1901, esattamente 118 anni fa, Pasqualina sposò giovanissima Francesco De Rubeis, bracciante e attivista impegnato nelle lotte dei braccianti abruzzesi.
Originaria del Chietino, dal 1918 si sposta a San Benedetto dei Marsi, nel cuore della provincia aquilana. Pasqualina e Francesco saranno al centro dei movimenti che coinvolsero l’area durante il biennio rosso, dal 1919 al 1921: al centro della loro lotta vi saranno le condizioni delle classi popolari, la lotta contro i latifondisti locali, soprattutto la famiglia nobile dei Torlonia. Un impegno che la portò a diventare, nel maggio del 1920, una delle fondatrici della Federazione Comunista - Anarchica abruzzese, ed in seguito ad essere tra le anime del movimento che diede il via all’autogestione delle terre del Fucino. Verso la fine del 1921, poi, fu in prima linea nelle manifestazioni che chiedevano il rilascio degli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, ingiustamente detenuti negli USA ed in seguito condannati a morte.
Con l’ascesa del fascismo Pasqualina non si tirò certo
indietro di fronte alla minaccia squadrista: nel novembre 1922, infatti, con il
marito affrontò a revolverate alcuni dirigenti della sezione fascista di San
Benedetto dei Marsi. Entrambi vennero arrestati per tentato omicidio e possesso
illegale di armi e munizioni.
La vendetta del regime fascista non si fece attendere. Il giorno di Natale dello stesso anno fu obbligata a sfilare per il suo paese con addosso dei cartelli con scritte di elogio al fascismo. Un’umiliazione terribile per chi, come lei, aveva fatto della lotta al fascismo la naturale prosecuzione della lotta contro le ingiustizie e i grandi proprietari terrieri. Pasqualina, tuttavia, non cedette un passo. La sua casa continuò ad essere un deposito e centro di smistamento di stampa antifascista ed in parte anche di armi. Il marito Francesco venne inviato al confino, lei subì perquisizioni ed arresti durante tutto il Ventennio e la guerra, fino al 1942. Poi arrivarono le truppe alleate, cadde il fascismo, la guerra finì. Non terminò, invece, la lotta di Pasqualina, conosciuta ormai col nome di “Pasqualina Anarchia” che continuò ad essere attiva nelle rivendicazioni dei braccianti abruzzesi.
La vendetta del regime fascista non si fece attendere. Il giorno di Natale dello stesso anno fu obbligata a sfilare per il suo paese con addosso dei cartelli con scritte di elogio al fascismo. Un’umiliazione terribile per chi, come lei, aveva fatto della lotta al fascismo la naturale prosecuzione della lotta contro le ingiustizie e i grandi proprietari terrieri. Pasqualina, tuttavia, non cedette un passo. La sua casa continuò ad essere un deposito e centro di smistamento di stampa antifascista ed in parte anche di armi. Il marito Francesco venne inviato al confino, lei subì perquisizioni ed arresti durante tutto il Ventennio e la guerra, fino al 1942. Poi arrivarono le truppe alleate, cadde il fascismo, la guerra finì. Non terminò, invece, la lotta di Pasqualina, conosciuta ormai col nome di “Pasqualina Anarchia” che continuò ad essere attiva nelle rivendicazioni dei braccianti abruzzesi.
Perché per le donne come Pasqualina la lotta stessa è
sinonimo di vita e di dignità, la lotta portata avanti contro tutti i regimi e
tutte le forme di oppressione che dovranno sempre e comunque temere le donne
come Pasqualina Martino.
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