13/12/23

La panchina rossa non è il male. E' male coprire con una panchina rossa l'ipocrisia delle Istituzioni - info

Dopo le contestazioni all’ateneo nel corso dell’iniziativa “Amami e basta” e la rimozione di una panchina rossa donata dalla Roma e appena inaugurata in presenza del sindaco Gualtieri, la rettrice Polimeni, anzichè mettersi in ascolto di chi criticava l'iniziativa, si è subito affrettata a condannare l3 student3, come del resto tutte le istituzioni e i media, definendo i collettivi della Sapienza un "manipolo di facinorosi", responsabili della distruzione di un "simbolo", ammette, della lotta alla violenza sulle donne.
Eppure l3 student3 sono stat3 abbastanza chiar3 quando hanno contestato l'iniziativa: "Le vostre panchine rosse non le vogliamo, le gettiamo nell’indifferenziato, pretendiamo ascolto e transfemminismo, non panchine rosse". "Non vogliamo panchine rosse, noi ci vogliamo vive". "A noi delle panchine non frega nulla, vogliamo Centri antiviolenza e consultori, mentre voi li chiudete". Durante la contestazione è stata data la solidarietà a Lucha Y Siesta sotto sgombero e sono stati esposti cartelli con su scritto "Le streghe non sono andate via", femminicidio omicidio di Stato.
La nostra Rettrice in queste ore è riuscita come sempre a creare una narrazione delegittimante in cui polarizza la comunità Sapienza; una parte viene valutata come student3, mentre noi, sempre student3, che però la contestano, diveniamo “dei facinorosi”, quindi automaticamente deumanizzat3 e non ritenut3 come soggettività valide di esser da lei rappresentat3. La contestazione di lunedì mattina è stata portata avanti da una pluralità di soggettività appartenenti e non a tante realtà politiche universitarie autorganizzate.
Le recenti dichiarazioni della Rettrice sono state un’ulteriore evidenza di come si voglia ridurre la lotta contro la violenza di genere a una mera questione di facciata, così come la panchina stessa, non era altro che una questione di immagine.
Vorremmo precisare che il gesto di smontare questa panchina ha delle motivazioni ben precise, anche se si cerca di farlo passare come un atto vandalico senza logica.
Riteniamo che questa panchina fosse problematica oltre che inutile per diversi motivi.
In primo luogo perché più che un simbolo della lotta contro la violenza di genere è un simbolo dell’ipocrisia di un'istituzione che se ne lava le mani e che invece di trovare soluzioni concrete al problema lo riproduce e lo nasconde. La Rettrice continua a ribadire che un centro anti violenza c’è, come se un solo CAV per 150 mila student3 (senza contare le persone che lavorano alla Sapienza e la popolazione del territorio adiacente) fosse sufficiente; a maggior ragione perché è aperto solo 7 ore al giorno per 5 giorni a settimana- il minimo per essere classificato come CAV e non come sportello- possa essere sufficiente. Polimeni, le consigliamo di rivedere la convenzione di Istanbul.
Ci teniamo inoltre a specificare che chiunque abbia scritto o detto che smontare una panchina fosse un atto violento quanto quelli che la panchina dovrebbe rappresentare debba riflettere su cos’è davvero la violenza di genere. Paragonarci a dei femminicidi è equiparare la vita di una donna ad una panchina: è strumentale, disonesto e soprattutto profondamente sessista. Di questo ne sono la riprova le centinaia di insulti di matrice patriarcale che ci sono stati rivolti. Chi ci diceva che non siamo delle vere femministe ma solo delle violente, chi ci equiparava a un qualsiasi femminicida erano per la maggior parte persone che lo facevano aggiungendo che eravamo delle cagne, delle isterich3; non ci dilunghiamo nel riportare ciò che ci è stato detto perché ci rifiutiamo di dare spazio al vostro linguaggio violento nei nostri discorsi. Avete dato la dimostrazione di essere parte del problema, e non l’alleato che spesso vi rivendicate di essere.
Chi chiediamo cosa pensava la stessa polizia di stato, che oggi minaccia denunce e provvedimenti per quello che abbiamo fatto lunedi, quando qualche decina di giorni fa ricondivideva le parole di Elena Cecchettin chiedendoci di distruggere tutto. Non abbiamo forse accontentato la vostra richiesta?
Le nostre storie contano, la nostra voce conta.
Non vogliamo panchine rosse ma azioni concrete, che vadano a colpire la causa e non a piangere la conseguenza.
La Rettrice sostiene di voler costruire una comunità educante contro ogni forma di violenza, eppure noi come tutte le soggettività femminilizzate anche non student3 che attraversano questo ateneo non ci sentiamo affatto sicur3.
Non si sentono sicur3 neanche l3 lavorator3 dei servizi di guardiania quando, dopo le minacce subite da parte di un dipendente sapienza, l’amministrazione, anziché intervenire in loro difesa, mettendosi banalmente in ascolto, ha tentato di insabbiare il tutto.
Antonella Polimeni continua a raccontarsi e raccontarci di avere un dialogo con l3 student3. Chi però studia alla Sapienza sa quanto è difficile incontrarla per la città universitaria, se non in momenti pubblici come quello di ieri, e che allo stesso modo è improbabile riuscire a ottenere un incontro con lei. Abbiamo perciò colto l’occasione di ieri per cercare di esprimerle le nostre perplessità rispetto alla gestione degli episodi di violenza di genere all’interno dell’ateneo, ma anche il disagio che viviamo nel frequentare aule e corridoi non sentendoci sicur3. La risposta della rettrice è stata una ritirata rocambolesca verso le sicure mura del rettorato dalle quali può continuare a sottrarsi al confronto diretto con le su3 student3.
Come al solito, anche questa volta si è parlato senza ascoltare chi queste violenze le subisce ogni giorno sulla propria pelle, ne è la conferma la volontà della rettrice di attivarsi in una raccolta fondi per la costruzione di ulteriori panchine, piuttosto che di CAV.
Riteniamo ipocrita e di facciata che a inaugurare questa panchina siano stati l’AS Roma e il sindaco Gualtieri, colui che solo dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, e dopo il 25 Novembre ha preso parola sul tema dei centri anti violenza, mentre continua a perpetuare politiche che non sostengono né sovvenzionano il sistema dell’antiviolenza, a nostro avviso l’unico insieme di strumenti e pratiche che possono realmente contrastare la violenza di genere. In quest’ottica va collocata la partecipazione dell’AS Roma, che se fosse realmente interessata a combattere la violenza di genere si preoccuperebbe dei propri spogliatoi e delle proprie tifoserie. Lo stesso nome della campagna dell ASR, “amami e basta”, riportato anche sulla panchina con una targa, è simbolo di quella retorica inquietante e obbrobriosa che continua ad associare amore e violenza. Questi sono casi che per noi sono legittimamente definibili come pink washing.
Inoltre, riteniamo ancora più assurdo il dispiegamento di forze dell’ordine posto a difesa di questa panchina, le stesse forze dell’ordine che ci hanno manganellato il 25 novembre per proteggere una serranda.
Anche questa volta non si sono risparmiate a strattonarci e spintonarci, in risposta noi abbiamo scelto di non rimanere ferm3, ma ci siamo riprese i nostri spazi con i nostri corpi, ballando e saltando sopra alla panchina perché crediamo che gli slogan senza pratiche siano solo estetica.
Viene inoltre menzionata la Consigliera di Fiducia: oltre che per Sapienza, è Consigliera di Fiducia di Rai, ENAV, Greenpeace e Regione Lazio. Per quanto possa essere formata, si tratta di una figura insufficiente a gestire tutta la popolazione Sapienza. Lo conferma, ad esempio, il fatto che è da anni che l3 student3 chiedono delle conseguenze rispetto alle molestie agite da un professore durante la didattica a distanza: la risposta dell’Ateneo è stato un insabbiamento, e anche rivolgersi alla Consigliera di Fiducia non ha portato a nulla.
Inoltre, ancora non sono stati presi provvedimenti rispetto la violenza attuata a Policlinico l’anno scorso: le studentesse di Medicina e Professioni sanitarie continuano a richiedere che venga aperto un consultorio nella struttura ospedaliera, senza ancora aver ottenuto nulla.
Sono solo alcuni esempi di come la Rettrice e le istituzioni non si pongano veramente in ascolto delle student3, e nel pratico non si intraprendano azioni concrete nella lotta alla violenza di genere.
In secondo luogo riteniamo il simbolo della panchina rossa un simbolo ancora violento. Violento perché ogni giorno ci obbliga a ricordarci delle violenze che abbiamo subito sulla nostra pelle, non scalfendo minimamente chi la violenza la agisce.
La panchina con la sua staticità, rimanda ad atti singoli. è un simbolo sbagliato in quanto rimanda esclusivamente al femminicidio, come se fosse un atto straordinario e isolato e non invece il prodotto di una violenza sistemica.

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