"Ieri mi hanno ucciso. Ho rifiutato di farmi toccare e con
un bastone hanno colpito il mio cranio. Mi hanno accoltellato,
lasciandomi morire dissanguata. Mi hanno avvolto in un sacco nero,
sigillato col nastro adesivo e il mio corpo è stato abbandonato sulla
spiaggia, dove sono stata ritrovata dopo qualche ora. Ma peggio della
morte è stata l’umiliazione che ne è seguita".
Queste sono parole che Marina Menegazzo e María José
Coni non pronunceranno mai. Le due turiste argentine a fine febbraio
sono state uccise da due ragazzi a Montañita, in Ecuador, dove si erano
recate in vacanza. In una lettera aperta apparsa su Facebook una
studentessa paraguaiana ha voluto dar loro voce, permettendo a Maria e
Marina di difendersi dalle accuse.
Come spesso accade, quando le vittime sono donne, alla
notizia della loro morte sono seguite infatti discussioni in merito a
chi fossero i veri colpevoli per quanto accaduto. Come spesso accade il
dito è stato puntato sulle stesse vittime, colpevoli di vestirsi in
maniera provocante, di cercare una libertà che non spetterebbe loro, in
quanto donne.
Marina e Maria non possono difendersi da quelle accuse, per
questo Guadalupe Acosta ha deciso di dar loro voce, attraverso una
lettera aperta apparsa su Facebook e scritta in prima persona, come se a
parlare fosse una delle vittime.
"Nessuno si è chiesto dove fosse il bastardo che aveva
spezzato i miei sogni, la mia speranza, la mia vita. No, anzi, hanno
cominciato a farmi domande inutili. A me, una morta, che non può
parlare, non può difendersi. Che vestiti avevi addosso? Perché eri sola?
Come può una donna viaggiare sola? Ti sei addentrata in una zona
pericolosa, cosa ti aspettavi? Hanno messo in discussione i miei
genitori per non avermi tarpato le le ali, per avermi lasciato essere
indipendente, come ogni essere umano", scrive la ragazza sul suo profilo
Facebook.
Nella ricostruzione dei fatti affidati alla lettera si
scivola inevitabilmente verso una consapevolezza: "Per il mondo io non
sono uguale a un uomo. Se al nostro posto ci fossero stati dei ragazzi
sarebbero state spese solo parole di cordoglio. Ma essendo una donna
sono stata condannata perché non sono rimasta a casa".
Nelle parole non c'è solo amarezza, ma anche speranza che
le donne possano ribellarsi a questo stato di cose, a una mentalità che
finisce inevitabilmente per infettare anche loro stesse: "Mi dispiace
non essere più qui, ma ci siete voi. E siete donne. Vi chiedo per me e
per tutte le altre alle quali hanno negato vita e sogni, di alzare la
voce. Lottiamo insieme, io con voi, con il mio spirito, e vi prometto
che un giorno non ci saranno abbastanza sacchi per metterci tutte a
tacere".
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