08/03/16

8 marzo, Sex workers in lotta - un manifesto

Come firmatarie di questo manifesto, esprimiamo il nostro supporto per l’autodeterminazione delle sex workers e il riconoscimento del sex work come un lavoro. Come per i diritti delle donne, i diritti riproduttivi e per l’uguaglianza tra i generi, minacciati lungo l’Europa e l’Asia Centrale, siamo solidali con le sex workers, che affrontano molteplici forme di violenza: strutturali e istituzionali, fisiche e interpersonali. A proposito della sistematica oppressione che le sex workers affrontano, chiediamo a tutt* i/le femminist* di concentrare i loro sforzi nell’includere e amplificare le voci delle sex worker nel movimento, e di smettere con la promozione di strutture chiuse e legali (gestite da altri) che si sono dimostrate dannose per i diritti delle sex workers.
Noi facciamo appello ad un movimento femminista che combatte contro la società ingiusta, patriarcale, capitalista, caratterizzata dalla supremazia bianca, un movimento femminista che sia inclusivo per trans e sex workers. I nostri sistemi giudiziari sono oppressivi, e inoltre non vediamo come accrescere potere e numero delle forze di polizia, persecuzioni e incarcerazioni possa considerarsi la soluzione principale contro la violenza sulle donne, su* trans e contro la disuguaglianza di genere. Noi invece crediamo utile l’intervento della comunità, delle organizzazioni supporto per la sensibilizzazione delle persone che così capiranno quanto siano varie e complesse le forme di violenza contro donne e trans, comprese le inuguaglianze economiche e la mancanza di reti e servizi di previdenza sociale accessibili.
1. Riconosciamo le sex workers come consapevoli delle proprie vite e necessità. Il Femminismo, come ha sempre fatto nel passato, deve supportare l’operato e l’autodeterminazione delle donne sul loro corpo e sul loro lavoro. Le sex workers non devono essere un’eccezione.
2. Rispettiamo le decisioni delle sex workers di intraprendere il loro lavoro. Come femminist*, rifiutiamo le convinzioni misogine secondo le quali le sex workers “vendono il corpo” o “vendono se stesse”: suggerire che praticare sessualità comporti la svalutazione o la perdita di se stesse è un concetto profondamente anti-femminista. Le donne non sono sminuite/lese dal sesso. Respingiamo inoltre qualunque analisi che ritenga che le attività delle sex workers contribuiscano alla mercificazione delle donne, del sesso o dell’intimità. Non incolperemo le sex workers di danneggiare le altre donne, bensì accuseremo il patriarcato e gli altri sistemi oppressivi.
3. Affermiamo il diritto delle sex workers di rivendicare autonomia quando esprimono consenso. Affermare che le sex workers non possano esercitare consenso vuol dire limitare la loro possibilità di nominare i propri limiti e far sentire la propria voce contro la violenza. Promuovere l’idea che i clienti comprino il corpo o il consenso delle sex workers –e dunque l’idea che le sex workers facciano solo quel che desiderano i clienti- ha delle conseguenze pericolose nella vita delle sex workers.
Inoltre, considerare ogni prestazione/sexwork come una forma di violenza, è un’idea che può portare ad un inasprimento di azioni repressive contro le sex workers stesse in nome della lotta contro la violenza- giacché l’inasprimento dell’attenzione repressiva sul lavoro sessuale in realtà incrementa la loro vulnerabilità.
4. Raccomandiamo delle misure che prevedano un aiuto concreto e supportino le vittime del traffico della prostituzione, col pieno rispetto e la protezione dei loro diritti umani e lavorativi. Denunciamo perciò il fatto che si faccia confusione e si considerino come parti di un unico schema: la questione della migrazione, lo sfruttamento della prostituzione e il sex working consensuale e autodeterminato. Come risultato di questa confusione, le sex workers migranti sono spesso prese di mira dalle vessazioni da parte delle autorità e dai raid polizieschi, vengono arrestate e deportate, e spinte verso ambienti lavorativi clandestini dove sono più vulnerabili a violenza e sfruttamento.
5. Combattiamo per eliminare ogni forma di violenza contro le sex workers. Il sex work non è una forma di violenza sessuale, ma le sex workers sono particolarmente vulnerabili alla violenza dei propri partner a causa dello stigma, della criminalizzazione e della frequente intersecazione di varie forme di oppressione, come sessismo, misoginia, puttanofobia, omofobia, razzismo e classismo. Queste oppressioni o criminalizzazioni rendono le sex workers vulnerabili alle violenze inflitte da individui singoli, servizi sociali, polizia, funzionari dell’immigrazioni, magistratura. Considerare il sex work come intrinsecamente violento e le sex workers come consenzienti a pratiche invalidanti contribuisce a normalizzare e legittimare la violenza contro di loro.
6. Lavoriamo/Ci impegniamo ogni giorno per sconfiggere la misoginia in ogni ambito. La misoginia, tuttavia, non è causa del sex work, ma diventa la reazione ad un serie di comportamenti e scelte delle donne, che sia il truccarsi, abortire, o vendere prestazioni sessuali. Noi designiamo sentimenti e comportamenti misogini come IL problema, e ci rifiutiamo di accogliere le richieste di eliminare o cambiare quei comportamenti che “provocherebbero” la misoginia. Tentare di eliminare il sex work sul campo lavorativo supponendo che provochi la misoginia vuol dire concordare con coloro che ritengono che alcune azioni femminili –come vendere prestazioni sessuali- siano intrinsecamente meritevoli di misoginia.
7. Rispettiamo i diritti delle migranti. Le donne migranti si vedono limitate nel campo lavorativo e nell’accesso ai servizi di sicurezza. Alcune di loro che cercano rifugio, viste le poche opportunità di guadagnarsi da vivere, scelgono di vendere prestazioni sessuali. La criminalizzazione dei clienti, e altre forme di criminalizzazione del sex work, mettono le migranti in una condizione di continuo scontro con le autorità, che comporta violenza, arresti e deportazioni, negando loro ogni diritto di accesso alla giustizia o ad un risarcimento. La criminalizzazione del cliente priva loro del profitto, senza offrire alcuna alternativa per la loro sopravvivenza.
8. Supportiamo i diritti della comunità LGBT. Il rifiuto da parte delle loro famiglie, gli ostacoli che incontrano anche nelle scuole e nel mondo lavorativo in una società (cis-sexist) ed eteronormativa, spesso porta a considerare il sex work come una delle poche opportunità lavorative, specialmente per le donne trans. Delle leggi anti sex work non beneficiano LGBT e trans perché quelle leggi non affrontano queste complessi tratti di emarginazione sociale. Nel caso delle donne trans, le leggi anti sex work sono utilizzate come pretesto per perseguitare questo gruppo, che si trattino o meno di effettive sex workers.
9. Richiediamo una completa decriminalizzazione del sex work. Risulta evidente come il modello svedese e le altre forme di criminalizzazione del sex work siano dannose per le sex workers. Il modello svedese può causarne la povertà, riduce la loro capacità di negoziazione col cliente, sono perseguibili se lavorano in gruppo (per loro maggiore sicurezza), vengono sfrattate e deportate. Consentire alle sex workers di gestirsi come delle normali lavoratrici significherebbe diminuire la loro vulnerabilità allo sfruttamento e alla violenza.
10. Ci schieriamo contro la crescente precarizzazione del lavoro femminile. Storicamente nelle società occidentali, secondo un sistema patriarcale e capitalista, il lavoro di cura delle donne (faccende domestiche, assistenza agli anziani, cura dei bambini, sex work, assistenza morale), considerato come “femminile” è stato sottovalutato, sottopagato, completamente ignorato o non stipendiato. Globalmente le donne, sex workers comprese, hanno lavori meno redditizi e più instabili: lavorano in condizioni di sfruttamento –dai lavori saltuari, in nero, temporanei, a quelli domestici, flessibili, con contratti pessimi, da freelance, o come lavoratrici autonome. Il sex work è spesso assimilato all’assistenza degli anziani, considerato prevalentemente come impiego femminile, soprattutto delle migranti o delle donne di colore. Le badanti/sorveglianti, così come le sex workers, spesso non godono degli stessi diritti del lavoro che hanno i lavoratori in ambiti “maschili”. Difendere i diritti delle sex workers vuol dire sottolineare i loro diritti lavorativi per combattere le condizioni precarie di lavoro e lo sfruttamento nell’industria del sesso, e vuol dire propugnare delle proposte giuridiche che legittimino le sex workers come effettive lavoratrici
12. Chiediamo l’inclusione delle sex workers nel movimento femminista. La loro inclusione è in grado di fornire al nostro movimento una visione di grande valore, diversità ed esperienza di mobilitazione; una sfida ai nostri assunti su genere, classe e razza. Tra le prime femministe c’erano sex worker e la nostra comunità senza di loro ha meno valore

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