31/01/19

Slai cobas per il sindacato di classe - Massimo impegno per lo sciopero delle donne l'8 marzo!



Lo Slai cobas per il sindacato di classe sostiene e appoggia lo sciopero delle donne deciso dall’assemblea nazionale delle donne organizzata da NUDM del 25 novembre. E ha indetto formalmente lo sciopero dell’8 marzo.
Sin dal 2013, in cui le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario lanciarono il primo storico sciopero delle donne in Italia, lo Slai cobas appoggiò e diede il suo sostegno concreto alla proclamazione e realizzazione dello sciopero. Le lavoratrici dello Slai Cobas per il sc, già in lotta in diversi settori (dalla scuola, alla sanità, alle cooperative sociali, agli appalti comunali, alle disoccupate…) aderirono per prime allo "sciopero delle donne". “Scoprendo” attraverso la lotta quotidiana che alle ragioni di classe si intrecciano inevitabilmente le ragioni di genere, queste lavoratrici hanno trasformato una parola d’ordine giusta nella pratica concreta dello sciopero. 
Uno sciopero vero e non simbolico come la Cgil della Camusso in quel 2013 cercò invano di imporre per boicottarlo di fatto; uno sciopero in carne e ossa e non di mera adesione formale come hanno fatto negli anni successivi alcuni sindacati di base.
Una vera sfida, una rottura contro padroni, governo, Stato borghese, che da 2013 ha visto negli anni un’adesione concreta e attiva di altre lavoratrici, operaie, precarie, con numeri per nulla scontati e significativi che hanno anche fatto effetto sui padroni, vedi i provvedimenti repressivi nei confronti di lavoratrici di alcuni settori specifici (Sodexo, Electrolux, commercio) che hanno osato fare lo sciopero delle donne.
Da due anni la parola d’ordine dello “sciopero delle donne” è stata assunta anche dal movimento femminista NUDM che all’assemblea nazionale del 25 novembre a Roma lo ha rilanciato per la giornata internazionale delle donne dell’8 marzo prossimo, dopo la grande manifestazione del 24 novembre che ha confermato il ruolo di avanguardia del movimento delle donne nella lotta contro l’attuale governo fascio-populista, razzista e sessista Lega/M5S.
La condizione sociale di doppio sfruttamento e di doppia oppressione delle donne, che partendo dai posti di lavoro si allarga a tutti gli altri ambiti, familiare, culturale, sessuale, con al centro la questione della violenza in tutte le sue forme e la sua tremenda punta di iceberg i femminicidi, oggi con il salto di qualità rappresentato dal governo Salvini/Di Maio con la sua azione, propaganda, provvedimenti, diviene sempre più pesante e inaccettabile: l’oscurantista DDL Pillon, il decreto sicurezza fascio-razzista Salvini che attacca i migranti e chi lotta per il lavoro, la casa, in cui le donne spesso più povere sono in prima fila, la cosiddetta “quota 100” che penalizza in particolare le donne, le campagne ideologiche pro sacra famiglia e contro l’aborto…
Anche nello sciopero dell’8 marzo la lotta contro questo governo dovrà essere al centro.
Lo Slai cobas sc, le lavoratrici in esso organizzate sono impegnate anche quest’anno perché lo sciopero delle donne sia uno sciopero vero, e veda sempre più protagoniste le lavoratrici, le proletarie, quelle più sfruttate e oppresse, le disoccupate. Lo Slai cobas sostiene la piattaforma dello sciopero delle donne che le lavoratrici, l’Mfpr, il movimento delle donne ha costruito, come frutto delle lotte e bisogni espressi in esse e di un lavoro di inchiesta diretta e indiretta. 
Quest’anno la maggior parte dei sindacati di base ha indetto lo sciopero dell’8 marzo.
Lo Slai cobas sc ritiene che il sindacato di base e classe, e tutte le forze sindacali di classe, dovunque siano, debbano mettersi al servizio della lotta delle donne, delle lavoratrici, delle proletarie, perchè questa lotta è una ricchezza per l’intera classe proletaria, contribuisce ad una presa di coscienza più generale e ad una trasformazione, essa pone sul tappeto la necessità della lotta a 360 gradi, della lotta rivoluzionaria contro questo sistema sociale capitalista che fa dello sfruttamento e oppressione delle donne una sua base fondamentale, e che non può essere riformato ma rovesciato.
Pensiamo che lo sciopero delle donne sia un’arma anche all’interno dell’organizzazione sindacale per contrastare e lottare contro ogni forma di maschilismo, sessismo, di sottovalutazione, di riduzione ad un punto all’ordine del giorno della questione delle donne; è una battaglia, quindi, anche verso i lavoratori e i compagni di lotta.
Per questo chiamiamo i lavoratori dello Slai cobas sc in ogni posto di lavoro a sostenere attivamente e concretamente lo sciopero delle donne, a propagandarlo tra gli altri lavoratori e lavoratrici, a contrastare azioni antisciopero da parte di padroni, capi, sindacati collaborazionisti a realizzare assemblee nei luoghi di lavoro e dovunque è necessario. 
Chiamiamo gli altri sindacati di base che hanno proclamato lo sciopero dell’8 marzo a unire le nostre forze nelle varie città e realtà lavorative affinché lo sciopero sia grande, esteso, tocchi il maggior numero di posti di lavoro.
30.1.19
Slai Cobas per il sindacato di classe


"La resistenza è vita" - Roma 16/02 ore 14,00 piazza della Repubblica

Partecipiamo allo spezzone di donne dietro lo striscione "La resistenza è vita"

Roma 16/02 ore 14,00 piazza della Repubblica

La Resistenza è vita


Lo viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni, lo vediamo nelle nostre lotte: senza la liberazione delle donne non c’è rivoluzione sociale, senza l’organizzazione delle donne non si può costruire una società bella, libera, egualitaria. È per questo che sosteniamo il confederalismo democratico, la rivoluzione delle donne in Mesopotamia: perché dà risposte a quesiti e problemi che viviamo tutti i giorni, che i mille colori delle donne in tutto il mondo vivono sulla loro pelle.

Siamo Rete Jin, una rete di donne in solidarietà con il movimento delle donne curde.

La Turchia minaccia di attaccare l’esperienza del confederalismo democratico nella Confederazione della Siria del nord: questo rappresenta probabilmente il rischio più grosso vissuto finora dalla rivoluzione, basata sulla liberazione delle donne, del nord est della Siria. A livello locale, questo si traduce in un aumento della repressione contro chi esprime solidarietà al movimento kurdo; repressione che sta colpendo compagne e compagni -in Italia e non- che hanno fatto la scelta di recarsi lì per difendere la rivoluzione sociale.
A loro va la nostra solidarietà: toccano un* toccano tutt*.

In questo scenario, più che mai, è necessaria e improrogabile la liberazione di colui che ha fondato e guidato il movimento di liberazione kurdo, che ha sviluppato le idee alla base della rivoluzione sociale in Rojava, che ha costantemente dato forza e spazio all’organizzazione autonoma delle donne, continuando a dare ispirazione ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo: Abdullah Ocalan.

Proprio per chiedere la fine dell’isolamento del leader Ocalan, la compagna Leyla Guven si trova in sciopero della fame, come lei anche altr14 compagn* a Strasburgo, e altre centinaia nelle carceri turche.
Queste donne e questi uomini stanno portando avanti uno sciopero della fame a oltranza, anche a costo della vita, fino a che non verrà posta fine all’isolamento del leader Ocalan, che si trova da 20 anni in una “prigione per una persona” sull’isola di Imrali e che da tre anni è in isolamento totale.

Il 16 febbraio a Roma ci sarà una manifestazione per la liberazione del leader Ocalan e in supporto alle compagne e ai compagni in sciopero della fame. Come Rete Jin, invitiamo tutte le donne a portare insieme a noi un contributo a questa manifestazione, partecipando allo spezzone separato delle donne. La liberazione delle donne è al centro della rivoluzione sociale, qui come ovunque, i confini sono un prodotto del patriarcato: senza liberazione delle donne non c’è rivoluzione!

Rete Jin

http://www.uikionlus.com/manifestazione-nazionale-il16-febbario-roma-liberta-per-ocalan-e-per-tutte-e-tutti-i-prigionieri-politici-difendiamo-il-rojava-per-la-liberta-e-la-pace-in-medio-oriente/

Contro il ddl Pillon, espressione del becero oscurantismo reazionario, fascista, cattointegralista proprio della maggioranza di questo governo che attacca i diritti delle donne e dei minori, nel nome della triade fascista dio-patria-famiglia. Si prepara la contestazione di NUDM domani a Roma

Il movimento delle donne si prepara a contestare la Lega e il senatore prolife Pillon a Roma

Giovedì 31 gennaio, nella sede del I Municipio, una conferenza che prevede la partecipazione del senatore che ha firmato la contestatissima proposta di riforma del diritto di famiglia. Il movimento delle donne Non Una di Meno ha annunciato una manifestazione di protesta.

da fanpage

Da qualche giorno si è diffusa la notizia e ora è ufficiale: il senatore della Lega Simone Pillon, noto per le sue posizioni oltranziste in tema di aborto e famiglia, per non parlare della lotta alla così detta "ideologia gender", sarà giovedì 31 gennaio nella capitale per tenere un'iniziativa nella sala consiliare del I Municipio in via della Greca, in pieno centro. La conferenza è intitolata "Famiglia e natalità. Quali politiche per affrontare il drammatico invecchiamento della nostra società", e prevede la partecipazione anche di William De Vecchis, anche lui senatore nome storico della destra di Fiumicino passato ora alla Lega e di Marco Veloccia, consigliere leghista. Pillon è il firmatario del disegno di legge in discussione in Commissione Giustizia, che riforma il diritto di famiglia, in particolare per quanto riguarda le cause e le modalità delle separazioni.

Il movimento delle donne di Non Una di Meno si prepara a contestare l'evento e annuncia battaglia
contro il Ddl Pillon: "Rappresenta una vera e propria minaccia per i minori e donne che affrontano la separazione. Il presupposto del disegno di legge, è che il divorzio abbia di fatto privilegiato le madri e penalizzato i padri: dei minori non importa". "Abolendo l'assegno di maternità, imponendo la bigenitorialità perfetta come criterio quantitativo e non qualitativo, introducendo la mediazione familiare obbligatoria e il piano genitoriale, sdoganando l'utilizzo della PAS (sindrome da alienazione parentale) in tribunale, e aumentando i costi del divorzio – proseguono le donne – si cerca di riportare l'orologio indietro di diversi decenni legando le donne al destino di un matrimonio fallito, oltre a subordinare le esigenze dei figli alla volontà dei genitori, anzi dei padri, e a legittimare la violenza domestica sottraendo alle donne ogni strumento normativo per garantire serenità e sicurezza a se stesse e ai figli".

Proprio lunedì sera la trasmissione di Riccardo Iacona Presa Diretta ha acceso i riflettori su Ddl Pillon e sulla coalizione di gruppi e associazioni prolife, di estrema destra e di integralisti cattolici che sostengono il senatore leghista, ma anche il ministro per la famiglia leghista Lorenzo Fontana. Dal Family Day al parlamento, l'inchiesta ricostruisce il percorso di Pillon e lo spazio che le idee di cui è portavoce si sono conquistate nell'attuale legislatura grazie anche all'istituzione del gruppo "Vita e famiglia", che raccoglie parlamentari di diverse forze politiche.

28/01/19

Convocato lo sciopero generale delle donne lavoratrici per 8 marzo in Spagna



CGT convocará Huelga General el próximo 8M, Día Mundial de la Mujer Trabajadora

Durante el VII Congreso Extraordinario la organización anarcosindicalista ha acordado una jornada de Huelga General de 24 horas por la emancipación total de las mujeres y la igualdad absoluta y definitiva entre todas las personas
La Huelga General va dirigida a todas las personas trabajadoras de todos los ámbitos y sectores laborales, públicos y privados, sin distinción alguna de situación laboral, sexo, raza o edad
 
La Confederación General del Trabajo (CGT), cumpliendo y desarrollando a través de sus cauces orgánicos para la toma de decisiones, ha celebrado durante los días 26 y 27 de enero en Mérida (Badajoz) un Congreso Extraordinario para debatir sobre la jornada de huelga del próximo 8 de marzo. En esta convocatoria ha podido participar toda la afiliación de CGT a través de sus sindicatos, cuyas delegaciones han trasladado los acuerdos alcanzados en sus asambleas.
CGT declara que la lucha contra la situación de explotación laboral, social y personal de las mujeres, tanto en el Estado español como en el resto del mundo, es histórica y así se recoge en numerosos acuerdos de la formación. En este sentido, la organización anarcosindicalista considera que la lucha contra el patriarcado y el capitalismo está incluida sin lugar a dudas en los objetivos que se persiguen con esta huelga.
CGT considera que la jornada de Huelga General del próximo 8 de marzo está más que motivada y desde el sindicato exigirán, entre otras muchas reivindicaciones, acabar con la desigualdad en el ámbito laboral, económico y social de las mujeres, la adopción de medidas que acaben con la brecha salarial y la desigualdad en las pensiones, la erradicación de estereotipos sexistas y valores machistas, la erradicación del acoso y precariedad laboral, el desarrollo de políticas laborales y económicas que hagan efectivas la conciliación de la vida personal con la laboral, una educación en igualdad y no sexista, erradicar la intromisión de las religiones y las creencias en el ámbito de lo público, el fin del terrorismo machista y la violencia sexual, la equiparación real y efectivas en el trabajo de cuidados y la igualdad efectiva de las mujeres migrantes.

En cuanto a las características de esta Huelga General, dirigida a todos los trabajadores y todas las trabajadoras de todos los ámbitos y sectores laborales, públicos y privados, tendrá una duración de 24 horas en todo el territorio del Estado español. En este sentido, la CGT trabajará para que en cada ámbito los comités de huelgas estén compuestos por mujeres. En relación a los servicios mínimos, mal utilizados por la patronal y los gobiernos de turno para boicotear este derecho fundamental de la clase obrera, CGT ha recalcado que velará para que no sean abusivos y se reserva su derecho a plantear demandas dado el caso.
CGT ha matizado ser consciente como organización anarcofeminista del importante trabajo realizado por el Movimiento Feminista, tanto a nivel nacional como internacional, en el desarrollo de esta iniciativa. Por ello existirá una coordinación entre el Secretariado Permanente de la CGT y sus distintos entes para poner en común toda la información que se vaya generando durante la jornada de lucha del 8M.
CGT realiza un llamamiento a toda la sociedad para que secunde la jornada de Huelga General del próximo 8 de marzo, participando en todos los actos, acciones y manifestaciones que se organicen y convoquen para este día histórico.

Solidarietà alle operaie di Italpizza! No allo sfruttamento! Difendiamo il diritto di sciopero!



Condividiamo e pubblichiamo il comunicato di donne in lotta no austerity

Solidarietà alle operaie di Italpizza! No allo sfruttamento! Difendiamo il diritto di sciopero!

Il Fronte di Lotta No Austerity esprime la propria solidarietà alle operaie di Italpizza (Modena) che stanno lottando per difendere i propri diritti. Si tratta di lavoratrici immigrate, che sono state licenziate e sospese e poi reintegrate. Come denuncia il sindacato che le organizza (Si.Cobas) nonostante l'avvenuto reintegro (per un accordo tra sindacato e azienda a dicembre) “vengono tenute separate dalle altre operaie e sottoposte a continue vessazioni e umiliazioni, come spazzare i tetti a 20 metri di altezza, spalare la neve nel parcheggio o pulire i bagni degli uomini, derise e guardate a vista da un caporale dell'azienda. Sono inoltre arrivate una pioggia di sanzioni disciplinari per chi ha partecipato alle iniziative sindacali e la sospensione di due delegati, senza alcuna motivazione. È inoltre palese la stretta su tutti i lavoratori, con l'introduzione del marcatempo nei bagni”. Durante le azioni di sciopero che si sono succedute nei mesi di dicembre e gennaio, il picchetto di sciopero è stato più volte caricato dalla polizia.

Nell'esprimere il nostro sostegno a queste lavoratrici, non possiamo non denunciare l'ipocrisia dei rappresentanti del M5S (tra cui deputati e consiglieri…) che esprimono vicinanza alle lavoratrici e si dicono di voler farsi garanti dell'apertura di un tavolo di trattative nazionale: non si ricordano forse questi esponenti politici di aver recentemente votato e sostenuto un “Decreto sicurezza” (il famigerato “Decreto Salvini”) che prevede l'arresto fino a 4 anni per chi organizza picchetti di sciopero con blocco stradale come quello di Italpizza? Non possiamo inoltre non esprimere sdegno per le affermazioni di alcuni dirigenti sindacali (Uil) che hanno attaccato gli scioperanti nel momento in cui venivano caricati violentemente dalla polizia, dichiarando inutile e dannosa la loro protesta.

Siamo convinti che la lotta di queste lavoratrici, così come quella di tutti gli operai e le operaie che subiscono angherie e sfruttamento nei luoghi di lavoro, potrà vincere solo se si riuscirà ad allargare il fronte della mobilitazione e della solidarietà, se si riuscirà a coinvolgere un ampio numero di lavoratori e lavoratrici nella lotta e negli scioperi, superando le divisioni interne alla classe. Come dimostra la Francia, nessuna legge repressiva può stroncare una mobilitazione ampia e partecipata.

Vigliacca intimidazione a un'attivista CUB della Rovagnati. Massima solidarietà dalle lavoratrici del MFPR



Da donne in lotta No Austerity

MASSIMA SOLIDARIETA’ A LAURA SOLIMENE: SAPPIAMO CHI E’ STATO!


La sera del 24 gennaio si è verificato un fatto gravissimo di intimidazione nei confronti di Laura Solimene, attivista Cub della Rovagnati di Villasanta (MB): la sua automobile è stata bruciata.
Non ci sembra casuale che questo avvenga proprio nel corso di una dura lotta alla Rovagnati: un gruppo di lavoratori, organizzati col sindacato Cub, è in mobilitazione contro la cooperativa presso cui lavorano che impone loro un inquadramento contrattuale che non corrisponde alle prestazioni da loro effettivamente svolte.
Sono lavoratori che lavorano da molti anni per la Rovagnati (azienda che vanta fatturati milionari) e che, a causa di un contratto che non corrisponde alle loro effettive mansioni, percepiscono un salario inferiore a quello che spetterebbe loro.
Il Fronte di Lotta No Austerity esprime massima solidarietà a Laura: ripudiamo con sdegno questi vili atti intimidatori  che non fermeranno una lotta sacrosanta che come primo obiettivo quello di restituire un briciolo di dignità alle lavoratrici e ai lavoratori della Rovagnati. La lotta continuerà con ancora più determinazione! 


«Sono chiusa in un centro di detenzione e ho un aborto in corso»




Una delle migranti della Lady Sham: «Sono chiusa in un centro di detenzione e ho un aborto in corso»

La testimonianza di una donna sopravvissuta al naufragio e riportata in Libia. «Ci hanno picchiato durante lo sbarco»

«Ho paura, tanta paura. Perché il mio bambino ormai è morto. Ma ho paura di morire anche io». La voce è debole, arriva via telefono da uno dei centri di detenzione libici, dove i migranti «irregolari» vengono rinchiusi. A parlare, al telefono, via Corriere, è una delle 30 donne sbarcate dalla Lady Sham che racconta: «Quando siamo sbarcati era buio, alcuni di noi hanno cercato di opporre resistenza. E la polizia libica ha iniziato a picchiarci con dei bastoni. Hanno picchiato anche me, anche se non avevo fatto niente».

La donna - di cui non indichiamo il nome e la provenienza per motivi di sicurezza - al momento dello sbarco è incinta di 4 mesi. Ma a causa delle percosse ha perso il suo bambino. «Ora sto sanguinando e credo di avere un aborto spontaneo in corso. Ma nessuno mi sta aiutando. Qui nessuno ci aiuta». La donna, che si è messa in contatto con gli attivisti di Alarm Phone, dice di essere sola, di non aver viaggiato in compagnia di un compagno o di un uomo e di essere ora con altre donne rinchiusa in una stanza.
Un'altra donna con cui abbiamo parlato qualche ora più tardi ci ha confermato che la sua compagna di prigionia ha avuto un aborto. E che nessun medico l'ha visitata. Inoltre ci ha inviato una serie di immagini.

La Lady Sham, mercantile battente bandiera della Sierra Leone, ha soccorso 144 migranti al largo della Libia che sono poi stati trasbordati nella notte tra martedì e mercoledì in Libia. Secondo IOM, 473 migranti sono stati riportati in modo forzoso in Libia e sempre l’agenzia per le migrazioni delle Nazioni Unite ha confermato come i 144 della Lady Sham siano stati portati in un centro di detenzione, dopo una «veloce valutazione» sulle loro condizioni psico fisiche.

«In Libia la situazione è talmente violenta e le violazioni dei diritti umani sono ormai così frequenti che nessun rifugiato o migrante salvato in mare dovrebbe essere riportato in Libia», ha dichiarato Charlie Yaxley, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite. Nei centri di detenzione secondo le denunce raccolte dai media e dalle Ong gli stupri, gli abusi, le violenze e la mancanza di assistenza medica sono all’ordine del giorno.
Secondo Medici Senza Frontiere il numero dipersone nei centri di detenzione dell’area è passato dai 650 all’inizio dell’anno ai 930 attuali. Oltre allo sbarco a Misurata, altre 106 persone sono sbarcate a Khoms da una nave commerciale. Si teme che almeno 6 siano annegate mentre il gruppo tentava la traversata. «Allo sbarco, diverse persone avevano bisogno di cure urgenti e siamo intervenuti per fornire assistenza medica», ha spiegato Julien Raickman, responsabile delle attività di MSF a Misurata, Khoms e Bani Walid. MSF ha organizzato il trasferimento di 10 persone in un ospedale vicino, ma un ragazzo di 15 anni è morto poco dopo il ricovero.

Appello dei medici per l'immediato sbarco dei migranti della Sea Watch



Sosteniamo e diffondiamo l’appello dei medici per salvaguardare la salute delle migranti e dei migranti lasciati in mare

APPELLO PER L’IMMEDIATO SBARCO DEI MIGRANTI DELLA SEA WATCH

Come operatori sanitari, che quotidianamente si prendono cura della salute delle donne e dei bambini, assistiamo attoniti a quanto si svolge al largo di Siracusa, dove alla nave Sea Watch, con 47 migranti tra cui diversi minori a bordo, viene impedito lo sbarco a terra per soccorrere persone in pericolo e costrette all’addiaccio in un mare agitato ed esposte a temperature invernali.
Possiamo solo immaginare, nelle nostre comode e calde abitazioni, il dolore e l’angoscia degli adulti e dei bambini a così grave rischio di serie conseguenze fisiche e psicologiche.
Siamo indignati per l’indifferenza del nostro governo, che riduce questa tragedia umanitaria a mera questione di opportunità politica e a merce di scambio nei confronti degli altri stati europei.
Rivolgiamo un appello innanzitutto alle forze di governo locali, al Sindaco di Trieste Di Piazza e al Presidente della Regione Fedriga perché dichiarino aperti i nostri porti e le nostre strutture per accogliere queste poche decine di migranti e prioritariamente i bambini e i minori.
Chiediamo al Primo Ministro Conte, al Ministro degli Interni Salvini, al Ministro delle Infrastrutture Toninelli di uscire dall’indifferenza e consentire lo sbarco a terra di queste persone.
Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza sanitaria con possibili tragiche conseguenze. Scongiuriamola subito, accogliamo i naufraghi. Ce lo impongono non solo le regole internazionali di assistenza e salvataggio in mare, ma anche il senso morale che deve caratterizzare la società civile, il dovere del pronto soccorso sanitario e infine, ma non ultime, la pietas e la solidarietà che deve caratterizzare ogni essere umano.

Trieste, 26 gennaio 2019

  1. Pierpaolo Brovedani, pediatra , brovedanisardo@libero.it , cell 328 7437144
  2. Franco Colonna, pediatra
  3. Claudio Germani, pediatra
  4. Marco Rabusin, pediatra
  5. Giuseppe Ricci, ginecologo
  6. Francesco Maria Risso, pediatra
  7. Giuseppe Abbracciavento, neuropsichiatra infantile
  8. Anna Agrusti, medico, specializzanda in Pediatria
  9. Stefano Amoroso, medico, specializzando in Pediatria
  10. Stefanny Andrade, medico, specializzanda in Pediatria
  11. Laura Badina, pediatra
  12. Francesco Baldo, medico, specializzando in Pediatria
  13. Elena Battistuz, medico, specializzanda in Pediatria
  14. Maria Bernardon, ginecologa
  15. Martina Bevacqua, medico, specializzanda in Pediatria
  16. Benedetta Bossini, medico, specializzanda in Pediatria
  17. Jenny Bua, pediatra
  18. Giulia Caddeo, medico, specializzanda in Pediatria
  19. Marta Campagna, pediatra
  20. Giorgia Carlone, medico, specializzanda in Pediatria
  21. Adriano Cattaneo, epidemiologo infantile
  22. Gabriele Cont, pediatra
  23. Sarah Contorno, medico, specializzanda in Pediatria
  24. Cristiana Corrado, medico, specializzanda in Pediatria
  25. Francesca Corrias, medico, specializzanda in Pediatria
  26. Luisa Cortellazzo Wiel, medico, specializzanda in Pediatria
  27. Alessandro Daidone, medico, specializzando in Pediatria
  28. Laura De Nardi, medico, specializzanda in Pediatria
  29. Lucia De Zen, pediatra
  30. Irene Del Rizzo, medico, specializzanda in Pediatria
  31. Sara Della Paolera, medico, specializzanda in Pediatria
  32. Giulia Maria Di Marzo, medico, specializzanda in neuropsichiatria infantile
  33. Anna Favia, pediatra
  34. Francesca Galdo, pediatra
  35. Maria Rita Genovese, medico, specializzanda in Pediatria
  36. Rita Giorgi, pediatra
  37. Sara Lega, pediatra
  38. Marta Massaro, pediatra
  39. Giuliana Morabito, pediatra
  40. Giovanna Morini, neuropsichiatra infantile
  41. Laura Morra, medico, specializzanda in Pediatria
  42. Enrico Muzzi, medico ORL pediatrico
  43. Daniela Nisticò, medico, specializzanda in Pediatria
  44. Tarcisio Not, pediatra
  45. Laura Novello, assistente sociale
  46. Paola Pascolo, pediatra
  47. Matteo Pavan, pediatra
  48. Roberto Pillon, medico, specializzando in Pediatria
  49. Stefano Pintaldi, medico, specializzando in Pediatria
  50. Riccardo Pinzan, anestesista pediatrico
  51. Angela Pirrone, pediatra
  52. Federico Poropat, pediatra
  53. Sara Romano, medico, specializzanda in Pediatria
  54. Nicoletta Santangelo, ginecologa
  55. Alessia Giuseppina Servidio, medico, specializzanda in Pediatria
  56. Aldo Skabar, neuropsichiatra infantile
  57. Alice Sorz, ginecologa
  58. Meta Starc, pediatra
  59. Gianluca Tamaro, medico specializzando in Pediatria
  60. Alberto Tommasini, pediatra
  61. Laura Travan, pediatra
  62. Marina Trevisan, pediatra
  63. Andrea Trombetta, medico specializzando in Pediatria
  64. Angelica Velkoski, medico specializzanda in Pediatria
  65. Giulia Ventura, pediatra
  66. Uri Wiesenfeld, ginecologo


No al 41bis per Nadia Lioce – Da Osservatorio Repressione l'appello del MFPR per una manifestazione al Ministero di Giustizia






41bis “Da misura almeno in teoria circoscritta nel tempo, diventa strutturale… (incidendo su tutti gli aspetti della vita quotidiana: da quello delle disponibilità materiali, dal vestiario al cartaceo, a generi alimentari e di conforto o per l’igiene ambientale, o degli oggetti personali; a quello dell’accessibilità all’acquisto di prodotti; a quello della modalità e frequenza di svolgimento delle perquisizioni personali o di  cella… la vita in ogni sua espressione, anche verbale, non deve fuoriuscire dal gruppo di assegnazione (a L’Aquila nella sezione femminile composto da due persone)… non un “buongiorno” può essere scambiato… La parola, ovvero quella facoltà innata del genere umano che storicamente … ne tipicizza la dignità rispetto alle altre specie animali, viene criminalizzata in sé stessa” Dalla dichiarazione di Nadia Lioce al processo dell’Aquila

C’è un accanimento ideologico nella detenzione della Lioce e degli altri prigionieri politici in regime di 41 bis. Si vuole piegare l’individuo non solo con l’ergastolo, ma pure con altre restrizioni, anche per mandare un messaggio all’esterno… Il decreto sicurezza del resto, va nella stessa direzione. Si sta inasprendo tutto in vista di un peggioramento generale delle condizioni sociali…” – Da un’intervista dell’Avv. Caterina Calia

Il 28 settembre a L’Aquila si è concluso, con la sua assoluzione, il processo a Nadia Lioce, per aver turbato la quiete di un carcere che l’ha sepolta viva, ma continua quello contro il regime di tortura del 41 bis, in cui Nadia Lioce è tenuta da circa 15 anni.
Un regime che nega a chi vi è recluso elementari diritti umani e viene utilizzato contro i prigionieri rivoluzionari come rappresaglia per scongiurare la ripresa della lotta rivoluzionaria contro questo sistema capitalistico, in cui la ricchezza di pochi si basa sullo sfruttamento, la miseria, l’attacco ai diritti della maggioranza delle masse.
Oggi il 41 bis verso i prigionieri politici rivoluzionari si sviluppa inoltre nel contesto delle politiche razziste, populiste e fasciste del governo Lega-M5S, dentro la criminalizzazione delle idee di rivolta e come simbolo e monito per chi è fuori dal carcere.
Per questo la battaglia per Nadia Lioce, perché esca fuori dal regime del 41 bis, la battaglia per la liberazione di tutte le prigioniere e i prigionieri politici rivoluzionari è una battaglia che riguarda non solo chi è colpito dal 41bis, dal carcere, ma tutti coloro che lottano, che non accettano che vengano calpestati diritti democratici, umani, la stessa Costituzione, che vogliono un mondo nuovo senza ingiustizie, sfruttamento, oppressione.
Questa battaglia deve continuare ed allargarsi a livello di massa, come parte integrante della necessaria lotta contro la repressione delle lotte sociali, dei lavoratori, dei giovani, delle donne.
Proponiamo a tutte le realtà di lotta contro repressione, carcere, 41 bis, a tutte le persone che hanno solidarizzato in diverse forme con Nadia Lioce e in occasione del suo processo, a tutte le voci democratiche, di partecipare e contribuire a costruire una manifestazione al Ministero della Giustizia, contro i provvedimenti governativi di rafforzamento ed estensione del 41bis e di altre misure restrittive della libertà personale, contro l’inasprimento delle condizioni carcerarie, la repressione, la persecuzione, anche pregiudiziale, verso Nadia Lioce e tutti i prigionieri politici.
Per l’uscita dal 41bis di Nadia Lioce, unica donna, prigioniera politica rivoluzionaria, sottoposta da circa 15 anni al regime duro
Per la difesa delle condizioni di vita di tutti i prigionieri politici rivoluzionari

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
mfpraq@autistici.org (328 7223675)

Leyla Gulem è libera, ma la lotta continua



La deputata HDP Leyla Güven in sciopero della fame, oggi è stata rilasciata a seguito di una decisione del tribunale. Prosegue il suo sciopero della fame contro l’isolamento del rappresentante curdo Abdullah Öcalan anche fuori dal carcere.
La deputata del Partito Democratico dei Popoli (HDP) Leyla Güven si trova da 80 giorni in sciopero della fame. Ieri per decisione del tribunale è stata messa fine alla sua carcerazione preventiva con obbligo di non lasciare il Paese. La deputata è stata accolta all’esterno con entusiasmo. Molte persone hanno gridato “Leyla Güven è il nostro onore” e “Viva la resistenza di Leyla Güven.”
Il carcere di tipo E di Diyarbakır, nel quale era reclusa la deputata in sciopero della fame, la momento del rilascio è stato completamente circondato dalla polizia. La polizia ha fermato tutte le persone che volevano accogliere Leyla Güven. La figlia di Güven, Sabiha Temizkan, ha scritto nei social media: “Aspetto davanti al carcere. Solo i parenti arrivati per le visite e io, abbiamo avuto il permesso di avvicinarci. Il carcere è completamente bloccato. Nemmeno i deputati HDP hanno avuto la possibilità di accogliere mia madre. Accoglierò mia madre da sola.”
La co-Presidente HDP Pervin Buldan, il co-Presidente Berdan Öztürk e molti altri deputati HDP sono rimasti davanti agli sbarramenti e non hanno avuto la possibilità di entrare. Anche alla stampa è stato vietato fare riprese. Pervin Buldan ha valutato positivamente la decisione del tribunale e ha dichiarato che ora Güven verrà portata a casa dove continuerà lo sciopero della fame. È stata portata nella sua abitazione a Bağlar, dove è stato preparato un letto attrezzato.

Ovviamente la liberazione di Leyla Guven non rappresenta la soluzione del problema, resta aperta la lotta per la liberazione di tutti i prigionieri politici per i quali le manifestazioni continuano in diversi paesi europei.

24/01/19

La lettera da Leyla Guven: Basta al fascismo, basta alla dittatura!



La lettera da Leyla Guven: Tutte le donne del mondo devono dire basta al fascismo, basta alla dittatura!

Care donne,
Nonostante le nostre collocazioni geografiche si trovino a migliaia di miglia di distanza, sono felice che abbiate sentito la mia voce. Anche se veniamo da diversi angoli del mondo, come donne, abbiamo sempre avuto sentimenti reciproci. Come dice Ipazia, “nessuna di noi ha lo stesso aspetto, ma le cose che ci uniscono sono più grandi di quelle che ci dividono”. Siamo tutte sorelle. La cosa che ci unisce di più è la nostra lotta per la libertà, la nostra resistenza contro ogni tipo di fascismo, dittatura e la mentalità patriarcale.
Le donne che resistono e lottano, diventano sempre dei simboli – Clara Zetkin, Rosa Luxemburg, le sorelle Mirabal, Sakine Cansiz, Leyla Qasim e molte altre donne sono diventate simboli attraverso la loro lotta. Come donne, siamo metà della popolazione mondiale. Ma siamo tutte oppresse. Quando iniziamo a lottare per i nostri diritti, veniamo bollate come terroriste.
Tutte le donne del mondo devono dire basta al fascismo, basta alla dittatura!
L’uccisione delle donne attraverso la violenza domestica, le circoncisioni femminili, i matrimoni infantili, le donne condannate a morte nelle carceri dell’Iran – Zeynep Celalyan è una di loro – le donne curde alle quali è stata vietata perfino la loro lingua madre, le donne arabe che sono fuggite dalla guerra, tutte denunciano il femminicidio. Come donne che sono pronte a morire, noi possiamo fermare questo femminicidio attraverso le nostre lotte. Fintanto che siamo determinate nella nostra lotta.
Care sorelle,
Io sono una donna curda. La consapevolezza dell’ingiustizia contro le donne si è sviluppata grazie ad A. Öcalan. È attraverso l’importanza che Öcalan ha dato nella lotta alla libertà e alla solidarietà delle donne, milioni di donne hanno sviluppato una grande forza di volontà. Le donne hanno vissuto un risveglio. E io sono una di queste donne. Ho imparato a vivere in pace con il mio genere, a lottare contro la mentalità patriarcale, e ho imparato a essere femminista. Imparando da Öcalan che una società sarà libera solo quando saranno libere le donne, ho condotto una lotta per la libertà elle donne per molti anni e continuerò a farlo.
Öcalan, al quale devo il mio risveglio, è stato chiuso in una cella di isolamento per gli ultimi 20 anni. Per chiedere la fine dell’isolamento di Öcalan, che milioni di curdi considerano espressione della loro volontà politica, ho iniziato uno sciopero della fame. Öcalan è un attore importante negli sforzi per creare la pace in Medio Oriente e nel mondo. Come prigioniero, in violazione sia delle leggi nazionali sia di quelle internazionali, gli vengono vengono negati tutti i suoi diritti e le sue libertà.
Per chiedere che questi diritti vengano riconosciuti, noi come politiche e politici curdi del Partito Democratico dei Popoli (HDP) e del Congresso della Società Democratica (DTK), abbiamo chiesto la fine dell’isolamento. Abbiamo detto che un simile isolamento è un crimine contro i diritti umani. Tuttavia, per ridurci al silenzio, il fascismo dell’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) e MHP (Partito del Movimento Nazionalista) ci ha chiusi in carcere. Mirano in particolare alle donne. Più di metà dei deputati in carcere sono donne. Lo stesso vale per i sindaci delle città che sono stati messi in carcere. La mentalità che non accetta la quota di donne in politica, ha messo in atto una politica della quota del 60-70% di donne in carcere.
Io sono in carcere da circa un anno. Un prigioniero non ha nient’altro che il proprio corpo. Così ho iniziato questo sciopero della fame. Ora, insieme a me nelle carceri in tutto il Paese, 230 anche e amici, prigioniere e prigionieri come me, hanno iniziato uno sciopero della fame irreversibile a tempo indeterminato. C’è una bella citazione di Hannah Arendt: “Libertà significa azione. Perché la libertà può essere ottenuta solo attraverso l’azione. L’azione manda avanti il movimento che risuona tra la gente”. Le richieste della mia azione sono legittime e giuste. Se le nostre richieste non avranno risposta, centinaia di persone potranno perdere la vita. Se questo dovesse succedere nel 21° secolo, non sarà solo una vergogna per la Turchia, ma una vergogna per l’umanità intera. Perché il mondo non si debba confrontare con una simile vergogna, le donne del mondo devono fare qualsiasi cosa sia loro possibile. E senza perdere altro tempo. Noi continueremo a resistere. Le resistenza ci aiuterà a vincere. La nostra fede in questo è infinita. Riguardo a questo – invito tutte voi a resistere.
Viva la solidarietà tra i popoli e tra le donne.
Leyla Güven

Dalle prigioniere politiche indiane



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LE PRIGIONIERE POLITICHE VENGONO TORTURATE NELLE PRIGIONI DELL’INDIA – ‘LA SOCIETÀ DETERMINA CHE LA CRIMINALITÀ È MASCHILE PER NATURA'
NUOVA DELHI: Nella sala di 250 metri quadrati del Constitution Club di Rafi Marg, un gruppo di 15 donne prigioniere politiche, sostenute da ricercatori, docenti e avvocati, ha parlato apertamente contro le condizioni disumane subite dalle donne prigioniere nelle carceri indiane.
La sala era piena di un'aria di risolutezza, e proprio così è stata l'audizione pubblica del 18 gennaio: essere risoluti in opposizione all’ingiusto trattamento da parte dello stato delle donne prigioniere, in particolare delle prigioniere politiche.
Negli ultimi 15 anni le prigioni in India hanno registrato un aumento del 61% delle donne detenute. Ma costituiscono solo il 4,3% della popolazione carceraria nazionale, quindi non vengono spesso sollevate preoccupazioni specifiche sul loro trattamento disumano.
Le donne nelle prigioni dello stato indiano sono soggette a torture, stupri, rifiuto di servizi sanitari e mancanza di acqua pulita e cibo. Le prigioni statali spesso non rispettano i diritti di queste detenute, secondo coloro che hanno parlato nella riunione.
La società impone che la criminalità sia di natura maschile, hanno detto gli oratori, quindi il pensiero è che ogni donna che osa avventurarsi nel centro maschile della criminalità merita di essere trattata brutalmente.
La maggior parte delle donne prigioniere in India proviene da Adivasi, Dalit e da altre comunità emarginate. La loro arretratezza sociale ed economica le rende vulnerabili perché si ritrovano ad essere incapaci di difendersi legalmente e finanziariamente.
Soni Sori, del Chhattisgarh, un’attivista per i diritti, sostiene che molte prigioniere politiche finiscono per diventare Naxalite a causa del trattamento disumano che i funzionari dello stato hanno loro riservato. La stessa Sori fu torturata in maniera infame nelle prigioni di Chhattisgarh in molti modi.
"I nostri corpi vengono violentati dalla polizia e perciò non siamo più accettate dal villaggio. Non abbiamo altra scelta se non quella di unirci ai naxaliti", ha detto Sori. Ha sostenuto che "la polizia pensa ai corpi femminili come a qualcosa su cui hanno piena autorità. Siamo qui per cambiare tutto questo."
Alle donne prigioniere si davano spesso 15-16 compresse di medicinali ogni giorno, secondo Sori, per renderle allucinate. E ogni volta che cercavano di parlare con le autorità carcerarie venivano schiaffeggiate e gli veniva detto di chiudere la bocca.
"Il 15 agosto eravamo tutte contente che avremmo ricevuto del buon cibo. Ma la carceriera è venuta a dirci che non ci meritavamo nulla e ci ha versato tre secchi d'acqua fredda addosso", ricorda Sori.
Secondo la legge, le accuse richiedono un'indagine e un controllo giudiziario, non solo la detenzione. Ma, solo un piccolo frammento di confessioni da parte di prigionieri provenienti da ambienti socialmente o economicamente sfavoriti raggiunge i tribunali distrettuali.
Quelli che lo fanno sono pesantemente manipolati, come ha sottolineato l'avvocato Vrinda Grover all'udienza. "La distorsione dei fatti da parte dei tribunali distrettuali è una grande preoccupazione. Mostra chiaramente quanto sia debole lo stato di diritto a livello di campagne o distretto. Il sistema è costruito in modo tale che le persone abbandonino la ricerca della giustizia".
Gli attivisti presenti erano critici nei confronti della polizia e dello stato in generale per aver usato la legge penale come strumento per incarcerare ingiustamente donne innocenti che protestavano.
Molti hanno sostenuto che le carceri in India sono diventate un luogo di detenzione politico, in cui alle donne non viene concessa la libertà su cauzione, o addirittura viene impedito di partecipare ai loro stessi processi presso i tribunali distrettuali.
All'interno della prigione, le guardie donne erano estremamente brutali nei confronti delle prigioniere. Una prigioniera ha raccontato: "Eravamo costrette a bere l'acqua della toilette e siamo state costantemente umiliate dalle guardie che spesso ci etichettano come 'randi' (prostitute) dicendo che siamo una disgrazia per il nome delle donne ovunque".
Questa situazione deplorevole non è limitata ai soli prigionieri, hanno osservato i partecipanti. L'impatto è di vasta portata, nella misura in cui i loro familiari vengono coinvolti.
Un prigioniero politico ha dichiarato che a sua figlia è stato chiesto di lasciare la scuola perché sua madre era un'attivista. Il marito di un’altra è stato costantemente ricattato e minacciato mentre era in prigione.
"Molti di questi atti viscidi sono eseguiti dallo stato stesso, per fermare e intaccare le nostre speranze. Ma ciò non succederà. Il nostro obiettivo è che le donne che stanno andando in prigione siano mantenute in condizioni migliori di quelle che avevamo noi. Non ci fermeremo se non dopo questo", ha detto un partecipante.
Le prigioni sono scoraggianti anche per gli uomini adulti - ma, la condizione delle donne prigioniere in India richiede un cambiamento urgente perché è molto peggio. Nonostante le disposizioni legali e i diritti fondamentali dati a tutti dalla nostra Costituzione, questi “bandinis” (prigionieri, richiusi) sono costretti a vivere in condizioni patetiche.
Lo storico Uma Chakravarti, un altro giurista presente, ha dichiarato: "Il popolo sta lottando per zameen e zameer (terra e anima). Le condizioni della prigione sono miserevoli. Non possiamo lasciare tutto questo ai gruppi per i diritti civili – deve invece raggiungere la sfera pubblica. Deve essere un movimento molto più grande."
Chakravarti ha concluso il suo discorso cantando "Nyay Chahiye, Unyay Nahi" (Vogliamo giustizia, non ingiustizia), che ha riassunto l'intero evento. Le donne nelle carceri hanno diritti, ed è dovere dello stato garantire questi diritti e assicurare giustizia a queste prigioniere.