25 NOVEMBRE GIORNATA INTERNAZIONALE
PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE
UNA PROSPETTIVA PALESTINESE
Come donne palestinesi, di diverse nazionalità e differenti contesti di lotta per la liberazione, il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, siamo in lutto per le più di 4000 donne palestinesi assassinate dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, per tutte quelle madri che hanno perso delle figlie e dei figli tra i più di 6000 bambine e bambini uccis3 e per tutte quelle bambine e quelle donne che sono rimaste le uniche superstiti delle proprie famiglie. Siamo in lutto per il genocidio che sta subendo il popolo palestinese e siamo furiose per il silenzio e l’indifferenza assordanti di molti femminismi occidentali che, per l’ennesima volta, tacciono sulla pulizia etnica del popolo palestinese perpetrata da Israele da oltre 75 anni.
Le donne palestinesi sono, da sempre, coinvolte nella politica e nella militanza per la liberazione della propria terra dalla ferocia del colonialismo britannico prima ed israeliano poi.
Questo 25 novembre siamo focalizzate sulla violenza generata dal sistema coloniale sionista sul corpo di tutte le persone palestinesi e quindi anche delle donne che abitano e difendono con la propria vita la Palestina.
Oggi, come ieri e come domani, sentiamo l’esigenza di esprimerci circa l’assordante silenzio di molti movimenti femministi italiani nel condannare le azioni di Israele. In questo momento di lutto personale e collettivo sentiamo di dover avere la forza e la rabbia per poter ribadire che il femminismo occidentale e, in particolare, quello italiano, non ci rappresenta. Anzi riteniamo abbia contribuito negli anni a portare avanti una visione neocoloniale in cui le donne non occidentali e musulmane sembrano aver bisogno di essere liberate e protette da un femminismo moderno e secolarizzato, avallando una visione che vede le donne arabe come sottomesse e senza alcuna agency o capacità decisionale.
È questa la cornice politica, culturale e teorica che impedisce la costruzione di legami realmente intersezionali, dove la lotta contro il colonialismo di insediamento sionista e quella femminista possono trovare un comune terreno di rivendicazioni. La lotta non può che essere praticata contro il duplice assetto oppressivo e dunque sia contro il violento dominio coloniale, che ha come fine ultimo l’eliminazione della popolazione indigena palestinese, sia contro la violenza patriarcale e capitalista per la liberazione delle donne, compagne e sorelle che quotidianamente sono schiacciate su diversi fronti. Essere donne palestinesi, arabe, musulmane, figlie di diverse diaspore, ci inserisce in un posizionamento che non viene compreso e ascoltato in Occidente. Israele per molti rappresenta “l’unica democrazia del Medio Oriente” e la patria dei diritti della comunità queer e LGBTQIA+, in contrapposizione con una narrazione che schiaccia le donne palestinesi e arabe come vittime di un sistema barbaro. Ed è proprio a questa mistificata e inquinata rappresentazione di noi stesse, pregna del più terribile orientalismo, che decidiamo – a gran voce – di opporci, consapevoli della storia delle nostre lotte.
Quando parliamo del femminismo palestinese, non possiamo commettere l’errore di guardare solo alla nascita dei nuovi e più recenti movimenti femministi nati anche come risposta al femminismo bianco liberale che occupa la narrazione pubblica da sempre. La storia del movimento femminile di resistenza palestinese, infatti, affonda le sue radici agli inizi del Novecento, quando si cominciava a definire un processo che porterà le donne palestinesi a una graduale emancipazione sotto diversi aspetti.
Dalla Grande Rivolta degli anni Trenta – dove si assiste alla partecipazione alla lotta armata di uomini e donne che combattevano insieme – si arriverà poi alla tragedia della Nakba, che dal 1948 vedrà le donne impegnate in un processo sempre più forte e strutturale di emersione all’interno dello spazio politico e pubblico. L’obiettivo era chiaro: da una parte portare avanti, con ogni mezzo necessario, la resistenza contro l’oppressore sionista, dall’altra sradicare il sistema patriarcale dilagante nella società palestinese, come in tutte le società del mondo. È proprio in questa fase che si delineano le basi politiche che faranno da fondamenta ai comitati popolari femminili che nasceranno poco dopo.
Gli anni Settanta furono caratterizzati dalla nascita di comitati locali popolari che ricopriranno un ruolo fondamentale allo scoppio della I^ Intifada. Erano gli anni in cui si faceva avanti una nuova generazione di donne già politicamente impegnate, cresciuta nella realtà dell’occupazione e consapevole dei propri diritti negati. Si vennero a formare, così, comitati femminili che puntavano a rafforzare il ruolo della donna nella duplice lotta che portavano avanti e nel loro ruolo all’interno della società.
Fu fondamentale il lavoro di questi comitati, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, perché saranno in grado di organizzare, insieme ad altre forze, la Resistenza dal basso. Sin dalla nascita dei movimenti femminili prima e femministi poi, la resistenza portata avanti dalle donne palestinesi si è da sempre caratterizzata per la sua inclusività, attraverso la quale si dava voce anche a quelle donne marginalizzate e lasciate fuori dagli spazi politici istituzionali in quanto provenienti dalle campagne o dai campi profughi. Un approccio, quello inclusivo, che vogliamo mantenere e ribadire affinché nessuna donna venga lasciata indietro, vittima della solitudine sistemica e istituzionale.
Quello palestinese non è mai stato un femminismo di superficie perché ha sempre indagato, analizzato e sollevato tematiche profondissime e complesse. È sempre andato ben oltre il proprio corpo, martoriato da più oppressori, per affermare il proprio diritto di esistere e di lottare. Ed è proprio a questa Resistenza che oggi guardiamo per darle spazio e restituirle dignità. È quella portata avanti dalle donne a Gaza, quella delle migliaia di donne detenute nelle carceri israeliane, quelle delle operatrici dell’informazione che vengono ammazzate perché documentano il genocidio in corso, donne che vengono silenziate e oscurate dalla narrazione eurocentrica asservita alla propaganda sionista. Vogliamo guardare e portare avanti la lotta di quelle donne la cui manodopera viene sfruttata nelle colonie illegali sioniste, quelle che non hanno accesso alle cure degne, mentre Israele viene elevato a esempio virtuoso per il suo sistema sanitario, considerato da sempre all’avanguardia.
Appoggiamo, senza compromesso alcuno, la Resistenza di quelle donne che non potranno mai essere libere, portando avanti percorsi politici endogeni, finché saranno oppresse dal colonialismo d’insediamento sionista. Il nostro non vuole essere solo un tentativo di dar voce alla resistenza delle donne palestinesi, da sempre oscurata, ma siamo spinte dalla volontà di affermare la nostra narrativa, restituendo a noi stesse la possibilità di scrivere le pagine della nostra Lotta, come protagoniste e non come vittime stereotipate e narrate da altri. Il nostro obiettivo è quello di creare uno spazio femminista, con un approccio postcoloniale, anti imperialista e antirazzista. Vogliamo essere un porto rassicurante e inclusivo per tutte quelle donne marginalizzate e messe in ombra dalla narrativa eurocentrica. Uno spazio di analisi politica, di discussione e di condivisione di pratiche in grado di riportare centralità all’intersezionalità delle lotte.
Un percorso in divenire che riesca a guardare alla resistenza delle donne palestinesi come esempio da cui partire per arrivare a dar voce alle lotta di tutte le donne invisibilizzate e oppresse che tornano così a essere protagoniste attive della loro storia.
Che il cambiamento in Italia e in Europa parta ora, dalle donne palestinesi e dall’eroica resistenza della Striscia di Gaza.
QUMI_
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