Da Infoaut
Il 3 gennaio la Digos di Torino
ha notificato la richiesta della sorveglianza speciale per due anni con divieto
di dimora da Torino, avanzata dalla procura di Torino contro chi ha sostenuto
la rivoluzione del Rojava.
I
destinatari di questa misura sono Eddi, Paolo, Jak, Davide e Jacopo, cinque
giovani che a vario titolo negli ultimi due anni hanno sostenuto sul campo gli
sforzi delle popolazioni della Siria del Nord in difesa della rivoluzione
confederale contro l’aggressione dello Stato Islamico. La sorveglianza speciale
è una misura di controllo invasivo che impone, dopo il pronunciamento di un
giudice, il divieto di allontanarsi dall’abitazione nella quale si viene
domiciliati e l’obbligo di presentarsi alle autorità di sorveglianza nei giorni
stabiliti e ogni qualvolta venga richiesto. Una misura fortemente lesiva della
libertà personale, derivata dal codice Rocco fascista ma più volte confermata
peggiorativamente, e che può essere rinnovata dal tribunale che la impone.
La
richiesta, avanzata dal Pubblico Ministero Emanuela Pedrotta, specializzata
nella sistematica persecuzione della lotta No Tav e dei militanti politici
torinesi, parte dall’ipotesi della pericolosità sociale dei cinque i quali,
unendosi alle YPG e alle YPJ, le unità di protezione popolare impegnate nella
lotta contro ISIS, avrebbero imparato l’uso delle armi. Una ricostruzione al
tempo stesso sommaria e lapalissiana. Se da un lato è scontato che in una zona
di guerra sia necessario difendere la popolazione civile con tutti i mezzi
dalle formazioni terroristiche esattamente come fanno le YPG e le YPJ con
un’ovvia funzione di protezione e non di pericolosità sociale è anche vero,
come testimoniato dalle svariate corrispondenze e testimonianze degli stessi
cinque, che non tutti si sono uniti alle formazioni militari e popolari ma
hanno contribuito alla difesa del Rojava anche sostenendo e partecipando alle
strutture civili della Federazione della Siria del Nord. Una generalizzazione
pericolosa che sembra minare il diritto e dovere di cronaca di quanti
raggiungono e vivono la realtà complessa delle zone di guerra, soprattutto in
uno scenario altamente mistificato nei media occidentali come quello del
conflitto siriano. Su questo portale abbiamo infatti con piacere ospitato le
corrispondenze di alcuni dei cinque sull’andamento della resistenza popolare
alle bande jihadiste nelle città di Afrin o Manbij. Un contributo meritorio,
pressoché assente nel panorama informativo di questo paese, e che, come ripete
in queste ore uno dei destinatari della richiesta della procura, “rifarei altre
cento volte”.
Per
il 23 gennaio alle ore 10 è stata fissata l’udienza della richiesta avanza dalla
procura di Torino. Seguiranno aggiornamenti sulle mobilitazioni che si terranno
da qui al 23 gennaio contro questo attacco e intimidazione che vorrebbe colpire
chi lotta e sostiene la libertà delle popolazioni contro la tirannia dello
Stato Islamico.
Solidarietà
ai cinque, Biji YPG, Biji YPJ
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