Cartelli e adesivi con su scritto “CGS bocciata“ sono stati affissi fin
sopra il campanello della CGS e in Piazza del Gesù, dove ha sede
Uno striscione è stato apposto all’ingresso, suscitando la reazione di un lavoratore addetto al servizio portineria/guardianaggio per un privato, che ha minacciato di chiamare la polizia. Ne è nata una discussione ma anche un confronto, perché poi ha aggiunto: “io sarei il primo che dovrei scioperare, ma questo lavoro mi dà da mangiare e lo devo fare, qui è vietata l’affissione, si può mettere negli spazi comunali dedicati ma non su questo edificio”. Alla fine ha preso diversi volantini dell’appello per l’8 marzo delle lavoratrici e lavoratori combattivi per distribuirli anche agli altri lavoratori e lavoratrici dello stabile, e lo striscione è stato recuperato.
Negli interventi che si sono succeduti al microfono, molti delle mamme, mogli, sorelle dei detenuti e delle detenute, non ci si è limitati alla denuncia delle morti, delle violenze e dei pestaggi, delle inchieste e dei processi per rivolta che inizieranno a breve (a Roma il 18 marzo inizierà il processo alle detenute di Rebibbia per la rivolta del 9 marzo 2020).
Si è fatta un’analisi della natura classista, razzista e patriarcalista del sistema detentivo e della necessità, per questo sistema capitalistico di disciplinare una povertà crescente e reprimere il conflitto sociale che questa stessa crisi produce, aumentando le disuguaglianze.
Crisi economico-pandemica che verrà scaricata interamente sulle masse dei proletari e in primo luogo le donne, aprendo le porte dei cimiteri o delle carceri ma solo per entrarvi se non ci uniamo e non ci organizziamo.
Il carcere insomma ci riguarda
tutte e tutti e a partire da questa consapevolezza bisogna prepararsi a
rispondere alle future manovre di questo governo della finanza, delle banche e
dei padroni, che mettendo una ministra “costituzionalista” e ciellina come
Anche in questa piazza mista le protagoniste sono state le donne, non solo le compagne, ma le proletarie, le familiari. Anche quando si è trattato di fronteggiare polizia e carabinieri che non hanno fatto mancare l’esercizio fallico dei loro manganelli, le donne in prima fila non sono indietreggiate. Così la lotta delle detenute, che da Rebibbia a Vigevano, da Torino a Trieste, alza ancora oggi la testa per difendere la propria dignità. La lettura della lettera delle detenute del carcere di Trieste che oggi erano in lotta con noi e con tutte le donne ribelli nel mondo ha suscitato forte emozione e un’applauso generale. La stessa lettera, letta anche a L’Aquila all’iniziativa di NUDM ha sortito quasi lo stesso effetto, e questo fa riflettere... perché forse è proprio da qui che bisogna ripartire, da "chi sotto a tutti, in fondo a tutto sta"
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