29/09/19
Il diritto di aborto non si tocca! Indietro non torniamo! 28 settembre a Palermo
25/09/19
India - Donne come macchine, tolto l'utero a migliaia di donne per aumentarne la produttività
Gli Orrori più orribili
sempre sulla pelle delle donne per il profitto dei padroni in questo schifoso
sistema capitalista che ci rovina nel fisico e nella psiche.
ALLE DONNE DI TUTTO IL MONDO UNIAMOCI PER COMBATTERE I PADRONI ASSASSINI
MFPR
India, tolto l’utero a migliaia di donne: senza mestruazioni lavorano di più
24/09/19
Non ci chiamate "mamme"!
Tutti i provvedimenti a favore delle "mamme" sono oggettivamente e ideologicamente fascisti, cioè servono a costruire l'ideologia, la prassi che esalta la famiglia, i genitori e i figli Ogni esaltazione di mamme/figli è fascismo, nessuno dimentichi che è il fascismo ha tre bandiere:"Dio, patria, famiglia".
La famiglia è una cellula della società borghese. Le donne che vivono in funzione della famiglia, dei figli sono inconsapevolmente terreno di massa di consenso nel passato della Chiesa e oggi del moderno fascismo.
Asili nido gratis, perché le mamme devono fare molti figli. Così come la campagna di controllo delle scuole punta a coinvolgere i genitori, a far appoggiare dai genitori l'azione e la presenza della polizia nelle scuole che sotto la campagna antidroga, di fatto vogliono instaurare un clima di repressione preventiva su tutti i ragazzi, sui comportamenti, sulle lotte. D'altra parte ogni intervento dei "genitori" riduce la possibilità dell'autodeterminazione e della crescita di una scuola democratica.
Su questo, questo governo Conte bis farà in forma diversa ciò che il governo fascio-populista Salvini/5stelle voleva fare.
MFPR
Asili - La lotta delle lavoratrici di Taranto comincia a pagare
Asili - un passo avanti frutto della determinazione delle lavoratrici dello Slai cobas
Si direbbe "finalmente qualcosa si muove". Oggi il Giudice di Taranto esprimendosi sulla vertenza delle lavoratrici degli asili per il riconoscimento della mansione di ausiliariato e il conseguente parametro retributivo corrispondente, ha messo nero su bianco il "riconoscimento del superiore livello retributivo richiesto". Entro la prossima udienza fissata per il 15 novembre, ma anche prima, questa questione annosa che riguarda un diritto esplicito dei lavoratori, andrà a soluzione.
E' una prima vittoria delle lavoratrici Slai cobas, frutto della nostra lunga battaglia, portata avanti in questi anni con presidi, scioperi, blocco dell'attività di ausiliariato non riconosciute, con portata avanti con quella determinazione che le donne hanno, non facendosi scoraggiare dal tempo e dall'atteggiamento finora negativo delle Ditte e del Comune.
Essa ora apre la strada al riconoscimento dell'ausiliariato a tutte le 84 lavoratrici degli asili comunali di Taranto
Solo lo Slai cobas ha aperto da anni questa strada. Gli altri sindacati presenti, Cisl, Cgil, e ultimo l'Usb, su questo diritto sono stati silenti o complici delle ditte e del Comune che volevano risparmiare sulla pelle delle lavoratrici, accettando che venisse apertamente violato lo stesso CCNL Multiservizi.
Ora, noi seguiremo gli ulteriori passaggi legali, fino ad effettiva risoluzione. Vogliamo poi che questo riconoscimento dell'ausiliariato e del livello corrispondente sia chiaramente indicato nella nuova gara d'appalto.
Vi sono inoltre le altre questioni poste dalla lotta delle lavoratrici su cui ancora non ci sono passi avanti o al massimo ci sono solo impegni verbali (assolutamente insufficienti visto come in passato sono finiti gli altri "impegni"):
- l'avvio, con data certa, dell'aumento a 3 ore giornaliere e 18 settimanali dell'orario di lavoro; la volontarietà circa il trasferimento in altro servizio di 14 lavoratrici; il recupero dei due di sospensione estiva; la copertura al 100% per le sostituzioni del personale assente (a differenza di quanto accade ora, per cui il lavoro deve essere "coperto" al 100%, ma in meno orario (per es. in soli 50 minuti e non 1 ora e 50) di quello della lavoratrice sostituita; l'impegno ad aumentare ulteriormente l'orario di lavoro in caso di riduzione del personale (per pensionamento o altro...).
Per tutto questo, le lavoratrici dello Slai cobas mantengono lo stato di agitazione e mantengono aperta la procedura avviata di sciopero.
L'8 OTTOBRE ALLE ORE 18, PRESSO LA SEDE DELLO SLAI COBAS VIA LIVIO ANDRONICO, 47, FAREMO CON LE LAVORATRICI IL PUNTO E DECIDEREMO DI CONSEGUENZA.
La lavoratrici degli asili
SLAI COBAS per il sindacato di classe
20.9.19
19/09/19
le Precarie Assistenti disabili di nuovo in prima linea a Palermo nella lotta in difesa del lavoro
16/09/19
Nel Brasile di Bolsonaro uccisa una donna ogni due ore e le leggi varate dal governo su armi e legittima difesa (per aumentare i profitti delle lobby delle armi) andranno a incrementare il numero dei femminicidi
15/09/19
Gli stupri legalizzati degli italiani in Africa. Una ragione in più per le donne, di ribellarsi al sistema capitalistico e alla sua espressione più feroce, l'imperialismo
Le spose bambine non erano normali. Gli stupri legalizzati degli italiani in Africa
A cura di Natascia AlibaniNon fu solo Montanelli a sposare una dodicenne abissina. Nell'Africa conquistata dagli italiani stupri legalizzati, madamato e concubinato, anche rispetto a bambine e ragazze giovanissime, erano la "prassi" con cui si rivendicava la "supremazia dell'Impero".
Questo post di Natalino Balasso, che per una volta sveste gli abiti del comico per concentrarsi su tutt’altro tipo di argomenti, fa riaffiorare una riflessione davvero dolorosa ma, al contempo, necessaria, per comprendere appieno cosa sia la guerra nella sua complessità e totalità, intesa non solo come armi da imbracciare e nemici da abbattere, ma soprattutto come azioni di crudeltà e violenza gratuite verso quelli che, molto sinteticamente (e crudamente) sono definite “vittime collaterali”.
A cappello dell’intervista c’è questa dicitura:
‘Per lo storico Pascal Blanchard, la pornografia utilizzata dalle potenze coloniali per promuovere una zona di pensiero in cui tutto è permesso, dev’essere mostrata allo scopo di decostruire un immaginario tuttora presente’.
Una domanda dell’intervista è questa:
Perché la scelta di pubblicare 1200 immagini di corpi colonizzati, dominati, sessualizzati, erotizzati? Non è troppo?
La risposta è:
‘È proprio l’abbondanza d’immagini che deve farci porre domande. Essa sottolinea che non si tratta di aneddotica, ma che quelle immagini fanno parte di un sistema su grande scala. Quando si pensa alla prostituzione nelle colonie, nessuno immagina a che punto questo sistema sia stato pensato, mediatizzato e organizzato dagli stessi Stati colonizzatori.
Quelli che pensano che la sessualità è stata un’avventura periferica al sistema coloniale si sbagliano. La cartografia significa molto: sugli atlanti, le terre da conquistare sono sempre rappresentate allegoricamente come donne nude per simbolizzare le americhe, l’Africa o le isole del Pacifico. La nudità fa parte del marketing della spedizione coloniale, e modella l’identità stessa delle femmine indigene.
In tempi di conquiste, a partire dalla fine del XV secolo, le immagini che circolano evocano un paradiso terrestre popolato di buoni selvaggi che offrono i propri corpi nudi. Fanno parte della scenografia naturale del luogo.
Più tardi, il paradiso terrestre si trasformerà in paradiso sessuale. Gli occidentali partiranno per le colonie col sentimento che tutto è loro permesso.
Laggiù non ci sono proibizioni, tutti i dettami morali saltano: abuso, stupro, pedofilia. La maggior parte delle immagini che pubblichiamo traccia questa storia, sono state nascoste, marginalizzate o dimenticate in seguito: l’80% di ciò che c’è nel libro non si trova in nessun museo dell’immagine’.
Quel che mi viene in mente è che esiste oggi una sorta di colonizzazione turistica. Non dimentichiamo che l’Italia è da molti anni ai primissimi posti nella classifica del turismo sessuale. Si tratta di migliaia di bravi padri di famiglia che, tornati a casa, faranno discorsi moralizzanti sulla decadenza del nostro paese”.
Gli stupri sono da sempre stati uno degli aspetti più feroci e tremendi di ogni conflitto, soprattutto nella fase dell’espansione imperialistica e coloniale, anche se non devono essere dimenticate le testimonianze delle donne vietnamite durante la guerra, o la figura delle comfort women usate come schiave del sesso dall’esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale.
A pagare il prezzo più alto, come spesso accade, sono state le donne, non solo costrette a vedere mariti, genitori, fratelli o figli uccisi dall’esercito rivale, o a fuggire dai propri villaggi, ma brutalizzate e ridotte al rango di oggetti di piacere sessuali da parte degli invasori, che in questo modo rivendicavano il loro diritto alla conquista, equiparando le femmine locali al territorio appena guadagnato, di cui potevano disporre come meglio credevano.
E gli italiani, in questo quadro mostruoso che racconta di barbarie e violenze senza tregua, si sono dimostrati tutt’altro che “brava gente”, nonostante per lungo tempo la verità sull’atteggiamento dell’esercito durante le operazioni di conquista in Libia o in Etiopia sia stato taciuto sotto una coltre di opportuna noncuranza.
La verità, quella di oggi, venuta alla luce, parla di un’Africa italiana devastata da stragi, torture e deportazioni di intere popolazioni in campi di concentramento, con 100.000 morti nelle operazioni di conquista e riconquista della Libia tra il 1911 e il 1932, e addirittura 400.000 in Etiopia ed Eritrea tra il 1887 e il 1941. A questo si aggiunge, come detto, il quadro delle violenze di genere, che all’epoca erano vissute come perfettamente “normali” (ricordiamo che lo stesso Montanelli definì la sua sposa dodicenne un “animaletto docile”), perfettamente riassunto in un articolo di Chiara Volpato, ordinaria di psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca.
La “porno-tropics tradition”
Almeno fino al momento della conquista dell’Etiopia, gli italiani erano in linea con quella che McClintock, in uno studio del 1995, definì la “porno-tropics tradition”, ovvero la metafora della Venere nera, che riduceva l’immagine della donna africana al rango esclusivo di “sogno” esotico ed erotico. La donna nera non aveva perciò altra identità all’infuori di quella sessuale, per cui era del tutto naturale che gli italiani venissero allettati all’idea di trasferirsi nelle colonie con la promessa di poter coltivare un vero e proprio “harem coloniale”.
Ma, dopo la creazione dell’impero in Etiopia, il regime fascista sostituì l’immagine della Venere nera con quella, assai meno aulica, dell’essere inferiore, che doveva essere sottomesso per riaffermare la superiorità occidentale ed europea e la legittimità della colonizzazione.
Le relazioni sessuali intrecciate tra donne africane, spesso appena bambine o poco più, e colonizzatori furono definite “madamato”, termine con cui si intende una relazione temporanea, pur se non occasionale, tra un cittadino e una “suddita indigena”. Anche in questo caso, dopo la creazione dell’impero vennero predisposti dei meccanismi giuridici tesi a riaffermare il prestigio dei bianchi, tra cui il divieto alle relazioni coniugali ed extraconiugali tra “razze diverse”, al riconoscimento legittimo e all’adozione dei figli nati dalle unioni tra cittadini e suddite, e l’instaurazione di una severa segregazione razziale che ricacciò i “meticci” nella comunità di appartenenza, sciogliendo ogni istituzione precedentemente creata per la loro assistenza.
Chiaro che, in un contesto del genere, le donne africane vennero stigmatizzate tre volte: per razza, per classe, per genere. Senza contare che il divieto di relazioni “legittime” tra conquistatori e loro acuì, in molti italiani, il desiderio di possederle comunque, aumentando a dismisura gli atti di violenza nei loro confronti.
Alcune storie di violenza sulle donne africane
Sempre nell’articolo della Volpato si leggono alcuni episodi di violenza posti in essere dai conquistatori italiani nel Corno d’Africa. Nel 1891, nel processo portato avanti dalla Commissione reale d’inchiesta dopo la conquista di Asmara, teso a far luce su alcuni dei misfatti compiuti dall’esercito italiano, emerse che le cinque mogli del Kantibai Aman (morto in carcere) erano state sorteggiate, su disposizione del generale Baldissera, tra gli ufficiali italiani del presidio. Eppure, nessuno dei personaggi coinvolti fu punito, sulla base della decisione che non fosse stata violata la disciplina militare.
Una testimonianza di Alberto Pollera del 1922:
La legge indigena ammette la ricerca della paternità; anzi questo è uno dei cardini di quel diritto; la legge italiana la vieta; e basandosi su questo contrasto di diritto, molti Italiani, approfittando della ignoranza delle indigene su questo punto, ne fanno facilmente delle concubine, per abbandonarle quando ne abbiano prole.
Una lettera, inviata nel 1911 al console Piacentini, da parte di un colono che protestava per la richiesta delle ragazze bilene di cento talleri di Maria Teresa per la loro verginità; l’uomo si stupiva del fatto che
… In un paese di conquista, come l’Eritrea, non fosse permesso al dominatore bianco di impadronirsi colla violenza di queste ragazze, od almeno non fosse loro imposto un prezzo molto minore.
Testimoninaza di Tertulliano Gandolfi, operaio che ci ha lasciato le sue memorie d’Africa, del 1910:
Fra i tanti dolorosi casi osservati da me, eccone uno. Una volta vidi in pieno giorno un sottufficiale trombettiere curvo, come una bestia in calore, sopra un bimbo di circa otto anni, malaticcio, che non aveva altro che la pelle e ossa, che lo stuprava.
Testimonianza di Ladislav Sava, medico ungherese che era ad Addis Abeba al momento dell’occupazione italiana, al settimanale londinese New Times & Ethiopia News, nel 1940:
Ho assistito personalmente alla deportazione di donne etiopiche in case convertite con la forza dai militari italiani in postriboli.
Nelle interviste raccolte nel 1994 tra i reduci d’Africa uno degli intervistati ha dichiarato:
La colonia era un paradiso per gli uomini anziani che potevano avere rapporti con bambine di dodici anni.
Due sentenze emesse dal tribunale di Addis Abeba per stupro: nella prima la vittima, Desta Basià Ailù, è una bambina di appena nove anni, segregata per diversi giorni, contro la sua volontà, nell’abitazione dell’imputato, poi processato per violenza carnale, non per sequestro di persona. Ha ottenuto le attenuanti sulla base del fatto che la vittima fosse una bambina abbandonata, facile preda di chiunque.
Nella seconda parliamo di Lomi, di tredici anni, legata “per punizione”, dopo la violenza carnale. Il suo carnefice fu in prima istanza assolto, perché i giudici ritennero che a tredici anni si trattasse di un’abissina sessualmente maggiorenne. Venne condannato in appello, per non aver seguito i dettami della missione civilizzatrice della razza superiore.
continua su: https://www.robadadonne.it/180113/gli-stupri-legalizzati-degli-italiani-in-africa/2/?on=ref Roba da Donne
Solidarietà con le lavoratrici e i lavoratori in lotta alla Piaggio. La precarietà ci stronca la vita, con questo sistema facciamola finita!
I lavoratori chiedono la stabilizzazione all’azienda e il rispetto dell’accordo, spiega una nota dell’Usb, «che prevede le assunzioni in base all’anzianità lavorativa». La protesta è stata promossa dal sindacato di base in concomitanza dell’incontro tra azienda e Cgil, Cisl e Uil nell’ambito della trattativa per il contratto integrativo che si sta svolgendo nella sede confindustriale. La vicenda riguarda una cinquantina di addetti, uomini e donne, che, si spiega, per anni hanno lavorato con contratti a termine in catena di montaggio
Condannata a 4 mesi per insulti a un poliziotto. Solidarietà dal mfpr, l'unica giustizia è quella proletaria
Ma ricordiamo brevemente i fatti. Il 27 aprile 2015 si presenta alla festa dell’Unità di Bologna l’allora ministro del lavoro Giuliano Poletti. Non pensiamo ci sia bisogno di ricordare il soggetto, ma per i più smemorati si sappia che nel suo curriculum spiccano l’istituzionalizzazione del precariato attraverso il jobs act, il suo coinvolgimento nell’inchiesta Mafia Capitale e la presidenza di LegaCoop. Oppure le sue pacate dichiarazioni: “i giovani italiani vanno all’estero? Alcuni meglio non averli tra i piedi”; “Sono favorevole a che nei progetti di alternanza scuola e lavoro gli stage lavorativi possano essere fatti anche d’estate, tipo spostare le cassette di frutta”.
In una festa dell’Unità totalmente militarizzata, andammo a scaricare le sue cassette di frutta e il nostro rifiuto alle sue politiche. Un ragazzo venne ferito alla testa, con una manganellata mentre era di spalle, mentre altri vennero rincorsi e manganellati al grido di “inginocchiatevi per terra”. Da lì la ovvia reazione della compagna contro l’eroico poliziotto, che ora chiede pure 2500 euro di risarcimento.
Ma rispediamo al mittente la condanna: di fronte alla verità, riprendendo il titolo, nessuno ci può giudicare, nemmeno tu, servo.”
14/09/19
Gli uomini che odiano le donne sono fascisti e vanno combattuti come tali
13/09/19
Ai domiciliari i 2 stupratori neofascisti di Viterbo. Questa è la giustizia borghese che legittima la violenza sulle donne e a cui le donne devonoa cui noi donne devono rispondere con la violenza rivoluzionaria per affermare l'unica vera giustizia: quella proletaria
Scuole, la propaganda del governo Conte bis e la realtà delle lavoratrici
E LE LAVORATRICI... CHE SONO IN LARGA MAGGIORANZA DONNE? SILENZIO! sulle loro condizioni, uno degli specchi più emblematici dal sud al nord del precariato, dei bassi salari, delle condizioni di sfruttamento, nulla è previsto. PER FORTUNA PARLANO LE LOTTE
La repressione non ferma ma alimenta la nostra ribellione. Solidarietà con le compagne sotto processo dal mfpr
10/09/19
Femminicidio di Elisa Pomarelli, una narrazione che grida vendetta
Da DonnexDiritti, di Luisa Betti Dakli
Elisa non ha provocato la sua morte: Sebastiani è il suo assassino, un violento che la voleva come un oggetto
Adesso è chiaro, il processo è già stato fatto e grazie al nostro grande giornalismo d’inchiesta è emerso che la vera responsabile della morte di Elisa Pomarelli non è altro che lei stessa: una donna di 28 anni che ha provocato il suo decesso per il suo comportamento verso il suo assassino, un amico che voleva essere il suo fidanzato ma che è stato rifiutato da lei perché, oltretutto, era anche lesbica. Una sentenza già confezionata dai giornali che hanno insistito in maniera unanime sulle lacrime del povero Massimo Sebastiani che ha esordito con una confessione dove il pentimento per la sua azione dettata solo da un amore non corrisposto, è stato messo in risalito più della gravità del crimine stesso. Titoli che indugiano su ossessione, raptus di follia e sulle lacrime dell’assassino, e articoli che addirittura empatizzano con l’uomo descritto come un sempliciotto dalle mani grandi che balbetta e si esprime a gesti: un criminale che in realtà ha ucciso senza scrupoli una donna, sua amica, strangolandola e occultandone il cadavere per poi nascondendosi nel tentativo di sfuggire alla legge. Un uomo in realtà violento e pericoloso ripreso in un video pubblicato sulla Libertà dove spacca un armadio recriminando un potere su quella donna come un oggetto tra le sue mani che se non può essere suo, non deve essere di nessuno.
Ieri si è consumata così una delle pagine più vergognose del giornalismo italiano: dai giornali locali fino a Repubblica e Messaggero, la quasi totalità dell’informazione ha solidarizzato con l’assassino che si è macchiato di un femminicidio in piena regola: una dinamica in cui la donna-oggetto (Elisa) che sfugge al possesso del maschio (Massimo), che non vuole se non come amico, viene punita con la sua soppressione fisica senza che questo però provochi un vero sdegno nell’opinionista ma neanche un’oggettiva descrizione dei fatti da parte del cronista che addirittura simpatizza apertamente con chi l’ha uccisa, ribattezzato addirittura “Gigante buono” da un quotidiano non degno di questo nome.
E allora perché ricamare sopra un amore non corrisposto facendo presa su stereotipi così pericolosi, legati a una quanto mai inopportuna subalternità femminile? Nessuno che abbia usato la parola “violento” per descrivere lo spaccarmadi, nessuno che abbia solidarizzato con Elisa che aveva tutti i diritti di frequentare un amico e di respingerlo senza per questo pensare di dover morire, nessuno che si sia fatto scrupolo di mettere in prima pagina la foto dei due insieme sorridenti e felici come se nulla fosse.
Elisa uccisa perché amava le donne;
Era profondamente innamorato;
Il gigante buono e quell’amore non corrisposto;
sono alcune delle perle raccolte nei titoli di giornali che praticamente hanno accusato Elisa di aver provocato la reazione di un uomo respinto che per troppo amore ha ucciso la donna che “non poteva avere”. Una vergogna che ha raggiunto l’apice in Rai dato che al Tg2 è andato un onda un servizio con il seguente commento giornalistico: “L’uomo ha detto di essere distrutto, che la sua vita è finita con quella di Elisa. Il corpo è stato trovato coperto da una coperta in segno di pietà. L’uomo non è andato mai via dal luogo in cui ha portato il corpo della donna, tutti i giorni andava a trovarla e le parlava.” Parole che rendono questi giornali complici di questi femminicidi che vengono descritti come reati marginali perché dettati da gelosia, raptus o amore, dove l’assassino viene dipinto come un uomo disperato che non poteva evitare di commettere quel crimine quando qui è chiaro che i sentimenti non c’entrano assolutamente nulla perché chi ama non uccide. E questo perché nel profondo è insito e ben fermo che l’uomo ha sempre delle ragioni, mentre la donna no, neanche quando è vittima di una furia omicida.
Una rivittimizzazione grave che avviene ancora dopo anni di formazione fatta in tutta Italia dallo stesso Ordine dei giornalisti e dagli Odg regionali, su concetti spiegati a grandi lettere nel Manifesto di Venezia e in una miriade di articoli, saggi, convegni, libri, recuperabili ovunque da qualsiasi collega che si voglia documentare su quello che va a scrivere. Giornalisti che non possono più nascondersi dietro una presunta ignoranza perché allora sarebbero fuori dal mondo, e che ormai non possono più esimersi dal prendersi la responsabilità di quello che scrivono e del dolore che provocano sia alle sopravvissute che ai familiari di chi viene uccisa.
A questo punto, oltre la formazione che evidentemente non basta, forse bisognerebbe creare una sezione all’interno della commissione di disciplina dell’ordine dei giornalisti su questi argomenti e un canale privilegiato in cui si possano segnalare questi articoli procedendo speditamente alle dovute sanzioni.
07/09/19
Uomini che odiano le donne e legittimano i femminicidi: Pillon e CasaPound insieme per vomitare omofobia e sessismo
Pillon ospite alla festa nazionale di CasaPound: insieme contro il “gender”
Sono evidentemente nati per stare insieme, così senza quel sentimento sconosciuto della vergogna, Simone Pillon raggiunge a Verona gli “amici” di CasaPound nel corso di “Direzione Rivoluzione”, la festa nazionale del partito di matrice neofascista.
Sebbene durante l’ultima campagna elettorale Matteo Salvini abbia preso – almeno con le parole – le distanze dal fascismo, la vicinanza dalla Lega a CasaPound è sempre più evidente. Ricordiamo tutti la polemica scatenata quando l’editore Altaforte – casa editrice vicina al partito di estrema destra – si presentò al Salone del Libro di Torino portando il libro intitolato “Io sono Matteo Salvini”.
Passa per lo stesso editore anche la partecipazione del senatore Pillon alla festa nazionale di Casapound; il leghista ha infatti presentato il libro “L’era delle streghe”, il cui è autore Francesco Borgonovo (vicedirettore de La Verità) mentre l’editore è, appunto Altaforte.
Ad accomunare Pillon a CasaPound non vi sono solo i contenuti del libro antifemminista, ma anche l’ossessione per il “gender” e la lotta contro i diritti delle famiglie arcobaleno. «L’aria che tira è pessima – ha dichiarato Pillon durante l’incontro – L’attuale ministro della famiglia, Elena Bonetti, ancora non si è espressa, ma se ricordiamo che è l’autrice della Carta del Coraggio, un documento con cui gli scout cattolici italiani nel 2014 hanno chiesto alla Chiesa di prendere sostanzialmente le distanze del Family Day e di aprire invece alle unioni gay e ad altro evidentemente contrario alla famiglia, già sappiamo come la pensa». Il senatore si dice allarmato anche della presenza del pentastellato Vincenzo Spadafora al governo: «è stato collocato in un ministero sensibile dal punto di vista della famiglia come quello dello Sport e dei Giovani».
La preoccupazione principale di Pillon è che passi una legge sull’omotransfobia, che punirebbe in modo più duro chi commette reati basati sull’odio verso le persone LGBT. Per chi basa la propria propagnada sull’odio verso le minoranze ed è stato già condannato per diffamazione sarebbe effettivamente una cattiva notizia.