Dal secolo XIX, con i verbali in pdf:
Carcere a luci rosse: le carte segrete su direttore e agenti
«Gemma Benetello, detenuta dal 2001 al 2007, ricorda che sin dai primi tempi, la notte, sentiva che venivano aperte delle celle e le detenute uscivano per poi rientrare dopo qualche ora. Non riusciva a vedere chi venisse ad aprire, ma tra le detenute stesse si diceva che le donne andassero a consumare rapporti sessuali con le guardie». Gemma Benetello è un’insegnante di musica in pensione, che nell’agosto di dieci anni fa, cinquantenne, strangolò a Sanremo l’anziana Lisette Schaeffer, perché non voleva riassumerla come badante. E però diventa una delle testimoni che hanno alzato il velo sul carcere a luci rosse di Pontedecimo. Dove, si scopre adesso, per anni decine di recluse avrebbero dovuto concedersi all’ex direttore Giuseppe Comparone (oggi in pensione) e forse ad alcuni agenti. Consumando rapporti sessuali nelle cucine, in alloggi privati, in auto, persino in un «boschetto». L’unico obiettivo delle “vittime” era garantirsi un permesso in più o migliori condizioni dietro le sbarre. E anche un’assassina sarebbe stata premiata per il suo silenzio.
Comparone, nei giorni scorsi, è stato condannato a 2 anni e sei mesi per corruzione a sfondo sessuale e falso. Ora, dalle motivazioni della sentenza, nuove clamorose rivelazioni.
Il giudice Silvia Carpanini ha ribadito che sono dimostrabili «oltre ogni ragionevole dubbio» i rapporti in cambio di permessi con una sola carcerata, la marocchina Zakia El Idrissi, episodi classificabili come corruzione. Mentre sono cadute le accuse di violenza e concussione.
Eppure, nelle motivazioni di quel verdetto, depositate recentemente, sono contenuti molti verbali segreti (il processo si era svolto a porte chiuse poiché con rito abbreviato), che delineano per la prima volta un “sistema” decennale. E riscrivono da cima a fondo la storia di quello che fino a poco tempo fa era considerato un istituto modello (oggi la direttrice è Maria Milano e il clima è completamente cambiato, ndr).
Il carcere di Pontedecimo |
Tutti gli interrogatori vanno in scena tra la fine del 2009 e il 2010, quando la Procura avvia un’indagine. E si riparte allora da Gemma Benetello: «Alla domanda se abbia mai sentito lamentele circa l’ammissione a benefici penitenziari in cambio di favori sessuali, ha confermato, precisando che quel che si diceva era “tu mi dai, io ti do”. E infatti ha notato che alcune detenute non avevano titolo per essere ammesse, se non il fatto di essere carine. Tra loro la detenuta Marleholm (Ana, romena, ndr)accusata di aver ucciso un uomo». Quindi in prima persona: «Costei era una delle preferite del direttore... l’ho visto diverse volte prenderla sottobraccio e sparire. Non so dove andasse, ma la situazione era evidente. La donna tornava dopo diverso tempo e non si sapeva dove fosse stata. Talvolta invece arrivava il direttore e la chiamava». Chi è Ana Marleholm? A Genova è stata condannata a 16 anni per aver ammazzato a scopo di rapina e con un complice, nel 2003, il commesso di sexy-shop Diego Carta, a Sampierdarena.
Davanti agli inquirenti siede poi B. B., 50 anni, ex ladra oggi libera: «Riferisce che fatti analoghi a quelli denunciati (cioè la liaison fra Comparone e la nordafricana El Idrissi, per cui è stato condannato) si sono verificati anche in passato e che è fatto notorio che le detenute belle e giovani hanno una “carriera” lavorativa molto veloce, agevolata in cambio di favori sessuali... Fa specifico riferimento alla detenuta Ana Marleholm (la romena assassina), alla sua rapida carriera lavorativa (agevolazioni nelle richieste di ammissioni ad attività esterne), alle allusioni della stessa in ordine a rapporti sessuali con il direttore». Ana Marleholm nega di aver fatto sesso dietro le sbarre o in alloggi di servizio, ma il giudice non le crede.
C’è molto di più, nelle carte. Dalla misteriosa figura di un ex finanziere, “Antonio”, che aveva rapporti con una marocchina durante il periodo del lavoro esterno, agli incontri sessuali d’una detenuta nel «boschetto» dove faceva le pulizie, fino al sesso nelle cucine dell’istituto, riferito da almeno una teste. Quanto sono credibili, queste indiscrezioni? È lo stesso giudice, pur non potendole contestare penalmente, ad accreditarle. Spiegando come «la particolarità» del carcere faccia sì che nessuno abbia interesse a denunciare d’iniziativa, temendo di peggiorare le proprie condizioni. E quindi è «verosimile» che episodi pure molto gravi siano passati per anni sotto silenzio. Finché il coraggio di alcuni agenti non ha svelato tutto.
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