Lavinia Mennuni, candidata pro-vita di Fratelli D’Italia, ha dichiarato che “la prima aspirazione delle donne? Essere madri. Dobbiamo far sì che le ragazze di 18 anni vogliano sposarsi e vogliano mettere al mondo una famiglia. Poi lo Stato verrà dietro, le sosterrà per poter accudire i loro figli a casa”.
Dopo la retorica dell’aborto come uccisione; la proposta legislativa per l’ascolto del battito del feto; l’ossessione per la famiglia tradizionale; il bonus secondo figlio alle donne che contribuiscono alla società; si palesa la virtù femminile di diventare madre. Stare a casa, accudire i figli, questo è il compito della donna nella società, queste le priorità di una nazione.
Sembra uno spot di inizio novecento! Mese dopo mese stiamo assistendo ad una radicalizzazione non nel segno del progresso bensì in quella diametralmente opposta. Nella triade ideologica Dio/Patria/Famiglia, tanto cara a questo governo, la donna si inserisce per donare figli in nome di Dio e all’interno di un nucleo uomo-donna in cui avviene il miracolo.
Ancora una volta si decide sui corpi delle donne il cui valore supremo è donare figli alla patria. Ancora una volta si relega il ruolo della donna alla mera funzione biologica, oggetto per la procreazione, angelo del focolare. Ancora una volta si vuole togliere alla donna la libertà di autodeterminarsi e scegliere per sé ciò che è giusto, ciò che desidera e ciò che vuole per il suo futuro.
Da queste basi culturali parte la deriva che ci porta indietro negli anni e che alimenta la visione della donna come oggetto, possesso dell’uomo, della religione, dello Stato e della sua unica funzione domestica. Queste basi culturali alimentano, altresì, la violenza contro la donna che invece di essere supportata nel lavoro, nelle scelte volte ad aumentare la sua autodeterminazione e realizzazione sociale, viene considerata una incubatrice vivente di servitori della patria.
L’anacronismo becero di questa visione di genere che ci riduce unicamente a soggetto/oggetto biologico non fa altro che alimentare stereotipi, discriminazioni e subalternità oltrechè vanificare anni di lotte e conquiste sociali delle donne in ogni campo.
Considerare la maternità come massima aspirazione delle diciottenni equivale alla riduzione dell’essere umano a forza lavoro.
Le femmine a fare figli, i maschi ad imbracciare un fucile per fare la guerra.
Se il massimo a cui le donne devono poter aspirare è questo, a quale punto si vuole portare la condizione di emancipazione femminile?
Non siamo merce capitalistica da sfruttare all’occorrenza. Combatteremo per i diritti acquisiti e ancor di più per quelli da conquistare quali la parità salariale, parità di genere e diritto ad autodeterminarci.
Antonietta - Taranto
Nessun commento:
Posta un commento