente affatto scontato nei numeri e negli interventi. 

E' stata la prima assemblea nazionale dopo i tanti mesi di lockdown, ma soprattutto la prima assemblea nazionale delle donne proletarie, buona parte in lotta (anche durante l'emergenza pandemia). 

La caratteristica principale e differente dell'assemblea è che sono state soprattutto le operaie, lavoratrici, precarie di vari settori, a prenderla nelle mani. Da tempo non c’era un’assemblea nazionale di donne in cui la maggiorparte degli interventi fossero delle lavoratrici. Lì dove normalmente (vedi le assemblee di Nudm) sono le piccolo e anche medio borghesi femministe a gestirle e determinarle e a dare la loro impronta di classe. 


L'assemblea è riuscita a far parlare la maggiorparte delle realtà lavorative, spesso tuttora in lotta: le lavoratrici supersfruttate e messe a rischio vita della sanità – dalla città emblema della trasformazione criminale della pandemia in strage, Milano, al Lazio, ecc.; le operaie della città dei cortei di bare, Bergamo, operaie immigrate forti e determinate, come le operaie delle fabbriche metalmeccaniche; le lavoratrici precarie del sud, dai servizi di assistenza nelle scuole di Palermo alle lavoratrici degli asili di Taranto in lotta permanente, alle lavoratrici per cui il lockdown ha significato anche perdere lo straccio di lavoro e salario che avevano; le braccianti migranti rappresentate da Campagne in lotta, le operaie dei magazzini agricoli, sia italiane che immigrate entrambe supersfruttate; le lavoratrici delle pulizie, delle mense, degli alberghi, dal sud al nord; le lavoratrici del commercio de L'Aquila, dei supermercati che hanno continuato a lavorare a rischio; le lavoratrici delle poste, le insegnanti, il personale Ata che hanno visto sulla propria pelle che cosa è realmente lo smart working; la testimonianza da Londra di giovani studentesse che sono andate all'estero per trovare lavoro e ora hanno perso tutto.

Molti interventi, soprattutto delle lavoratrici della sanità hanno ben rappresentato la difficile e doppia realtà delle donne: lavorare, lasciare soli a casa i bambini, ecc. Interventi, contributi di lavoratrici rappresentanti Si.cobas.

La realtà delle donne nel lockdown negli altri paesi è stata portata da una compagna artista che vive in Gran Bretagna, che ha posto anche la necessità di non delegare agli strumenti borghesi la comunicazione, ma organizzare noi canali alternativi al servizio delle lotte. 

Sono state ricordate le migliaia di operaie dei paesi oppressi dall'imperialismo e dal capitalismo delle multinazionali del lusso, in particolare delle fabbriche tessili che nell'emergenza pandemia e per le gravi conseguenze di essa hanno fatto enormi scioperi, manifestazioni, dal Bangladesh, al Pakistan, all'India...  

Un intervento specifico è stato sull'aumento nel periodo del lockdown dei femminicidi - tante donne hanno perso la vita e rischiato non tanto per il covid ma chiuse in casa col loro assassino - e sul carattere odierno fascista delle violenze, stupri contro le donne.


Nell'assemblea si sono intrecciati contributi politici di compagne di realtà rivoluzionarie, e gli interventi del Mfpr, importanti perchè hanno portato una visione più ampia parlando di tutte gli aspetti della vita delle donne, della pandemia come prodotto del modo di produzione capitalistico, della denuncia delle politiche di conciliazione lavoro-famiglia (dall’uso di smart working al bonus casalinghe) e, quindi, della necessità della lotta generale rivoluzionaria delle donne per rovesciare questo sistema. Vogliamo tornare alle basi della condizione di subordinazione delle donne - ha detto l’Mfpr - e qui riprendere Engels, nella celebrazione per il 200° anniversario della nascita, con l'analisi della famiglia, proprietà privata, Stato, quanto mai attuale. 


L'assemblea ha posto con spirito unitario ma preciso punti chiari e ha dato una prospettiva. 

Una questione discriminante, prima di tutto di classe, è stata la denuncia in interventi e nelle conclusioni della “diserzione” fatta da Nudm, proprio quando le donne avevano più bisogno di far sentire forte la loro denuncia, protesta per le drammatiche condizioni sia nella vita che nel lavoro nell'emergenza pandemia. Il femminismo piccolo borghese ha accettato di “stare a casa”, di autotutelarsi, di fare di fatto da accompagnatrici delle misure del governo, incapaci di parlare alle donne reali, che invece possono e devono essere parte attiva, collettiva delle soluzioni di emergenza, di solidarietà/aiuto reciproco (e su questo vi sono stati piccoli esempi significativi); ha accettato di fatto - come i sindacati di base, ad eccezione dello Slai cobas sc – il primo attacco al diritto di sciopero nella crisi pandemica.

Le proletarie – è stato detto - non devono stare alla coda del femminismo piccolo borghese, ma affermare la loro piattaforma, linea, organizzazione e le lotte necessarie alla maggioranza delle donne.

Le donne non possono tornare alla “normalità” neanche nelle mobilitazioni “rituali”.


Per questo nelle conclusioni è stato detto che le lavoratrici, il femminismo proletario devono riprendere nelle loro mani lo sciopero delle donne che è lotta reale, blocco del lavoro produttivo e riproduttivo, a partire dai posti di lavoro, contro padroni, governo, Stato, perchè le donne siano “pericolose”. Lo sciopero come forma di difesa e di attacco verso l'insieme degli attacchi alle nostre vite.  

Per questo dobbiamo liberare da ogni “normalità”, routinarietà lo sciopero delle donne. Lo sciopero deve partire prima di tutto dal sostegno alle lotte in corso, dalla loro estensione, dall'unità/collegamento delle lotte, dalla generalizzazione di lotte esemplari. A partire da questa strada organizzeremo un nuovo scopero delle donne.


E' in corso, inoltre, una pesante repressione verso le lotte delle lavoratrici - compagne hanno fatto appello a sostenere prossime iniziative contro la repressione delle lotte e la violenza contro le donne. Anche qui – è stato detto – dobbiamo rendere pratica concreta l'unità e solidarietà. Affermando un “principio”: tutte le lotte vanno sostenute, tutti gli attacchi repressivi, i processi contro le lotte e le lavoratrici devono trovare una uguale denuncia e appoggio e lì dove possibile iniziative  


Un altro punto centrale nelle conclusioni è stata l'annuncio della piattaforma delle donne/lavoratrici, aggiornata alla luce della crisi/pandemia, che è stata poi consegnata alla discussione. Questa piattaforma, frutto delle lotte e inchieste dirette, va articolata, va deciso quali obiettivi oggi sono più urgenti e necessari, quali più possibili da strappare lì dove le donne si attivano; quali più importanti per i diversi posti di lavoro e realtà di donne.

Sosteniamo tutte le richieste che vogliono difendersi dagli attacchi alle condizioni di lavoro e di vita e che aiutano la lotta generale contro padroni, governo, Stato e uomini che odiano le donne. Dobbiamo costruire solidarietà tra le donne, perchè nessuna sia sola o chiusa in casa, facendo da oggi agire quelle soluzioni collettive, sociali che alludono ad una nuova umanità, ad una società socialista in cui anche le donne hanno il potere proletario nelle loro mani.

Il nostro scopo non è però lottare per migliorare questo sistema sociale capitalista pandemico, o per ottenere spazi e privilegi come le donne della borghesia, ma per l'abolizione di questo sistema di classe, di doppio sfruttamento e oppressione per le donne. 


Ci si è dati appuntamento per una nuova assemblea (o in presenza o telematica, secondo le condizioni e la possibilità concreta della partecipazione delle lavoratrici), indicativamente per il 3 novembre. 

In questa nuova assemblea approfondiremo/approveremo la piattaforma, decidendo le battaglie principali e urgenti oggi. Ma soprattutto vogliamo proseguire, sviluppare, quell’unità, conoscenza, collegamento tra donne proletarie e le lotte, iniziato in questa assemblea e fare passi concreti per l'unità delle lotte. Questo ha incoraggiato e dato fiducia. Nello stesso tempo avanzare nella comprensione che la condizione delle donne richiede che tutta la vita deve cambiare, tutta la società deve cambiare, e che questo richiede l’organizzazione autonoma delle donne proletarie e rivoluzionarie, nel movimento femminista come nei sindacati di base, nelle organizzazioni rivoluzionarie, ecc.   

L'assemblea del 17 che si è aperta con alcuni canti storici e attuali delle donne, si è conclusa con un forte saluto, onore alle compagne turche morte nelle prigioni e a tutte le prigioniere politiche nel mondo, e al canto dell'emozionante “Bella ciao” cantata in turco dal gruppo Yorum. 

Mfpr





24/09/20

Il MFPR di Milano al presidio a Bologna per Atika


Oggi 23 settembre  si è svolto il presidio, davanti al Tribunale di Bologna, contro  il barbaro femminicidio di Atika, uccisa dal suo convivente dopo averlo ripetutamente denunciato  per violenza contro di lei e le sue figlie.
Durante l'udienza  il SI.Cobas ha  avanzato la richiesta di costituirsi parte civile insieme con  la figlia maggiorenne.La richiesta è stata accolta dal magistrato.
Il presidio organizzato dal Si.cobas  ha visto diverse realtà politiche e di movimento di donne   incontrarsi, non solo per invocare giustizia, ma per confrontarsi sulla necessità di unirsi per lottare contro questo sistema  che produce violenza, femminicidi, sfruttamento, repressione, ma si è precisato, in particolare da parte del Mfpr, che a causa delle doppie e triple catene, che ben conosciamo, la base di partenza per ogni cambiamento è la reale volontà di lottare  contro questo sistema capitalistico e che la lotta sia "realmente" una lotta di classe.
Ci siamo salutate con l'impegno di rivedersi e sfilare unite alla manifestazione del 3 Ottobre a Modena per il processo che vede coinvolti  lavoratori,  ma soprattutto lavoratrici dell' Italpizza. Una manifestazione importante  perché alla base  di questo processo, come di altri processi (vedi anche le operaie della Montello, le lavoratrici di Palermo che subiranno in più di trenta un processo il 30 ottobre; la sanzione della CGS per lo sciopero delle donne del 9 marzo) sparsi in giro per la penisola, c'è l'attentato al diritto di sciopero e la repressione di qualsiasi forma di lotta.
MFPR Milano

23/09/20

OGGI CON ATIKA E TUTTE LE DONNE COLPITE DALLA VIOLENZA MASCHILISTA - DA MFPR SIAMO VICINE


Presidio sotto il tribunale di Bologna con Atika  e contro patriarcato
IN RICORDO DI ATIKA, CONTINUIAMO LA LOTTA CONTRO LA BARBARIE DELLA VIOLENZA MASCHILISTA.
Oggi 23 settembre si apre il processo contro l'uccisore di Atika, 32 anni, sorella di un militante storico del SI Cobas, barbaramente uccisa un anno fa dal suo convivente dal quale si era separata dopo averlo più volte denunciato per maltrattamenti e molestie nei confronti della figlia.
Un assassinio annunciato dall'uomo, che aveva dichiarato più volte il suo intento omicida minacciando anche le sorelle di Atika. Una escalation di violenze da cui Atika aveva cercato di difendere se stessa e le figlie denunciando le minacce e le aggressioni subite.
Le misure adottate dalla magistratura, rallentate dalle lungaggini burocratiche, evidentemente non l’hanno protetta, a conferma una volta di più che le istituzioni sono spesso indifferenti e inefficaci a fermare la violenza domestica.
Nessuna pena al colpevole potrà porre riparo al trauma e alla perdita subita dalle sue figlie, dalla famiglia e da tutte e tutti noi. Chiedendo giustizia per Atika, siamo convinti più che mai che solo la lotta e la mobilitazione delle lavoratrici e delle donne senza privilegi può costituire un muro contro questi crimini, che si ripetono anno dopo anno, uno ogni tre giorni, in Italia e nel mondo.
Una lotta che, per essere incisiva, non può limitarsi alla violenza individuale, privata, patriarcale, ma deve denunciare soprattutto la violenza del padronato, dello stato e delle istituzioni che si scatena ogni volta che le donne lottano per i loro diritti. La polizia non esita a sparare lacrimogeni quando le lavoratrici scioperano contro il supersfruttamento e la discriminazione nelle fabbriche e sui luoghi di lavoro. La magistratura non esita a denunciarle in massa, come è avvenuto in questi giorni contro le operaie e gli operai di Italpizza, quando pretendono i loro diritti.
La crisi sanitaria esplosa nell’emergenza del covid 19 è dovuta ai tagli pesantissimi all’intero welfare e alla “aziendalizzazione” del sistema sanitario pubblico imposti negli ultimi anni a seguito della gravissima crisi economica che il Covid ha esasperato. Questo macigno si è abbattuto in particolare sulle donne aumentandone la precarietà, la disoccupazione, il lavoro da casa, il carico di lavoro domestico e di cura dei bambini e degli anziani, l'esposizione alla violenza del partner. Le donne sono sospinte dalla materialità degli attuali rapporti di sfruttamento a ritornare nelle case o a restarci, a rinunciare ai loro più fondamentali diritti conquistati con dure lotte. Come dimostrano i continui attacchi al diritto di aborto assistito e l’impraticabilità di fatto del divorzio in una condizione di sostanziale subordinazione all'istituzione familiare, precarietà e disoccupazione e tagli al welfare colpiscono soprattutto la donna anche nell’esercizio dei suoi diritti fondamentali.
Noi ci battiamo contro tutto questo
per rafforzare ed estendere le grandi mobilitazioni delle donne di tutto il mondo;
per un movimento unitario che affronti tutte le contraddizioni specifiche della condizione femminile;
per l'unità delle lotte di tutti gli sfruttati e gli oppressi contro il patriarcato e il capitalismo che sono all'origine della violenza sulle donne e della comune oppressione.
Con Atika nel cuore, ritroviamoci tutte/
Le compagne e i compagni del SI Cobas

18/09/20

ALLA MONTELLO PESANTE ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO - MA LE OPERAIE VANNO AVANTI PIU' DETERMINATE

IERI COLLEGAMENTO TRA LE OPERAIE IN SCIOPERO ALLA FABBRICA E L'ASSEMBLEA TELEMATICA DELLE DONNE/LAVORATRICI, UNA OPERAIA DELLA MONTELLO E' INTERVENUTA NELL'ASSEMBLEA FACENDO UNA FORTE DENUNCIA DELL'AZIONE DEL PADRONATO, MA ANCHE DEL RUOLO COMPLICE DELLA CGIL. 

APPOGGIAMO LA CORAGGIOSA LOTTA DELLE OPERAIE! 

*****

SI VUOLE PIEGARE LA RESISTENZA E LA DETERMINAZIONE DELLE OPERAIE E OPERAI IN SCIOPERO CON LO SLAI COBAS SC CONTRO LA RISTRUTTURAZIONE, ESUBERI, RITMI DI LAVORO PIU' ALTI E UNA PREANNUNCIATO QUANTO 'MISTERIOSO' CAMBIO NELLA COOPERATIVA

FIN DALLA MATTINA CONTESTAZIONI FORMALI SULLA LEGITTIMITÀ DELL'INDIZIONE DELLO SCIOPERO, SOSTITUZIONE PREVENTIVA DELLE OPERAIE IN TURNO, FINO ALLA 'SERRATA' MIRATA, VIETANDO ALLE OPERAIE IL RIENTRO IN FABBRICA DOPO LO SCIOPERO.

LA MOBILITAZIONE NON SI FERMA,.LO SCIOPERO CONTINUA SUGLI ALTRI TURNI.

RIUSCITA L'ASSEMBLEA TELEMATICA

Buona riuscita ieri dell'assemblea telematica donne/lavoratrici, sia nella partecipazione che nei ricchi e vari interventi.
Sono state soprattutto le donne proletarie, operaie, lavoratrici precarie di vari settori a prenderla in mano.

Seguirà un comunicato dell'assemblea.

PIATTAFORMA DELLE DONNE

Questa piattaforma tocca l'insieme della condizione delle donne, i differenti bisogni, proprio perchè per le donne un attacco ad un aspetto delle condizioni di vita, vedi il lavoro, inevitabilmente incide sugli altri aspetti della vita – per questo parliamo di lotta a 360° delle donne.

Questa piattaforma, frutto delle lotte e inchieste dirette, va articolata, va deciso quali obiettivi oggi sono più urgenti e necessari, quali più possibili da strappare lì dove le donne si attivano; quali più importanti per i diversi posti di lavoro e realtà di donne. Essa, quindi, viene consegnata alla discussione, alla selezione degli obiettivi principali e più urgenti.

Ma la prima e più importante questione, perchè la piattaforma sia un'arma reale di lotte, un “grido” forte, è collegarsi, unirsi, organizzarsi per la difesa degli interessi immediati ma con la necessità rivoluzionaria che tutta la vita deve cambiare. Collegarsi e organizzarsi nei quartieri, sui posti di lavoro, tra realtà di lotta, nelle scuole. Costruire solidarietà delle donne, tra le donne, perchè nessuna sia sola, o chiusa in casa, facendo da oggi agire quelle soluzioni collettive, sociali che alludono ad una nuova umanità, ad una società socialista in cui anche le donne hanno il potere.

Il nostro scopo non è lottare per migliorare questo sistema sociale capitalista pandemico, o per ottenere spazi e privilegi per le donne della borghesia, ma per l'abolizione di questo sistema di classe, di doppio sfruttamento e doppia oppressione per le donne. Sosteniamo tutte le richieste che vogliono difendersi dagli attacchi alle condizioni di lavoro e di vita e che aiutano la lotta generale contro padroni, governo, Stato e uomini che odiano le donne.

*****

- Lavoro per tutte le donne – per tante donne significa indipendenza economica dall'uomo, dalla famiglia; massicce assunzioni nella sanità e scuola per tutte le figure lavorative;

- Legge straordinaria per assunzione delle lavoratrici che hanno perso il lavoro per il lockdown; nessun sgravio, incentivo alle aziende, senza divieto di licenziamento e obbligo di riassunzione;

- No ad interventi – smart working – bonus casalinghe, ecc. - che vogliono conciliare famiglia e lavoro, aggravando il doppio lavoro delle donne;

- Contro la precarietà: Trasformazione a tempo indeterminato dei contratti precari nel settore privato e pubblico; internalizzazione dei servizi essenziali; nei part time orario non inferiore a 30 ore settimanali

- Salario minimo garantito per tutte le donne che non lavorano

- Pari salario per pari lavoro

- NO a discriminazioni legate allo stato familiare, maternità, razza, orientamento sessuale, nelle assunzioni, licenziamenti, vita lavorativa

- Aumento delle pause, riduzione dei ritmi e dei carichi di lavoro nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro (in particolare ora per l'uso continuo di mascherine)

- Riduzione dell'orario di lavoro contro licenziamenti e per la difesa della salute (agricoltura, ecc.)

- Condizioni di lavoro e ambienti di lavoro (compreso servizi igienici – vicini alla postazione lavorativa) a tutela della salute, anche riproduttiva, delle donne e della dignità delle lavoratrici

- Abbassamento dell’età pensionabile delle donne, come riconoscimento del doppio lavoro

- In agricoltura – divieto di pagamento per trasporto, caporale, servizi

- No all'uso di prodotti tossici, strutture mediche e igieniche vicino i luoghi di lavoro.

- contro gli abusi e violenze sessuali – delegate sul campo delle lavoratrici

 

- Socializzazione dei servizi domestici essenziali; accesso gratuito ai servizi sanitari, aumento di asili e servizi di assistenza anziani gratuiti, in numero sufficiente legato alla popolazione

 

- Permessi di soggiorno, diritto di residenza, cittadinanza, casa, reddito per tutte le migranti; uguali diritti lavorativi, salariali e normativi per le immigrate – abrogazione dei decreti sicurezza,

- Nessuna persecuzione delle prostitute, diritto di tutte ai servizi sociali, sanitari, al salario garantito

- case rifugio, centri antiviolenza, case delle donne, consultori laici - gestiti e controllati dalle donne.

 

- Allontanamento dai luoghi di lavoro per capi, padroni, ecc. responsabili di molestie, ricatti, violenze sessuali, atteggiamenti razzisti - tutela delle lavoratrici denuncianti

- Divieto di permanenza in casa, di uomini violenti se familiari o conviventi

- Procedura d’urgenza nei processi per stupro, stalking, molestie sessuali e femminicidi e accettazione delle parti civili di organizzazioni di donne, con patrocinio gratuito per le donne.

- Abolizione nella pubblicità, nei mass media, nei testi scolastici, ecc. di ogni contenuto offensivo, sessista discriminatorio, fascista, razzista, contro le donne; repressione degli atti machisti e dei luoghi di loro ritrovi

- Diritto di aborto libero, gratuito e assistito, in tutte le strutture pubbliche, abolizione dell’obiezione di coscienza; contraccettivi gratuiti e potenziare la ricerca per contraccettivi sicuri per la salute

15/09/20

A tutte le donne, alle lavoratrici: giovedì 17 dalle ore 16 incontriamoci nella prima assemblea nazionale dopo il lockdown

"...sono le lavoratrici, le proletarie ad aver ripreso la scena con le loro lotte". Sono un esempio per tutte.
Non si sono fermate, sia dalle case, sia sui posti di lavoro, sia appena possibile con gli scioperi, nei presidi, nelle piazze. Queste sono le "eroine"!
Queste donne non possono tornare alla “normalità”!
L'emergenza coronavirus per le donne ha riproposto in tutto il suo portato di doppia oppressione, doppio sfruttamento, patriarcalismo, morte... la questione di sempre: il ruolo delle donne, al servizio e di subordinazione, nella società borghese, nella famiglia, per i padroni, per lo Stato/governo al servizio del capitale.
Ma la crisi pandemica ed economica sta mostrando ancora di più la necessità, per un avanzamento generale della lotta delle donne sui diversi piani, della comprensione e della necessità dell'organizzazione del nostro fronte proletario rivoluzionario, perchè tutta la vita deve cambiare!
L'ASSEMBLEA TELEMATICA DEL 17 SETTEMBRE - DALLE ORE 16 - LA PRIMA NAZIONALE DOPO IL LOCKDOWN, VUOLE COMINCIARE A DISCUTERE E METTERE IN PRATICA UNA NUOVA STRADA.
Il link per collegarsi è:
https://meet.google.com/tnq-kqph-zkg
Se si hanno problemi tecnici, telefonare a 3475301704




Dana libera subito!

 
Dana Lauriola è una compagna dell’Askatasuna e una militante NO TAV che andrà in carcere perché le sono stati negati gli arresti domiciliari.
La motivazione del tribunale di Torino è che Dana non può scontare la pena a casa, perché la sua casa è in Valle Susa e lei non si è dissociata dalla lotta contro l’alta velocità.
Una sentenza fascista che conduce in carcere Dana per le stesse ragioni che vi portarono all’inizio dell’anno Nicoletta Dosio.
Dana, Nicoletta e altri dieci militanti NoTAV sono stati condannati a complessivi 18 anni di pena per la giornata di lotta del 3 marzo 2012. A 8 anni di distanza si concretizza così un altro pezzo di criminalizzazione del movimento No Tav. Dana in particolare, secondo i giudici che così si sono espressi, dovrà scontare 2 anni di carcere. Sono state rifiutate tutte le misure alternative proposte dalla difesa.
 
Qui di seguito la lettera di Dana
Ho la fortuna di potervi salutare tutt* ancora da qui in attesa di essere tradotta in carcere.
Questa vicenda rivela la vergognosa condotta del tribunale, della Questura e della procura di Torino che hanno lavorato intensamente, in vista della ripresa dei lavori, per eliminare dalla loro strada chi può dare forza al movimento No Tav.
Uno dei motivi per cui vado in carcere, scritto nero su bianco, che non mi sono dissociata dalla lotta No Tav, l’altro che ho continuato a vivere in Valle di Susa.
Sono tranquilla per tutte le scelte che ho fatto in questi anni, ho amato la valle e la lotta No Tav per oltre 15 anni e continuerò a farlo anche se fisicamente lontana.
Intanto vi abbraccio, vi farò avere mie notizie. Vi chiedo di continuare la lotta, con tutta la forza e il coraggio che avete.
A presto compagn*
 

14/09/20

Sui recenti stupri di branco

Gli stupri che sono avvenuti recentemente a Marconia (Matera) - dove 4 ragazzi (ma pare abbiano partecipato anche altri 4 uomini) hanno stuprato due ragazze inglesi di 15 anni - e al Circeo/Roma - dove due uomini hanno violentata una ragazza-, il loro carattere efferato, di branco li rende sempre più organici alla diffusione di concezioni fasciste, aggressive, violente, di concezioni machiste, che stanno diventando "normali", e che si riempiono dell'odio verso le donne.

La lotta contro gli stupri è quindi interna alla lotta generale contro il fascismo e le sue varie manifestazioni. Ed è necessario portare la lotta anche tra le donne, i giovani, nei quartieri, perchè si schierino subito senza se e senza ma, e isolino e attacchino ogni manifestazione di maschilismo, machismo e chi ne è protagonista.

Noi abbiamo denunciato, nello scritto "Uccisioni delle donne, oggi", che gli stupri, i femminicidi di oggi sono differenti, perchè si caricano e sono espressione di questo humus fascista/sessista, sempre più normalizzato e legittimato, come idee, "opinioni", quando è crimine!

Questo deve elevare a guerra delle donne collettiva, organizzata contro lo Stato, la polizia, la "gente per bene", la lotta contro gli stupri, i femminicidi.


***



Eccoli.
Sono loro.
Sono loro i giovani uomini stupratori che hanno deciso di usare il corpo di due ragazzine come svuotatoio. Le hanno stuprate mentre loro lottavano per sopravvivere fino a morderli nei genitali. Delle piccole guerriere di fronte a otto stupratori. In quei morsi c’è la guerra. C’è l’attacco e la difesa del proprio io con le unghie e con i denti. C’è la forza di chi non si lascia penetrare dal nemico e la brutale debolezza del nemico involuto che diventa bestia davanti al corpo di una donna che non si fa dominare.
Non chiamiamole vittime, chiamiamole sopravvissute. Chiamiamole guerriere.
Tutte le donne che hanno subito stupri sono guerriere della guerra che gli uomini hanno dichiarato alle donne.
Gli arrestati sono tutti di Pisticci: Michele Masiello, di 23 anni, Alessandro Zuccaro, di 21 anni, Giuseppe Gargano, di 19 anni e Alberto Lopatriello, di 22
anni. Meritano che tutti li riconoscano, proprio come per gli assassini di Willy e che mai piu nessuna donna si avvicini a loro.
Dove hanno imparato a stuprare?
Dove hanno imparato che le donne sono oggetti da rovinare?
Oggetti la cui volontà conta meno di niente, quello che conta è il branco.
Se dei giovani uomini hanno la testa piena di immagini di stupri al punto tale da ritenerlo normale, dobbiamo interrogarci.
Gli stupri affondano le loro radici in una cultura che banalizza lo stupro e lo erotizza, lo fa passare come una pratica sessuale, quando è solo un reato infame e uno strumento di tortura. È l’atto per eccellenza con cui gli uomini sottomettono le donne al loro volere.
E sia chiaro, il problema non è di certo il pene in se’, che è una parte de corpo come un’altra, il problema è l’abuso, è l’egoismo di chi ignor il nostro consenso a partecipare alla sua masturbazione.
 
Da Elisabetta Salmaso

Brasile - L'offensiva fascista oscurantista di criminalizzazione dell'aborto

MFP BRASIL - in via di traduzione

As mulheres levam sobre seus ombros a metade do céu e devem conquistá-la
Presidente Mao Tsetung

Governo de generais transforma vítimas de estupro que fazem 
aborto em suspeitas de “homicídio”
“A democracia burguesa é uma democracia feita de frases pomposas, de expressões altissonantes, de promessas grandiloquentes, de belas palavras de ordem de liberdade e de igualdade, mas, na realidade, dissimula a falta de liberdade e de igualdade da mulher, a falta de liberdade e de igualdade dos trabalhadores e explorados. (...)
Abaixo esta mentira ignóbil! A ‘igualdade’ entre opressores e oprimidos, entre explorados e exploradores é impossível, não existe e jamais existirá. Não pode haver, não há e não haverá verdadeira ‘liberdade’ enquanto a mulher não for libertada dos privilégios que a lei reconhece ao homem, enquanto o operário não for libertado do jugo do capital, enquanto o camponês trabalhador não for libertado do jugo do capitalista, do latifundiário, do comerciante .
A que ponto os mentirosos e os hipócritas, os imbecis e os cegos, os burgueses e seus defensores enganam o povo falando-lhe de liberdade, de igualdade, de democracia em geral
Nós dizemos aos operários e aos camponeses: arrancai a máscara desses mentirosos, abri os olhos desses cegos. Perguntai-lhes: Igualdade de que sexo com que sexo? De que nação com que nação? De que classe com que classe? Liberdade de que jugo ou do jugo de que classe? Liberdade para que classe?”  Lenin, O Poder Soviético e a Situação da Mulher.
Eduardo Pazuello, mais um dos odiosos generais que de fato estão no comando do velho Estado reacionário brasileiro, publicou no último dia 27 de agosto uma portaria do Ministério da Saúde que obriga os médicos a notificar a polícia antes de fazer aborto legal em vítimas de estupro. A lógica tacanha e reacionária desse governo, que tende cada vez mais ao fascismo, transforma a mulher do povo, vítima de estupro, em suspeita de “homicídio”, criminosa, simplesmente por querer interromper a gravidez e não querer viver a tortura, para o resto de sua vida, de gerar e dar à luz a um filho fruto de um crime de violência cruel praticado contra ela.
Não esperaram nem uma semana da atrocidade do que Estado, Igreja, grupos fundamentalistas religiosos e fascistas – com a repugnante pastora Damares na linha de frente – fizeram contra uma criança de dez anos estuprada desde os seis, para lançar ofensiva com todo o ódio que têm contra as mulheres do povo. Fazemos questão de repetir aqui o dito no editorial semanal do Jornal A Nova Democracia1 que diz: “A promiscuidade entre religião e Estado – expressa nas draconianas leis antiaborto vigentes e no imenso poder que os pistoleiros clericais têm sobre os meios de comunicação – revela que, adentrada no século XXI, a idade política de nossa republiqueta não atingiu ainda sequer 1789. A turba demencial urrando contra a interrupção da gravidez de uma menina de 10 anos, estuprada desde os 6, ilustra o fundo do abismo pré-histórico em que nos encontramos.”
Vejamos que poucos dias antes da publicação de tal ataque aos direitos das mulheres do povo, as altas cúpulas das Igrejas (Católica e Evangélicas), enriquecidas às custas da exploração da fé das massas, metidas em todo tipo de velhacaria, inclusive acobertando pedofilia permanente debaixo de suas batinas, entranhadas nas estruturas do poder do velho Estado, que de laico só tem as letras mortas na Constituição, deram sua sentença, condenando como pecadoras as mulheres que praticam o aborto e até mesmo uma criança! Dom Walmor Oliveira de Azevedo, presidente da CNBB (Confederação Nacional dos Bispos do Brasil) revelando o quanto ainda vivemos a anacronia feudal da manipulação da fé religiosa das massas, afirmou que “A violência sexual é terrível, mas a violência do aborto não se justifica, diante de todos os recursos existentes e colocados à disposição para garantir a vida das duas crianças (sic).” Perguntamos ao Dom Walmor: o que ele e as altas cúpulas da Igreja católica entendem de criança e maternidade? Dos dramas de criar um filho ou filha numa sociedade extremamente violenta contra o povo, enfrentando a miséria humana em todos os sentidos em cada dia de existência nesse mundo aqui, da Terra mesmo, que é violentamente real? Aqui fica claro como as altas hierarquias da igreja querem não só tutelar e controlar as mulheres do povo dentro de casa, aprisionadas no trabalho doméstico, excluídas de toda prática social, da luta de classes, da luta pela produção e da experimentação científica, como querem controlar o próprio corpo da mulher e impedi-la de decidir no mínimo o que pode e não pode fazer de seu corpo, da sua vida, reduzidas a meras incubadoras.
Não é de se espantar que gente formada nessa ideologia reacionária faça afirmações como a do padre Ramiro José Perotto, de Carlinda (MT), sobre o mesmo caso: “Você acredita que a menina é inocente? Acredita em papai noel também? 6 anos, por 4 anos e não disse nada. Claro que tava gostando. Por favor kkkk, gosta de dar, então assuma as consequências’”. Não sabe esse ser asqueroso que uma criança estuprada não sabe se defender, é ameaçada, sente que vai ser condenada por essa sociedade, e que crianças e mulheres abusadas por anos levam para o caixão esse segredo pelo medo que têm da condenação feita por gente com mentalidade misógina como essa. A mesma mentalidade machista e patriarcal que condena a mulher como ser de segunda categoria, um ser humano incapaz e culpado de todo o mal que existe na humanidade como representação de Eva que comeu o fruto proibido. Sórdidos!
Importante destacar que essa posição das altas cúpulas das Igrejas não é, nem de longe, a representação dos sentimentos mais profundos das massas populares do nosso país. As mulheres de nosso povo, que é religioso, sentem a dor de toda a violência sofrida por essa criança, como se fosse a sua própria dor, porque esse não é um problema casual, esporádico, fora da curva. É a realidade que se impõe em cada rua ou área de campo desse país. É expressão dessa sociedade de classes, de exploração, que tem por dominante a ideologia semifeudal e semicolonial, com todo seu patriarcalismo, misoginia e machismo. A realidade é que um número gigantesco de mulheres adultas um dia foram crianças abusadas, e sabe-se lá quantas tiveram que dar à luz e criar filhos frutos de estupro. Certamente, no fundo da alma, a maioria das mulheres de nosso povo condenou e condena todo circo armado contra essa criança, sentem toda essa violência como agressão a si mesmas e aos seus filhos, acumulando em revolta de classe.
A cruzada fascista antiaborto no Brasil
A cruzada fascista antiaborto é parte de uma ofensiva ideológica, com o objetivo de criminalizar as mulheres que praticam a interrupção de gravidez indesejada. É uma ofensiva fascista e obscurantista, negacionista da ciência. Nas últimas décadas, grupos fundamentalistas religiosos, ligados ao mais descarado fascismo, têm gasto rios de dinheiro em campanhas do que chamam de “pró-vida”. Estão se lixando para a vida das mulheres do povo e seus filhos na mais descarada hipocrisia da suposta “defesa e proteção” de crianças e adolescentes, quando fecham os olhos para a miséria em que vive a imensa maioria do povo na face da terra, para assim manter a sua exploração e opressão, suas vidas de luxo, com “consciências limpas”. São centenas de organizações ditas “pró-vida”, ONGs, igrejas, com dinheiro até para fazer produções cinematográficas para condenar e criminalizar as mulheres do povo e quem as apoiam.
No Brasil, a pastora ministra Damares, com mais de década dentro da velhacaria da política oficial do Estado, assessorando deputados em criar leis contra o direito das mulheres e do povo em geral, assume a linha de frente dessa campanha obscurantista. Agora como ministra, tem mais perto das mãos a máquina do velho Estado e os instrumentos para lançar essa ofensiva de forma ainda mais efetiva. Na tal reunião ministerial do dia 22 de abril ela afirma: “Neste momento de pandemia, a gente tá vendo aí a palhaçada do STF trazer o aborto de novo para a pauta e lá tava a questão de… As mulheres que são vítimas do zika vírus vão abortar… E agora vem do coronavírus? Será que vão querer liberar que todos que tiveram coronavírus poderão abortar no Brasil? Vão liberar geral?” Isso mesmo, dá de ombros para o genocídio contra o povo brasileiro, do qual é partícipe, com mais de 124.000 mortos pelo Estado que nega tratamento adequado e testes para a população se protegerem do coronavírus, para assaltar os direitos das mulheres. Não é de se espantar, pois é tudo o que as classes dominantes do nosso país têm feito: causar o maior terror na população com a pandemia criando um ambiente para assaltar ainda mais a nação e atacar todos os direitos do povo na cidade e no campo, com uma verdadeira guerra não declarada.
Após essa declaração de Damares, o STF, essa suprema corte de injustiça contra nosso povo, parte desse velho Estado que deve ser derrubado, rejeitou, por unanimidade, em 01 de maio deste ano, o julgamento do mérito de duas ações referentes à possibilidade de aborto por mulheres com zika vírus, condição que pode levar ao parto de crianças com microcefalia. O zika vírus, mais uma das tantas epidemias que acomete nosso povo pela condição semifeudal e semicolonial de nosso país, causa danos terríveis às mulheres, particularmente. Centenas de mulheres do povo, contaminadas durante a gravidez, geram filhos com má formação e anencefalia. Mais uma vez a mulher pobre é condenada para o resto da vida a viver situação de extremo sofrimento, por não poder escolher se pode ou não fazer o aborto. Essa gente quer que as mulheres vivam a tortura da gestação de nove meses de uma criança que nascerá morta ou terá pouquíssimo tempo de “vida”
As mulheres do povo não confiam nem devem confiar na polícia e no velho Estado
Voltando à portaria do Ministério da Saúde com o ataque contra as mulheres do povo que precisam recorrer ao aborto. A portaria impõe que médicos e profissionais de saúde façam denúncia policial e recolham provas de que a mulher foi estuprada, o que antes, pelo menos teoricamente, não era obrigatório. Quais são as consequências disso? Que a mulher violentada pensará mil vezes antes de entrar num hospital para solicitar o atendimento para a interrupção de gravidez. Se antes, ela podia pensar em contar com a sorte de encontrar profissionais de saúde que a tratassem com respeito e dignidade, agora ela deverá, além de passar pela angústia de não conseguir interromper a gravidez, também pelo constrangimento de provar que foi estuprada para conseguir realizar o procedimento. A portaria ainda prevê que a mulher deve ser coagida a não abortar dado os protocolos enumerados pelo ministério para os profissionais de saúde antes do procedimento, com toda uma burocracia, pressão psicológica, assinatura de termos de responsabilidades, etc. A mulher pensará: “e se eu não conseguir provar que fui estuprada? Serei presa e condenada?”. Sim, essa é a lógica tacanha e reacionária do Ministério da Saúde que transforma a vítima em réu.
As mulheres do povo preferirão correr risco de morte, recorrendo a métodos inseguros de abortamento, do que enfrentar a polícia. Afinal de contas, aqui falamos dessa polícia que estupra mulheres todos os dias nesse país, o caso mais recente, é do sargento da Polícia Militar (PM), Leonardo Lourenço da Silva que estuprou uma produtora musical na zona sul do Rio de Janeiro. A mulher denunciou ao monopólio de imprensa G1 que enfrentou dificuldades para registrar Boletim de Ocorrência (B.O) na 12° Delegacia de Polícia (Copacabana), “o tempo todo eles (Policiais) fizeram pegadinhas para me testar e ver se eu estava mentindo, toda vez que eu reconhecia ele, trocavam a foto, aquilo foi muito humilhante” relatou a mulher. Nossa companheira Remis Carla, militante do MFP e do MEPR, assassinada covardemente pelo seu ex-namorado em dezembro de 2017, um mês antes de seu assassinato, havia realizado uma queixa em uma delegacia da mulher denunciando as ameaças e agressões do ex-namorado. Entretanto, a polícia foi sarcástica com nossa companheira, chegando a sugerir que ela teria forjado as marcas de agressão em seu braço com tinta de caneta.
Lembremos aqui as palavras de nossa grande companheira, dirigente e fundadora do MFP, Sandra Lima em entrevista ao jornal A Nova Democracia: “A história mostra que a polícia estuprou prisioneiras políticas no Brasil e em todo o mundo, prisioneiras ‘comuns’ também dão a todo o momento essa queixa. A mulher violentada é banalizada e hostilizada em qualquer delegacia. (...) A polícia foi criada e é paga para oprimir, matar, prender, reprimir o povo e para estuprar as mulheres do povo também. Quanto à polícia, eu sempre reafirmo que eu desconfio, desconfio de novo e, por último, desconfio mais uma vez. Essa é a posição da grande maioria do povo. (...) A gente vê que nunca houve proteção à mulher vinda desse velho Estado, muito ao contrário. No código penal de 1988 só era estupro se houvesse penetração e presença de esperma; se a mulher gritasse e o estuprador tampasse sua respiração e ela morresse, não era considerado crime de homicídio, senão apenas de estupro”2.
Esse é o tratamento que a polícia e o velho Estado dão às mulheres do povo. Afirmamos que é contra as mulheres do povo porque as ricas, as que compõe as classes dominantes desse país, a grande burguesia e o latifúndio, sempre a serviço do imperialismo principalmente ianque, não passam por esse problema, na hipocrisia de sua ideologia semifeudal e burguesa, enquanto incitam campanhas fascistas contra o direito das mulheres de interromper uma gravidez indesejada, chamando de assassinas até crianças violentadas que interrompem a gravidez, praticam o aborto a torto e a direito sempre que precisam, com toda a segurança que o dinheiro lhes dá, pagando clínicas bem equipadas, sem correr risco de morte, mantendo a condição de mulher “de família” e “respeitável” intactas perante a “sociedade”, recebendo sempre o “perdão de Deus” no sacramento da confissão, sendo a elas concedidos o privilégio de não enfrentarem a polícia e um tribunal acusadas de “assassinato”.
O caminho para a emancipação da mulher e a revolução
Os oportunistas e revisionistas de toda laia, incluindo todo feminismo burguês e pequeno burguês, e mesmos pessoas míopes que não conseguem fazer uma análise científica do desenvolvimento histórico, econômico e social de nosso país, procuram explicar esses ataques aos direitos das mulheres como um retrocesso da “democracia” brasileira. Consideram “grande avanço histórico” o período do gerenciamento do PT na direção do velho Estado. Governo que não fez nem um milímetro de fissura na estrutura econômica-social de exploração e opressão secular de nosso país, ao contrário, sustentou o poder da grande burguesia, do latifúndio entregando nossa nação para o imperialismo, principalmente ianque, enganado e usando toda a estrutura ideológica, jurídica, policial, militar contra as massas proletárias, semiproletárias, camponesas e da pequena-burguesia em geral. Mesmo quanto a descriminalização do aborto, o que fizeram? Nada! Pelo contrário, avançou na legislação contrainsurgente, contra o povo em geral, criminalizando toda luta popular, gerando o ovo da serpente. Esses mesmos que fingem defender os direitos das mulheres, porém que sustentam e reproduzem toda a base social que gera todo tipo de violência contra as mulheres do povo.
Não há nem nunca houve no Brasil democracia para as massas populares. O que existe, e sempre existiu é a democracia para as classes dominantes e ditadura sangrenta contra as massas populares, ora travestida como “demoliberal”, ora com a sua face de regime fascista aberto. O que falta para as mulheres e nosso povo em geral é uma verdadeira e Nova Democracia. A Nova Democracia só pode vir de um processo revolucionário que começa por destruir, passo por passo, o poder do latifúndio, dando terra a quem nela vive e trabalha, num processo de Revolução agrária, junto as massas da cidade com base na aliança operário-camponesa. É necessário derrubar as três montanhas de opressão que o povo brasileiro carrega nas costas, a semifeudalidade, o capitalismo burocrático e o imperialismo. Ao destruir essas três montanhas de exploração e opressão também destruímos a quarta montanha que pesa sobre os ombros das mulheres do povo: a opressão sexual. O Novo Poder, como Nova Democracia, mudará as bases econômicas e sociais, transformará o trabalho doméstico em indústria social e porá as massas de mulheres do nosso povo em pé de igualdade com os homens de nossa classe. Esse é o verdadeiro poder pelo qual lutamos, o poder da classe, e não essa falácia de “empoderamento” com que todos os reacionários fazem coro. Esse processo passa longe de acreditar no processo eleitoral podre e corrupto, e sim, avançando na organização popular palmo por palmo, dirigida pela todo poderosa ideologia do proletariado, como vanguarda.
No atual momento de nosso país, em que as classes dominantes avançam com o golpe militar preventivo ao inevitável levantamento das massas, numa ofensiva reacionária, há que elevar a organização popular e dentro dela, a das mulheres. Jamais poderão destruir a ira e a fúria que tem por base séculos de exploração e opressão. Toda violência que sofre as mulheres do povo é mais combustível para a rebelião popular. Todos os reacionários pagarão caro por cada ato de covardia e crueldade!

Pela descriminalização do aborto e o direito da mulher ao aborto seguro e gratuito já!

Companheira Sandra Lima, presente na luta!

Companheira Remis Carla, presente na luta!

Nem Bolsonaro, nem Mourão, nem congresso e judiciários corruptos! Fora Forças Armadas reacionárias! Viva a Revolução de Nova Democracia!

Rebelar-se é Justo!

Despertar a fúria revolucionária da mulher como força impulsionadora da revolução!

MFP – Movimento Feminino Popular