da
Secchia, Moscatelli, Il Monterosa è sceso a Milano, G. Einaudi Editore, Torino,
1958, pp.. 603-607 trascrizione e conversione in html a cura del CCDP www.resistenze.org
Mentre la guerra di liberazione volge al suo epilogo vittorioso, la nostra
cronaca sarebbe incompleta se tacessimo della funzione avuta da una brigata che
non combatté eppure partecipò a tutti i combattimenti, fu presente sempre,
ovunque operò senza rumorosi spari, ma la sua azione fu altrettanto efficace e
necessaria che quella delle armi più perfezionate: si tratta delle partigiane
infermiere, staffette, informatrici.
La Resistenza, per quanto grande potesse essere il coraggio degli uomini, non
sarebbe stata possibile senza le donne; la loro funzione è stata meno
appariscente, ma non meno essenziale. Né vi è alcun confronto possibile con la
partecipazione delle donne alle lotte del risorgimento e alle guerre per
l'indipendenza nazionale. Si trattò allora, fatta eccezione per le giornate
insurrezionali cittadine e delle rivolte popolari, di poche elette, di fulgidi
esempi ma non di fenomeno di massa.
«Caratteristica fondamentale della resistenza femminile che fu uno degli
elementi più vitali della guerra di liberazione è proprio questo suo carattere
collettivo, quasi anonimo, questo suo avere per protagoniste non alcune
creature eccezionali, ma vaste masse appartenenti ai più diversi strati della
popolazione, questo suo nascere non dalla volontà di poche, ma dalla iniziativa
spontanea di molte» (1).
I primi corrieri e informatori partigiani furono le donne. Inizialmente
portavano assieme agli aiuti in viveri e indumenti le notizie da casa e le
informazioni sui movimenti del nemico. Ben presto questo lavoro spontaneo venne
organizzato, ed ogni distaccamento si creò le proprie staffette, che si
specializzarono nel fare la spola tra i centri abitati e i comandi delle unità
partigiane.
Le staffette costituirono un ingranaggio importante della complessa macchina
dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati dalle staffette le
direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli ordini, le
informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone. Delicato e duro, quasi
sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano le linee
durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con materiale
pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei monti,
attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta o in
camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del vento.
Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame, la
staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare a notte ne e
stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del tedesco
in agguato.
Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i
nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti
non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente.
Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a
prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo
ricovero in clinica.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese
occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai
comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia:
quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la
staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche
e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano
nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva.
Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento,
ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso
nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la
vita o la morte di centinaia di uomini.
Numerose staffette caddero in combattimento o nell'adempimento delle loro
pericolose missioni. Tra le altre: Giuseppina Canna a Premosello il 29 agosto
del 1944, Erminia Casinghino a Varallo il 24 aprile del 1945, Ermelinda Cerruti
a Feriolo di Baveno il 19 novembre 1944, Alda Genolle a Cavaglio d'Agogna il 4
aprile 1945, Rossana Re a Orio Mosso il 4 ottobre 1944, Cleonice Tommasetti a
Fondotoce il 20 giugno 1944, Fiorina Gottico a Varallo Pombia il 26 aprile
1945, Veronica Ottone a Gravellona Toce il l° novembre 1944, Maria Mariotti il
16 maggio 1944 a Novara, Anna Rossetti il 22 febbraio 1945, Maria Luisa
Minardi, Maria Ubezio.
Le formazioni valsesiane e dell'Ossola ebbero come principali collaboratrici e
«staffette»: Teresa Mondini, addetta ai servizi di collegamento; le sorelle
Dina, Lina e Tersilia Mambrini di Borgosesia; le sorelle Maria e Wanda Manfredi
di Valduggia; le sorelle Wanda ed Emiliuccia Canna di Borgosesia; le sorelle
Vitto, Jucci e Rosetta Caula di Varallo Sesia (infermiere ed anche
combattenti); le sorelle Caterina, Angela e Maria Zanotti di Valduggia; la
mamma di Angelo Zanotti e quella di Giacomino Barbaglia; Stellina Vecchio, del
Comando generale delle brigate «Garibaldi»; la maestrina di Rimasco, Biancaneve
di Boleto, la Mariuccia di Varallo Pombia, la Bianca di Montrigone, la Fina
Rizzio e sua figlia Maria di Praveri, Maria Riolio di Lebbia, la Mariuccia di
Cellio e Lilliana Fantini di Borgomanero, Maria Teresa di Maggiora, le figlie
Rasario e la mamma Comoli di Raschetto, la Lina di Varallo Sesia e molte altre (2).
Particolarmente preziosa, inoltre, fu l'opera di Mariolina e Marcella Balconi,
instancabili e coraggiose ispettrici sanitarie del Comando generale delle
brigate Garibaldi.
Il comando garibaldino biellese si servì essenzialmente dell'opera di Lilliana
Rossetti per il collegamento con il comando zona e col comando regionale; di
Bianca Diodati, Vinca Berti, Anna Cinanni e Alba Ferrari per il collegamento
con il Comando generale delle brigate «Garibaldi», che aveva sede a Milano; di
Nella Zaninetti, Aurora Rossetti, Giovanna Vannucci, Teresina Comini, Rita
Gallo, Nara Bertotti, Luisa Giacchini, Ughetta Bozzalla, Mercedes Falla, Bruna
Giva, Maria Lastella, Eva Anselmetti, Bettina Zanotti, Ortensia Nicolò,
Maddalena Curtis, Amata Casale, Silvia Berbero, Scintilla Robbioli, Maria
Teresa Curnic, Alba Boschetto per i collegamenti con le diverse unità della V e
della XII divisione, Lina Antonietti assicurava il collegamento con il CLN e le
autorità cittadine. Va pure ricordata Caterina Negro, la vecchia «zia» dei
partigiani, che malgrado la sua età avanzata non risparmiò energie per aiutare
in ogni modo i patrioti che trovavano nella sua casa ospitale ristoro,
collegamento e recapito. Alba Spina ed Ergenite Gili, tra le più attive e
audaci, prestarono la loro opera prima nelle formazioni partigiane biellesi, e
poi passarono a disposizione del comando militare regionale.
È impossibile citare e ricordare i nomi di tutte. Abbiamo avuto bisogno dell'aiuto
di centinaia e centinaia di loro, della loro iniziativa, delle loro cure e del
loro coraggio. Ai partigiani e ai combattenti sono state date delle medaglie,
agli intriganti anche, alle donne della Resistenza poco o nulla. Ma coloro che
le hanno conosciute porteranno sempre nei loro cuori il ricordo di ciò che sono
state; alle staffette, alle infermiere, a tutte le donne partigiane va
l'affetto imperituro dei garibaldini.
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