Oltre l'80% dei ginecologi è obiettore di coscienza e le
donne respinte dalle istituzioni tornano al segreto: ventimila le
interruzioni di gravidanza illegali calcolate dal ministero della
Sanità, ma secondo alcune stime sono almeno il doppio. Ambulatori
fuorilegge e farmaci di contrabbando. "Una sconfitta di tutti, perché la
norma funzionava, ma è diventata una corsa a ostacoli"
ROMA - Il cartello è scritto a penna, a volte su un pezzo
di cartone. "Qui non si effettuano più Ivg". Ossia interruzioni
volontarie di gravidanza. Aborti cioè. Porte sbarrate, reparti chiusi,
day after di qualcosa che c'era, funzionava, e adesso è in disuso,
smantellato, abbandonato. "Tutti i medici sono obiettori di coscienza,
vada altrove". Altrove è l'Italia che torna alla clandestinità: da Nord a
Sud in intere regioni l'aborto legale è stato cancellato, oltre l'80%
dei ginecologi, e oltre il 50% di anestesisti e infermieri non applica
più la legge 194. Accade a Roma, a Napoli, a Bari, a Milano, a Palermo.
Le donne respinte dalle istituzioni tornano al silenzio e al segreto,
come quarant'anni fa. Alcune muoiono, altre diventano sterili, ma
nessuno ne parla. Ventimila gli aborti illegali calcolati dal ministero
della Sanità con stime mai più aggiornate dal 2008, quarantamila, forse
cinquantamila quelli reali. Settantacinquemila gli aborti spontanei nel
2011 dichiarati dall'Istat, ma un terzo di questi frutto probabilmente
di interventi "casalinghi" finiti male. Cliniche fuorilegge,
contrabbando di farmaci: sul corpo delle donne è tornato a fiorire
l'antico e ricco business che la legge 194 aveva quasi estirpato.
Ma chi gestisce oggi questo "commercio" ramificato? Quali
sono le rotte dell'aborto clandestino, che sta facendo ripiombare il
nostro paese nel clima cupo degli anni antecedenti al 22 maggio 1978,
quando finalmente in Italia l'interruzione volontaria di gravidanza
diventò legale? E gli aborti iniziarono a diminuire, arrivando oggi ad
essere il 53,3% in meno rispetto agli anni Ottanta.
CLINICHE E CONTRABBANDO.Ambulatori fuorilegge: l'ultimo
gestito dalla mafia cinese è stato smantellato a Padova dalla Guardia di
Finanza alcune settimane fa, e incassava quattromila euro al giorno.
Tra i clienti anche donne italiane. E poi sequestri, spaccio di farmaci
abortivi, confezioni di Ru486 di contrabbando, 188 procedimenti penali
aperti nell'ultimo anno per violazione della legge 194, spesso contro
insospettabili professionisti che agivano nei loro studi medici. Donne
che ricominciano a morire di setticemia, e donne che migrano da una
regione all'altra cercando (spesso invano) quei reparti che ancora
garantiscono l'interruzione volontaria di gravidanza. Ragazzine e
immigrate che vagano nei corridoi del metrò cercando i blister di un
farmaco per l'ulcera a base di "misoprostolo" che preso in dosi massicce
provoca l'interruzione di gravidanza, spacciato dalle gang sudamericane
che lo fanno arrivare nel porto di Genova dagli Stati Uniti. Dieci
pillole, 100 euro al mercato nero, meno della metà se si compra su
Internet. E le giovanissime abortiscono da sole, nel bagno di casa,
perché della legge o del giudice tutelare non sanno nulla, perché in
ospedale la lista d'attesa è troppo lunga e i consultori sono sempre di
meno. (Dal 2007 al 2010 ne sono stati tagliati quasi 300).
Alem ad esempio, 17 anni, nata Italia da genitori egiziani,
brava e brillante a scuola, ricoverata in coma a Verona per un aborto
provocato con un uncino. "Non volevo che i miei genitori si accorgessero
che ero incinta - ha raccontato - e in ospedale non mi hanno voluto
perché ero minorenne...". O Irene, cresciuta tra le Vele di Scampia,
già baby mamma a 14 anni, che a 16 anni abortisce nel bagno di casa, ma
sbaglia dosi di misoprostolo, e finisce in un grande nosocomio di Napoli
tra la vita e la morte. "Sono troppo povera per avere un altro figlio"
confessa ai medici. O, ancora, ed è sempre Sud, la povera storia della
compravendita di un neonato architettata da un ginecologo di Caserta,
Andrea Cozzolino, finito in manette l'8 maggio scorso. Aveva convinto
una giovane donna minorenne che si era rivolta a lui per un aborto
clandestino, a partorire, e poi vendere il suo bambino per 25mila
euro...
La percentuale di successo di questi solitari aborti, quasi
sempre farmacologici e di cui si trovano dettagliate istruzioni in
Rete, è alta: oltre il 90%, ma chi sbaglia rischia la vita. Commenta
amaro il ginecologo Carlo Flamigni: "Contro la 194 c'è una congiura del
silenzio. Accedere ai servizi è sempre più difficile, una corsa a
ostacoli, e le donne meno esperte, le più fragili, le più giovani, le
straniere, finiscono nella trappola dell'illegalità. Credo che oggi nel
mercato clandestino si trovi qualunque farmaco, addirittura la Ru486. È
una sconfitta per tutti, perché la legge funzionava, e funzionava bene".
MORIRE D'ABORTO. Pilar ha 50 anni, il cuore grande e le
braccia forti. In Perù faceva l'ostetrica, qui assiste da oltre
vent'anni le donne migranti. "Ma vent'anni fa - racconta - nel
vostro paese si poteva abortire con sicurezza, e quando le donne
venivano dimesse si insegnava loro la contraccezione". "L'ultima che ho
accompagnato in ospedale mi ha detto di chiamarsi Soledad, di lei so
poco altro, se non che fa la badante e ha già due figli in Ecuador. Per
due volte aveva provato a cercare un reparto di Ivg, dopo aver scoperto
che in Italia l'aborto è legale. Per due volte l'hanno rimandata
indietro dicendole che non era il giorno giusto, che non c'erano i
medici. Così ha fatto da sola - rivela Pilar - con le pasticche che
ha comprato da un'amica, e quando mi ha chiamato aveva la febbre
altissima e un'emorragia in corso. L'hanno salvata, non è stata
denunciata, ma per mesi era così debole che non ha potuto lavorare, ha
perso il posto di badante, e ora è disoccupata". E non è soltanto
questione di donne immigrate. "L'aborto clandestino ormai riguarda tutti
i ceti della società", aggiunge Silvana Agatone, ginecologa e
presidente della Laiga, la lega italiana per l'applicazione della 194,
che da anni denuncia l'incredibile dilagare dell'obiezione di coscienza
nel nostro paese.
"Ci sono gli aborti d'oro, quelli dei ceti elevati, che si
svolgono in sicurezza negli studi medici, oppure all'estero. E poi ci
sono gli aborti delle donne povere, delle clandestine, che comprano le
pasticche nei corridoi del metrò, e se qualcosa va male si presentano al
Pronto Soccorso affermando di aver avuto un aborto spontaneo". Qualcuna
si salva, qualcuna no. Come quella donna nigeriana che arrivò "con una
gravissima infezione nel nostro ospedale ed è morta di setticemia"
ricorda Silvana Agatone, che lavora al "San Giovanni" di Roma. È andata
meglio a Mariangela, pugliese, che non sapendo più dove andare dopo la
chiusura dell'ultimo reparto di Ivg nella sua provincia (Matera)
racconta sul forum "aborto-blogspot" di essersi rivolta grazie al tam
tam ad una (stimata) ginecologa di un paese vicino. "Duemilacinquecento
euro, intervento chirurgico sterile e sicuro. Come facevano mia madre e
mia nonna, ma senza rischi. Tutto molto triste però, credevo che ormai
avessimo diritto all'aborto legale".
LA FUGA ALL'ESTERO. Ma come si è arrivati a questo
smantellamento progressivo di una legge dello Stato? È legale che interi
nosocomi non abbiano più medici che applicano la 194, a trentacinque
anni esatti dalla sua approvazione? "No, non è legale, e infatti come
Laiga abbiamo fatto ricorso al Consiglio d'Europa, e il nostro ricorso è
stato accolto. La verità è che nessuno vuole più fare aborti perché si
viene discriminati nella carriera e obbligati a fare solo e soltanto
quelli". Alcuni dati: nel Lazio il 91% dei ginecologi è obiettore di
coscienza, a Bari gli ultimi due medici che facevano gli aborti hanno
deciso di abbandonare il reparto, a Napoli il servizio viene assicurato
soltanto da un ospedale in tutta la città, in Sicilia il tasso di
astensione dalla 194 è dell'80,6%. "Questo vuol dire che le liste
d'attesa sono spaventose, e il rischio è superare il numero di settimane
di gravidanza in cui è consentita l'interruzione. Ma la vera tragedia
riguarda l'aborto terapeutico - conclude Silvana Agatone - perché si
tratta di un intervento a tutti gli effetti, per cui sono necessari
medici interni all'ospedale, ginecologo, anestesista, infermieri, e non
si può supplire con professionisti a contratto. Visti però i numeri
dell'obiezione di coscienza è evidente che in tempi molto brevi nelle
strutture pubbliche italiane questo tipo di aborti non si faranno più".
E allora le donne emigrano. Svizzera, Inghilterra, Francia.
Quattrocento euro per una Ivg entro il terzo mese, circa 3000 per un
aborto terapeutico (oltre la 22esima settimana) in clinica. Ma non tutte
possono andare all'estero, e per quelle che restano la prospettiva è un
calvario fatto di umiliazioni, e veri e propri maltrattamenti in
ospedale. Scrive Serena F. che ha dovuto abortire alla 23sima settimana
per gravissime malformazioni del feto: "Mi hanno abbandonato da sola, su
un lettino, per 15 ore di travaglio senza darmi né antidolorifici né
altro, in tutto l'ospedale c'era soltanto una giovane ginecologa non
obiettrice, ma era sovraccarica di lavoro, così mi ha affidato, si fa
per dire, alle cure di due infermiere, ho chiesto ripetutamente un po'
d'acqua, me l'hanno portata dopo ore e ore. Quando alla fine il mio
disgraziatissimo bambino è nato, ed è morto subito dopo, una delle
infermiere a bassa voce mi ha chiesto se non mi vergognavo di quello che
avevo fatto... La ginecologa l'ha sentita e si è infuriata, quella ha
risposto, è finita ad urli. Un dolore pazzesco. Ecco così si abortisce
legalmente in Italia".
LE CIFRE DI UN DRAMMA. Come si fanno a calcolare i numeri
di un fenomeno clandestino? Con quali parametri? Da anni ormai nella
relazione al parlamento sulla legge 194, si cita una stima di 15/20mila
aborti illegali, un numero calcolato soltanto sul tasso di abortività
delle donne italiane (6,9 per 1000) e sottostimato per stessa ammissione
del ministero. Molti altri elementi però portano almeno al raddoppio di
quella cifra, facendo salire la quota delle interruzioni di gravidanza
clandestine a 40/50mila l'anno. Intanto paramentrando le stime
dell'illegalità al tasso di abortività delle immigrate, che è di 26,4
interruzioni ogni mille donne, tre volte quello delle italiane.
Analizzando poi i dati Istat ad esempio si vede con chiarezza quanto gli
aborti spontanei sono aumentati, passando dai 55mila casi degli anni
Ottanta, ai quasi ottantamila di oggi. E secondo molti studiosi questa
impennata altro non è che il ritorno dell'aborto clandestino
"mascherato", esattamente come avveniva prima della legge, quando le
donne dopo aver tentato di "fare da sole" arrivavano in ospedale con
emorragie e dolori, e i medici per salvarle completavano gli aborti,
registrati come "spontanei".
SULLA PELLE DELLE MINORENNI. Lo spiega con chiarezza Franco
Bonarini, docente di Demografia all'università di Padova nel saggio
"Sessualità e riproduzione nell'Italia contemporanea". "L'incremento del
rapporto tra aborti spontanei e gravidanze potrebbe essere conseguenza
di un aumento del ricorso all'aborto volontario provocato illegalmente.
Anche il più alto rischio per alcune categorie di donne, immigrate, non
coniugate potrebbe essere indizio di questo fenomeno". Ancora più
preciso il calcolo di Bruno Mozzanega, dell'università di Padova, che si
ricollega al crescente "spaccio" di farmaci per interrompere la
gravidanza. "Gli aborti clandestini sono ancora una realtà sottostimata
in 20mila casi all'anno, ma ad essi si aggiungono, come segnala l'Istat,
73mila aborti spontanei, aumentati, rispetto al 1982, di 17mila casi
all'anno. Un incremento medio del 30% che però nelle minorenni sfiora il
70%. Se questo surplus di aborti spontanei rappresentasse anche solo in
parte gli insuccessi (5-10%) dei farmaci abortivi di contrabbando, ne
emergerebbe un sommerso illegale di dimensioni inimmaginabili a carico
soprattutto delle giovanissime, le stesse che già abusano della pillola
del giorno dopo".
IL CALVARIO DI PIERA - "Ho tre figli, e la più piccola,
Alice, è nata con la sindrome di down. Lo sapevo, l'ho voluta lo stesso.
Poi è successo l'incredibile: a 44 anni sono rimasta incinta per la
quarta volta. Mauro, Marco, Alice che assorbe ogni mio respiro. Non era
possibile avere un altro bimbo, con il rischio di un nuovo handicap.
Sono andata in un consultorio della mia città per iniziare le pratiche
dell'aborto. Ho dovuto subire l'umiliante interrogatorio di alcuni
volontari del Movimento per la Vita, lì collocati dalla direzione
sanitaria, che per due settimane hanno cercato di farmi "riflettere",
cercando di convincermi a non farlo, parlandomi apertamente di omicidio,
mentre i termini stavano per scadere. Un vero abuso. Fuorilegge. Come
se non soffrissi già abbastanza. Ho abortito in ospedale e poi ho
denunciato il direttore della Asl..."
Nessun commento:
Posta un commento