L'importante
e chiarificatore articolo che riportiamo in allegato dà pienamente
ragione alla decisione dello Slai cobas per il sindacato di classe
sul mantenimento dello sciopero delle donne del 9 marzo scorso - così
come dà ragione ai tanti scioperi che in questi giorni stanno
facendo lavoratori, lavoratrici in vari posti di lavoro sia privati
che pubblici.
E'
lo sciopero l'unica arma legittima e di tutela dei diritti delle
lavoratrici e lavoratori, in primis oggi del diritto alla salute e
alla vita!
Il
resto, l'assurdo divieto della CGS - CHE NEI GIORNI SCORSI HA AVVIATO
LA PROCEDURA DI APPLICAZIONE DI PESANTISSIME SANZIONI NEI CONFRONTI
DELLO SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE - è solo una bassa
copertura dell'unico vero interesse che lo Stato vuole difendere,
quello del profitto dei padroni (come è evidente anche dall'ultimo
decreto "Cura Italia") e quello della "pace sociale"
perchè tutto continui come prima e peggio di prima.
Questo
articolo sgombera anche il campo dagli altri piccoli interessi di
"bottega", opportunisti dei sindacati di base che, senza
neanche tentare un minimo di resistenza - solo l'Usi lo ha fatto
contestando punto per punto le "ragioni" della CGS, peccato
che poi non sia stata coerente fino alla fine -, hanno in men che non
si dica revocato lo sciopero del 9 marzo. Questi sindacati di base si
sono dimostrati forti con le grandi parole e le altisonanti denunce,
ma deboli e senza coraggio a disobbedire/violare divieti illegittimi,
di stampo fascista.
MFPR
LA
PACE SOCIALE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS di Giovanni Orlandini
Ben
prima che il Governo adottasse le misure d’emergenza necessarie per
contenere il contagio da Covid-19, la Commissione di garanzia (il
Garante in tema di sciopero nei servizi essenziali) ha intimato a
tutte le organizzazioni sindacali di astenersi dal proclamare
scioperi dal 25 febbraio fino al 31 marzo.
Poche
righe, contenute in un semplice comunicato stampa, per espropriare
del diritto di sciopero milioni di lavoratori: dai dipendenti dei
ministeri a quelli degli enti locali, dai lavoratori dei trasporti a
quelli della ricerca, dai metalmeccanici ai dipendenti degli enti
pubblici non economici.
Ne
è seguita, a stretto giro, l’adozione “in via d’urgenza”
di una delibera con cui si ingiunge ai sindacati autonomi di
sospendere gli scioperi proclamati per il giorno 9 marzo, minacciando
sanzioni in caso di inottemperanza. La ragione di tali drastici
provvedimenti, a detta della stessa Commissione, risiede nello “stato
di emergenza sanitaria proclamato su tutto il territorio nazionale”,
che impone di “evitare ulteriore aggravio alle Istituzioni
coinvolte nell’attività di prevenzione e contenimento della
diffusione del virus”.
Una
simile decisione di sospendere per oltre un mese (salvo ulteriori
proroghe) il diritto di sciopero su tutto il territorio nazionale,
non ha precedenti nella storia repubblicana. Si dirà che anche
l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo è una situazione di
straordinaria ed inedita gravità. E tuttavia qui non si tratta di
sminuire la gravità dei rischi epidemici in corso. Si tratta di
interrogarsi sull’esistenza di una relazione tra tali rischi e il
divieto di astenersi dal lavoro. Perché se una relazione del genere
si configura in caso di scioperi nel settore sanitario, può non
sussistere affatto quando a scioperare sono lavoratori di altri
settori e le cui prestazioni non incidono sull’attività di
“prevenzione e contenimento della diffusione del virus” invocata
per giustificare il divieto generalizzato di scioperare. Una diversa
valutazione va ovviamente fatta in relazione ad altre attività
sindacali che ad uno sciopero di norma si associano; quali ad esempio
assemblee e, ancor più, manifestazioni sindacali. Ma non è di
queste che si interessa la Commissione di garanzia.
Il
Garante trova il fondamento legale della propria iniziativa nel
potere - riconosciutogli dalla legge - di invitare le organizzazioni
sindacali che abbiano organizzato uno sciopero in violazione delle
sue regole d’esercizio, a riformularne la proclamazione ed a
rinviarne l’attuazione (art. 13, comma 1, lett. g, l. n.146/90). E
la violazione di tali regole è colta nella clausola, presente in
tutti i contratti collettivi, che dispone per l’immediata
sospensione dello sciopero “in caso di avvenimenti eccezionali di
particolare gravità e di calamità naturali”. La clausola in
questione è però fondatamente invocabile solo quando uno sciopero è
in grado, in qualsiasi modo, di influire sulla situazione
emergenziale, e non per sospenderne l’esercizio prescindendo da
qualsiasi valutazione nel merito dei suoi effetti concreti.
L’iniziativa
del Garante è tanto più discutibile se si considera che l’arma
dello sciopero costituisce un irrinunciabile strumento di autodifesa
per gli stessi lavoratori, qualora siano esposti al rischio di
contagio.
E’
la cronaca quotidiana di questi giorni a raccontarci di scioperi
spontanei di protesta, proclamati in tutto il paese dai lavoratori
per il timore che l’azienda non garantisca adeguate condizioni di
sicurezza rispetto ai rischi di esposizione al virus. (Si sciopera
proprio per salvaguardare la propria vita a fronte di un “avvenimento
eccezionale di particolare gravità e di calamità naturali”; in
tante aziende purtroppo se i lavoratori non scioperassero non
opporrebbero alcun ostacolo agli effetti nefasti di quegli
“avvenimenti” - ndr) Sono azioni collettive che smentiscono la
mistificatoria lettura del diritto di sciopero come strumento di
difesa di interessi corporativi lesivi dell’interesse generale,
giacché è proprio la praticabilità del conflitto a rendere
possibile la tutela del bene fondamentale della salute davanti alla
pretesa di subordinarlo ad interessi economico- produttivi.
L’emergenza allora, piuttosto che delegittimare l’arma dello
sciopero, ne amplifica la funzione di risorsa ultima di autotutela
collettiva, tanto più indispensabile quanto più si riducono gli
ordinari spazi di confronto democratico.
D’altra
parte, non si può non cogliere un tratto di involontaria e
paradossale ironia nel giustificare il divieto generalizzato di
scioperare (che implica un obbligo a non allontanarsi dal luogo di
lavoro) con l’esigenza di contenere il contagio, nel mentre si
adottano misure d’urgenza per rendere possibile ovunque il ricorso
al c.d. lavoro agile, proprio per allontanare i lavoratori dagli
stessi luoghi di lavoro onde evitare rischi di contagio.
La
via per difendersi da eventuali sanzioni per sciopero illegittimo è
costituita dall’art. 2, comma 7 della l. 146/90, che ammette la
deroga agli obblighi di preavviso e di preventiva indicazione della
durata dell’astensione in caso di “protesta per gravi eventi
lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Ma la
norma è ambigua nel non richiamare anche la sospensione dell’obbligo
di erogare le prestazioni indispensabili; un’ambiguità
evidentemente aumentata dalla generalizzata ingiunzione a non
scioperare della Commissione. E neppure aiuta a fare chiarezza il
comunicato del 12 marzo con il quale la stessa Commissione ha
richiamato le aziende al rigoroso rispetto delle misure di sicurezza
previste dal governo per far fronte ai rischi epidemici, onde evitare
appunto scioperi che compromettano l’erogazione dei servizi
pubblici: nel comunicato si omette infatti di precisare che il blocco
del servizio pubblico conseguente ad una astensione fondata sull’art.
2, comma 7 non espone in nessun caso i lavoratori alle sanzioni di
legge...
Gli
atti adottati in questi giorni hanno, certo, un carattere
straordinario ed eccezionale per il contesto affatto inedito nel
quale si collocano, ma si iscrivono in un processo, in atto da tempo,
di disconoscimento del conflitto come leva di progresso ed
emancipazione. La Commissione sembra infatti ispirare la propria
azione alla sola logica della massima compressione possibile degli
spazi di esercizio del conflitto sindacale, visto evidentemente come
“male” sociale. Ma è una logica che la stessa legge 146/90 non
giustifica. La Commissione di garanzia si chiama infatti così perché
ad essa spetta garantire “il contemperamento dell’esercizio del
diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona
costituzionalmente garantiti”, alla cui tutela i servizi pubblici
sono funzionali. “Contemperare” e non “vietare”, dal momento
che qualsiasi regolazione dello sciopero dovrebbe tener conto della
sua dimensione di diritto costituzionale, cioè di valore costitutivo
dell’ordine democratico.
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