Il 28 settembre si terrà a L’Aquila la quinta udienza del processo contro Nadia Lioce, prigioniera politica rivoluzionaria da 13 anni in regime di 41bis presso la sezione femminile speciale delle Costarelle (AQ).
Per quelle battiture lo Stato ha già
condannato Nadia in via pregiudiziale: il 6 settembre 2016 le ha prorogato per
altri 2 anni il regime di 41 bis, nonostante questo regime detentivo
ultrarestrittivo non abbia più fondamento di proseguire, né per lei, né per gli
altri prigionieri delle BR-PCC, dato che questa organizzazione è stata
smantellata nel 2003.
Per quelle battiture lo stato ha inflitto a
Nadia, in soli 3 mesi, una settantina di provvedimenti disciplinari,
condannandola a 2 anni di isolamento totale. Una “vessazione continua”, come
fecero osservare i suoi legali alle scorse udienze. Ma allora perché
trascinarla in tribunale?
Il pretesto non può essere solo il reato
contravvenzionale, con addebito a Nadia Lioce di presunti “danni” provocati da
una bottiglietta di plastica vuota sulla porta blindata della cella.
In ballo c’è la dignità, personale e politica
di Nadia Lioce, e con essa di tutti i prigionieri che si ribellano a condizioni
di vita inumane e degradanti. In ballo c’è il diritto di parola, di espressione
del pensiero, il diritto di denuncia, di manifestazione del dissenso. E questo
non solo dentro, ma anche fuori del carcere. Ed è per questo che il processo a
Nadia Lioce e la campagna per la sua liberazione, contro il carcere e il 41
bis, riguarda tutte e tutti noi.
Nelle intenzioni dello Stato, questo processo
a Nadia deve servire a dimostrare che la persecuzione di una brigatista è
legittima e che la sua protesta, anche se attuata in forma pacifica, è
sintomatica della «sua indole rivoluzionaria» e della sua «pericolosità
sociale», perciò suscettibile di ulteriori sanzioni disciplinari, come
l’applicazione della misura dell’isolamento punitivo (14 bis Op).
Ma nelle intenzioni di Nadia, che ha fatto
opposizione al decreto penale di condanna, e anche nelle nostre, questo
processo deve servire, e in parte lo ha già fatto, a far emergere la “parola
segregata”.
«La “parola”, ovvero quella facoltà innata
del genere umano che storicamente presso un po’ tutte le civiltà ne tipicizza
la dignità rispetto alle altre specie animali, viene criminalizzata in sé
stessa [..] verso chiunque altro “consentisse” al detenuto in 41 bis di
“comunicare” con “l’esterno”… la previsione legislativa del 2009 è
l’incriminazione penale» (dalla memoria difensiva di Nadia Lioce, 24 nov.
2017)
Dal 2005 ad oggi, Nadia Lioce ha assistito ad
una progressiva restrizione del regime detentivo cui è sottoposta. In
particolare dal 2011, da quando cioè è stato introdotto il divieto, per i
detenuti in 41 bis, di ricevere libri e riviste dall’esterno (divieto
confermato dalla circolare del 2 ottobre 2017), le restrizioni hanno preso di
mira la possibilità di leggere, studiare, pensare, scrivere, parlare, salutare.
Un’ora di colloquio mensile con vetro divisorio e non più di 15-18 ore annue di
confronto con i propri avvocati, sono il tempo di conversazione disponibile che
Nadia Lioce riesce a consumare nell’arco di quattro stagioni, poco più di 24
ore di parola, per un silenzio lungo 364 giorni.
Mentre nel 2013, con la sentenza Torreggiani
che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della CEDU, le condizioni materiali di detenzione di
Nadia Lioce hanno subito un adeguamento - la cella singola in cui è reclusa è
di normale grandezza, sufficientemente luminosa ed areata e può fare l’ora
d’aria in un passeggio grande ed attrezzato - sono le deprivazioni immateriali
e sensoriali che definiscono adesso il moderno regime di tortura bianca cui è sottoposta.
Ma le famigerate celle 2 metri per 2 e la
vasca di cemento per l’ora d’aria, 3 metri per 3, che hanno “ospitato” Nadia ed
altre 6 detenute in 41 bis nel carcere aquilano, non sono andate certo
dismesse! Adesso sono “riservate” alle donne detenute in Alta sicurezza, che di
fatto sono sottoposte al regime di 41 bis, sepolte vive in quei tuguri, senza
neanche il “privilegio” di far conoscere la loro condizione in un’aula di
tribunale.
Il processo a Nadia Lioce è quindi anche
un’occasione, per chi si batte contro il carcere e il regime di tortura del 41
bis, di conoscere e di far emergere, dalla tomba in cui sono sepolte, le
“parole segregate”, le afflizioni, le contraddizioni, le lotte che attraversano
la struttura carceraria e che si rovesciano, inevitabilmente, su quella
sociale.
Partecipando all’udienza per Nadia Lioce del 4
maggio scorso ad esempio, abbiamo appreso che da marzo di quest’anno l’intera
sezione maschile in 41 bis del carcere dell’Aquila ha avviato una battitura di
protesta contro il divieto di tenere la televisione accesa oltre la mezzanotte,
tanto che l’avvocata di Nadia, Caterina Calia, ha chiesto se si intendesse
trascinare in aula anche tutti gli altri detenuti per il medesimo reato (sono
147 i detenuti uomini ristretti in 41 bis nel carcere aquilano).
Naturalmente il processo a Nadia Lioce non è
un processo come tutti gli altri, perché è un processo a una prigioniera
politica rivoluzionaria irriducibile, che lo Stato tiene in ostaggio con una
misura non più “emergenziale”.
A Nadia Lioce viene richiesta esplicitamente
“un’abiura politica” come prezzo da pagare per una detenzione “normale”.
L’abiura politica e il silenzio, non solo suo, ma di chiunque provi a
denunciare le condizioni di vita dei prigionieri in 41 bis, a solidarizzare con
le loro lotte, ad affermare che contro le ingiustizie “Ribellarsi è giusto”.
A
svelare il senso stesso del 41 bis, basterebbero le motivazioni accampate dai
governi per rendere permanente questo regime speciale ai prigionieri politici.
E questo al di fuori e al di sopra della nostra Carta Costituzionale e delle
raccomandazioni dei vari organismi europei e internazionali contro la tortura.
Nel
decreto ministeriale di proroga del 41 bis a Nadia si legge ad esempio che “un’eventuale mancata proroga del regime
detentivo speciale, nei confronti della detenuta Lioce, potrebbe essere
interpretata dal variegato movimento protagonista delle iniziative di
solidarietà, come un attestato dell’efficacia della campagna di sostegno
condotta”. Sempre nel decreto si tira in ballo la crisi, agitando lo
spettro della rivoluzione: "Sussiste
un concreto pericolo che la Lioce, attestata su posizioni di irriducibilità,
ancora titolare di indiscusso carisma in ambito carcerario ed in contesti di
eversione di sinistra, intrattenendo contatti ordinari con l'esterno, possa
contribuire a generare propositi di attentato alla sicurezza dello Stato. Del
resto il perdurare nel nostro Paese di una situazione di recessione
socio-economica risulta potenzialmente favorevole a dare concretezza ad un
messaggio rivoluzionario, che si potrebbe tradurre in iniziative simboliche e
funzionali alla propaganda armata".
Come si evince da questo decreto, è la ripresa della capacità rivoluzionaria della
classe, quella che preoccupa oggi lo Stato e che “giustificherebbe” il 41
bis per i prigionieri politici. Una potenzialità rivoluzionaria che sarebbe
certo favorita dalla crisi che questo stesso sistema capitalistico ha generato,
scaricando sulle masse il prezzo di uno sviluppo diseguale, sui giovani, le
donne, i lavoratori e i proletari maggiore sfruttamento e repressione, sui
migranti le sue guerre imperialiste e di rapina, le sue morti in mare. Una
potenzialità rivoluzionaria che la politica dell’attuale governo
fascio-populista, in continuità con i governi che lo hanno preceduto, ma questa
volta senza troppi orpelli “democratici” e in palese violazione della
Costituzione nata dalla Resistenza, si affretta a scongiurare a suon di taser,
daspo, sgomberi, respingimenti, istigazione all’odio razziale, ecc...
Il 41 bis per i prigionieri politici
rivoluzionari è dentro la repressione che questo Stato sta portando avanti da
tempo e che colpisce praticamente ogni movimento di lotta. E la detenzione
inutilmente persecutoria verso Nadia Lioce sta a rappresentare, simbolicamente,
tutto questo.
Oggi la battaglia per Nadia Lioce, contro il
41 bis, deve continuare ad allargarsi sempre di più a livello di massa ed
essere parte integrante della necessaria lotta contro la repressione, lo Stato
di polizia e il moderno fascismo.
Per questo sosteniamo la mobilitazione del 28
settembre a L’Aquila, e proponiamo una più larga iniziativa al Ministero
della Giustizia, contro i provvedimenti governativi su rafforzamento ed
estensione del 41bis e di altre misure restrittive della libertà personale,
contro l’inasprimento delle condizioni carcerarie, la repressione, la tortura
di Stato e la chiara persecuzione, anche pregiudiziale, verso Nadia Lioce.
MFPR
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