Roma (NEV),
19 ottobre 2018 – “Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le 4
porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni
sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta
blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni
prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano, violentate e stuprate
ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando
una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci.
Fino all’aborto e oltre.
Fino a quando il
feto non veniva fuori dal corpo della donna”. Questa è una delle testimonianze
raccolte dagli operatori di Mediterranen Hope (MH),
programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia(FCEI), che vivono sull’isola di Lampedusa e
mantengono attivo un Osservatorio che svolge un lavoro di primissima
accoglienza e mediazione con i migranti. Nonostante il dibattito pubblico delle
ultime settimane si sia spostato su altri temi, la situazione in Libia continua
ad essere molto critica e i migranti intrappolati in quella terra riferiscono
condizioni di detenzione al limite della sopravvivenza e continue violazione
dei diritti umani. La testimonianza di Nour è stata raccolta nei giorni
scorsi; la ragazza è arrivata a Lampedusa con l’ultimo sbarco, quello del 13
ottobre.
Intanto,
anche se in seguito alla campagna di criminalizzazione delle ONG e
all’impossibilità di operare nelle operazioni SAR, l’isola è sparita dai
palinsesti televisivi e dei grandi media, gli sbarchi continuano. A piccoli
gruppi e con barchette di legno arrivano i tunisini, mentre il viaggio dalla
Libia sembra aver preso nuove modalità, con molti trasbordi tra barche piccole
e più grandi fino all’arrivo in acque internazionali, come racconta Imad, anche
lui arrivato il 13 ottobre: “2700 dollari per il viaggio dall’Egitto a
Lampedusa, comprensivo di viaggi in camion e in barca. La detenzione prima in
una casa e poi in una sorta di campo profughi. Le violenze e la fame. E poi il
viaggio, affrontato con altre 33 persone, provenienti da Libano, Egitto,
Somalia, Eritrea, su una barca piccola che li ha caricati su una nave e
scaricati a 5 ore dalle coste di Lampedusa per permettergli di raggiungere
autonomamente la costa. Le persone “più scure” venivano fatte stare nella stiva
mentre egiziani e libici potevano restare sul ponte”.
I migranti
rinchiusi nell’hot spot dell’isola spesso riescono ad arrivare in paese e MH
mette a loro disposizione un internet point per poter contattare i familiari e
rassicurarli comunicando il proprio arrivo, sani e salvi, al di là del mare. È
in questa situazione che gli operatori del programma della FCEI hanno
occasione di parlare con i migranti e raccogliere le loro storie: “Abdi è
partito dall’Eritrea, ha attraversato Etiopia e poi passando dal Sud Sudan è
arrivato in Libia dove ha passato un anno e sette mesi in un luogo chiuso e
angusto, venendo picchiato tutti i giorni dai “Gangsterman”, fino a quando gli
hanno fatto chiamare la madre, in Eritrea, chiedendole 11.000 dollari per il
riscatto. Solo dopo aver pagato è stato imbarcato ed è arrivato a Lampedusa.
Zakaria viene da Asmara ed è arrivato in Libia attraverso il Sudan. Lì è
rimasto per due anni in prigione, venendo spostato di città in città, fino
all’imbarco, al viaggio e allo sbarco a Lampedusa”.
Marta
Bernardini, operatrice di MH sull’isola ha dichiarato che “ queste storie,
piene di brutalità e violazioni dei diritti degli esseri umani dimostrano
una volta di più che si deve lavorare per creare dei passaggi sicuri per chi
fugge da guerre e povertà, che i corridoi umanitari sono una soluzione
possibile per contrastare il cinismo dei trafficanti, della politica che ha
chiuso ogni via legale di accesso in Italia e in Europa, e l’egoismo di chi
invoca frontiere chiuse e blocchi navali”.
I nomi dei
migranti riportati in questo articolo sono di fantasia per proteggere la
riservatezza delle persone che hanno affidato a MH la loro storia.
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