24/09/18

Verso e oltre il 28 settembre, contro la tortura di stato, per la libertà di Nadia Lioce




Il 28 settembre si terrà a L’Aquila la quinta udienza del processo contro Nadia Lioce, prigioniera politica rivoluzionaria da 13 anni in regime di 41bis presso la sezione femminile speciale delle Costarelle (AQ).

Le vengono contestate delle battiture (effettuate due volte a settimana al termine di ogni perquisizione, con una bottiglietta di plastica e della durata di mezz’ora l’una) iniziate a marzo del 2015 a seguito della sottrazione di materiale cartaceo, corrispondenza e atti giudiziari. Nadia concluse la sua protesta nel settembre del 2015 quando il materiale le fu parzialmente riconsegnato.

Per quelle battiture lo Stato ha già condannato Nadia in via pregiudiziale: il 6 settembre 2016 le ha prorogato per altri 2 anni il regime di 41 bis, nonostante questo regime detentivo ultrarestrittivo non abbia più fondamento di proseguire, né per lei, né per gli altri prigionieri delle BR-PCC, dato che questa organizzazione è stata smantellata nel 2003.

Per quelle battiture lo stato ha inflitto a Nadia, in soli 3 mesi, una settantina di provvedimenti disciplinari, condannandola a 2 anni di isolamento totale. Una “vessazione continua”, come fecero osservare i suoi legali alle scorse udienze. Ma allora perché trascinarla in tribunale?
Il pretesto non può essere solo il reato contravvenzionale, con addebito a Nadia Lioce di presunti “danni” provocati da una bottiglietta di plastica vuota sulla porta blindata della cella.

In ballo c’è la dignità, personale e politica di Nadia Lioce, e con essa di tutti i prigionieri che si ribellano a condizioni di vita inumane e degradanti. In ballo c’è il diritto di parola, di espressione del pensiero, il diritto di denuncia, di manifestazione del dissenso. E questo non solo dentro, ma anche fuori del carcere. Ed è per questo che il processo a Nadia Lioce e la campagna per la sua liberazione, contro il carcere e il 41 bis, riguarda tutte e tutti noi.

Nelle intenzioni dello Stato, questo processo a Nadia deve servire a dimostrare che la persecuzione di una brigatista è legittima e che la sua protesta, anche se attuata in forma pacifica, è sintomatica della «sua indole rivoluzionaria» e della sua «pericolosità sociale», perciò suscettibile di ulteriori sanzioni disciplinari, come l’applicazione della misura dell’isolamento punitivo (14 bis Op).

Ma nelle intenzioni di Nadia, che ha fatto opposizione al decreto penale di condanna, e anche nelle nostre, questo processo deve servire, e in parte lo ha già fatto, a far emergere la “parola segregata”.
«La “parola”, ovvero quella facoltà innata del genere umano che storicamente presso un po’ tutte le civiltà ne tipicizza la dignità rispetto alle altre specie animali, viene criminalizzata in sé stessa [..] verso chiunque altro “consentisse” al detenuto in 41 bis di “comunicare” con “l’esterno”… la previsione legislativa del 2009 è l’incriminazione penale» (dalla memoria difensiva di Nadia Lioce, 24 nov. 2017)

Dal 2005 ad oggi, Nadia Lioce ha assistito ad una progressiva restrizione del regime detentivo cui è sottoposta. In particolare dal 2011, da quando cioè è stato introdotto il divieto, per i detenuti in 41 bis, di ricevere libri e riviste dall’esterno (divieto confermato dalla circolare del 2 ottobre 2017), le restrizioni hanno preso di mira la possibilità di leggere, studiare, pensare, scrivere, parlare, salutare. Un’ora di colloquio mensile con vetro divisorio e non più di 15-18 ore annue di confronto con i propri avvocati, sono il tempo di conversazione disponibile che Nadia Lioce riesce a consumare nell’arco di quattro stagioni, poco più di 24 ore di parola, per un silenzio lungo 364 giorni.
Mentre nel 2013, con la sentenza Torreggiani che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della CEDU, le condizioni materiali di detenzione di Nadia Lioce hanno subito un adeguamento - la cella singola in cui è reclusa è di normale grandezza, sufficientemente luminosa ed areata e può fare l’ora d’aria in un passeggio grande ed attrezzato - sono le deprivazioni immateriali e sensoriali che definiscono adesso il moderno regime di tortura bianca cui è sottoposta.
Ma le famigerate celle 2 metri per 2 e la vasca di cemento per l’ora d’aria, 3 metri per 3, che hanno “ospitato” Nadia ed altre 6 detenute in 41 bis nel carcere aquilano, non sono andate certo dismesse! Adesso sono “riservate” alle donne detenute in Alta sicurezza, che di fatto sono sottoposte al regime di 41 bis, sepolte vive in quei tuguri, senza neanche il “privilegio” di far conoscere la loro condizione in un’aula di tribunale.

Il processo a Nadia Lioce è quindi anche un’occasione, per chi si batte contro il carcere e il regime di tortura del 41 bis, di conoscere e di far emergere, dalla tomba in cui sono sepolte, le “parole segregate”, le afflizioni, le contraddizioni, le lotte che attraversano la struttura carceraria e che si rovesciano, inevitabilmente, su quella sociale.
Partecipando all’udienza per Nadia Lioce del 4 maggio scorso ad esempio, abbiamo appreso che da marzo di quest’anno l’intera sezione maschile in 41 bis del carcere dell’Aquila ha avviato una battitura di protesta contro il divieto di tenere la televisione accesa oltre la mezzanotte, tanto che l’avvocata di Nadia, Caterina Calia, ha chiesto se si intendesse trascinare in aula anche tutti gli altri detenuti per il medesimo reato (sono 147 i detenuti uomini ristretti in 41 bis nel carcere aquilano).
Naturalmente il processo a Nadia Lioce non è un processo come tutti gli altri, perché è un processo a una prigioniera politica rivoluzionaria irriducibile, che lo Stato tiene in ostaggio con una misura non più “emergenziale”.

A Nadia Lioce viene richiesta esplicitamente “un’abiura politica” come prezzo da pagare per una detenzione “normale”. L’abiura politica e il silenzio, non solo suo, ma di chiunque provi a denunciare le condizioni di vita dei prigionieri in 41 bis, a solidarizzare con le loro lotte, ad affermare che contro le ingiustizie “Ribellarsi è giusto”.

A svelare il senso stesso del 41 bis, basterebbero le motivazioni accampate dai governi per rendere permanente questo regime speciale ai prigionieri politici. E questo al di fuori e al di sopra della nostra Carta Costituzionale e delle raccomandazioni dei vari organismi europei e internazionali contro la tortura.
Nel decreto ministeriale di proroga del 41 bis a Nadia si legge ad esempio che “un’eventuale mancata proroga del regime detentivo speciale, nei confronti della detenuta Lioce, potrebbe essere interpretata dal variegato movimento protagonista delle iniziative di solidarietà, come un attestato dell’efficacia della campagna di sostegno condotta”. Sempre nel decreto si tira in ballo la crisi, agitando lo spettro della rivoluzione: "Sussiste un concreto pericolo che la Lioce, attestata su posizioni di irriducibilità, ancora titolare di indiscusso carisma in ambito carcerario ed in contesti di eversione di sinistra, intrattenendo contatti ordinari con l'esterno, possa contribuire a generare propositi di attentato alla sicurezza dello Stato. Del resto il perdurare nel nostro Paese di una situazione di recessione socio-economica risulta potenzialmente favorevole a dare concretezza ad un messaggio rivoluzionario, che si potrebbe tradurre in iniziative simboliche e funzionali alla propaganda armata".

Come si evince da questo decreto, è la ripresa della capacità rivoluzionaria della classe, quella che preoccupa oggi lo Stato e che “giustificherebbe” il 41 bis per i prigionieri politici. Una potenzialità rivoluzionaria che sarebbe certo favorita dalla crisi che questo stesso sistema capitalistico ha generato, scaricando sulle masse il prezzo di uno sviluppo diseguale, sui giovani, le donne, i lavoratori e i proletari maggiore sfruttamento e repressione, sui migranti le sue guerre imperialiste e di rapina, le sue morti in mare. Una potenzialità rivoluzionaria che la politica dell’attuale governo fascio-populista, in continuità con i governi che lo hanno preceduto, ma questa volta senza troppi orpelli “democratici” e in palese violazione della Costituzione nata dalla Resistenza, si affretta a scongiurare a suon di taser, daspo, sgomberi, respingimenti, istigazione all’odio razziale, ecc...

Il 41 bis per i prigionieri politici rivoluzionari è dentro la repressione che questo Stato sta portando avanti da tempo e che colpisce praticamente ogni movimento di lotta. E la detenzione inutilmente persecutoria verso Nadia Lioce sta a rappresentare, simbolicamente, tutto questo.

Oggi la battaglia per Nadia Lioce, contro il 41 bis, deve continuare ad allargarsi sempre di più a livello di massa ed essere parte integrante della necessaria lotta contro la repressione, lo Stato di polizia e il moderno fascismo.
Per questo sosteniamo la mobilitazione del 28 settembre a L’Aquila, e proponiamo una più larga iniziativa al Ministero della Giustizia, contro i provvedimenti governativi su rafforzamento ed estensione del 41bis e di altre misure restrittive della libertà personale, contro l’inasprimento delle condizioni carcerarie, la repressione, la tortura di Stato e la chiara persecuzione, anche pregiudiziale, verso Nadia Lioce.

MFPR

Nessun commento: