29/09/19

Il diritto di aborto non si tocca! Indietro non torniamo! 28 settembre a Palermo

Nella giornata internazionale dell'aborto sicuro, gratuito e garantito, 28 settembre, che ha visto manifestazioni e iniziative di lotta in diverse città del nostro paese, anche a Palermo le donne sono scese in piazza.


Un presidio/assemblea, promosso da NUDM Palermo,  si è svolto davanti il reparto di ginecologia dell'Ospedale Policlinico, scelto proprio come uno dei luoghi simbolo di quello che è un attacco ideologico, politico e pratico che in questo sistema viene scagliato contro la maggioranza delle donne: l'attacco al diritto di aborto, alla libertà di scelta delle donne.



Dagli interventi che ci sono stati durante l'assemblea alcune compagne di Nudm in particolare hanno denunciato la situazione a livello siciliano,  in cui, come anche si legge nel loro comunicato, le percentuali di medici obiettori negli ospedali parlano chiaro, le statistiche ufficiali parlano di numero di aborti in diminuzione, secondo la corretta applicazione della L.194, ma la Sicilia è, allo stesso tempo, una delle regioni in cui i tempi di attesa sono più lunghi e in cui la percentuale di obiezione di coscienza arriva all’89%.
Quasi sconosciuto alle donne è, poi, l'aborto farmacologico tramite la pillola RU486., la Regione Siciliana non mette in atto politiche rispetto alla gratuità della contraccezione e sempre meno fondi vengono stanziati per i consultori, come luoghi di prevenzione, sul territorio.
Tutto questo costituisce un pesante attacco alla libertà di scelta e di autodeterminazione delle donne . Importante la battaglia per la contraccezione gratuita.

Una donna ha denunciato le politiche governative di scaricamento del lavoro di cura sulle donne "importanti" in questa società per aumentare il PIL del paese e la necessità di lottare come donne su questi temi

Una compagna giovane ha fatto anche un quadro della lotta in difesa del diritto di aborto a livello internazionale.


Come compagne Mfpr abbiamo preso parte all'iniziativa e intervenendo durante l'assemblea abbiamo posto innanzitutto la questione della centralità della lotta in difesa del diritto di aborto, perchè essa pone sul tappeto in modo chiaro e netto la questione dell'autodeterminazione delle donne e della libertà di scelta non solo in tema di maternità ma anche in ogni ambito di vita. Il diritto di aborto è attaccato in forme sempre più reazionarie perchè non può essere accettato da un sistema sociale che fa della subalternità della maggioranza delle donne , con al centro le proletarie, una delle sue basi, una società in cui esse devono avere dei ruoli ben definiti in una condizione di doppia oppressione.

In questo senso la lotta in difesa del diritto di aborto è considerata pericolosa dalla borghesia al potere perchè le donne che lottano per affermare e potenziare la loro autodeterminazione e libertà di scelta sono pericolose, pertanto devono essere oppresse e represse nell'ambito di un moderno medioevo che nella vita reale si traduce in campagne ideologiche e politiche che attaccano diritti basilari.

Dal governo fascio-populista-sessista Lega-M5S siamo oggi passati in una fase in cui il governo attuale a parole aveva annunciato cambiamenti/discontinuità ma nei fatti le politiche sono una continuazione in forma "nuova" degli attacchi alla condizione di vita delle donne, il DDL Pillon per fare un esempio è solo stato messo nel cassetto per ora ma non è stato subito ritirato.

Al centro ci deve essere la lotta contro il "nuovo" governo... come lavoratrici/proletarie la impugniamo in un insieme di denuncia, contro-informazione sì ma anche di organizzazione di classe per una lotta che è ncessaria...


Affissione nelle scuole

25/09/19

India - Donne come macchine, tolto l'utero a migliaia di donne per aumentarne la produttività



Gli Orrori più orribili sempre sulla pelle delle donne per il profitto dei padroni in questo schifoso sistema capitalista che ci rovina nel fisico e nella psiche.
ALLE DONNE DI TUTTO IL MONDO UNIAMOCI PER COMBATTERE I PADRONI ASSASSINI


MFPR

 

India, tolto l’utero a migliaia di donne: senza mestruazioni lavorano di più

Di Paola Belletti | Set 20, 2019



Il sub continente indiano mostra ancora una volta le sue contraddizioni più atroci sul corpo e il destino delle donne: alle stesse latitudini si trovano donne ridotte a uteri in outsourcing per produrre bambini altrui e donne poverissime cui strappare il grembo perché le mestruazioni rallentano il lavoro.



E’ la BBC a denunciare il fenomeno in un articolo del 5 luglio scorso.



Le mestruazioni in tante zone dell’India sono ancora considerate un vero e proprio tabù e le donne nei giorni di sanguinamento  vengono allontanate dalla vita sociale perché impure.



Ma l’avversione più estrema per il ciclo mestruale e i suoi di solito accettabili inconvenienti, che poi sarebbero parte integrante di un mirabile ordine che coinvolge tutto il nostro corpo e la nostra psiche, si vede nella diffusione di una pratica tanto vergognosa quanto impunemente messa in atto, anche se i tentativi di arginarla ci sono.



Le donne che lavorano nelle piantagioni di canna da zucchero non devono e/o non possono perdere nemmeno una giornata di lavoro, cosa che i fastidi o le indisposizioni legati alle mestruazioni a volte possono implicare. Meglio risolvere il problema alla radice, dunque: via l’utero o via tu dal lavoro nei campi.


(la prima notizia viene) dallo stato occidentale del Maharashtra dove è stato rivelato dai media indiani che migliaia di giovani donne sono state sottoposte a procedure chirurgiche per rimuovere l’utero negli ultimi tre anni. In un numero considerevole di casi lo hanno fatto in modo da poter lavorare come raccoglitori di canna da zucchero.

Le donne non sono tanto apprezzate come forza lavoro perché di forza ne hanno meno e perché hanno quella particolarità così fastidiosa che compromette il loro rendimento come “coltelli” dello zucchero. Il paragone è tirato ma anche in occidente si mira a far sembrare del tutto ininfluenti le mestruazioni sulla vita di una donna; dal paracadute per gettarsi in volo e via! dei mitici anni’90, ai nuovi materiali super confortevoli grazie ai quali non devi accorgerti di avere perdite (e va benissimo, per carità!), ai pantaloni bianchi che non sia mai che non possa indossare proprio in quei giorni lì, se voglio. Devi essere donna, ma la cosa non deve pesare, chiaro? Né a te né a nessun altro. Una mentalità al confine tra misoginia e pedofilia. Il ciclo ricorda il tempo e significa la possibilità della vita e questi fatti così strani e ingovernabili non servono al commercio. A meno che non diventino essi stessi prodotti. L’India è (stato) uno dei più grandi “discount” dell’utero in affitto, anche se ora il governo ha imposto restrizioni imposte alle gravidanze surrogate a fini commerciali.

Ma tornando alle vere atrocità che colpiscono migliaia di donne identiche a noi per valore e lontane dalla nostra condizione per i pesi enormi che ancora le gravano, leggiamo cosa significa nascere femmina in India:

Ogni anno, decine di migliaia di famiglie povere dei distretti di Beed, Osmanabad, Sangli e Solapur migrano verso i più ricchi distretti occidentali dello stato – noto come “la cintura dello zucchero” – per lavorare per sei mesi come “coltelli” nei campi di canna da zucchero.

Una volta lì, sono in balia degli avidi appaltatori che approfittano di ogni opportunità per sfruttarli.

Per cominciare, sono riluttanti ad assumere donne perché il taglio della canna è un duro lavoro e le donne possono perdere un giorno o due di lavoro durante i loro periodi. Se mancano un giorno di lavoro, devono pagare una penalità.

In alcuni luoghi del mondo, troppo vasti!, se sei femmina rischi sempre e da sempre la vita e finché hai vita. E’ sempre un costume indiano ( ma anche del Paksitan, Bangladesh,…) quello di stanare le bambine non appena lo sviluppo fetale ne tradisca il sesso, a scopo aborto. Se nascono possono essere uccise o lasciate morire; se vivono possono finire nella prostituzione infantile o rapite, stuprate, uccise.

Le ragioni sono tante, e saldamente intrecciate con la povertà, la mancanza di istruzione e di mezzi. Eppure l’aborto selettivo per insoddisfazione riguardo al sesso del morituro esiste anche da noi. Ogni ragione per abortire è un’ottima ragione, no? Leggevo stamattina di un nuovo trend nel settore sesso estremo: concepire allo scopo di abortire, non senza prima avere sperimentato il piacevolissimo, alternativo sesso in gravidanza.

Sentite qua:

«Ogni motivo per abortire è un motivo valido», ha affermato Colleen McNicholas, direttore della Planned Parenthood della regione di St. Louis, riferendosi all’aborto sesso – selettivo o all’aborto eugenetico.

Ma c’è chi addirittura fa dell‘aborto un divertimento: l’ultima moda kinky (dove per kinky secondo Wikipedia si intendono delle «pratiche sessuali non convenzionali») è concepire un figlio per poi abortire. Una testimonianza: «La mia ragazza ama essere messa incinta e le piace l’aborto». Lui si gode quelle gravidanze che durano più o meno 20 settimane: «Lei non ha mestruazioni ed è sessualmente molto attiva». Negli ultimi dieci anni hanno abortito sette volte. (da Provita e Famiglia)

Un’altra notizia che viene sempre dal servizio della BBC riguarda un altro trattamento imposto a donne lavoratrici questa volta del tessile, alle quali vengono somministrate vere e proprie droghe con macroscopici e dannosi effetti collaterali, sempre per evitare i “fastidi” delle mestruazioni.

La seconda notizia, proveniente dallo stato meridionale del Tamil Nadu, è altrettanto terribile. Le donne che lavorano nel settore dell’abbigliamento multimiliardario sostengono di aver ricevuto droghe senza etichetta sul posto di lavoro – invece di un giorno libero – quando si sono lamentate del dolore mestruale.

Secondo quanto riferito dalla Thomson Reuters Foundation, sulla base di interviste con circa 100 donne, i farmaci venivano raramente forniti da professionisti del settore medico e le sarte, principalmente da famiglie povere svantaggiate, affermavano che non potevano permettersi di perdere i salari di un giorno a causa di dolori mestruali .

Tutte le 100 donne intervistate hanno dichiarato di aver ricevuto droghe e più della metà ha dichiarato che, di conseguenza, la loro salute aveva sofferto

Donne che sono semplicemente mezzi di una produzione forsennata, la stessa che porta fin nelle nostre lontane case abiti low cost, ma così cool.

Non è tragico e grottesco vedere cosa significa nella cruda realtà “espandere la partecipazione femminile al mercato del lavoro” quando il mercato del lavoro è il più feroce, dilaniato e anti-umano che in secoli di civiltà siamo riusciti a produrre?



24/09/19

Non ci chiamate "mamme"!


Tutti i provvedimenti a favore delle "mamme" sono oggettivamente e ideologicamente fascisti, cioè servono a costruire l'ideologia, la prassi che esalta la famiglia, i genitori e i figli Ogni esaltazione di mamme/figli è fascismo, nessuno dimentichi che è il fascismo ha tre bandiere:"Dio, patria, famiglia".

La famiglia è una cellula della società borghese. Le donne che vivono in funzione della famiglia, dei figli sono inconsapevolmente terreno di massa di consenso nel passato della Chiesa e oggi del moderno fascismo.

Asili nido gratis, perché le mamme devono fare molti figli. Così come la campagna di controllo delle scuole punta a coinvolgere i genitori, a far appoggiare dai genitori l'azione e la presenza della polizia nelle scuole che sotto la campagna antidroga, di fatto vogliono instaurare un clima di repressione preventiva su tutti i ragazzi, sui comportamenti, sulle lotte. D'altra parte ogni intervento dei "genitori" riduce la possibilità dell'autodeterminazione e della crescita di una scuola democratica.

Su questo, questo governo Conte bis farà in forma diversa ciò che il governo fascio-populista Salvini/5stelle voleva fare.

MFPR



Asili - La lotta delle lavoratrici di Taranto comincia a pagare


Asili - un passo avanti frutto della determinazione delle lavoratrici dello Slai cobas

Si direbbe "finalmente qualcosa si muove". Oggi il Giudice di Taranto esprimendosi sulla vertenza delle lavoratrici degli asili per il riconoscimento della mansione di ausiliariato e il conseguente parametro retributivo corrispondente, ha messo nero su bianco il "riconoscimento del superiore livello retributivo richiesto". Entro la prossima udienza fissata per il 15 novembre, ma anche prima, questa questione annosa che riguarda un diritto esplicito dei lavoratori, andrà a soluzione.

E' una prima vittoria delle lavoratrici Slai cobas, frutto della nostra lunga battaglia, portata avanti in questi anni con presidi, scioperi, blocco dell'attività di ausiliariato non riconosciute, con portata avanti con quella determinazione che le donne hanno, non facendosi scoraggiare dal tempo e dall'atteggiamento finora negativo delle Ditte e del Comune.
Essa ora apre la strada al riconoscimento dell'ausiliariato a tutte le 84 lavoratrici degli asili comunali di Taranto

Solo lo Slai cobas ha aperto da anni questa strada. Gli altri sindacati presenti, Cisl, Cgil, e ultimo l'Usb, su questo diritto sono stati silenti o complici delle ditte e del Comune che volevano risparmiare sulla pelle delle lavoratrici, accettando che venisse apertamente violato lo stesso CCNL Multiservizi.

Ora, noi seguiremo gli ulteriori passaggi legali, fino ad effettiva risoluzione. Vogliamo poi che questo riconoscimento dell'ausiliariato e del livello corrispondente sia chiaramente indicato nella nuova gara d'appalto.

Vi sono inoltre le altre questioni poste dalla lotta delle lavoratrici su cui ancora non ci sono passi avanti o al massimo ci sono solo impegni verbali (assolutamente insufficienti visto come in passato sono finiti gli altri "impegni"):

- l'avvio, con data certa, dell'aumento a 3 ore giornaliere e 18 settimanali dell'orario di lavoro; la volontarietà circa il trasferimento in altro servizio di 14 lavoratrici; il recupero dei due di sospensione estiva; la copertura al 100% per le sostituzioni del personale assente (a differenza di quanto accade ora, per cui il lavoro deve essere "coperto" al 100%, ma in meno orario (per es. in soli 50 minuti e non 1 ora e 50) di quello della lavoratrice sostituita; l'impegno ad aumentare ulteriormente l'orario di lavoro in caso di riduzione del personale (per pensionamento o altro...).

Per tutto questo, le lavoratrici dello Slai cobas mantengono lo stato di agitazione e mantengono aperta la procedura avviata di sciopero.

L'8 OTTOBRE ALLE ORE 18, PRESSO LA SEDE DELLO SLAI COBAS VIA LIVIO ANDRONICO, 47, FAREMO CON LE LAVORATRICI IL PUNTO E DECIDEREMO DI CONSEGUENZA.

La lavoratrici degli asili
SLAI COBAS per il sindacato di classe

20.9.19


19/09/19

le Precarie Assistenti disabili di nuovo in prima linea a Palermo nella lotta in difesa del lavoro

Forte protesta ieri a Palermo delle e degli assistenti igienico personale dello slai cobas sc all'assessorato regionale alla famiglia, occupato per alcune ore l'ingresso, accerchiata la Dirigente Generale che visti gli animi infervorati delle precarie in particolare ha incontrato subito una delegazione dello Slai.
 Nuovo incontro il 25 settembre.
Dopo più di 20 anni di servizio pensano di buttarci fuori sostituendoci illegalmente in tutta la Sicilia con i collaboratori scolastici delle scuole? Noi nn ci stiamo proprio e lotteremo!
 Ma occorre mobilitarsi e subito in tutta la regione, non è una questione di singole città! COLLEGHIAMOCI!
Assistenti igienico-personale Slai Cobas per il sc Palermo


18/09/19

India - non passa giorno senza la mobilitazione delle donne in ogni campo


Disponibile a cura del Mfpr Italia un libro con gli scritti di Anuradha Ghandy, teorica e militante comunista indiana
info mfprnaz@gmail.com



Keywords : St Francis Womenʹs College, Dress Code, Begumpet, Hyderabad, Agitation, Students,
(2019-09-17 23:50:18)

16/09/19

Nel Brasile di Bolsonaro uccisa una donna ogni due ore e le leggi varate dal governo su armi e legittima difesa (per aumentare i profitti delle lobby delle armi) andranno a incrementare il numero dei femminicidi

In Brasile viene uccisa una donna ogni due ore. 4.254 morte in tutto il 2018.
Un dato in diminuzione del 6,7% rispetto al 2017, ma ancora troppo elevato. I casi registrati come “femminicidi”, inoltre, sono aumentati, da 1.047 a 1.173. E gli analisti temono che la situazione possa peggiorare a causa degli ultimi provvedimenti portati avanti dal governo di Jair Bolsonaro. A rivelarlo è l’ultimo studio del giornale G1 condotto col Forum brasiliano di sicurezza pubblica e dal Nucleo di studio della violenza dell’Università di San Paolo.

Situazione critica a Rio. Stando al Dossier Donna pubblicato dall’Istituto di sicurezza pubblica dello stato di Rio de Janeiro, lo scorso anno nel popoloso stato brasiliano sono state aggredite poco meno di 25 mila donne. E in tre casi su cinque questo è successo tra le mura di casa. Gli omicidi, invece, sono stati 350. E in più della metà dei casi di femminicidio, i responsabili erano compagni o ex compagni di chi ha subito l’aggressione. Nello stato carioca, inoltre, resta molto elevato il numero delle violenze sessuali: più di 4.500 quelle denunciate, pari a 12 al giorno. E sette volte su dieci la vittima era minorenne. “Gran parte di questi crimini si verifica all’interno della residenza da parte di una persona che, in qualche modo, partecipa alla vita della vittima”, sottolinea il presidente dell’Istituto di sicurezza pubblica, Adriana Mendes.
Femminicidi a San Paolo. Nello stato di San Paolo il numero di femminicidi nei primi tre mesi di quest’anno sono cresciuti del 76%. E nello stesso periodo i crimini sessuali sono cresciuti del 14%, arrivando a 4.458 denunce contro la dignità sessuale, contro le 3.903 del primo trimestre dello scorso anno. Detto in un altro modo, le vittime sono state una ogni 29 minuti.
Leggi pericolose. A far temere un peggioramento della situazione nel paese sudamericano ci sono poi due provvedimenti firmati da Bolsonaro a gennaio e maggio. Decreti che facilitano l’accesso alle armi e che si teme possano rendere ancora più pericolosa la vita delle donne. “Avere più pistole in casa è un fattore che può effettivamente aumentare la letalità degli assalti domestici. Avere una pistola a casa, tra l’altro, aumenta anche la paura da parte dei membri della famiglia che nel corso dei conflitti domestici temono che la persona violenta possa prendere l’arma e provocare una tragedia”, sostiene Jacqueline Sinhoretto, leader del gruppo di studio sulla violenza e la gestione dei conflitti all’Università federale di San Carlos. Un’altra norma in discussione, inoltre, stabilisce pene fortemente ridotte nei casi di legittima difesa quando “l’eccesso intenzionale” avviene per “paura, sorpresa o emozione violenta”. Un disegno di legge che, se approvato, potrebbe rendere più difficile la lotta alla violenza contro le donne.

15/09/19

Gli stupri legalizzati degli italiani in Africa. Una ragione in più per le donne, di ribellarsi al sistema capitalistico e alla sua espressione più feroce, l'imperialismo

Le spose bambine non erano normali. Gli stupri legalizzati degli italiani in Africa

A cura di Natascia Alibani


Non fu solo Montanelli a sposare una dodicenne abissina. Nell'Africa conquistata dagli italiani stupri legalizzati, madamato e concubinato, anche rispetto a bambine e ragazze giovanissime, erano la "prassi" con cui si rivendicava la "supremazia dell'Impero".

Questo post di Natalino Balasso, che per una volta sveste gli abiti del comico per concentrarsi su tutt’altro tipo di argomenti, fa riaffiorare una riflessione davvero dolorosa ma, al contempo, necessaria, per comprendere appieno cosa sia la guerra nella sua complessità e totalità, intesa non solo come armi da imbracciare e nemici da abbattere, ma soprattutto come azioni di crudeltà e violenza gratuite verso quelli che, molto sinteticamente (e crudamente) sono definite “vittime collaterali”.


“Su Liberation trovo un’intervista che mi fa tornare alla mente la polemica su Indro Montanelli e la sua vicenda con la sposa-bambina africana – scrive Balasso – Montanelli disse che laggiù funziona così, che lui ha fatto né più né meno che quel che facevan tutti. Ma, come sempre, creare mostri ci allontana dalla visione dell’insieme. Si tratta in realtà di una rappresentazione mentale molto più ampia, che attiene all’idea di centralismo morale del colonialismo occidentale. Un’idea, logicamente, maschilista e prevaricatrice. Lo storico Pascal Blanchard ha scritto un libro in cui sono raccolte 1200 immagini come quella che vedete qui sopra (si tyratta di soldati portoghesi in Angola). Il libro è intitolato ‘Sexe, race et colonies’.
A cappello dell’intervista c’è questa dicitura:
‘Per lo storico Pascal Blanchard, la pornografia utilizzata dalle potenze coloniali per promuovere una zona di pensiero in cui tutto è permesso, dev’essere mostrata allo scopo di decostruire un immaginario tuttora presente’.
Una domanda dell’intervista è questa:
Perché la scelta di pubblicare 1200 immagini di corpi colonizzati, dominati, sessualizzati, erotizzati? Non è troppo?
La risposta è:

    ‘È proprio l’abbondanza d’immagini che deve farci porre domande. Essa sottolinea che non si tratta di aneddotica, ma che quelle immagini fanno parte di un sistema su grande scala. Quando si pensa alla prostituzione nelle colonie, nessuno immagina a che punto questo sistema sia stato pensato, mediatizzato e organizzato dagli stessi Stati colonizzatori.

    Quelli che pensano che la sessualità è stata un’avventura periferica al sistema coloniale si sbagliano. La cartografia significa molto: sugli atlanti, le terre da conquistare sono sempre rappresentate allegoricamente come donne nude per simbolizzare le americhe, l’Africa o le isole del Pacifico. La nudità fa parte del marketing della spedizione coloniale, e modella l’identità stessa delle femmine indigene.

In tempi di conquiste, a partire dalla fine del XV secolo, le immagini che circolano evocano un paradiso terrestre popolato di buoni selvaggi che offrono i propri corpi nudi. Fanno parte della scenografia naturale del luogo.
Più tardi, il paradiso terrestre si trasformerà in paradiso sessuale. Gli occidentali partiranno per le colonie col sentimento che tutto è loro permesso.

    Laggiù non ci sono proibizioni, tutti i dettami morali saltano: abuso, stupro, pedofilia. La maggior parte delle immagini che pubblichiamo traccia questa storia, sono state nascoste, marginalizzate o dimenticate in seguito: l’80% di ciò che c’è nel libro non si trova in nessun museo dell’immagine’.


Quel che mi viene in mente è che esiste oggi una sorta di colonizzazione turistica. Non dimentichiamo che l’Italia è da molti anni ai primissimi posti nella classifica del turismo sessuale. Si tratta di migliaia di bravi padri di famiglia che, tornati a casa, faranno discorsi moralizzanti sulla decadenza del nostro paese”.

Gli stupri sono da sempre stati uno degli aspetti più feroci e tremendi di ogni conflitto, soprattutto nella fase dell’espansione imperialistica e coloniale, anche se non devono essere dimenticate le testimonianze delle donne vietnamite durante la guerra, o la figura delle comfort women usate come schiave del sesso dall’esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale.

A pagare il prezzo più alto, come spesso accade, sono state le donne, non solo costrette a vedere mariti, genitori, fratelli o figli uccisi dall’esercito rivale, o a fuggire dai propri villaggi, ma brutalizzate e ridotte al rango di oggetti di piacere sessuali da parte degli invasori, che in questo modo rivendicavano il loro diritto alla conquista, equiparando le femmine locali al territorio appena guadagnato, di cui potevano disporre come meglio credevano.

E gli italiani, in questo quadro mostruoso che racconta di barbarie e violenze senza tregua, si sono dimostrati tutt’altro che “brava gente”, nonostante per lungo tempo la verità sull’atteggiamento dell’esercito durante le operazioni di conquista in Libia o in Etiopia sia stato taciuto sotto una coltre di opportuna noncuranza.

La verità, quella di oggi, venuta alla luce, parla di un’Africa italiana devastata da stragi, torture e deportazioni  di intere popolazioni in campi di concentramento, con 100.000 morti nelle operazioni di conquista e riconquista della Libia tra il 1911 e il 1932, e addirittura 400.000 in Etiopia ed Eritrea tra il 1887 e il 1941. A questo si aggiunge, come detto, il quadro delle violenze di genere, che all’epoca erano vissute come perfettamente “normali” (ricordiamo che lo stesso Montanelli definì la sua sposa dodicenne un “animaletto docile”), perfettamente riassunto in un articolo di Chiara Volpato, ordinaria di psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca.


La “porno-tropics tradition”


Almeno fino al momento della conquista dell’Etiopia, gli italiani erano in linea con quella che McClintock, in uno studio del 1995, definì la “porno-tropics tradition”, ovvero la metafora della Venere nera, che riduceva l’immagine della donna africana al rango esclusivo di “sogno” esotico ed erotico. La donna nera non aveva perciò altra identità all’infuori di quella sessuale, per cui era del tutto naturale che gli italiani venissero allettati all’idea di trasferirsi nelle colonie con la  promessa di poter coltivare un vero e proprio “harem coloniale”.

Ma, dopo la creazione dell’impero in Etiopia, il regime fascista sostituì l’immagine della Venere nera con quella, assai meno aulica, dell’essere inferiore, che doveva essere sottomesso per riaffermare la superiorità occidentale ed europea e la legittimità della colonizzazione.

Le relazioni sessuali intrecciate tra donne africane, spesso appena bambine o poco più, e colonizzatori furono definite “madamato”, termine con cui si intende una relazione temporanea, pur se non occasionale, tra un cittadino e una “suddita indigena”. Anche in questo caso, dopo la creazione dell’impero vennero predisposti dei meccanismi giuridici tesi a riaffermare il prestigio dei bianchi, tra cui il divieto alle relazioni coniugali ed extraconiugali tra “razze diverse”, al riconoscimento legittimo e all’adozione dei figli nati dalle unioni tra cittadini e suddite, e l’instaurazione di una severa segregazione razziale che ricacciò i “meticci” nella comunità di appartenenza, sciogliendo ogni istituzione precedentemente creata per la loro assistenza.

Chiaro che, in un contesto del genere, le donne africane vennero stigmatizzate tre volte: per razza, per classe, per genere. Senza contare che il divieto di relazioni “legittime” tra conquistatori e loro acuì, in molti italiani, il desiderio di possederle comunque, aumentando a dismisura gli atti di violenza nei loro confronti.


Alcune storie di violenza sulle donne africane


Sempre nell’articolo della Volpato si leggono alcuni episodi di violenza posti in essere dai conquistatori italiani nel Corno d’Africa. Nel 1891, nel processo portato avanti dalla Commissione reale d’inchiesta dopo la conquista di Asmara, teso a far luce su alcuni dei misfatti compiuti dall’esercito italiano, emerse che le cinque mogli del Kantibai Aman (morto in carcere) erano state sorteggiate, su disposizione del generale Baldissera, tra gli ufficiali italiani del presidio. Eppure, nessuno dei personaggi coinvolti fu punito, sulla base della decisione che non fosse stata violata la disciplina militare.

Una testimonianza di Alberto Pollera del 1922:

    La legge indigena ammette la ricerca della paternità; anzi questo è uno dei cardini di quel diritto; la legge italiana la vieta; e basandosi su questo contrasto di diritto, molti Italiani, approfittando della ignoranza delle indigene su questo punto, ne fanno facilmente delle concubine, per abbandonarle quando ne abbiano prole.


Una lettera, inviata nel 1911 al console Piacentini, da parte di un colono che protestava per la richiesta delle ragazze bilene di cento talleri di Maria Teresa per la loro verginità; l’uomo si stupiva del fatto che

    … In un paese di conquista, come l’Eritrea, non fosse permesso al dominatore bianco di impadronirsi colla violenza di queste ragazze, od almeno non fosse loro imposto un prezzo molto minore.

Testimoninaza di Tertulliano Gandolfi, operaio che ci ha lasciato le sue memorie d’Africa, del 1910:

    Fra i tanti dolorosi casi osservati da me, eccone uno. Una volta vidi in pieno giorno un sottufficiale trombettiere curvo, come una bestia in calore, sopra un bimbo di circa otto anni, malaticcio, che non aveva altro che la pelle e ossa, che lo stuprava.

Testimonianza di Ladislav Sava, medico ungherese che era ad Addis Abeba al momento dell’occupazione italiana, al settimanale londinese New Times & Ethiopia News, nel 1940:

    Ho assistito personalmente alla deportazione di donne etiopiche in case convertite con la forza dai militari italiani in postriboli.

Nelle interviste raccolte nel 1994 tra i reduci d’Africa uno degli intervistati ha dichiarato:

    La colonia era un paradiso per gli uomini anziani che potevano avere rapporti con bambine di dodici anni.

Due sentenze emesse dal tribunale di Addis Abeba per stupro: nella prima la vittima, Desta Basià Ailù, è una bambina di appena nove anni, segregata per diversi giorni, contro la sua volontà, nell’abitazione dell’imputato, poi processato per violenza carnale, non per sequestro di persona. Ha ottenuto le attenuanti sulla base del fatto che la vittima fosse una bambina abbandonata, facile preda di chiunque.

Nella seconda parliamo di Lomi, di tredici anni, legata “per punizione”, dopo la violenza carnale. Il suo carnefice fu in prima istanza assolto, perché i giudici ritennero che a tredici anni si trattasse di un’abissina sessualmente maggiorenne. Venne condannato in appello, per non aver seguito i dettami della missione civilizzatrice della razza superiore.

continua su: https://www.robadadonne.it/180113/gli-stupri-legalizzati-degli-italiani-in-africa/2/?on=ref Roba da Donne

Solidarietà con le lavoratrici e i lavoratori in lotta alla Piaggio. La precarietà ci stronca la vita, con questo sistema facciamola finita!

Pisa  - Mattinata di protesta per alcuni ex lavoratori della Piaggio di Pontedera che questa mattina si sono simbolicamente incatenati ai cancelli della sede pisana di Confindustria.




I motivi della protesta

I lavoratori chiedono la stabilizzazione all’azienda e il rispetto dell’accordo, spiega una nota dell’Usb, «che prevede le assunzioni in base all’anzianità lavorativa». La protesta è stata promossa dal sindacato di base in concomitanza dell’incontro tra azienda e Cgil, Cisl e Uil nell’ambito della trattativa per il contratto integrativo che si sta svolgendo nella sede confindustriale. La vicenda riguarda una cinquantina di addetti, uomini e donne, che, si spiega, per anni hanno lavorato con contratti a termine in catena di montaggio

Condannata a 4 mesi per insulti a un poliziotto. Solidarietà dal mfpr, l'unica giustizia è quella proletaria

Più 2.500 euro di risarcimento e 2.000 euro di spese processuali. La 27enne è andata a processo per oltraggio a pubblico ufficiale: i fatti si riferiscono al 27 aprile 2015, quando il collettivo Hobo si presentò alla Festa dell’Unità in Montagnola per contestare l’allora ministro Poletti.
Condanna a quattro mesi (con pena sospesa e non menzione nel certificato del casellario giudiziale) ad una delle/i attiviste/i che il 27 aprile 2015 si presentarono in Montagnola su iniziativa del collettivo Hobo per contestarel’allora ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, invitato alla Festa dell’Unità che si svolgeva nel parco: la 27enne era accusata di aver insultato un poliziotto, quindi di oltraggio a pubblico ufficiale.
Oltre ai quattro mesi, l’attivista è stata condannata ad un risarcimento di 2.500 euro nei confronti dell’agente e al pagamento di 2.000 euro di spese processuali. Nei suoi confronti era stato emesso un decreto penale di condanna, ma a seguito dell’opposizione presentata dall’imputata il giudice aveva disposto il giudizio immediato, che si è ora concluso con la condanna.
Dopo l’ingresso dei contestatori nel parco, “celerini e carabinieri– scrisse Hobo quel giorno- si sono gettati all’inseguimento di compagne e compagni, aggredendo e pestando in modo brutale chi veniva buttato per terra. Un compagno è stato violentemente manganellato alla testa, riportando un taglio profondo e perdendo abbondantamente sangue. Le cariche e le minacce (al grido di ‘vi ammazziamo’ e ‘froci di merda’) sono continuate per tutto il parco e sulle scale, mentre le forze dell’ordine cercavano di allontanare i giornalistiOra, una nostra compagna è stata condannata in primo grado a 4 mesi di reclusione per aver detto la verità. Quale? Che il poliziotto che aveva appena spaccato la testa ad un ragazzo a suon di manganellate era “un gran pezzo di merda, un servo”. Lapalissiano. 
Ma ricordiamo brevemente i fatti. Il 27 aprile 2015 si presenta alla festa dell’Unità di Bologna l’allora ministro del lavoro Giuliano Poletti. Non pensiamo ci sia bisogno di ricordare il soggetto, ma per i più smemorati si sappia che nel suo curriculum spiccano l’istituzionalizzazione del precariato attraverso il jobs act, il suo coinvolgimento nell’inchiesta Mafia Capitale e la presidenza di LegaCoop. Oppure le sue pacate dichiarazioni: “i giovani italiani vanno all’estero? Alcuni meglio non averli tra i piedi”; “Sono favorevole a che nei progetti di alternanza scuola e lavoro gli stage lavorativi possano essere fatti anche d’estate, tipo spostare le cassette di frutta”.
In una festa dell’Unità totalmente militarizzata, andammo a scaricare le sue cassette di frutta e il nostro rifiuto alle sue politiche. Un ragazzo venne ferito alla testa, con una manganellata mentre era di spalle, mentre altri vennero rincorsi e manganellati al grido di “inginocchiatevi per terra”. Da lì la ovvia reazione della compagna contro l’eroico poliziotto, che ora chiede pure 2500 euro di risarcimento.
Ma rispediamo al mittente la condanna: di fronte alla verità, riprendendo il titolo, nessuno ci può giudicare, nemmeno tu, servo.”
da zic.it

Alle studentesse, che un buon anno di lotta cominci

14/09/19

Gli uomini che odiano le donne sono fascisti e vanno combattuti come tali



Da Michela Marzano - Repubblica:
"La Corte d'assise d'Appello di Roma, su invito della Cassazione, ritenendo che il reato di stalking non fosse assorbito in quello di omicidio, ha condannato all'ergastolo Vincenzo Paduano assassino di Sara Di Pietrantonio... Non è un semplice raptus di follia che spinge un uomo ad uccidere una donna. Nè tantomeno una scontata forma di "gelosia" - sebbene già nella gelosia sia insito il possesso... Un femminicidio non è qualcosa che accade inaspettatamente: non è l'ordinaria conseguenza di una lite, nè l'ovvio risultato di un tradimento, nè il mero frutto dell'abbandono. E' l'ultimo atto di una catena di soprusi e di violenze che, piano piano, svuotano la donna di ogni dignità, riducendola ad "oggetto"... Gli uomini violenti sono attraversati da profonde fratture narcisistiche che li rendono al tempo stesso fragili e pericolosi: denigrano per sentirsi superiori, offendono per gettare sulla donna la colpa dei propri fallimenti; immaginano che la propria compagna (o moglie) sia una cosa di cui poter disporre a proprio piacimento... Se nessuno interviene per bloccare l'escalation dei soprusi, la violenza di questi uomini non fa altro che aumentare...".

Ecco, vogliamo sottolineare quest'ultima frase. Gli uomini che uccidono, stuprano, fanno violenze sessuali contro le donne, occorre bloccarli prima. E' come contro i fascisti: se non si bloccano, se non si mettono in condizioni di non agire, prima, quando cominciano a sviluppare la loro barbarie, poi crescono, si sentono forti e più pericolosi.
Gli uomini che odiano le donne sono fascisti, comunque, perchè odiano le donne in quanto donne, in quanto pensano, si ribellano, non accettano il loro dominio, ecc., e quindi devono essere trattati come i fascisti, contro cui valgono solo i rapporti di forza e la repressione ferma e immediata, e non le parole o, peggio, la complice connivenza delle Istituzioni. 
Questa comprensione è importante anche per contrastare il clima di comprensione, giustificazione, sorpresa perchè era un "brava persona", verso gli uomini che uccidono le donne, che non di rado viene fuori tra gente del popolo. Anche questo clima deve essere contrastato non solo con le parole, la spiegazione, ma con i fatti, le azioni di lotta delle donne in primis, perchè, come per i fascisti, questo clima, se lasciato in pace, cova, dà alimento alla violenza reazionaria e sessista. E per questo va combattuto con altrettanta determinazione.


13/09/19

Ai domiciliari i 2 stupratori neofascisti di Viterbo. Questa è la giustizia borghese che legittima la violenza sulle donne e a cui le donne devonoa cui noi donne devono rispondere con la violenza rivoluzionaria per affermare l'unica vera giustizia: quella proletaria

Venerdì 13 Settembre 2019
Stupro al pub di Casapound, tornano a casa i due indagati.


«Un pentimento vero non c'è mai stato», aveva sottolineato il legale della donna violentata, l'avvocato Taurchini, secondo il quale le dichiarazioni rese dai due nel corso di un interrogatorio puntavano solo ad ottenere un alleggerimento della misura alla quale sono sottoposti.

Questa mattina la gip del Tribunale di Viterbo, Rita Cialoni, ha concesso i domiciliari con braccialetto elettronico a Riccardo Licci e Francesco Chiricozzi.
I due ventenni sono stati arrestati a fine aprile per violenza sessulae di gruppo.
Secondo quanto emerso dalla ricostruzione degli inquirenti e dalle immagini dei video ritrovati sui celllulari i due indagati avrebbero violentato per più di tre ore una 36enne di Viterbo nel pub ad uso esclusivo di Casapound a piazza Sallupara.
Nei giorni scorsi il pm Michele Adragna ha chiuso le indagini sul caso e chiesto che vengano giudicati con rito immeditato. I  difensori hanno ancora dieci giorni per chiedere un rito alternativo al Tribunale di Viterbo.

Scuole, la propaganda del governo Conte bis e la realtà delle lavoratrici

Conte: "Rafforzare l'offerta dell'educazione fin dal nido è un investimento strategico per il futuro della nostra società perché combatte le diseguaglianze sociali, che purtroppo si manifestano sin nei primissimi anni di vita, e favorisce una più completa integrazione delle donne nella nostra comunità di vita sociale e lavorativa", sono state le sue parole.".
E LE LAVORATRICI... CHE SONO IN LARGA MAGGIORANZA DONNE? SILENZIO! sulle loro condizioni, uno degli specchi più emblematici dal sud al nord del precariato, dei bassi salari, delle condizioni di sfruttamento, nulla è previsto.  PER FORTUNA PARLANO LE LOTTE

Taranto
 Palermo

La repressione non ferma ma alimenta la nostra ribellione. Solidarietà con le compagne sotto processo dal mfpr


Questa mattina si terranno due udienze contro alcune compagne che da anni si organizzano e lottano insieme alle persone che vivono e lavorano nei numerosi ghetti disseminati nelle campagne di questo paese.

A Palmi (RC) verrà emessa la sentenza contro due compagne accusate di aver aiutato una persona a sfuggire dall’identificazione e, per una di loro, di averlo fatto con l’uso della forza contro un carabiniere, in riferimento alla giornata di lotta del 22 marzo 2017 a San Ferdinando.
A Foggia, invece, si terrà un’udienza del processo che vede accusate alcune compagne di manifestazione non autorizzata, per il blocco avvenuto davanti la Questura durante la mobilitazione congiunta del 6 febbraio 2017, che rientrava in un percorso su scala nazionale contro confini e sfruttamento.

Il caso vuole che questi due processi avverranno in contemporanea, ma non è affatto una coincidenza che in questi contesti, da anni, esistano delle lotte autorganizzate che con tanto coraggio e determinazione stanno contrastando il razzismo e la segregazione che tutti i governi, con il loro apparati istituzionali e non, portano avanti al fine di sfruttare e controllare la vita di migliaia di persone, non solo immigrate.
La nostra solidarietà si basa sulla certezza che solo costruendo relazioni di lotta si possa abbattere questo esistente mortifero.
Quello che accade a chi vive nei ghetti, nei centri di accoglienza o di espulsione, alle persone bloccate alle frontiere o in difficoltà per superarle, viene spesso spettacolarizzato, masticato, digerito e buttato via rapidamente, tra l’esaltazione sul web di gesti altrui.
Noi crediamo invece che sia necessario mettersi in gioco in prima persona, convinti che l’unità vada ricercata tra le differenze e affrontando le contraddizioni, senza alleanze e opportunismi.

Per la libertà.
Rete Evasioni

Rete Campagne in Lotta
i compagni e le compagne di Hurriya

10/09/19

Femminicidio di Elisa Pomarelli, una narrazione che grida vendetta

Da DonnexDiritti, di Luisa Betti Dakli

Elisa non ha provocato la sua morte: Sebastiani è il suo assassino, un violento che la voleva come un oggetto


Adesso è chiaro, il processo è già stato fatto e grazie al nostro grande giornalismo d’inchiesta è emerso che la vera responsabile della morte di Elisa Pomarelli non è altro che lei stessa: una donna di 28 anni che ha provocato il suo decesso per il suo comportamento verso il suo assassino, un amico che voleva essere il suo fidanzato ma che è stato rifiutato da lei perché, oltretutto, era anche lesbica. Una sentenza già confezionata dai giornali che hanno insistito in maniera unanime sulle lacrime del povero Massimo Sebastiani che ha esordito con una confessione dove il pentimento per la sua azione dettata solo da un amore non corrisposto, è stato messo in risalito più della gravità del crimine stesso. Titoli che indugiano su ossessione, raptus di follia e sulle lacrime dell’assassino, e articoli che addirittura empatizzano con l’uomo descritto come un sempliciotto dalle mani grandi che balbetta e si esprime a gesti: un criminale che in realtà ha ucciso senza scrupoli una donna, sua amica, strangolandola e occultandone il cadavere per poi nascondendosi nel tentativo di sfuggire alla legge. Un uomo in realtà violento e pericoloso ripreso in un video pubblicato sulla Libertà dove spacca un armadio recriminando un potere su quella donna come un oggetto tra le sue mani che se non può essere suo, non deve essere di nessuno.
Ieri si è consumata così una delle pagine più vergognose del giornalismo italiano: dai giornali locali fino a Repubblica e Messaggero, la quasi totalità dell’informazione ha solidarizzato con l’assassino che si è macchiato di un femminicidio in piena regola: una dinamica in cui la donna-oggetto (Elisa) che sfugge al possesso del maschio (Massimo), che non vuole se non come amico, viene punita con la sua soppressione fisica senza che questo però provochi un vero sdegno nell’opinionista ma neanche un’oggettiva descrizione dei fatti da parte del cronista che addirittura simpatizza apertamente con chi l’ha uccisa, ribattezzato addirittura “Gigante buono” da un quotidiano non degno di questo nome.
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E allora perché ricamare sopra un amore non corrisposto facendo presa su stereotipi così pericolosi, legati a una quanto mai inopportuna subalternità femminile? Nessuno che abbia usato la parola “violento” per descrivere lo spaccarmadi, nessuno che abbia solidarizzato con Elisa che aveva tutti i diritti di frequentare un amico e di respingerlo senza per questo pensare di dover morire, nessuno che si sia fatto scrupolo di mettere in prima pagina la foto dei due insieme sorridenti e felici come se nulla fosse. 
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Elisa uccisa perché amava le donne;
Era profondamente innamorato;
Il gigante buono e quell’amore non corrisposto;
sono alcune delle perle raccolte nei titoli di giornali che praticamente hanno accusato Elisa di aver provocato la reazione di un uomo respinto che per troppo amore ha ucciso la donna che “non poteva avere”. Una vergogna che ha raggiunto l’apice in Rai dato che al Tg2 è andato un onda un servizio con il seguente commento giornalistico: “L’uomo ha detto di essere distrutto, che la sua vita è finita con quella di Elisa. Il corpo è stato trovato coperto da una coperta in segno di pietà. L’uomo non è andato mai via dal luogo in cui ha portato il corpo della donna, tutti i giorni andava a trovarla e le parlava.” Parole che rendono questi giornali complici di questi femminicidi che vengono descritti come reati marginali perché dettati da gelosia, raptus o amore, dove l’assassino viene dipinto come un uomo disperato che non poteva evitare di commettere quel crimine quando qui è chiaro che i sentimenti non c’entrano assolutamente nulla perché chi ama non uccide. E questo perché nel profondo è insito e ben fermo che l’uomo ha sempre delle ragioni, mentre la donna no, neanche quando è vittima di una furia omicida.
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Una rivittimizzazione grave che avviene ancora dopo anni di formazione fatta in tutta Italia dallo stesso Ordine dei giornalisti e dagli Odg regionali, su concetti spiegati a grandi lettere nel Manifesto di Venezia e in una miriade di articoli, saggi, convegni, libri, recuperabili ovunque da qualsiasi collega che si voglia documentare su quello che va a scrivere. Giornalisti che non possono più nascondersi dietro una presunta ignoranza perché allora sarebbero fuori dal mondo, e che ormai non possono più esimersi dal prendersi la responsabilità di quello che scrivono e del dolore che provocano sia alle sopravvissute che ai familiari di chi viene uccisa.
A questo punto, oltre la formazione che evidentemente non basta, forse bisognerebbe creare una sezione all’interno della commissione di disciplina dell’ordine dei giornalisti su questi argomenti e un canale privilegiato in cui si possano segnalare questi articoli procedendo speditamente alle dovute sanzioni.
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07/09/19

Uomini che odiano le donne e legittimano i femminicidi: Pillon e CasaPound insieme per vomitare omofobia e sessismo

Da Gayburg


Pillon ospite alla festa nazionale di CasaPound: insieme contro il “gender”

Sono evidentemente nati per stare insieme, così senza quel sentimento sconosciuto della vergogna, Simone Pillon raggiunge a Verona gli “amici” di CasaPound nel corso di “Direzione Rivoluzione”, la festa nazionale del partito di matrice neofascista.

Sebbene durante l’ultima campagna elettorale Matteo Salvini abbia preso – almeno con le parole – le distanze dal fascismo, la vicinanza dalla Lega a CasaPound è sempre più evidente. Ricordiamo tutti la polemica scatenata quando l’editore Altaforte – casa editrice vicina al partito di estrema destra – si presentò al Salone del Libro di Torino portando il libro intitolato “Io sono Matteo Salvini”.

Passa per lo stesso editore anche la partecipazione del senatore Pillon alla festa nazionale di Casapound; il leghista ha infatti presentato il libro “L’era delle streghe”, il cui è autore Francesco Borgonovo (vicedirettore de La Verità) mentre l’editore è, appunto Altaforte.

Ad accomunare Pillon a CasaPound non vi sono solo i contenuti del libro antifemminista, ma anche l’ossessione per il “gender” e la lotta contro i diritti delle famiglie arcobaleno. «L’aria che tira è pessima – ha dichiarato Pillon durante l’incontro – L’attuale ministro della famiglia, Elena Bonetti, ancora non si è espressa, ma se ricordiamo che è l’autrice della Carta del Coraggio, un documento con cui gli scout cattolici italiani nel 2014 hanno chiesto alla Chiesa di prendere sostanzialmente le distanze del Family Day e di aprire invece alle unioni gay e ad altro evidentemente contrario alla famiglia, già sappiamo come la pensa». Il senatore si dice allarmato anche della presenza del pentastellato Vincenzo Spadafora al governo: «è stato collocato in un ministero sensibile dal punto di vista della famiglia come quello dello Sport e dei Giovani».

La preoccupazione principale di Pillon è che passi una legge sull’omotransfobia, che punirebbe in modo più duro chi commette reati basati sull’odio verso le persone LGBT. Per chi basa la propria propagnada sull’odio verso le minoranze ed è stato già condannato per diffamazione sarebbe effettivamente una cattiva notizia.