Donne braccianti in India. L’orrore che rimane nascosto dietro la barbarie del lavoro da schiavi

Di fronte all’orrore di migliaia di donne costrette a farsi togliere l’utero per poter fare un lavoro da schiavi, va in frantumi ogni illusione sul capitalismo come miglior mondo possibile.
Che sia in “affitto” o sia “rimosso”, l’utero delle donne, dopo e nonostante una lunga e proficua stagione di lotte femministe, “può” e “dovrà” essere gestito a seconda delle esigenze del capitale, e della condizione socio-economica (la povertà), che si trovano ad affrontare le singole donne. La società di mercato impone le leggi su cui si fonda, quelle della mercificazione e del valore di scambio, rimuovendo il confine tra ciò che è merce e ciò che non può esserlo, Marx lo aveva detto “TUTTO DIVENTA MERCE” (Miseria della filosofia 1847)...
...Facciamo un salto in India e precisamente nelle piantagioni di canna da zucchero del Maharashtra. Ogni anno in questa zona arrivano migliaia di lavoratori stagionali. Che affrontano viaggi lunghi anche centinaia di chilometri, nella speranza di un lavoro. Quello che trovano più che un lavoro è un impiego a tempo pieno come schiavi. 15 ore di duro lavoro giornaliero, senza riposi e giorni di pausa, per tutti i mesi della durata della raccolta. Molte famiglie sono costrette a portare con loro anche i figli, che non potranno accedere alla scuola, e che dovranno aiutare i loro genitori nel lavoro, senza essere pagati. I “lavoratori-schiavi” sono costretti a faticare fino allo sfiancamento sotto temperature infuocate, e spesso non ricevono neanche i soldi, perché i loro salari vengono trattenuti dai loro padroni aguzzini, per ripagare i debiti che sono costretti a contrarre ad interessi da usura. Il meccanismo di assegnazione degli appalti della raccolta della canna da zucchero si basa su un sistema, a dir poco, per niente trasparente. Passa attraverso mediatori legati ad interessi politico-clientelari locali, di industrie che riforniscono le grandi e potenti multinazionali come Coca Cola, Pepsi-co, e Unilever, sollevandole formalmente dalle responsabilità dello sfruttamento degli operai. (Inchiesta del NYT). Ma l’orrore che rimane nascosto dietro questa barbarie di lavoro da schiavi è ancora una volta il destino delle donne, che reggono interamente il peso di questa filiera infernale che va oltre qualsiasi immaginazione.
Il 36% delle braccianti censite ha subito una “isterectomia”, gli è stato cioè asportato senza necessità, utero, ovaie e altri organi dell’apparato riproduttivo. Potrebbero essere molte di più dal momento che in India milioni di persone non hanno documenti di identità, Ad obbligarle alla rimozione degli organi sono ovviamente i loro aguzzini, i “datori di schiavitù”. In questa maniera eliminano il rischio di gravidanze, eliminando così le pause per l’allattamento, e dulcis in fundo si eliminano le mestruazioni, che in queste condizioni lavorative, mancanza di acqua, per le donne sarebbero difficili da gestire, ma soprattutto si eliminano le pause, per il cambio assorbenti. (da un articolo di Davide Longo) Viene detto ai lavoratori che hanno facoltà di decidere se restare o andare via, ma in realtà chiunque tenti di andarsene viene “catturato” e costretto a rimanere, anche perché le paghe basandosi sul meccanismo del debito, non lasciano molta scelta ai lavoratori.Inutile sottolineare che di questa condizione estrema di schiavitù, e soprattutto dell’abuso che subiscono le donne, il mondo politico che ci gira intorno, e che trae enormi profitti dal lavoro di questi stagionali, è molto variegato. Politici e leccaculo locali, ministri dell’attuale governo indiano, politici nazionalisti Indù, del Bharatiya Jamata Party, (al governo), ed anche membri dell’opposizione dell’Indian National Congress. Evidentemente il profitto unisce i padroni e i loro politici al di là della bandiera. Dall’Agro pontino a Latina fino a Maharashtra, in India anche il destino delle operaie, operai di tutto il mondo è unito dallo stesso sfruttamento, basta unire i puntini su di una mappa immaginaria, per capire quanta forza si può scatenare da questa massa di proletari, disseminati ai vari angoli del pianeta. Uniti anche loro dagli stessi interessi, farla finita con i padroni, farla finita con il capitalismo.
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