29/04/17

Verso il G7 a Taormina... LE DONNE A PALERMO NE DISCUTONO E SI ORGANIZZANO

 

L'Mfpr partecipa oggi a Palermo all'assemblea

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Riportiamo sotto un articolo delle compagne Mfpr pubblicato subito dopo l'insediamento di Trump come Presidente degli USA avvenuto mentre centinaia di migliaia di donne protestavano in tutto il mondo.

TRUMP IL FASCIO-IMPERIALISTA CHE ODIA LE DONNE

La crisi profondissima del sistema imperialista e capitalista è come un vortice che raccoglie tutto ciò che trova sulla sua strada, lo avvolge con la violenza che è insita in questo sistema e poi lo lascia ricadere concentrandosi in un punto: con le elezioni recenti in USA possiamo dire che essa si è concentrata nella fetta più marcia della classe borghese, che in ogni modo cerca di riportare in pieno vigore il sistema dominante sempre più in putrefazione, questo marciume, questa spazzatura borghese, oggi al potere, è Trump,  il neo presidente fascio-imperialista, razzista e sessista.
Trump è l’espressione più avanzata, più arrogante del moderno fascismo in trasformazione che investe i diversi settori strutturali e sovrastrutturali della società, è l’espressione di chi usa il potere a suon di becero populismo per attaccare sempre più pesantemente i diritti e la vita dei più oppressi, dai migranti, alle donne, alle masse popolari.

E proprio la questione delle donne è una cartina di tornasole in tal senso. Appena insediato come presidente le donne sono state tra i primi “pensieri” di Trump, dopo tutta  la maschilista campagna elettorale in cui ha fatto diverse affermazioni e gesti apertamente sessisti che hanno fatto imbestialire molte donne (e anche uomini); non ha perso tempo infatti a procedere nell’attacco al diritto di aborto, per ora nelle forme della cancellazione dei fondi federali da destinare  alle Organizzazioni non governative (Ong) internazionali che praticano aborti o fanno azione preventiva riguardo, provvedimento firmato all’indomani della manifestazione oceanica delle donne di Washington a cui si sono unite quelle in diverse città del mondo.

Certo Trump ha voluto dare subito una risposta anche ai settori  più integralisti della chiesa che ne hanno sostenuto l’elezione, ma ciò è solo la punta di un iceberg perché Trump incarna profondamente l’ideologia e il grado di inciviltà della borghesia al potere che fa del “moderno medioevo” contro la maggioranza delle donne una base per conservare l’attuale sistema sociale.
Questa ideologia fascista e sessista è quella di chi usa e abusa del potere per usare e abusare delle donne come oggetto di “conquista”, per mostrare la propria potenza di maschio perché “il potere è maschio”, la considerazione della moglie come donna che deve subire le sue azioni alla stregua di una  prostituta di alto bordo, i “consigli” agli altri maschi su come si “afferrano” le donne per “conquistarle”, spargendo un humus nero maschilista che inevitabilmente si diffonde a livello di massa, legittimando la concezione che le donne in questo sistema devono essere o puttane o mogli, compagne sottomesse senza alcuna libertà di scelta.

Durante il “giorno dell’inaugurazione” che sembrava il giorno dell’investitura Trump avanzava come un “imperatore” circondato dalla corte delle sue donne di famiglia, ma questo più che un’immagine “rassicurante” è stata una visione impressionate di come l’uomo al potere usi le donne per rafforzare la sua immagine di potere.
In tal senso, scrivevamo ai tempi di Berlusconi al governo nel nostro paese, di fatto un caposcuola rispetto a Trump, oggi di nuovo rinviato a giudizio per la vicenda delle “olgettine”: “…la concezione di Berlusconi e della sua corte (anche femminile) sulle donne, la considerazione del loro ruolo nella società, sono di fatto una cartina di tornasole di una casta che, non potendo più nascondere e mentire, ormai rivendica pubblicamente come “legittima” espressione di un sentire di massa quel modo di vivere e di concezione… dichiarando apertamente che la concezione del loro sistema è quella che noi chiamiamo “moderno medioevo”, quella per cui “Dio, Patria e Famiglia” vale per gli altri, deve essere imposta anche con la legge alla gente, ma non vale affatto per sé…”

Con Trump, presidente del paese imperialista più importante del mondo, più potente attualmente dal punto di vista militare, è come se si fosse concentrato in questa fase in solo punto ancora più nero la concezione “degli uomini che odiano le donne” e nella maniera più marcia e volgare.

La protesta delle centinaia di migliaia di donne che hanno manifestato negli Usa e in diverse parti del mondo nel giorno del suo insediamento, ma che avevano manifestato la propria indignazione anche durante la campagna elettorale, è un concreto e positivo segnale di un percorso che auspichiamo diventi più forte e incisivo e in cui la maggioranza delle donne, odiate doppiamente dal sistema che Trump rappresenta, comprendano la necessità di sviluppare contro di esso la rivolta e la lotta rivoluzionaria.

28/04/17

FCA Pomigliano - L'8 marzo finisce in Tribunale.

Solidarietà dalle lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe

DENUNCIATA L’AZIENDA PER REPRESSIONE DI GENERE ED ANTISINDACALE NEI CONFRONTI DI DUE OPERAIE

La denuncia, con ricorso alla procedura d’urgenza è stata presentata stamattina, alla Sezione Lavoro del Tribunale di Nola. La vicenda è relativa alle tre ore di sciopero indette lo scorso 8 marzo dallo Slai cobas al reparto-confino WCL distaccato a Nola dalla FCA di Pomigliano d’Arco ed alla partecipazione delle operaie all’assemblea pubblica contestualmente organizzata dal Comitato Mogli Operai a Pomigliano in occasione della ricorrenza internazionale della donna. È evidente che i contenuti dell’ iniziativa dello scorso 8 marzo hanno “intensamente turbato” la Fiat/FCA di Pomigliano per la diffusione di un inequivocabile messaggio pubblico diramato dalle operaie tramite una  vignetta autoprodotta e diffusa sul territorio in migliaia di copie con manifesti, locandine e volantini: un deciso ‘calcione’ a Trump e Marchionne perché quando si abbassa la democrazia nei luoghi di lavoro si abbassano anche i diritti sociali e quelli civili! (info su www.comitatomoglioperai.it ).
I
nfatti, dopo appena 5 giorni dall’8 marzo, il lunedì successivo,  i responsabili aziendali del WCL di Nola modificavano inopinatamente e con evidente intento repressivo il calendario lavorativo di Antonietta Abbate e Carmela Castiello (entrambe operaie Fiat/FCA con 27 anni di anzianità, iscritte a Slai cobas ed aderenti al Comitato Mogli Operai di Pomigliano) esponendole a seri problemi relativi allo spostamento casa-lavoro e familiari in conseguenza della inesistenza di qualsiasi servizio di trasporto pubblico o aziendale  servente l’unità produttiva di Nola e quindi tra la residenza delle lavoratrici ed il posto di lavoro...

 Slai cobas - coordinamento provinciale di Napoli - Pomigliano d’Arco, 27 aprile 2017


Dalle lavoratrici a Roma: 'la salute non è una merce'!


Torino la lotta delle lavoratrici Dussmann

Sciopero alla Dussmann: la lotta paga ma la strada è ancora lunga

vedi video della protesta delle lavoratrici contro le direzioni sindacali su infoaut

A seguito delle giornate di mobilitazione di fine marzo  le addette delle pulizie degli ospedali torinesi impiegate dalla multinazionale tedesca Dussmann hanno continuato ad alimentare la loro lotta, rimanendo per quasi un mese in presidio permanente davanti alle Molinette.
Nel corso di questo tempo, grazie alla loro determinazione, sono riuscite a fare riaprire i tavoli di trattativa tra Dirigenza sanitaria e Azienda, oltre a costringere anche la Regione a prendersi la sua parte di responsabilità nella vicenda.
Mercoledì scorso si è infatti svolto un incontro fra Regione, Dirigenza Sanitaria, responsabili dell'Azienda e Sindacati , in cui è stata discussa la situazione delle dipendenti. Contemporaneamente, le lavoratrici hanno portato avanti per tutto il giorno sotto la sede di Piazza Castello un nutrito e rumoroso presidio, rimanendo ad aspettare con ansia l'esito delle trattative fino alla sera.
 
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Il risultato dell'incontro, da cui, precisiamo, non si è usciti con nessun documento firmato e sottoscritto, ha portato ad una riduzione del taglio previsto sulle ore, che si aggirava tra il 33 e il 40%, all' 11% e alla cancellazione delle richieste di trasferimento che la Dussmann aveva fatto recapitare ad alcune lavoratrici nelle scorse settimane.
La lotta delle lavoratrici è quindi riuscita ad ottenere dei risultati significativi, anche se questi rimangono parziali.
Al di là della cronaca vertenziale, ci sembra dunque che valga la pena riportare alcune considerazioni, emerse nelle ultime settimane dalla partecipazione alla mobilitazione delle lavoratrici delle pulizie
degli ospedali.
Il taglio delle ore (e quindi dello stipendio!), per quanto sia stato ridotto, resta un problema soprattutto per chi, come tante lavoratrici degli ospedali Sant'Anna e Regina, partiva già da un turno di quattro ore giornaliere e si ritrova adesso a lavorarne tre e mezzo. Questo infatti significa non percepire più né assegni familiari né quei miseri 80 euro di Renzi, che – su uno stipendio di poche centinaia di euro – fanno davvero la differenza.   
Rispetto agli straordinari inoltre, quelli svolti andranno a finire in banca ore e non verranno retribuiti nelle buste paga fino a che non verranno accumulate abbastanza ore di lavoro (pagate peraltro come
ore di lavoro normali).
C’è poi la vigliaccata di fine fine vertenza. Il giorno dopo gli accordi sindacali, mentre La Stampa e Repubblica incensavano “le doti di gande mediatore” del presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino, a diverse lavoratrici è stato mandata dalla Dussmann una lettera di sospensione di tre giorni per avere partecipato agli scioperi e alle mobilitazioni delle ultime settimane.
Ci sembra che questo atteggiamento non riveli altro che la necessità dell'azienda di voler da subito ristabilire la disciplina all'interno degli ospedali, nel caso in cui le lavoratrici, che hanno potuto toccare con mano i risultati portati dalla lotta, non volessero fermare le loro rivendicazioni al solo bloccare i tagli.
I problemi che le lavoratrici devono affrontare sono infatti ancora molti. Da una parte ci sono le preoccupazioni legate alla vita quotidiana e all'arrivare alla fine del mese. Molte tra di loro sono infatti donne che vivono solo di questo stipendio o che per sbarcare il lunario si ritrovano a fare piccoli lavori saltuari dall'ospedale. Tante di loro, inoltre, hanno figli a carico e intere famiglie da mantenere. Dall'altra rimangono le difficoltà legate al lavoro in ospedale: richieste di disinfettare le camere di pazienti infetti senza avere la formazione adeguata per farlo, mancanza di personale e di materiale per le pulizie.  
In questo quadro è importante rilevare anche l'atteggiamento che i sindacati confederali hanno avuto nel rapportarsi alle lavoratrici e alla loro mobilitazione. Le sigle di CGIL, CISL e UIL e i loro delegati presenti all'interno dell'ospedale hanno infatti dimostrato in più di un'occasione di voler arrivare al più presto ad una conciliazione con l'Azienda, preoccupati più del mantenere la situazione distesa che nel cercare di mantenere unite le lavoratrici.
Nel caso degli accordi stipulati con Regione, Azienda e Dirigenza Sanitaria sembra infatti abbiano preferito trovare una soluzione che cercasse di riportare la calma dentro all'ospedale delle Molinette, il presidio più grande e con più lavoratrici delle pulizie al proprio interno, divenuto simbolo della mobilitazione, piuttosto che preoccuparsi anche della situazione delle diverse lavoratrici appartenenti alle altre ASL e presidi ospedalieri cittadini.
Inoltre, l'atteggiamento dei confederali è stato decisamente quello di chi non vuole che intorno alla vertenza si crei una rete di solidarietà e appoggio da parte di medici e pazienti. Utilizzando la scusa e la strategia per cui una vertenza che rimane esclusivamente settoriale ha migliori probabilità di ottenere dei risultati (!!), hanno infatti costantemente cercato di allontanare – in collaborazione con la questura e la polizia politica Digos – chi dall'esterno avrebbe potuto mettere in discussione il loro operato (abbiamo persino assistito all’identificazione preventiva di un medico dell’ospedale venuto a portare la sua solidarietà).

Nella costante preoccupazione di perdere qualche tessera, i sindacati hanno cercato di gestire tutti i tavoli di trattativa riducendo al minimo i momenti di confronto e anche la partecipazione delle lavoratrici in alcuni casi, arrivando perfino a escludere alcune rsa dagli incontri. Sono così riusciti a mantenere un ruolo di primo piano nella mobilitazione e a legare a loro, attraverso un rapporto di dipendenza, le lavoratrici, uniche e reali protagoniste della propria lotta.
Altro elemento che ci sembra interessante mettere in luce è quello del funzionamento delle gare d'appalto e delle vincite al ribasso.
Proprio per uscire dalla logica della lotta di settore, è bene notare come i meccanismi che stanno dietro agli appalti delle pulizie degli ospedali siano pressoché identici a tutte le altre gestioni di cooperative con contratti multiservizi (e, ahinoi, sono anche gli stessi i dirigenti sindacali che se ne occupano).
Questo ci dà la cifra dei punti in comune e della continuità che ritroviamo nella diverse giunte comunali e regionali che si sono avvicendate nell'ultimo hanno a Torino. Malgrado in queste ore la giunta Chiamparino è stat dipinta come l'amministrazione in grado di risolvere le tensioni e i conflitti derivati dai tagli alla sanità attraverso un accordo che ne va a ridurre la portata, sembra che i giornali cittadini stiano dimenticando che è proprio la Regione la prima responsabile dell'andamento delle gare d'appalto degli ospedali torinesi.
Inoltre, se ora il PD prova a cavalcare l'onda della giusta rabbia di tanti lavoratrici e lavoratori dell'ambito della sanità come, in modo ancora più evidente, in quello della cultura, è fondamentale essere in grado di svelare le loro ventennali responsabilità. Continuare a tagliare sui servizi significa non solo colpire i lavoratori e le lavoratrici del settore, ma anche tutti gli utenti che se ne servono; allargando il fronte della controparte, diamo quindi una nuova possibilità di incontrarsi e di intersecarsi alle lotte.

27/04/17

DA MFPR BREVE NOTA SULL'ASSEMBLEA NAZIONALE DI NON UNADIMENO - SEGUIRANNO REPORT E AGGIORNAMENTI

Valutiamo positiva la tenuta della partecipazione e la rappresentatività nell'assemblea nazionale.
Valutiamo molto positivamente la valorizzazione dello sciopero delle donne, soprattutto da parte di realtà di lavoratrici, compagne impegnate che lo hanno realizzato veramente. (Per noi, poi, che dal 2013 lavoriamo e abbiamo cominciato a fare lo sciopero delle donne, è stato emozionante vedere come oggi tante ne parlano).
Condividiamo una parte (non maggioritaria) degli interventi (di cui cercheremo di dare informazione successivamente).
Condividiamo una parte delle decisioni assunte a Roma, e soprattutto:
la mobilitazione per il 28 settembre (data internazionale) su aborto e salute riproduttiva
la mobilitazione per il 25 novembre (con possibile nuovo sciopero delle donne - ma per noi da verificare)
la mobilitazione contro i decreti Minniti
La necessità di mettere all'odg la lotta contro la repressione delle lotte, delle lavoratrici che hanno fatto lo sciopero delle donne
Una nuova assemblea nazionale a Napoli a metà settembre
Mobilitazione contro la guerra a Cagliari in estate

Mentre pensiamo che sia negativo non aver posto nelle decisioni la questione della mobilitazione contro il G7 e non aver dato il dovuto rilievo alla lotta contro la guerra imperialista, con il nodo della questione migranti.  
Come avevamo detto prima, nell'assemblea sono emerse (e a volte si sono anche scontrate chiaramente) fondamentalmente due posizioni, due concezioni, due linee, due pratiche organizzative e di azione futura.

Da un lato vi è un femminismo borghese, rappresentato soprattutto dalle organizzatrici nazionali di NUDM, che concepisce gli obiettivi, il piano femminista essenzialmente come trattativa e interlocuzione con il governo, il dipartimento Pari Opportunità, e a questo rende compatibili prassi e anche contenuti, obiettivi dello stesso piano; un femminismo che ha espresso la sua natura opportunista anche nella gestione preconfezionata (con schemi e recinti a cui doversi attenere) e sotto controllo dell'assemblea (per queste organizzatrici era anche vietato mettere striscioni e cartelli).
Dall'altro vi è un femminismo radicale, proletario (purtroppo ancora di minoranza in questo movimento, ma di certa e chiara maggioranza nelle lotte quotidiane, sui territori) che, invece, vede la piattaforma dello sciopero delle donne come frutto della lotta delle donne, essenzialmente quelle più sfruttate e oppresse, una piattaforma che deve vivere con le lotte, nella contrapposizione con padroni, governo, Stato; che vuole lavorare per questo per l'estensione dell'organizzazione e dello sciopero delle donne, che propone mobilitazioni e scadenze legate ai bisogni della maggioranza delle donne (e non decise a tavolino), propone materiali, formazione-inchieste- reti orizzontali per rafforzare l'unità delle realtà).

L'Mfpr è dentro e lavora per rafforzare questo femminismo di sinistra, radicale e combattivo.

MFPR
27.4.17


26/04/17

La doppia violenza versi le migranti dello Stato italiano

 
Migranti, le domande della vergogna: "Ti hanno stuprata? E perché sei fuggita in Italia?"

DI ANTONELLO MANGANO 
«Sei stata violentata? Perché hai cambiato paese e non quartiere?». M. è una donna eritrea. Sta raccontando la sua storia alla commissione territoriale, una di quelle che decidono quali migranti possono restare in Italia e quali no. Ha studiato ad Addis Abeba, dove voleva fare il meccanico. «In quel paese si può fare un lavoro da uomo», spiega. Nel 2010 sposa un etiope col matrimonio tradizionale. Ma tradizionale è pure la famiglia di lui, che la rifiuta. Per gli etiopi è e sarà sempre una spia eritrea. Non può proseguire gli studi né lavorare e così decide di partire e raggiungere la sorella in Sudan. Da sola. Ed è proprio a Khartum che il cognato la violenta: «Se avessi parlato mi avrebbe ucciso», dice. Ha paura di rivolgersi alla polizia e scappa in Libia.
Qui iniziano i dubbi del suo intervistatore. Perché ha lasciato il Sudan? Khartum è molto grande. Poteva semplicemente cambiare quartiere. Perché ha deciso di cambiare nazione?
Le linee guida Unhcr consigliano un tono rassicurante e domande pertinenti. Invece l’audizione per M. diventa un interrogatorio. «Non riesco a capire, perché ha lasciato suo marito dopo pochi mesi di matrimonio? Perché non si è sposata ufficialmente prendendo la cittadinanza etiope? Perché non conosce i motivi dell’arresto di sua madre? In Etiopia la consideravano una spia? E quindi che problema c’era?».
La stupreranno anche il padrone di casa dove lavora come domestica e i trafficanti. Il tono dell’intervista però non cambia: «Perché non è rimasta in Libia?». M. arriva
finalmente ad Agrigento nel 2013. Un anno dopo la commissione non la riconosce come rifugiata. Consiglia solo di «fare visite mediche». Ci vorranno due anni perché il tribunale ribalti la decisione.
Si tratta di un caso isolato? Non proprio. Siamo entrati nel mondo chiuso - e finora inesplorato - delle commissioni che decidono sulle domande di asilo. Abbiamo letto centinaia di pagine di documenti ufficiali. È venuta fuori una lotteria: domande da telequiz, errori di copia-incolla, una vera e propria inquisizione.

Le donne nigeriane sono spesso vittime di tratta. Le aspettano interrogazioni del tipo: «Anche oggi sono morte cento persone nel Canale di Sicilia, l’altra opzione era fare la prostituta in Libia. Capisce che non ha molto senso che sia venuta in Italia solo perché glielo ha consigliato un uomo che conosceva da due mesi?». Quelle del Corno d’Africa scappano da dittatori e guerre endemiche. Subiscono numerose violenze di ogni tipo prima di arrivare in Europa.
Una donna ha visto una collega uccisa dai terroristi nello spiazzo di un supermarket. In commissione le chiedono: perché è venuta in Italia? «Non esistono posti sicuri in Somalia?». I profughi dell’Africa occidentale si lasciano alle spalle epidemie e conflitti inter-etnici. Per loro la diffidenza è fortissima. C’è chi si sente dire: «Puoi ritornare al tuo paese, temi solo l’Ebola». Oppure: se tua moglie vive ancora lì, allora il tuo paese è sicuro.

F. ha visto il fratello morire sotto i colpi dei ribelli in Mali. Fuggito dal colpo di Stato, ha superato nell’ordine i militari a caccia di disertori, il deserto algerino, il mare che lo separava dall’Europa. È un sopravvissuto. Ma non aveva previsto l’ultimo ostacolo, i quiz della commissione. «Come si chiama lo stadio di Goa?», «Non lo so». «E il ponte sul fiume», «Non lo so». «E il fiume?», «Niger».
Il commissario si fida sempre meno. «Quali sono i nomi dei paesi che ha incontrato per andare in Algeria?», «Non so, erano località piccolissime». Arriva il diniego, soltanto «i positivi segnali di integrazione» lo salvano dall’espulsione e gli consegnano un permesso temporaneo...

Le domande si basano spesso sulla credibilità del soggetto intervistato. La Convenzione di Ginevra parla invece dell’oggetto, cioè il fondato timore di subire una persecuzione in patria. Da poco si sta imponendo un nuovo criterio, quello dei «positivi segnali di integrazione». Un concetto non definito dal diritto e spesso arbitrario.
Prendiamo il caso di G., che si salva dall’espulsione per un paio di parole in italiano. In un’ora spiega che il padre faceva politica in Costa d’Avorio, nel paese devastato dalla guerra; che è stato ucciso dai sostenitori dell’ex presidente; che tornare lì significa rischiare la vita perché ci sono aree in conflitto di cui non si parla.
La commissione non gli crede. Citando qualche sito web, dice che la guerra è finita. Il destino sembra segnato. Tra lui e l’espulsione c’è solo un’ultima domanda. Frequenta corsi? Questa volta non risponde nel dialetto bambara, ma in italiano. È la sua salvezza. Tutto il resto viene rigettato, ma i «positivi segnali d’integrazione» gli valgono un permesso umanitario.
L’integrazione è un criterio soggettivo, ma piace sempre più sia ai tribunali che alle commissioni. J., per esempio, pur scappando dalla guerra ucraina vive in una bella casa («un appartamento idoneo») e la madre ormai parla italiano. Ha anche fatto politica nel suo paese rischiando la pelle, ma questo non è preso in considerazione.

25/04/17

25 aprile, Brindisi è partigiana e alla polizia non va giù


Città tappezzata di manifesti inneggianti ai partigiani: rilievi della polizia
La denominazione di alcune vie è stata idealmente cambiata con dei fogli affissi sotto le targhe per la toponomastica. La polizia Scientifica ha fotografato anche alcune locandine riguardanti un evento che si svolgerà l'uno maggio

BRINDISI – Manifesti inneggianti ai partigiani sono apparsi stamani nel centro storico di Brindisi, in occasione delle celebrazioni della Festa della Liberazione. La denominazione di alcune vie è stata idealmente cambiata con dei fogli affissi sotto le targhe per la toponomastica. E così via Duomo diventa “via Teresa Noce (1900-1980), partigiana politica e antifascista italiana”, mentre via Gianbattista Casimiro diventa “via Lina Merlin” (1887-1979), partigiana, politica, insegnante”.
Le vie che si diramano da palazzo di Città sono state inoltre tappezzate di locandine riguardanti un evento “per ricordare i partigiani e il popolo che in armi scacciarono la canaglia nazifascista, liberano l’Italia dalla infame dittatura” che si svolgerà il prossimo 1 maggio, giorno della festa dei lavoratori, presso la “Saletta Agorà” di via San Benedetto, a Brindisi.
Il personale della polizia Scientifica di Brindisi ha fotografato e acquisito i manifesti. Tutto questo mentre in piazza Santa Teresa iniziava le cerimonia istituzionale del giorno della Liberazione...

"UNA MATTINA MI SON SVEGLIATA..."

Un importante opuscolo del MFPR di documentazione, ricerca sulle donne nella Resistenza antifascista.
 
Richiedetelo a: mfpr.naz@gmail.com


Le lavoratrici e i lavoratori Alitalia respingono il ricatto governo-sindacati confederali - Massimo sostegno

I lavoratori Alitalia hanno bocciato l'accordo-capestro. I risultati dell'aeroporto di Fiumicino hanno confermato il No già emerso negli scali milanesi. Secondo i dati arrivati finora, i NO, per il momento sono 5.140 ed hanno infatti superato il 50% dei votanti al referendum . L'affluenza nel referendum è stata molto alta, oltre il 95% delle lavoratrici e dei lavoratori è andato a votare. A Milano nel seggio di Linate i risultati dei voti scrutinati sono di 698 "no" e 153 "sì", con tre schede nulle e quattro bianche. A Malpensa, invece, i "no" sono stati 278 contro 39 "sì". Le schede bianche sono due mentre altre due sono state annullate. Si attendono i dati da Fiumicino, dove operano la maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori Alitalia, ma se il buongiorno si vede dal mattino, sembra proprio che i lavoratori abbiano bocciato il piano industriale-capestro orchestrato dalla proprietà, governo e Cgil Cisl Uil. Un atto di coraggio e dignità che rilancia la contraddizione tutta tra i piedi dei suoi responsabili.

23/04/17

Le mamme palestinesi si uniscono allo sciopero dei loro figli in solidarietà a tutti i prigionieri politici palestinesi

madri dei prigionieri in sciopero della fame

1.500 prigionieri politici palestinesi entrano nel loro quarto giorno di sciopero della fame  per ottenere una serie di richieste con lo sciopero della dignità e della libertà, tra cui la fine della negazione delle visite familiari, il trattamento medico adeguato, la fine dell’isolamento e la detenzione amministrativa, la detenzione senza capi di accusa o prova.
All’interno delle prigioni, gli scioperanti continuano ad essere sottoposti a una serie di misure repressive e punitive da parte dell’amministrazione, tra le quali la negazione delle visite legali e familiari, la confisca di abbigliamento, coperte e articoli personali e la rimozione dell’accesso ai mezzi di comunicazione oltre a trasferimenti frequenti e punitivi e isolamento dei i principali leader dello sciopero.
Marwan Barghouthi, portavoce dei prigionieri di Fateh sullo sciopero e importante leader
politico palestinese imprigionato, come riferito è stato nuovamente  trasferito, questa volta in isolamento nella prigione di Kishon vicino a Haifa. La repressione è proseguita in tutte le prigioni come  nella sezione 14 nella prigione di Ofer dove con il pretesto di  una “ispezione” ha fatto irruzione saccheggiando le sezioni dei prigionieri .
Circa 70 prigionieri in sciopero sono stati trasferiti alla prigione di Ramle, di cui 40 da Hadarim e 30 da Nafha, Ramon e Ashkelon.
Gli avvocati palestinesi hanno continuato a boicottare i tribunali militari dell’occupazione israeliana in risposta al divieto delle visite legali per i prigionieri in sciopero.  Le organizzazioni “Palestinian Prisoners’ Society” e “Prisoners’ Affairs Commission” hanno annunciato il boicottaggio come parte di una serie di misure perseguite dagli avvocati palestinesi per affrontare la negazione dei diritti dei palestinesi imprigionati.
Mercoledì a Tamim Younis, avvocato della “Prisoners’ Affairs Commission” e fratello di Karim Younis leader dello sciopero della fame e il prigioniero palestinese con più anni di detenzione, è stata negata la visita al fratello nella prigione di Jalameh, mentre all’avvocato Shirin Iraqi è stato negato l’accesso ai prigionieri di Gilboa, confermando la continua negazione delle visite legali ai prigionieri.
alt  Altri prigionieri continuano ad aderire allo sciopero. Sidqi al-Maqt, il prigioniero siriano  che ha passato più tempo in carcere e proveniente dalle alture occupate del Golan, ha annunciato di essere entrato nello sciopero della fame con una lettera alla rete televisiva al-Mayadeen. Liberato nel 2012 dopo 27 anni di carcere, è stato arrestato nuovamente dal 25 febbraio 2015.
Anche le donne detenute palestinesi nelle carceri di HaSharon e Damon hanno annunciato  mercoledì l’inizio di atti di protesta  a sostegno dello sciopero collettivo della fame. Le 53 donne prigioniere hanno detto che inizieranno la  protesta tornando ai pasti ogni 10 giorni ed intensificheranno la loro partecipazione se non saranno soddisfatte le richieste degli scioperanti. Khalida Jarrar, ex prigioniera e leader del fronte popolare per la liberazione della Palestina, ha sottolineato che “le donne detenute non possono essere separate dai detenuti in generale, soprattutto perché vivono difficili condizioni di vita e molte sono “fiori” (ragazze minori) .” Ha sottolineato che lo sciopero ha incluso diverse richieste di particolare importanza per le detenute, compreso il trasporto privato sul” Bosta “e la fine del rifiuto delle visite familiari.
Jarrar ha osservato che sono state imprigionate diverse donne palestinesi gravemente ferite e disabili, tra cui Israa Jaabis, che ha perso la maggior parte delle sue dita, e Abla al-Aedam che continua a soffrire di una grave lesioni traumatica alla testa. Jarrar ha evidenziato che “i detenuti traggono la loro fermezza e risoluzione dall’ampiezza della solidarietà che ricevono”, esortando un’ampia azione e un lavoro politico e popolare internazionale a sostegno dei prigionieri.
La forte solidarietà popolare con i prigionieri continua ad essere sentita in tutta la Palestina e in tutto il mondo, mentre marce e tende di solidarietà per i detenuti continuavano ad organizzarsi a Arraba, Nablus, Ramallah, Betlemme, Haifa, Gaza, Jenin, Salfit, Arroub camp, Campo di Dheisheh, Bruxelles, Londra, Roma e numerose località palestinesi, arabe e internazionali.

Iman Nafie, ex prigioniera e moglie di Nael Barghouthi, il prigioniero palestinese con la più  lunga permanenza nelle carceri israeliane (36 anni già scontati)  la cui sentenza è stata recentemente rivista da un tribunale militare di occupazione israeliana e aumentata di  18 anni, ha sottolineato l’importanza del sostegno popolare, ufficiale e politico dei prigionieri. “Questo momento di lotta ha bisogno di sostegno dall’esterno a livello locale, regionale e internazionale. Lo sciopero della fame dei prigionieri è un evento importante con ripercussioni globali “, ha dichiarato Nafie a Asra Media.

Latifa Mohammed Naji Abu Humeid, madre di quattro prigionieri, i fratelli Nasr, Nasser, Mahmoud e Sharif, tutti provenienti dal campo profughi di al-Amari, ha iniziato un sciopero della fame mercoledì a sostegno dei figli e di tutti gli scioperanti nelle prigioni israeliane.
Na’ama Abu Khader, la madre del prigioniero Ahmad Abu Khader del villaggio di Silat al-Zuhr a sud di Jenin, è anche lei in sciopero di solidarietà a sostegno del figlio e dei  prigionieri palestinesi. “Ho deciso di aderire allo sciopero a sostegno dei prigionieri e delle loro giuste richieste. Sono detenuti nel cimitero del vivente – Ogni giorno l’occupazione li uccide  in quelle prigioni “, ha detto.

Scioperi di solidarietà sono stati anche annunciati da sostenitori internazionali, tra cui un attivista Black 4 Palestina a New York, che ha dichiarato: “Anch’io sono da oggi in sciopero  a sostegno della liberazione e dell’autodeterminazione palestinese, in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi e quelli sotto occupazione. Resisto e lotto contro le azioni dello Stato e della polizia di Israele e contro il sionismo e l’imperialismo “.
In Algeria, numerosi attivisti civili hanno annunciato il proprio sciopero della fame il 18 aprile a sostegno degli scioperanti per esprimere il loro “sostegno incondizionato alla lotta del popolo palestinese e alla fermezza dei prigionieri palestinesi e per dimostrare che non sono soli . “27 attivisti algerini hanno aderito all’azione a sostegno dei prigionieri.

Trad. Invictapalestina.org
Fonte: http://samidoun.net/2017/04/palestinian-lawyers-boycott-military-courts-women-prisoners-begin-protest-steps/

20/04/17

L'ASSEMBLEA NAZIONALE DI "NONUNADIMENO" - CHE CI SIA CHIAREZZA TRA DUE LINEE, DUE CONCEZIONI, DUE PRATICHE, DUE CLASSI

L'Mfpr parteciperà all'assemblea nazionale delle donne del 22-23 aprile a Roma di NUDM.
In essa è però necessaria una lotta tra due linee, due concezioni, due pratiche, due prospettive, che sono espressione di DUE CLASSI.
Anche dal comunicato di convocazione di NUDM (di cui in coda riportiamo stralci) si comprende questa necessità:

- Con il governo da parte delle organizzatrici nazionali di NUDM vi è un confronto, una interlocuzione, non uno scontro (che chiaramente non esclude incontri, vertenze, ecc. ma come una "guerra che continua" e come facciamo con le nostre lotte - unico modo, tra l'altro, per imporre parziali risultati - sempre più difficili nella fase odierna - e "passi indietro");
- Lo sciopero vero delle donne, delle lavoratrici, delle operaie, delle precarie viene di fatto cancellato (proprio quando, invece, viene "riconosciuto" dai padroni, con la repressione verso le lavoratrici in sciopero e dalla direzione Cgil, sempre con provvedimenti disciplinari);
- La lotta contro la violenza sessuale, pur dicendo che è strutturale, di fatto viene concepita per riformare questo sistema borghese (vera causa dei femminicidi e stupri) e non interna alla necessaria via rivoluzionaria per abbattere questo sistema, alimentando l'illusione che si possa "contrastare in modo efficace e definitivo le tante forme di violenza di genere nella sfera privata e in quella pubblica"

Per questo nell'assemblea, ai tavoli, le compagne del Mfpr porteranno soprattutto tre questioni:
- riportare al centro lo sciopero delle donne (sia quello che è stato nell'8 marzo, sia altri scioperi delle donne su piattaforma, come in risposta alla repressione sui posti di lavoro, ecc., scioperi che dovranno esserci senza aspettare il prossimo 8 marzo);
- la piattaforma, costruita dalle lotte delle donne, arma importante di lotta a governo, padroni, Stato, uomini che odiano le donne;
- la necessità di costruire un fronte "rosso e proletario" delle donne, interno al movimento generale, e collettivi Mfpr dovunque.

RIPORTIAMO UN ARTICOLO DEL MFPR USCITO DOPO L'8 MARZO

L'ARMA DEL MOVIMENTO FEMMINISTA PROLETARIO RIVOLUZIONARIO PER UNITA', LOTTA, TRASFORMAZIONE, DOPO LO SCIOPERO DELLE DONNE

"...Il rapporto col più generale movimento femminista è necessario e possibile solo se le donne proletarie costruiscono la loro autonomia, altrimenti sono un appendice del femminismo piccolo borghese e borghese. Questo non basta scriverlo in un comunicato, ma realizzare la lotta affermando forme e contenuti di classe e come donne, contenuti rivoluzionari.

Serve l'autonomia del contingente proletario, la sua manifestazione pratica e serve il suo orientamento all'interno del movimento generale delle donne. Questo si distingue sia da posizioni che sostengono di fatto che tutto il movimento femminista è piccolo borghese e le donne proletarie rivoluzionarie non devono interessarsene; sia da posizioni che non costruiscono nei fatti questa autonomia del contingente proletario e rivoluzionario.

A questo è servito e deve continuare a servire anche lo “sciopero delle donne”, quello vero, oggi passaggio importante nel cammino della lotta di liberazione rivoluzionaria delle donne. Con lo sciopero delle donne le donne dicono: siamo noi più sfruttate e oppresse, che dobbiamo prendere la nostra vita e la lotta nelle nostre mani!

Ma il problema diventa ora su quale linea, su quali obiettivi continuare ad alimentare l'incendio acceso dello sciopero delle donne. Per portare avanti gli obiettivi delle donne lavoratrici, proletarie, della maggioranza delle donne che sono in sintonia con il bi/sogno che “tutta la vita deve cambiare”, e quindi in legame con la battaglia rivoluzionaria, o su obiettivi che non vogliono mettere in discussione il sistema capitalista, i suoi governi, il suo Stato?

Noi, come abbiamo fatto il 25 novembre e l'8 marzo scorso, porteremo avanti in maniera chiara, aperta questa battaglia che è una lotta tra due linee e due classi, lotta politica, pratica, ideologica, per realizzare unità, ma anche trasformazioni, anche distinzioni/rotture.

I sindacati confederali, la Cgil sulla questione delle donne dividono la classe operaia, o dicono: me ne occupo io. Lo sciopero delle donne rompe questo. Anche nello sciopero dell'8 marzo in alcune fabbriche le operaie, le delegate hanno trovato non solo la repressione dei padroni, ma anche forti ostacoli fino a provvedimenti disciplinari dal sindacato. Non ci può essere un movimento di classe senza che queste cose vengano battute sul campo e trovino una risposta generale. Quando una donna deve scioperare trova ostacoli anche tra i suoi compagni di lavoro, nella famiglia, ma se sciopera poi è più difficile “fermarla”.
Le femministe borghesi dicono: il problema è cambiare la mentalità, ma la cambi se, come è successo l'8 marzo, tu fai lo sciopero vero, se ti guadagni/imponi il rispetto.

In questa lunga battaglia la parola d'ordine: scatenare la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione, vuole esprimere la “marcia in più” delle donne nell'intero movimento di lotta e rivoluzionario per rovesciare questo sistema capitalista.
E in questo il movimento femminista proletario rivoluzionario è un'arma consegnata a tutte.
 
COMUNICATO DI NUDM
I prossimi 22 – 23 aprile il movimento NUDM si incontrerà a Roma per la quarta assemblea nazionale. Ci sembra utile avanzare la nostra proposta di discussione a partire da alcune considerazioni.
Lo sciopero globale delle donne dell’8 marzo ha segnato una ulteriore significativa tappa di crescita per Non Una Di Meno, confermando la maturità di un movimento femminista che ha espresso la capacità di articolazione e di sviluppo...
Il movimento femminista in atto ha definitivamente risignificato la lotta alla violenza maschile sulle donne come lotta alla discriminazione, al sessismo, al razzismo, alla transomofobia istituzionalizzati, allo sfruttamento, alla povertà, all'esclusione. Ha saldato il desiderio di libertà delle donne alla rivendicazione di autonomia economica e autodeterminazione, ai temi del lavoro, del reddito e del welfare...
In questo incontro proveremo a avanzare nella stesura del Piano Femminista contro la violenza di genere...
Il piano è un documento politico-programmatico, dunque, a partire dal quale definire la prossime tappe di mobilitazione e la costruzione di un’agenda politica indipendente, per articolare differenti piani di conflitto e darci la possibilità di essere controparte autonoma e autorevole anche nei possibili spazi di negoziazione istituzionale, a livello territoriale e nazionale.
La negoziazione istituzionale è un tema da cui non pensiamo di doverci sottrarre ma che riteniamo vada affrontato con sufficiente pragmatismo, per essere vincenti e moltiplicare e rilanciare i terreni di conflitto. Con questo approccio, sarà utile affrontare e sciogliere il nodo del confronto, propostoci dal Dipartimento Pari opportunità, con la cabina di regia interministeriale che, già da mesi, lavora –insieme ad alcune associazioni di donne come è successo anche in passato- al nuovo Piano Antiviolenza. Sarà altrettanto utile non considerare questo come l'unico terreno di confronto e negoziazione possibile ma anzi ragionare su una pluralità di livelli anche istituzionali...
La prima giornata sarà dedicata ai tavoli tematici che... dovranno definire in maniera sintetica il testo che andrà a comporre il Piano:
- Stilare i principi femministi sottesi alla possibilità di contrastare in modo efficace e definitivo le tante forme di violenza di genere nella sfera privata e in quella pubblica. Definire gli obiettivi e le pratiche di rivendicazione, l’agenda di mobilitazione e individuare le possibili controparti e i terreni di negoziazione...
...La giornata (della domenica) si articolerà in due blocchi di discussione e si concentrerà su due punti:
1. il piano come strumento politico... e ipotesi di rilancio della mobilitazione nazionale. Altrettanto importante sarà confrontarci sul Dpo e il confronto con il governo in vista, nel prossimo autunno, dell'approvazione del Piano Nazionale e del patto di stabilità.
2. ...Quali strumenti di connessione, coordinamento e lavoro possono essere individuati per svolgere funzioni di comunicazione e organizzazione politica in grado di connettere piano globale, nazionale e locale...

Non Una Di Meno 

Dossier sullo sciopero delle donne a cura del MFPR, in uscita all'assemblea nazionale delle donne a Roma 22-23 aprile


16/04/17

Altri morti di migranti, decine di donne e bambini hanno ancora riempito il mare con le loro vite! Assassino è lo Stato e il governo! Si prepara una nuova manifestazione nazionale dei migranti a Foggia

Sui giornali, dalle televisioni sentiremo anche questa volta parole di "cordoglio"...
MA QUANDO I MIGRANTI LOTTANO, SENTIAMO INVECE PAROLE E VEDIAMO SOPRATTUTTO AZIONI DEL GOVERNO-MIN. MINNITI, DELLA POLIZIA, DEI TRIBUNALI DI ATTACCO RAZZISTA, IMPERIALISTA, DI FEROCE REPRESSIONE.
I migranti sono buoni quando sono "morti" o sono da sfruttare, schiavizzare...

BASTA!

FOGGIA, 24 APRILE:
CORTEO NAZIONALE - NO CONFINI, NO SFRUTTAMENTO!

Il 12 novembre dello scorso anno migliaia di persone, immigrate e non, sono scese in corteo nelle strade di Roma. Unendo le numerose lotte che attraversano il paese, hanno rivendicato una mobilità libera da confini e sfruttamento, a partire da chi vive e lavora nei distretti agro-industriali di diverse
parti d’Italia, ed è soggetto alle forme più brutali di precarizzazione, segregazione e violenza. In quella giornata di lotta è stata aperta un'interlocuzione con il Ministero dell'Interno, ma con l'arrivo del nuovo ministro, Marco Minniti, qualsiasi comunicazione è stata interrotta, nonostante le rinnovate pressioni messe in campo in diverse città d’Italia con una ulteriore giornata di mobilitazione lo scorso 6 febbraio. Di contro, si sta intensificando l'ondata securitaria e repressiva, che ha contribuito a un generale peggioramento delle condizioni di vita di molti.

In provincia di Foggia e nella Piana di Gioia Tauro assistiamo alla creazione di veri e propri campi di
lavoro come soluzione abitativa alternativa ai ghetti, istituendo un sistema di controllo totale sui lavoratori. Le deportazioni che hanno accompagnato lo sgombero del Gran Ghetto in provincia di Foggia, e che interesseranno altri insediamenti nei prossimi mesi, sono misure propagandistiche che contribuiscono ad intensificare la precarietà e lo sfruttamento di chi è costretto a lavorare e vivere nei distretti agro-industriali d'Italia. Le istituzioni si sono ancora una volta macchiate del sangue di due lavoratori, Mamadou e Nouhou, morti durante l'incendio che ha accompagnato lo sgombero. Controlli a tappeto, arresti e sanzioni si sono verificati in provincia di Foggia come nella Piana di Gioia Tauro e in molti altri luoghi, nei confronti di chi non è cittadino europeo, come di chi si ribella a questo sistema.

Per questo il prossimo 24 aprile, sostenendo l'appello di chi vive e lotta in provincia di Foggia, chiamiamo ad una mobilitazione nazionale in risposta alla stretta repressiva e mortifera del governo, per ribadire ancora una volta il necessario e totale smantellamento dell'attuale dispositivo che regola la mobilità delle persone, immigrate e non - un dispositivo che tenta di dividerci e indebolirci.

Saremo in piazza a Foggia per dare una risposta determinata e compatta agli ultimi, gravissimi episodi di repressione e violenza istituzionale abbattutisi su questo territorio e chi ci vive, per rafforzare e sostenere le mobilitazioni costruite in questi mesi e per opporsi ad ogni ipotesi di nuovi sgomberi in assenza di reali alternative.

Facciamo appello a tutte le realtà politiche e sociali, i militanti di base, le organizzazioni sindacali, i solidali alle lotte e a chi viene colpito dalla repressione, di costruire una grande giornata di lotta, perché ciò che accade a Foggia è parte di una stretta generale, a cui reagiremo uniti ovunque sarà necessario.
  • Vogliamo documenti per tutte e tutti! Vogliamo l'applicazione dei contratti in agricoltura!
  • No alla repressione, agli sgomberi e alle deportazioni! No ai campi di lavoro, case per tutti!
  • No allo schiavismo/nuovo caporalato nella logistica! Ritiro dei licenziamenti politici dei lavoratori della logistica
  • Diritto d'asilo per tutti - No hotspot

Fogli di via e pericolosità sociale. Intervista all’avv. Serena Tucci

Da osservatorio repressione

Negli ultimi tempi, e ancora di più dopo la nomina a ministro dell’Interno di Marco Minniti, l’utilizzo di provvedimenti amministrativi contro attivisti dei movimenti sociali è rapidamente cresciuto. Del resto, prassi di questo tipo sono state ampiamente utilizzate nei periodi e nei luoghi di maggiore agitazione sociale lungo tutto il corso della storia dell’Italia unita. Per capire meglio cosa significano simili misure abbiamo intervistato l’avv. Serena Tucci.
Che cos’è un foglio di via?
È una misura di prevenzione personale prevista dal D.L. 159/2011 (c.d. codice antimafia) applicata direttamente dal Questore il quale, a determinati soggetti “pericolosi” che si trovino fuori dal luogo di residenza, con provvedimento motivato, può imporre di farvi rientro con il foglio di via obbligatorio ed inibendo agli stessi di ritornare senza autorizzazione o per un periodo di tre anni.
Il foglio di via (previsto dall’art. 2 del D.L. summenzionato) e l’avviso orale (previsto dall’art. 3 del medesimo D.L.) sono le uniche due misure di prevenzione direttamente applicate dal Questore, senza necessità del vaglio dell’Autorità Giudiziaria, autorità viceversa necessaria in caso di proposta delle altre misure di prevenzione (come ad esempio la sorveglianza speciale, l’obbligo di dimora, la confisca, il sequestro) attraverso apposito procedimento di prevenzione.
Puoi descriverci il concetto di pericolosità sociale utilizzato dal Legislatore?
Nell’ambito delle misure di prevenzione si parla di soggetti destinatari delle misure stesse che devono avere determinate caratteristiche, desunte da elementi di fatto. Nel caso dell’avviso orale e del foglio di via, tali sono: 1) soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) soggetti che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose; 3) soggetti dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. È importante sapere tuttavia che, nonostante tali caratteristiche, l’azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale. In pratica, anche un soggetto totalmente incensurato e privo di carichi pendenti, può essere destinatario della misura stessa.
Il foglio di via, unitamente all’avviso orale, è previsto dal D.L. 159/2011 che rientra all’interno della normativa antimafia. Entrambe le misure sono state usate in questi anni contro molti attivisti dei movimenti. Perché un dispositivo pensato all’interno della normativa di contrasto alle organizzazioni mafiose finisce per essere utilizzato con scopi politici?
Perché evidentemente si è stravolto il significato originario che il Legislatore tendeva a dare, utilizzando tali misure in maniera spropositata ed ai limiti dell’incostituzionalità. L’intera materia si rivela a forte rischio di incompatibilità con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Gli attivisti dei movimenti dovrebbero avere un’ideologia di fondo ispirata all’impegno sociale e politico, entrambi perfettamente leciti e lontani dalle esigenze contingenti che hanno indotto il Legislatore a creare una disciplina finalizzata alla prevenzione. Se si pone mente al fatto che le misure di prevenzione sono finalizzate alla tutela dell’ordine pubblico, allora appare evidente come certi fatti, lungi dal poter mettere in pericolo la pubblica sicurezza, si qualificano come meri strumenti di lotta politica e sociale, del tutto legittimi in un ordinamento costituzionale.
Inoltre, il presupposto imprescindibile per l’applicazione della misura di prevenzione è l’accertamento della pericolosità del soggetto, desunta dalla volontaria condotta di vita dello stesso. Qualora ci si trovi innanzi a comportamenti che, per diversi motivi, primo tra tutti la matrice politica e l’impegno sociale, potrebbero essere giustificati come irrilevanti sotto il profilo criminale, non appare giustificabile neppure l’applicazione di una misura di prevenzione, né tantomeno di un provvedimento di avviso orale o foglio di via.
Quali altre criticità principali presenta questo Decreto Legge, anche rispetto al dettato costituzionale degli art. 25 (III comma) e 13 (II comma) [1]?

In Argentina giro di vite contro le proteste, ma il movimento delle donne Ni una Menos continua a riempire le piazze contro i femminicidi. A quando in Italia?

Nidia Roana Loza Rodriguez e il suo carnefice
Argentina, giro di vite contro le proteste

In Argentina aumentano le detenzioni illegali e la repressione. Le Madri di Plaza de Mayo e i movimenti popolari lanciano l’allarme contro l’escalation provocata dal governo Macri. Il suo partito, Cambiemos, ha presentato una proposta di riforma del Codice penale per aggravare le pene per ogni tipo di manifestazione pubblica.
Uno dei punti si propone «di non lasciare le decisioni finali nelle mani di autorità inermi, magistrati timorosi e giudici politicizzati». Pene fino a 10 anni di carcere per chi protesta. «In
Letizia Primiterra e Laura Pezzella
questo governo non c’è democrazia», ha dichiarato la deputata indigena Milagro Sala, prigioniera di una montatura giudiziaria attuata dal governatore della provincia del Jujuy, Gerardo Morales.

Intanto, altre leader della Tupac Amaru che portavano avanti un lavoro simile a quello di Milagro nella regione di Mendoza sono state arrestate con accuse analoghe. Tra queste, Nelida Rojas. Le piazze, intanto, continuano a manifestare, soprattutto il movimento delle donne Ni una Menos: contro l’ennesimo femminicidio di una giovane attivista Micaela Garcia, vittima di uno stupratore seriale.

Geraldina Colotti
da il manifesto