Da Contropiano
La
 Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia perché ha 
continuato ad applicare il regime carcerario duro previsto dal 41bis 
contro il boss mafioso Bernardo Provenzano, anche quando le sue 
condizioni di salute non lo rendevano più necessario.
Secondo
 i giudici di Strasburgo, il ministero della Giustizia italiano ha 
violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti 
inumani e degradanti. Contestualmente la Corte di Strasburgo ha 
affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non
 ha leso i suoi diritti. Ma averlo rimesso sotto 41 bis, dopo un 
ricovero in ospedale che ne certificava uno stato di salute non più in 
grado di nuocere, si è configurato come un inutile e inumano 
accanimento.
Nella
 sentenza che condanna l’Italia, la Corte scrive di “non essere persuasa
 che il governo italiano abbia dimostrato in modo convincente che il 
rinnovo del regime del 41bis avvenuto a marzo 2016 fosse giustificato”. I
 documenti medici forniti dal governo italiano dimostrano che le già 
compromesse funzioni cognitive di Provenzano erano peggiorate nel 2015 e
 che nel marzo 2016 fossero ormai estremamente deteriorate. 
La
 condanna dell’Italia da parte della Corte (organo giurisdizionale 
internazionale che non fa parte dell’Unione europea, ma alla quale fanno
 capo 47 Paesi) è dunque relativa solo al prolungamento del regime 
carcerario speciale previsto dal 41bis. La stessa Corte di Strasburgo ha
 però rifiutato le richieste di risarcimento per danni morali di 150 
mila euro e di pagamento di 20 mila euro per coprire le spese legali. 
Fin
 qui le informazioni minime sulle quali dare un giudizio di merito. 
Sappiamo per esperienza che il senso comune, e un certo giustizialismo 
manettaro, hanno fin qui impedito una discussione vera su una questione 
spinosa ma non rimovibile. Ne abbiamo avuto sentore durante la campagna 
elettorale, quando proprio sull’abolizione del 41bis ci furono aspre 
polemiche tra le varie anime dentro Potere al Popolo, che stava muovendo
 i primi passi.
Su
 questo tema agiscono molti fattori, spesso divaricanti. In primo luogo 
ci sono i princìpi, poi ci sono i contesti, infine ci sono i soggetti.
Dal
 punto di vista dei princìpi la sentenza della Corte europea era attesa,
 benvenuta ed ineccepibile. E’ un chiara condanna all’uso di un 
particolare regime carcerario paragonabile a tortura anche quando non ne
 esistono più motivazioni razionali o di sicurezza. E’ una condanna 
dell’accanimento e dell’uso della giustizia più come vendetta da parte 
dello Stato che come sanzione dovuta contro chi ha violato le leggi. In 
questo caso un boss mafioso con la responsabilità di decine di omicidi, 
spesso commessi con modalità efferate.
In
 secondo luogo ci sono i contesti. La lotta per smantellare la “vecchia 
mafia” brutale, sanguinaria, con estesi collegamenti anche dentro le 
istituzioni, è stata durissima, con un altissimo numero di morti negli 
apparati statali (magistrati, agenti e funzionari di polizia) e nella 
società (da parlamentari come Pio La Torre a sindacalisti, attivisti, 
persone comuni, imprenditori, commercianti, viaggiatori sui treni, ecc).
 
La
 vecchia mafia ha esercitato potere in alcuni territori facendo ampio e 
sistematico uso della brutalità e dell’omicidio. Provenzano sta tutto 
dentro questa storia. Sullo sfondo sono emerse qua e là le pesanti 
connivenze con pezzi degli stessi apparati dello Stato che su altri 
fronti veniva colpito dai sicari mafiosi.
Per
 alcuni settori della magistratura il 41bis è stato uno strumento 
decisivo per smantellare il potere, i collegamenti, la capacità di 
influenza anche dal carcere da parte dei boss mafiosi detenuti. Tale 
contesto ha influenzato profondamente tutti gli ambiti impegnati nella 
lotta contro la mafia, inclusi quelli sociali e il popolo della 
sinistra, che hanno condiviso questa impostazione e portato come 
controprova sia i risultati (lo smantellamento delle vecchie reti 
mafiose), sia l’adeguatezza di un trattamento carcerario durissimo 
contro chi si è lasciato dietro una scia di sangue impressionante. 
Sarebbe interessante discutere e confrontarsi sulle caratteristiche 
della “nuova mafia”, quella dei colletti bianchi che ha contribuito a 
smantellare la vecchia in cambio degli indubbi vantaggi che ha ottenuto 
dalla trattativa Stato-mafia nei primi anni Novanta. Ma questo è un 
altro capitolo.
Infine
 ci sono i soggetti. Chi avrebbe l’ardire di parlare o tutelare i 
diritti umani di personaggi come Bernardo Provenzano? Il personaggio e 
quelli come lui meritano solo qualche palata di terra sopra. Ma, una 
volta detenuti nelle mani dello Stato, è questo che ha la responsabilità
 di giudicare, condannare e detenere. E se per una fase determinata può 
agire con un regime detentivo “finalizzato” a impedire contatti con 
l’esterno per smantellare la rete mafiosa all’esterno, una volta che il 
tempo e i fatti fanno superare tale condizione, il perdurare di un 
trattamento “inumano e degradante” – come scrive la Corte Europea – 
configura più accanimento, vendetta e tortura che esercizio della 
giustizia. 
Tanto
 più se tale trattamento viene continuato quando tutte le condizioni, 
oltre che il contesto ormai diverso, certificano che il soggetto non è in più in grado neanche di “badare a se stesso”.
 Può rimanere detenuto, ma non ha neppure alcuna “utilità pratica” 
sottoporlo ad un trattamento non più giustificato da esigenze di 
sicurezza.
La
 sostanza del problema sta qui, ma la sua valenza non può che andare 
oltre la vicenda specifica. L’art.41 bis infatti non è stato usato solo 
contro i boss mafiosi, ma è diventato un sistema di accanimento e 
tortura anche contro i detenuti politici, cioè contro coloro che in 
lontane stagioni hanno sfidato lo Stato. 
Il
 caso di Nadia Lioce, anche recentemente, è stato oggetto di udienze in 
tribunale e di mobilitazioni di piazza che hanno chiesto la fine del 
trattamento a 41bis per questa detenuta politica in carcere ormai da più
 di quindici anni, in un contesto radicalmente diverso da quello del suo
 arresto. Mantenere Nadia Lioce al 41bis è una manifestazione di 
accanimento e vendetta sistematica che non più ha ragione di essere per 
le mutate circostanze.
La
 sentenza della Corte europea manda a dire questo, ed ha condannato 
l’Italia per questo, esattamente come  chi  ha sostenuto apertamente che il 41bis andava abolito in 
quanto forma di tortura.

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