Nelle prossime settimane arriverà nelle
librerie italiane e negli infoshop di Movimento un
importante saggio di Andrea Iris D’Atri (*), tradotto
dallo spagnolo e curato da Serena Ganzarolli. Il
titolo non lascia dubbi sul contenuto del libro: Il
pane e le rose. Femminismo e lotta di classe (il testo in corsivo è della casa
editrice).
***
Come
scrive Andrea Iris D’Atri in una nota all’edizione
italiana, Il pane e le rose intende muoversi
“in senso opposto rispetto a un certo femminismo”, che: “Si liquefa in
insipidi programmi assistenziali di organizzazioni non
governative o che si accontenta di disquisire di «corpi
desideranti» e di piccole e limitate emancipazioni
soggettive in un mare di oppressioni. Diciamo in senso
opposto perché quel femminismo che in passato aveva
denunciato l’armonioso matrimonio fra capitalismo e
patriarcato ha poi smesso di puntare il dito contro lo
sfruttamento che subiscono milioni di esseri umani e su
cui continuano a fondarsi le società attuali, in cui le
donne sono coloro che pagano il prezzo più alto. Quel
femminismo che aveva saputo raccogliere le rivendicazioni
delle lavoratrici – rivendicazioni che finivano sempre in
secondo piano rispetto a quelle dei loro fratelli di
classe – oggi si preoccupa delle difficoltà e degli
impedimenti che riguardano le imprenditrici e le alte
dirigenti nell’essere considerate alla pari degli
sfruttatori maschi. Quel femminismo che aveva saputo
rintracciare l’irreggimentazione della sessualità nel
modello della famiglia patriarcale tradizionale, oggi si
limita a rivendicare il minimo e elementare diritto in cui
tutte le forme di famiglia esistenti ottengano il
riconoscimento da parte dello Stato che legittima e
riproduce le discriminazioni. Quel femminismo che aveva
reinventato il linguaggio per gridare ad alta voce ciò che
per secoli era stato messo a tacere, oggi si accontenta
della minuscola battaglia per un linguaggio inclusivo. E
nel frattempo ovunque cresce l’antifemminismo sulla base
del sentimento diffuso di nuove generazioni di donne che
credono che non ci sia bisogno di nessuna lotta
antipatriarcale perché tutti i diritti sono già stati
conquistati. L’integrazione al sistema è diventata l’unica
meta, ma la verità è che si tratta di una manciata di
diritti che possono essere pienamente esercitati solo da
alcune donne, solo in alcuni paesi e solo per un periodo
di tempo limitato. I diritti democratici conquistati negli
ultimi decenni dalle donne a livello mondiale non sono né
eterni né irremovibili. La crisi economica mondiale, le
crisi sociali e politiche spazzano via questi diritti come
tanti altri e se non li cancellano, perlomeno li limitano.
(...) Quando sappiamo che un gruppo di persone in grado di
riunirsi in un lussuoso e non necessariamente molto ampio
salone di Roma, New York o Tokyo possiede quel che
possiede la metà dell’umanità, qualsiasi tentativo di
riformare il capitalismo affinché noi donne continuiamo a
ottenere diritti inclusivi risulta utopico per non dire
spudoratamente provocatorio”.
* * *
A
seguire, riportiamo un paragrafo del libro in cui
l'autrice tratta della giornata dell'8 marzo, una giornata in
grado, fin dai primordi della sua istituzione, di
coniugare classe e genere in una prospettiva di
cambiamento radicale dell’esistente:
Appartenenza
di genere e antagonismo di classe nella Giornata
internazionale della donna
Ancora oggi l’8 marzo viene
celebrata la Giornata internazionale della donna, sommersa
da réclame di prodotti e eventi di tutti i tipi; l’origine
di questa commemorazione continua a essere ignorata. Essa
è da ricercarsi in un’azione rivendicativa organizzata da
alcune operaie del XIX secolo: l’8 marzo 1857 le
lavoratrici di una fabbrica tessile di New York si
dichiararono in sciopero contro le estenuanti giornate
lavorative di dodici ore e i salari da fame, motivo per
cui furono costrette a fronteggiare gli attacchi delle
forze dell’ordine. Mezzo secolo più tardi, nel mese di
marzo del 1909, centoquaranta giovani donne morirono
bruciate vive nella fabbrica tessile dove lavoravano in
condizioni disumane. Sempre quello stesso anno altre
trentamila operaie tessili newyorkesi si dichiararono in
sciopero subendo una dura repressione da parte della
polizia, ma a dispetto di questo, le lavoratrici ebbero
l’appoggio degli studenti, delle suffragette, dei
socialisti e di altri settori della società. Pochi anni
più tardi all’inizio del 1912, nella città di Lawrence
(Massachusetts) scoppiò quello che è passato alla storia
come il famoso «sciopero del pane e delle rose» animato,
tra le altre, anche da operaie tessili che sintetizzavano
in queste parole le loro rivendicazioni di aumento
salariale e condizioni di vita migliori. Per consentire la
partecipazione delle lavoratrici allo sciopero, il
comitato di sciopero allestì asili e mense comuni per i
figli delle operaie, mentre il sindacato Industrial
workers of the world promosse incontri con i bambini e le
bambine per discutere dei motivi per cui i loro genitori
stavano scioperando. Dopo vari giorni di scontri i bambini
vennero trasferiti presso altre città, accolti da famiglie
solidali con la lotta operaia. Dal primo treno scesero in
centoventi, tra bambini e bambine, ma nel momento in cui
si tentò di ripetere la stessa operazione con un secondo
treno, la polizia si scatenò in una violenta repressione
contro i bambini e contro le donne che li accompagnavano;
a causa di questo comportamento ignobile, il clamore della
lotta raggiunse i quotidiani di tutto il paese e il
parlamento, facendo aumentare così la solidarietà nei
confronti delle scioperanti. Già due anni prima di questa
vicenda durante la II conferenza internazionale delle
donne socialiste a Copenaghen, la tedesca Clara Zetkin
aveva proposto di fissare nel mese di marzo la Giornata
internazionale della donna in omaggio a tutte le
lavoratrici che avevano promosso e portato avanti le prime
azioni di lotta contro lo sfruttamento capitalista.
Nell’agosto del 1910 cento militanti socialiste di diversi
paesi europei dibattevano su come allargare il diritto di
voto per le donne, su come le lavoratrici madri potessero
godere della protezione sociale e su quali fossero i
meccanismi da adottare per stabilire delle relazioni tra
le socialiste di tutto il mondo. Nella conferenza si
approvò una mozione per la giornata lavorativa di otto
ore, le sedici settimane di congedo di maternità e altri
provvedimenti. Le delegate tedesche portarono avanti la
mozione, che venne approvata all’unanimità e che per la
sua importanza passò alla storia. La risoluzione che
presentarono Clara Zetkin e Kate Duncker diceva che
«secondo le organizzazioni politiche e sindacali
proletarie, le socialiste di tutte le nazionalità
organizzeranno nei loro rispettivi paesi un giorno
speciale dedicato alle donne il cui obiettivo principale
sarà promuovere il loro diritto al voto. Sarà necessario
dibattere questa proposta in relazione alla questione
femminile partendo dalla prospettiva socialista. Questa
commemorazione dovrà avere carattere internazionale e
bisognerà prepararla con molto impegno». Negli anni
seguenti, la giornata della donna venne celebrata in
differenti paesi, ma in date diverse. Solo nel 1914 le
socialiste tedesche, russe e svedesi fecero coincidere la
celebrazione nella data dell’8 marzo e fu questa la data
che alla fine rimase alla storia come la Giornata
internazionale della donna perché mentre la ricorrenza
veniva celebrata in Russia, (a febbraio, secondo il
calendario ortodosso) le operaie tessili di Pietrogrado
scesero in strada reclamando «pane, pace e libertà»
segnando così l’inizio della più grande rivoluzione del XX
secolo che sarebbe sfociata nella presa del potere da
parte della classe operaia nell’ottobre dello stesso anno.
La Giornata internazionale della donna coniuga quindi
l’appartenenza di classe e quella di genere che, più di un
secolo dopo, continua a essere dibattuta tanto fra le
marxiste quanto tra le femministe.
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