Da
Contropiano
Ayten Oztürk è una giornalista e
rivoluzionaria turca che ha vissuto in Libano in esilio e che era ricercata in
Turchia con una taglia di 600.000 sterline a causa della presunta adesione al
DHKP-C*. Mentre stava per andare in Grecia, alla fine di marzo 2018, Ayten
é stata fermata all’aeroporto di Beirut dalle autorità libanesi e, poco più
tardi, senza il rispetto di alcuna procedura giuridica, è stata espulsa e
consegnata ad unità speciali turche(una sorta di Gladio turca) che hanno
condotto Ayten con gli occhi bendati in un luogo sconosciuto.
Per 6 mesi le hanno inferto scariche
elettriche in vari punti del corpo, come ad esempio i capezzoli; l’hanno
colpita con fruste e bastoni sulle gambe e sulle piante dei piedi; è stata
sottoposta a waterboarding
(forma di tortura che simula l’annegamento) e le hanno infilato delle lamette
sotto le unghie. Ad intervalli regolari, Ayten è stata curata da un medico per
poi poter continuare a sottoporla alle torture.
Oltre alla tortura fisica, Ayten è stata
torturata anche psicologicamente quando le hanno detto che nessuno si
preoccupava e domandava di lei e che tutti pensavano che fosse morta. Ayten
Oztürk è stata tenuta ammanettata per settimane ed è stata anche molestata
sessualmente e minacciata di stupro più volte. Per 6 mesi, Ayten è stata
torturata in modo crudele. In prigione le hanno causato, torturandola, ben 868
ferite! Ma i torturatori fascisti, tutti uomini, non sono riusciti ad ottenere
da parte di Ayten nessuna dichiarazione che tradisse i suoi compagni.
Ayten ha raccontato in una lettera i suoi 6
mesi nelle camere di tortura della Gladio Turca:
“LA LIBERTÀ NON SI RICHIEDE. SI VINCE RESISTENDO A TUTTI I COSTI”
Caro F.,
Ciao! Lo scorso mese ho ricevuto la tua
cartolina e i tuoi cari saluti. Veramente tante grazie. Anche i saluti sono un
balsamo per le mie ferite, una forza per il mio cuore. Spero la tua salute sia
buona.
Io mi sento molto meglio. I miei trattamenti
continuano. Ora faccio uso di alcuni medicinali; ma l’amore dei miei compagni,
più delle medicine, mi stanno facendo guarire in fretta. Non ci sono novità per
quanto riguarda gli sviluppi legali del mio processo. Sono in carcere senza
motivo. Sono sicura che tu ti stia chiedendo che cosa mi sia accaduto fin
dall’inizio. Lasciami spiegare da chi e come sono stata detenuta.
L’8 marzo 2018 la polizia libanese mi ha
preso in custodia nell’aeroporto di Beirut e portata nel dipartimento di
polizia. Qui, sono stata trattenuta per una settimana. Sebbene io abbia detto
alla polizia libanese di essere una rivoluzionaria, e che stavo portando avanti
una battaglia anti-imperialista, loro hanno riferito le informazioni al
Consolato turco. Una persona dal Consolato turco è venuta e mi ha detto che
avrebbe voluto incontrarmi. Hanno cercato di avere informazioni su di me dalla
Polizia libanese.
Il 13 marzo i poliziotti libanesi mi hanno
preso, ammanettato e bendato. Quando chiesi dove mi stavano portando, mi
risposero: “In un posto migliore”. Poi fui fatta salire su un’automobile. Dopo
circa mezz’ora di strada, mi hanno fatto scendere dalla macchina e mi hanno
tolto le bende dagli occhi. Ho realizzato di essere in un lato tranquillo
dell’aeroporto. Non c’erano persone civili. Persone che non potei vedere in
volto, mi coprirono nuovamente gli occhi e mi misero un sacco in testa.
Mi ammanettarono le mani dietro la schiena.
Mi abbassarono forzatamente la testa e mi spinsero dentro l’aereo, come se
fossero in ritardo. Sull’aereo udii una voce che parlava in lingua turca. Non
dissero chi erano o dove mi stavano portando. Ipotizzai di essere stata rapita
e di star andando in Turchia e i miei sospetti si rivelarono corretti.
Arrivai in Turchia dal Libano dopo circa un’ora di viaggio. Quando fui fatta scendere dall’aereo, iniziai ad urlare “La dignità umana vincerà sulla tortura!”. A seguito di questo mi tapparono la bocca con le loro mani. Dato che i miei occhi erano chiusi non potei vedere che aspetto avesse il centro di tortura.
Appena entrai mi tolsero i vestiti molto velocemente e mi gettarono in una stanza insonorizzata.
Arrivai in Turchia dal Libano dopo circa un’ora di viaggio. Quando fui fatta scendere dall’aereo, iniziai ad urlare “La dignità umana vincerà sulla tortura!”. A seguito di questo mi tapparono la bocca con le loro mani. Dato che i miei occhi erano chiusi non potei vedere che aspetto avesse il centro di tortura.
Appena entrai mi tolsero i vestiti molto velocemente e mi gettarono in una stanza insonorizzata.
Circa un mese dopo, iniziarono a togliermi
le bende dagli occhi all’interno della cella. Prima i miei occhi erano sempre
stati bendati e le mie mani ammanettate. Quando aprii gli occhi vidi il posto
in cui ero. La cella era grande circa 1,5 x 2 m. Le pareti erano rivestite da un tappeto
grigio. Il pavimento era un po’ soffice. Inseguito il pavimento sembrò più duro
dato che vi ero seduta 24 ore al giorno. L’interno della cella era monitorato
con una telecamera 24 ore al giorno. C’erano due pareti opposte con la
ventilazione. Il buco per l’areazione della stanza era rotondo e largo come un
piatto.
Qui per sei mesi sono stata soggetta a
torture fisiche e psicologiche. Per lungo tempo nella cella sono rimasta con le
mani legate dietro la schiena, un sacco sulla testa e una benda sugli occhi.
Per questo non potevo respirare agilmente e avevo difficoltà a muovere le
braccia. Iniziai lo sciopero della fame sin da quando fui fermata in Libano l’8
marzo. Cercarono di far rompere la mia resistenza dandomi pochissimi liquidi o
affatto. Mi legarono le braccia e le gambe per iniettarmi del siero in modo
forzato.
Dato che continuavo lo sciopero della fame
oltre al siero che mi iniettavano, iniziarono a mettere nella mia cella del
cibo succulento e profumato. Dopo il secondo mese di sciopero della fame mi
portarono nella stanza delle torture con la benda sugli occhi e le mani legate.
Dalla distanza della mia cella a quella delle torture, capii che questo posto
era stato realizzato appositamente come centro per le torture fisiche e
psicologiche. Durante le giornate di tortura psicologica continuavano a dirmi:
“Qui non c’è onore, decenza, dignità. Queste cose rimangono fuori. Se non parli
con noi, non potrai uscire. Questo Stato ha mandato un aeroplano per venirti a
prendere…”. Ma poi hanno iniziato a torturarmi fisicamente affinché io
riiniziassi a mangiare in modo forzato. Mi spalancarono le braccia da parte a
parte e le ammanettarono a degli anelli di ferro sul muro.
Subito dopo, mentre qualcuno stava erogando
elettricità con un dispositivo, un altro cercava di farmi mangiare con percosse
e improperi, e di farmi bere liquidi nutrienti. Proseguirono con queste torture
per giorni. Mentre praticavano queste sevizie, continuavano a ripetermi:
“Questo posto non è come tutti gli altri. Questo è l’inferno profondo. Non
uscirai più di qui”. Capii che mi trovavo al centro della contro-guerriglia. Il
loro scopo era disonorarmi facendomi parlare, per farmi prendere le distanze
dalla mia identità rivoluzionaria e dai miei valori.
Dissi che non importava cosa avessero fatto di me, io comunque non avrei mai parlato, e dopo un po’ iniziarono a torturarmi fisicamente. Spogliandomi e appendendomi mi dissero: “Parlerai?”, risposi “No” e iniziarono a darmi scariche elettriche in vari punti del corpo. Mi torturarono in questo modo per circa venti giorni consecutivi. Oltre alle scosse elettriche che mi davano facendo pressione su varie parti del mio corpo con un dispositivo, un nastro metallico elettrificato mi avvolgeva i mignoli e le dita dei piedi. Questo faceva sussultare tutto il mio corpo.
Dissi che non importava cosa avessero fatto di me, io comunque non avrei mai parlato, e dopo un po’ iniziarono a torturarmi fisicamente. Spogliandomi e appendendomi mi dissero: “Parlerai?”, risposi “No” e iniziarono a darmi scariche elettriche in vari punti del corpo. Mi torturarono in questo modo per circa venti giorni consecutivi. Oltre alle scosse elettriche che mi davano facendo pressione su varie parti del mio corpo con un dispositivo, un nastro metallico elettrificato mi avvolgeva i mignoli e le dita dei piedi. Questo faceva sussultare tutto il mio corpo.
Mentre subivo queste torture, mi prendevano
per i capelli e mi sbattevano la testa contro il muro. Erano soliti dire:
“Rimuovi questi pensieri dalla tua testa. Caccia fuori tutto ciò che ti sta
motivando! Per chi, per cosa stai opponendo resistenza? Morirai e te ne andrai
da qui. Nessuno ti sentirà, nessuno si prenderà cura di te. Nessuno sa che sei
qui. Qui abbiamo solo Dio e noi stessi. Qualunque cosa diciamo accade. L’unico
modo per uscire di qui è non esserci mai entrato”.
Cercavano di tenermi in piedi per tutto il tempo, eccetto durante le sessioni delle torture fisiche. Mi tenevano in piedi in cella e in una bara per ore. Pertanto, si sono verificati gravi gonfiori ed edemi ai piedi e alle gambe. Le torture fisiche venivano fatte per lo più di notte. Posso ipotizzare dopo le 22.
Cercavano di tenermi in piedi per tutto il tempo, eccetto durante le sessioni delle torture fisiche. Mi tenevano in piedi in cella e in una bara per ore. Pertanto, si sono verificati gravi gonfiori ed edemi ai piedi e alle gambe. Le torture fisiche venivano fatte per lo più di notte. Posso ipotizzare dopo le 22.
Sono riuscita a fare una stima delle ore e
dei giorni seguendo i ritmi dal mio arrivo in quel centro di detenzione. La
porta della cella era aperta solo in certi orari: tre volte al giorno per
andare in bagno. Ecco come ho potuto stimare gli orari. Inoltre potevo
immaginarlo dai rumori provenienti dal soffitto che ero sicura erano durante le
ore di ufficio. Stavano usando molti metodi differenti di tortura per evitare
di farmi pensare correttamente, per demoralizzarmi, per creare un senso di
nulla e di solitudine.
Per esempio: erano soliti erogare nella
cella aria molto fredda o molto calda per ore. Durante la notte cercavano di
farmi dormire di meno, cercavano di farmi stancare. “Non sei stanca? Dicci che
sei stanca, dicci che vuoi tornare nella tua cella e ti porteremo in cella”. A
volte mi torturavano per sentirmi pronunciare il mio nome o per sentirmi dire
che ero stanca. Mi frustavano, battevano e martellavano le gambe gonfie, le
colpivano con manganelli. Mi frustavano anche le piante dei piedi. Mi
sospendevano nell’aria tenendo saldamente i miei capezzoli.
Mi tormentavano con un manganello, un
bastone e le loro dita per diversi minuti. Mi minacciarono anche di stupro.
Mi minacciavano di togliermi le unghie con un taglierino a forma di ago. Per questo motivo, tre delle mie unghie hanno sviluppato ecchimosi e putrefazione. Hanno usato delle pinze sulle dita dei piedi, minacciandomi: “Vuoi che ti tagliamo le dita dei piedi o hai intenzione di parlare?” Stavano cercando di annegarmi spruzzando acqua pressurizzata sulla mia testa coperta da un sacco. Tenevano un riflettore puntato sui miei occhi per diversi minuti.
Mi minacciavano di togliermi le unghie con un taglierino a forma di ago. Per questo motivo, tre delle mie unghie hanno sviluppato ecchimosi e putrefazione. Hanno usato delle pinze sulle dita dei piedi, minacciandomi: “Vuoi che ti tagliamo le dita dei piedi o hai intenzione di parlare?” Stavano cercando di annegarmi spruzzando acqua pressurizzata sulla mia testa coperta da un sacco. Tenevano un riflettore puntato sui miei occhi per diversi minuti.
Di tanto in tanto aprivano i miei occhi cercando
di convincermi a collaborare. Alcuni di loro avevano vestiti neri e
passamontagna. Potevo solo vedere i loro occhi. Durante le torture erano da due
a cinque persone. Ma avrebbero potuto essere di più. Erano divisi n due gruppi
differenti, quelli che prendevano parte alle torture psicologiche e quelli che
mi imponevano torture fisiche. Durante le torture verbali, ovvero quelle
psicologiche, chiamavano “fratelli” coloro che erano “i miei responsabili”
(coloro che si occupavano delle mie torture). Quelli che chiamavano “fratelli”
stavano giocando un “buon” ruolo. Cercavano di obbligarmi a collaborare
dicendomi che se avessero fatto venire le persone che chiamavano “fratelli”, le
torture sarebbero finite. Quando continuavo a dire “Non parlerò mai” loro rispondevano
“Allora le torture continueranno”. Mi mettevano a testa in giù per un po’.
Cercavano di drogarmi. Mi iniettavano delle sostanze, ma non avevano nessun
effetto su di me.
Mi schiaffeggiavano per diversi minuti,
causandomi gonfiori al viso e il sanguinamento del naso. A seguito di queste
percosse e schiaffi avevo problemi di equilibrio per giorni. Soffrivo di
vertigini e avevo dolori in tutto il corpo. Mi dicevano: “Non vorrai fare la
fine della tua famiglia. Loro non appenderanno mai la tua foto tra quelle dei
martiri”. Continuavano dicendo: “La tua resistenza non ha senso” e poi “Nessuno
ti sta cercando, i tuoi amici hanno smesso di farlo perché tu non sei più in
circolazione da troppo tempo. Abbiamo poteri illimitati qui. Non ci sono limiti
di tempo qui. Ti terremo fino a quando vogliamo. Non puoi uscire da qui. Non ti
uccideremo; ma faremo in modo che la morte si ripeta ogni giorno. Ti
tortureremo per un po’, poi smetteremo, poi ti metteremo sotto trattamento, poi
ricomiceremo con la tortura. Passo dopo passo, con metodi differenti e
aumentando le sofferenze. Continueremo le torture. Se necessario abbiamo anche
gli strumenti per fare il trapianto di organi…”.
Da quando ho iniziato a capire che il
soggiorno lì dentro sarebbe stato abbastanza lungo, iniziai a organizzarmi
mentalmente con una scaletta giornaliera e dandomi delle regole. Ho impostato
le mie scadenze giornaliere in base all’apertura e alla chiusura della porta.
Programmavo cosa pensare e cosa fare. Ho cercato di rompere l’isolamento nel quale
mi avevano messo. I martiri, i prigionieri e tutti i miei amori erano con me.
Ho tratto la mia forza da loro. In ogni momento i miei martiri Ahmet (mio
fratello), Hamide (mia sorella) e Gülseren (mia cognata) erano con me. Erano
nella mia testa e nel mio cuore.
Sebbene mi minacciassero di tenere la bocca chiusa, io urlavo slogan e cantavo marce da dentro la cella. I miei slogan erano “La dignità umana prenderà il sopravvento contro la tortura” “Morirò piuttosto di parlare” “Fino alla fine, fino al mio ultimo respiro” “Benvenuta morte, lunga vita alla vittoria” “Vincerò!”
Sebbene mi minacciassero di tenere la bocca chiusa, io urlavo slogan e cantavo marce da dentro la cella. I miei slogan erano “La dignità umana prenderà il sopravvento contro la tortura” “Morirò piuttosto di parlare” “Fino alla fine, fino al mio ultimo respiro” “Benvenuta morte, lunga vita alla vittoria” “Vincerò!”
Urlavo questi slogan tutti i giorni nelle
ore che avevo stabilito, e cantavo tutte le canzoni di Grup Yorum che
conoscevo. A volte cantavo canzoni popolari.
Cercavo di tenere la mia memoria viva con dei giochi di parole. Cercavo di ricordare i titoli dei libri che avevo letto, i contenuti, e i film che avevo visto. Ognuno di loro mi dava la forza. Ogni giorno commemoravo tre martiri. Iniziai con quelli che conoscevo personalmente e poi continuai con coloro dei quali conoscevo il nome. Avevo una pietra angolare delle menzogne e delle minacce che i torturatori dicevano: “Pensa e fa l’opposto di ciò che i nemici dicono”, “Conosci te stesso, identifica i nemici e diventa invincibile”, “La libertà non si richiede, si vince resistendo a tutti i costi”.
Cercavo di tenere la mia memoria viva con dei giochi di parole. Cercavo di ricordare i titoli dei libri che avevo letto, i contenuti, e i film che avevo visto. Ognuno di loro mi dava la forza. Ogni giorno commemoravo tre martiri. Iniziai con quelli che conoscevo personalmente e poi continuai con coloro dei quali conoscevo il nome. Avevo una pietra angolare delle menzogne e delle minacce che i torturatori dicevano: “Pensa e fa l’opposto di ciò che i nemici dicono”, “Conosci te stesso, identifica i nemici e diventa invincibile”, “La libertà non si richiede, si vince resistendo a tutti i costi”.
Volevano che io chiedessi loro qualcosa.
Quando dicevo che non avevo nessuna richiesta, loro mi dicevano: “Non vuoi
neppure richiedere la tua libertà?” Lo sapevo che in questo modo avrebbero chiesto
qualcosa in cambio da me se avessi esposto le mie necessità. Volevano
denigrarmi, disumanizzarmi. “Preferisco morire con la mia dignità piuttosto che
vivere senza di essa”. Non stavo abbandonando il pensiero scientifico, l’idea
materialista dialettica 4 + 3. Non conoscevo la paura: era una sensazione che
cresceva dalle tenebre. Ma per me, coloro che praticavano la tortura non erano
noti. Storicamente, tutti i poteri ingiusti e deboli, tutti i persecutori,
torturatori vogliono distruggere ciò che non è loro. E coloro che resistono
alle persecuzioni sono sempre vincitori.
In un angolo della mia mente mi dicevo: “La
paura è sconfitta dalla conoscenza e dal coraggio, il valore superiore morale e
politico è potere ideologico”. E stavo applicando questo potere non parlando.
Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa al mio corpo, ma non avrebbero mai
scalfito la mia anima e il mio cervello. Niente può sopraffare un’ideologia che
ha vinto la morte. Stavo sperando di morire lì dentro.
Se fossi morta lì dentro avrei certamente
vinto la mia guerra. Perché non avrei dato nessuna risposta alle loro domande.
Penso di essere stata torturata per venti giorni di seguito dalla fine di
luglio fino a metà agosto. Un giorno mi aprirono gli occhi nel centro di
tortura, “Ti daremo uno specchio, guarda il tuo viso, ma non spaventarti” mi
dissero. Tutti i lati della mia faccia, intorno agli occhi, sulla fronte, erano
neri di lividi, io non mi sono spaventata! Loro erano spaventati. Loro erano
troppo spaventati per mostrarsi a volto scoperto.
In quell’occasione vidi che c’erano ferite e
contusioni su tutto il mio corpo. Cercarono di curarmi quando iniziarono a
vedere che le cose andavano sempre peggio. Mi spalmarono dei sieri e delle
creme per tutto il corpo. Immagino che il trattamento durò per circa venti,
venticinque giorni. Ma persino durante le torture continuarono ad applicare
creme sui lividi.
Il torturatore che chiamavano “Dottore” era anche lui a volto coperto. Mi hanno torturato in un posto come una “Baia Malata”. Mi hanno detto che avrebbero iniziato la seconda sessione di torture dopo il trattamento medico e che sarebbe stato più duro. E ogni giorno avevano la stessa risposta da me: “Non parlerò!”
Il torturatore che chiamavano “Dottore” era anche lui a volto coperto. Mi hanno torturato in un posto come una “Baia Malata”. Mi hanno detto che avrebbero iniziato la seconda sessione di torture dopo il trattamento medico e che sarebbe stato più duro. E ogni giorno avevano la stessa risposta da me: “Non parlerò!”
Mi dicevano: “Vediamo quanto una
rivoluzionaria come te riuscirà a tenere duro”. Poi mi offrivano apertamente di
cooperare: “Tutto il denaro che vuoi, il diritto a vivere con chi vuoi, una
nuova identità…” Dopo la tortura mi chiedevano di aprire un dialogo. Quando
realizzarono che non avrebbero ottenuto nessun risultato, una delle persone che
chiamavano “fratello” disse che il mio tempo era scaduto e che mi avrebbero
mandato in prigione. Questo fu esattamente ciò che disse: “Non pensare qualcosa
di diverso. Ti stiamo dando in mano alla giustizia. Marcirai in prigione.” Poi
mi bendarono e mi legarono le mani dietro con uno spago di plastica e fui messa
in macchina.
Dopo circa un ora di strada, mi lasciarono
in un campo, aprii i miei occhi e mi sciolsero i polsi molto velocemente, poi
scapparono con la macchina in fretta. Dopo 2-3 secondi la polizia TEM di Ankara
mi prese dicendo: “C’è un avviso di cattura su di te”. Dopo quattro giorni di
fermo, fui incarcerata e portata nella prigione femminile di Sincan.
Quando abbiamo ragionato sul perché il governo libanese mi ha consegnato e perché sono stata torturata per sei mesi in un luogo “non ufficiale”, anche conosciuto come centro di contro-guerriglia, siamo arrivati alle seguenti conclusioni:
Quando abbiamo ragionato sul perché il governo libanese mi ha consegnato e perché sono stata torturata per sei mesi in un luogo “non ufficiale”, anche conosciuto come centro di contro-guerriglia, siamo arrivati alle seguenti conclusioni:
Il Libano è un servo dell’imperialismo e
dell’AKP. Uno Stato che è sottomesso alla polizia del medio-oriente dell’AKP.
Penso che non sappiano molto della storia rivoluzionaria e dei rivoluzionari
turchi. Non è ancora chiaro il motivo per il quale mi abbiano consegnato al
governo turco e cosa abbiano ottenuto in cambio. Ma il governo libanese ha
commesso un crimine storico molto serio cedendomi al fascismo turco e
lasciandomi torturare per sei mesi. Il governo libanese deve immediatamente
confessare i suoi crimini e abbandonare la cooperazione!
Sono stata torturata per sei mesi dal centro
di contro-guerriglia e l’obbiettivo era di creare paura tra il popolo e tra
l’opposizione di rivoluzionari-democratici. Volevano testare la forza dei
rivoluzionari, lanciando il messaggio “Noi possiamo prendere i rivoluzionari
ovunque nel mondo” e mostrare il loro potere.
In ogni caso, niente può distruggere la
comunità rivoluzionaria in patria e neppure l’amore tra compagni. È un dovere
la rivoluzione in un paese come il nostro. È anche un dovere naturale resistere
alle torture del fascismo, che costantemente attaccano il popolo e i
rivoluzionari, perché non sono capaci di gestirci. Chiunque decida di resistere
finirà per trovare le proprie motivazioni sotto tortura. I codardi sono
torturatori impotenti e indifesi. Coloro che volevano creare disperazione
nell’opinione pubblica e nei rivoluzionari sono stati accolti dal desiderio di
odio e giustizia. Non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi!
Poiché noi traiamo la nostra forza da una
base ideologica solida e dalla nostra storica rettitudine. Sei mesi dopo,
quando fui imprigionata e riunita ai miei amici, è come se fossi nata a nuova
vita. Dissi: “Abbiamo vinto ancora!”. Mentre stavo vivendo l’onore di essere
degna di appartenere alla mia grande famiglia e ai miei compagni, pensavo che
tutto il dolore si sarebbe alleviato una volta che la giustizia avesse fatto il
suo decorso.
Il fatto che io sia in prigione senza
nessuna ragione concreta e razionale dopo la tortura, è solo un esempio
dell’imponenza dell’ingiustizia e del fascismo nel nostro paese. I miei
compagni di cella hanno contato le cicatrici sul mio corpo e hanno detto che ho
868 (ottocentosessantotto) segni di tortura. Ho almeno 868 ragioni per
aumentare i miei anni di lotta. Anche se i torturatori si nascondessero sette
volte sotto terra, non saranno in grado di scappare dal popolo che chiede
giustizia.
Caro F, ti ho riportato in sintesi le
esperienze che ho vissuto. Ti mando i saluti dei miei amici accanto a me: Elif,
Gonul e Buket. Abbi cura di te.
Cordiali saluti,
Ayten ”
Indirizzo:
Ayten Öztürk
Sincan Kapalı Kadın Hapishanesi
Sincan / ANKARA
Ayten Öztürk
Sincan Kapalı Kadın Hapishanesi
Sincan / ANKARA
*il DHKP-C è Il Fronte Rivoluzionario della
liberazione popolare, partito Marxista-leninista fondato a
Damasco nel 1994 da Dursun Karataş
Fonti:
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