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SETTEMBRE 2018, L’AQUILA: IL SILENZIO È COMPLICITÀ!
Il 28 settembre a L’Aquila si terrà la quinta
udienza contro Nadia Lioce, rinchiusa dal 2005 in regime di 41bis.
In questo processo, le vengono contestate
delle battiture (effettuate due volte al giorno, con una bottiglia di plastica
e della durata di mezz’ora l’una) iniziate a marzo del 2015 a seguito della
sottrazione, durante le perquisizioni in cella, di materiale cartaceo,
corrispondenza e atti giudiziari. Nadia
concluse la sua protesta nel settembre del 2015 quando il materiale le
fu parzialmente riconsegnato.
L’accusa
è quella di “turbamento della quiete carceraria”.
Il fondamento principe del regime carcerario
del 41bis è l’isolamento, non solo verso l’esterno (attraverso la drastica
riduzione di corrispondenza epistolare, colloqui, telefonate, letture e quant’altro), ma anche tra chi è lì rinchiuso/a.
Non è di conseguenza, affatto facile venire a
conoscenza di quanto accade all’interno di questo regime speciale, isolato
anche dal resto della struttura carceraria in cui quelle stesse sezioni si trovano.
E’,
infatti, solo grazie alla decisione dei solidali presenti in aula, durante la
scorsa udienza del 4 maggio, di restare e seguire i processi successivi a
quello di Nadia, che si è avuto modo di venire a conoscenza di altre forme
individuali di resistenza messe in atto da altri detenuti in 41bis nonché di
una battitura collettiva, sempre nel carcere de L’Aquila, a seguito del divieto
di tenere la televisione accesa oltre la mezzanotte. I detenuti tutti collegati
in videoconferenza, da differenti carceri (in quanto nel frattempo trasferiti
da quello de L’Aquila), si trovavano tutti a processo per una serie di gesti di
insubordinazione rispetto all’ordinamento penitenziario, lo stesso che dispone:
23 ore su 24 di isolamento in cella, una sola ora di colloquio al mese con
vetro divisorio, l’interdizione da tutti i cosiddetti benefici, l’impossibilità
di ricevere libri e riviste direttamente dall’esterno, di cucinare in cella,
...solo per citare alcune delle restrizioni.
Tra
i divieti anche quello del “diritto di parola”.
Ed è per questo motivo che vogliamo dare
parola a Nadia, riportando alcuni stralci di un suo documento depositato come
parte della memoria difensiva in questo processo.
“...La
legge nel definire “le misure eccezionali” (quale il 41bis è n.d.r.)
rispetto all’ordinamento non ha mai citato limiti minimi, con cui di norma si
asseriscono le condizioni garantite per ogni condizione della prigionia, ma
solo massimi.
Ad esempio: le ore di colloquio, di
aria, di saletta, i chilogrammi e il numero dei pacchi, i capi di vestiario e i
generi alimentari e di conforto detenibili in cella… sono tutti limiti non
superabili. Le ore all’aperto – una all’aria, l’altra in saletta – sono “non
superiori a due”. Cioè, mai condizioni garantite, proprio perché è stato un
regime concepito come una eccezione (e lo è) rispetto ad una normalità...
Questa serie di peculiarità incidono su tutti gli aspetti della vita quotidiana….
Ognuno di questi aspetti delle necessità, condizioni e disponibilità personali
può essere investito, e concretamente lo è stato e lo è, da un regime
ulteriormente restrittivo, quando in modo “regolamentato” quando nella pratica
provocatoria e nella finalità vessatoria che voglia essere messa in atto ad
arbitrio, incidendo in modo significativo sulla vivibilità quotidiana della
prigionia….
La sottoscritta approfondirà ora le
condizioni particolari del regime di 41 bis in cui si sono collocati i fatti in
oggetto, specificando cosa siano i gruppi, partendo da quello che sono
diventati.
La legge del 2009 restringe i “gruppi”:
da 5 componenti – al massimo – li riduce a 4... Stabilisce anche il divieto di
comunicare tra appartenenti a gruppi diversi.
In pratica, con questo slittamento, i “gruppi”
diventano “gruppi di segregazione” che escludono tutti gli altri. Prima erano
limitati ad un’aggregazione di 5 persone, per un’asserita garanzia di
controllo, ora la vita in ogni sua espressione, anche verbale, non deve
fuoriuscire dal gruppo di assegnazione (ridotto ad un massimo di 4 persone).
Non
un “buongiorno” può essere scambiato.
In ogni caso, ricostruendo gli avvenimenti, “la
parola” segregata fu in realtà introdotta già da una circolare ministeriale
nell’agosto 2008, cioè circa 10 anni fa….
La “parola”, ovvero quella facoltà
innata del genere umano che storicamente presso un po’ tutte le civiltà ne
tipicizza la dignità rispetto alle altre specie animali, viene criminalizzata
in se stessa... verso chiunque altro “consentisse” al detenuto in 41 bis di “comunicare”
con “l’esterno” (presumibilmente anche del gruppo) - dal personale
penitenziario, all’avvocato, al familiare, a chiunque solidarizzi - la
previsione legislativa del 2009 è l’incriminazione penale…
La particolarità della sezione femminile
41 bis (l’unica femminile è appunto a L’Aquila n.d.r.)
è ora in buona parte dovuta alla scarsità
di detenute, un dato di fatto che di per sé si traduce in una pressione più
elevata, e che consente di gestire la frequentazione alternata dei comuni
passeggi e della saletta, anche formando “gruppi” di due persone.
E poiché come prima opzione l’amministrazione
privilegia la composizione di gruppi di numero minimo di persone, i “gruppi”,
salvo cause di forza maggiore, sono sempre di due donne.
I
gruppi di due persone nella vita civile si chiamano coppie.
I gruppi di 2-3 persone, inoltre, erano
limitati alle “aree riservate”, cosi dette perché braccetti separati “monogruppo”,
isolati dagli altri e con un trattamento più duro, fino al 2009 presenti in
poche unità per carcere ove fossero ubicate.
...di fatto con la legge del 2009, “l’area
riservata” è diventata il modulo segregativo della popolazione detenuta al 41
bis.
...Come si può intuire, i mini gruppi di
2 persone sono la composizione a massimo condizionamento reciproco. Ad esempio
offrono la possibilità con una sanzione di erogarne informalmente 2. È quello
che sarebbe successo alla sventurata detenuta che fosse capitata nel gruppo con
la sottoscritta, anche dall’aprile 2015 all’ottobre 2017, quando avrebbe dovuto
restare sola al passo delle sanzioni scontate dalla sottoscritta per la
protesta effettuata dei fatti di un segmento della quale qui si discute.
E invece non è successo perché la
sottoscritta, anche per senso di responsabilità verso le altre detenute, all’atto
del trasferimento in una sezione più grande in grado di custodire ulteriori
detenute sopravvenute, ha scelto di non condividere gruppi con nessuna, ovvero
dal gennaio 2013 a
tutt’oggi.
...Perché battiture delle sbarre sono
sempre state fatte collettivamente, e non, per periodi di mesi e anche di anni
e per più volte al giorno ognuna di 10-15 minuti, la qual cosa autorizzava a
ritenere che ce ne fosse una pacifica accettazione...Perché la sottoscritta non
ha mai sentito nessuna lamentarsi né avrebbe potuto sapere di una lagnanza per
comunicazione da qualche detenuta la cui quiete fosse stata disturbata, a causa
del divieto di parlarsi di cui sopra, come asserito invece da terzi,
interessati perché destinatari della protesta”.
Riteniamo
che questi stralci diano l’esatta misura del fine totalmente segregativo insito
nell’applicazione di questo regime. Strumento ritorsivo e di annichilimento
della volontà e dignità della persone a cui è applicato. E poiché, per altro,
tale condizione può aver fine solo attraverso la collaborazione con lo stato e
le sue forze repressive, ecco che definire il 41bis uno dei moderni strumenti
di tortura, non può avere il sapore di una spropositata enfatizzazione.
Se
poi si ha modo di leggere gli atti redatti dagli organi di polizia, attestanti
la necessità della proroga del 41bis (ogni 2 anni tale misura dovrebbe essere
rivalutata e la competenza è di un unico Tribunale su tutto il territorio
nazionale), si comprende fino in fondo quanto (seppur nelle mille difficoltà
dovute proprio a tutte le restrizioni) il mantenimento di rapporti affettivi,
di vicinanza e solidarietà diventino motivi per la richiesta e decisione di
proroga dell’applicazione della misura.
In
particolare così si legge per Nadia Lioce, per cui, tra i
motivi di proroga, vi sono inclusi: la presenza in aula di chi ha scelto di non
lasciarla sola nella sua lotta e di sostenerla facendosi anche megafono che
rompa il silenzio assordante in cui si vuole seppellire chi è
costretto e costretta, in 41bis; la volontà
di seppellire nell’isolamento istanze radicali di fronte all’acuirsi
della crisi, anche a monito per chi da fuori si oppone a discriminazioni,
guerre, sfruttamento e oppressione in maniera potenzialmente rivoluzionaria,
cosa che palesa ulteriormente la natura del 41 bis come strumento di deterrenza
delle lotte.
La
campagna “Pagine contro la tortura”, nata nel 2015 a seguito dell’applicazione
di una circolare del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria che impediva
alle persone ristrette in questi circuiti di ricevere dall’esterno libri e
tutto quanto relativo alla lettura e allo studio (salvo costose e farraginose
modalità di acquisto attraverso l’amministrazione del carcere) ha sin da subito
intrapreso un percorso di disvelamento del 41bis- sempre presentato, alla così
detta opinione pubblica, come strumento necessario ai fini della democratica
lotta alla criminalità organizzata- quale strumento repressivo che detta i
parametri di applicazione di sempre nuove e vessatorie misure di regimentazione
all’interno delle galere, a prescindere che siano sezioni comuni o meno.
Ne
è un esempio il processo in
videoconferenza, inizialmente previsto in via “eccezionale” per gli/le
imputati/e detenute in regime di 41bis e divenuto, con la legge del 23 giugno
2017, “normale” (salvo particolari e motivate deroghe) per tutti i processi per
reati di così detta “pericolosità sociale” e poi oggi esteso ai e alle
richiedenti asilo.
Ecco
perché la lotta contro il regime di 41 bis riguarda noi tutti/e, e in prima persona.
Tutti/e quelli/e che vorrebbero essere si, pericolosi per la cosiddetta
stabilità sociale, per la irregimentazione verso cui la società stessa in cui
viviamo è orientata, per la sua necessità di controllo che di fatto oggi la
caratterizza... e lascia sempre meno spazi agibili di libertà. Per la società-galera
di cui sempre si parla per descrivere ciò che ci circonda e di cui il 41 bis
nelle sue forme di sperimentazione e vessazione ne rappresenta la punta di
diamante.
Se
il 41 bis è la sperimentazione normata della tortura, finalizzata all’annientamento,
personale e sociale, ed ogni galera è specchio della società, a quando le
conseguenze di questo andante per noi
tutti e tutte?
Ebbene
rimanere a guardare in silenzio cosa ci stanno facendo non fa parte del
ventaglio delle possibilità che ci siamo dati/e. Né delle nostre scelte etiche.
Il
28 settembre 2018 saremo a L’Aquila, al fianco di chi si è permesso di alzare
la voce, e la testa, contro le
condizioni del sistema-regime a 41bis, nel giorno in cui, come da calendario
giudiziario, se ne celebreranno i processi. I detenuti per cui si terranno le
udienze non sono pochi, fra questi anche la compagna Nadia Lioce.
Ore
9:00 appuntamento presso il tribunale dell’Aquila
Dalle
ore 14:00 Presidio al Carcere dell’Aquila
SETTEMBRE
2018
PagineControLaTortura
Per
informazioni sul pullman mail: 28settembre@gmail.com
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