17/12/20

Gli interventi dalle assemblea donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 4 - Che significa per le lavoratrici lo smart working

Una lavoratrice delle Poste di Milano
"...il cosiddetto lavoro agile o Smart working non è proprio una novità, prima della pandemia già si parlava di Smart Working e di telelavoro, ma solo in pochi erano coinvolti, mentre in occasione del lockdown, improvvisamente un grandissimo numero di lavoratori, insegnanti, impiegati di tutti i settori privati e pubblici sono stati coinvolti in questo nuovo modo di lavorare da remoto, con un uso massiccio di piattaforme e collegamenti on line... così molte aziende sia private che pubbliche amministrazioni ne hanno fatto un ricorso massiccio e selvaggio, infatti, hanno potuto usufruire di molte deroghe, procedimenti semplificati, rispetto alla legge che lo regolamenta la Legge 81/17...
Molte grandi aziende stanno correndo per siglare accordi sindacali per disciplinare il ricorso al lavoro agile perché non vogliono perdere la grande occasione di normarlo a loro vantaggio.
E’ in atto un gran salto, un grosso cambiamento che il mondo degli affari saluta come l’avvio di una nuova era  ed è significativo ciò che ha sottolineato l’ex amministratore delegato di Google “le misure prese in quarantena ci hanno consentito di fare un balzo in avanti di ben 10 anni ed oggi, nell’economia capitalista, equivalgono a 100 anni del secolo scorso”...
non c’è dubbio che l’uso del web sarà sempre più spinto e regolerà e regnerà la nostra vita sociale. Il lavoro, soprattutto quello impiegatizio, sarà sempre più Smart working, ma cos’è di preciso? 
E’ quella modalità di lavoro senza vincoli di spazio e di tempo e che organizza la prestazione lavorativa per fasi, cicli ed obiettivi... Chi lo utilizza sono in maggioranza donne...
Lo smart working con il ricorso massiccio e approssimato ha subito evidenziato diversi problemi come il diritto alla disconnessione, la formazione, il problema della sicurezza del posto di lavoro, il diritto d’assemblea.
Se da un lato si parla in maniera positiva di questa soluzione lavorativa perché permette di coniugare "Come dice qualcuno" tempi di vita con i tempi del lavoro, questi mesi di uso indiscriminato hanno evidenziato come si entra in una specie di bolla dov'è non c'è veramente fine al tempo del lavoro che si mischia continuamente con il tempo di vita,  si rincorrono e si condizionano, si finisce con il lavorare fino a notte inoltrata per portare a termine “il progetto” o “la fase lavorativa”... Spesso hanno dovuto operare in fasce orarie autogestite, oppure, hanno accettato accordi di implementazione dell'orario di lavoro per garantire ogni servizio...
Inoltre, il fatto che all’improvviso, molti si sono trovati a  casa per lavorare senza una formazione adeguata ha creato situazioni di forte stress e seguire una voce nel pc che prova a rimetterti in gareggiata non è semplice.
Per non parlare della sicurezza, altro argomento da chiarire, per esempio nei moduli che vengono sottoposti agli impiegati postali si parla di “impegno a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione disposte dall’azienda per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali...”... assicurare la sicurezza del posto di lavoro dal soggiorno di casa o dalla cucina non è proprio semplice.
Per non parlare dei costi, in alcuni casi il computer o il telefono sono stati forniti dall’azienda, ma in molti hanno dovuto mettere a disposizione i propri mezzi, mentre il costo della connessione, chiaramente adeguata, è a carico del dipendente, e un buon servizio minimo costa dai 30/40 euro mensili.
Su questi argomenti ci sarà molto da discutere e moltissimo da lottare. Bisogna essere vigili affinché non diventi una nuova frontiera di sfruttamento feroce e vorace da parte del capitale, in tal senso abbiamo già l’esperienza capitalistica del lavoro a domicilio, svolto principalmente dalle donne nella fase di transizione tra artigianato e il lavoro salariato...
E per questo moderno lavoro a domicilio lo sfruttamento lo stanno già  organizzando.
Il POLA (Piano Organizzativo del Lavoro Agile) dichiara che dal 1 gennaio 2021 la percentuale dei dipendenti in remoto dovrà salire almeno al 60%... Questo obiettivo richiede il pieno coinvolgimento delle sigle sindacali e già si parla di accordo quadro nazionale.
Dietro alle belle parole  si nascondono l’inevitabile erosione dei diritti, del salario.
Riguardo alle belle parole vorrei segnalare un articolo della Repubblica del  28/11/2015 con il seguente titolo “l’ora lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione”; qui il ministro Poletti spiegava come dovremmo immaginare i contratti “non più con il riferimento alla retribuzione oraria perché oggi è sempre meno cessione di energia meccanica ad ore e sempre più risultato. Per molti anni i ritmi di vita si sono piegati agli orari fissi, ma con la tecnologia possiamo guadagnare qualche metro di libertà e pensiamo agli aspetti favolosi delle forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa.
Il lavoro agile non è un altro tipo di contratto, ma un modo nuovo di organizzare il vecchio contratto subordinato, aggiornato ed organizzato diversamente, è un problema culturale, le imprese devono uscire dallo schema delle 40 ore settimanali, anche i lavoratori saranno più contenti, sale la produttività e aumentano i salari”.
C’è un continuo imbonimento verso i lavoratori, chi non ha sentito di quanti vantaggi ci sono nel lavorare da casa? Inquiniamo meno perché si riduce il traffico, siamo meno stressati perché ci possiamo organizzare, guadagniamo il tempo che era necessario per raggiungere il vecchio posto di lavoro, possiamo lavorare in un ambiente tranquillo e familiare.
Ma si chiama lavoro agile perché? Agile per chi? Per il datore di lavoro che agilmente guadagna perché un pò di costi li ha eliminati, e poi licenziare lavoratori che sono da remoto  e isolati è forse più semplice, basterà un click.
Infatti si tende a sviluppare l’individualità del lavoratore che tratterà per sè e si ritroverà in una concorrenza fra eguali, gli uni contro gli altri. Così, sarà un attimo ad abbassare il salario o lo stipendio, chi sarà coinvolto in questo modello sarà costretto a modificare i propri tempi di vita per essere sempre più funzionale e produttivo per il “bene/lavoro”.

Una lavoratrice della Pubblica amministrazione di Bologna 
Già prima prima del lockdown era difficile, adesso con l’utilizzo dello smart working diventa ancora più difficile sia creare momenti assembleari che di confronto... Quello però che voglio evidenziare è che con il subentro dello smartworking questo strumento di lavoro sarà adottato nel futuro soprattutto nei posti amministrativi pubblici comuni, regioni, Inps. Così non si avrà più la concezione tra quello che è un ambito domestico e quello che è un ambito lavorativo, molte non staccheranno la spina pur di dimostrare di essere produttive e quindi c'è il rischio di non distinguere più tempi di lavoro e di vita sociale, e ci sarà il rischio della solitudine. Si dovrà fare qualcosa affinchè l’amministrazione non approfitti per peggiorare le condizioni di lavoro. Anche sindacalmente si dovrà intervenire. Quello che voglio evidenziare è che c’è un fattore centrale: il fatto che noi ritorniamo ad essere relegate dentro le quattro mura domestiche e nella famiglia, che ritorna ad essere il pilastro centrale di questa società, ha sempre avuto questo ruolo, ma in questo momento diventa ancora più centrale perché non solo si rafforza il doppio lavoro, quello esterno salariato e quello interno non pagato, ma anche si concentra di più e si rafforza la cultura borghese della famiglia che praticamente diventa ripeto ancora più centrale, quindi diventa rifugio di giovani disoccupati, diventa rifugio di precari, diventa il centro che va a supplire anche al taglio dei servizi e all’aumento dei loro costi, che con la crisi si sta accentuando. Il fatto che la famiglia diventi ancora più fondamentale per l’unità organizzativa di questa società e ne permane anche la veste ideologica, il patriarcato, il sessismo, il maschilismo, è una cosa sulla quale noi ci dobbiamo soffermare e cercare di alzare anche su questo soprattutto la denuncia e la lotta. La crisi in questo momento ci sospinge a ritornare nelle case e restarci perché molte di noi con il covid perderanno il lavoro, dovremo rinunciare di nuovo a diritti che sono stati conquistati con dure lotte. 
Bisogna anche su questo che noi ci coordiniamo, perché  il fatto di essere chiuse in casa aumenta la violenza nei confronti delle donne. E bisogna fare una riflessione costante.

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