13/03/16

"Un giorno non ci saranno abbastanza sacchi per metterci tutte a tacere".

"Ieri mi hanno ucciso. Ho rifiutato di farmi toccare e con un bastone hanno colpito il mio cranio. Mi hanno accoltellato, lasciandomi morire dissanguata. Mi hanno avvolto in un sacco nero, sigillato col nastro adesivo e il mio corpo è stato abbandonato sulla spiaggia, dove sono stata ritrovata dopo qualche ora. Ma peggio della morte è stata l’umiliazione che ne è seguita".
Queste sono parole che Marina Menegazzo e María José Coni non pronunceranno mai. Le due turiste argentine a fine febbraio sono state uccise da due ragazzi a Montañita, in Ecuador, dove si erano recate in vacanza. In una lettera aperta apparsa su Facebook una studentessa paraguaiana ha voluto dar loro voce, permettendo a Maria e Marina di difendersi dalle accuse.
Come spesso accade, quando le vittime sono donne, alla notizia della loro morte sono seguite infatti discussioni in merito a chi fossero i veri colpevoli per quanto accaduto. Come spesso accade il dito è stato puntato sulle stesse vittime, colpevoli di vestirsi in maniera provocante, di cercare una libertà che non spetterebbe loro, in quanto donne.
Marina e Maria non possono difendersi da quelle accuse, per questo Guadalupe Acosta ha deciso di dar loro voce, attraverso una lettera aperta apparsa su Facebook e scritta in prima persona, come se a parlare fosse una delle vittime.
"Nessuno si è chiesto dove fosse il bastardo che aveva spezzato i miei sogni, la mia speranza, la mia vita. No, anzi, hanno cominciato a farmi domande inutili. A me, una morta, che non può parlare, non può difendersi. Che vestiti avevi addosso? Perché eri sola? Come può una donna viaggiare sola? Ti sei addentrata in una zona pericolosa, cosa ti aspettavi? Hanno messo in discussione i miei genitori per non avermi tarpato le le ali, per avermi lasciato essere indipendente, come ogni essere umano", scrive la ragazza sul suo profilo Facebook.
Nella ricostruzione dei fatti affidati alla lettera si scivola inevitabilmente verso una consapevolezza: "Per il mondo io non sono uguale a un uomo. Se al nostro posto ci fossero stati dei ragazzi sarebbero state spese solo parole di cordoglio. Ma essendo una donna sono stata condannata perché non sono rimasta a casa".
Nelle parole non c'è solo amarezza, ma anche speranza che le donne possano ribellarsi a questo stato di cose, a una mentalità che finisce inevitabilmente per infettare anche loro stesse: "Mi dispiace non essere più qui, ma ci siete voi. E siete donne. Vi chiedo per me e per tutte le altre alle quali hanno negato vita e sogni, di alzare la voce. Lottiamo insieme, io con voi, con il mio spirito, e vi prometto che un giorno non ci saranno abbastanza sacchi per metterci tutte a tacere".

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