Alessandra Algostino è la docente, giurista colpita dalle cariche della polizia il 5 dicembre scorso nel corso di un presidio studentesco antifascista contro il volantinaggio del Fuan.
A Torino agisce la magistratura come una Santa Inquisizione e la polizia e le forze dell'ordine come se fossimo già in uno Stato militarizzato atto alla repressione dei conflitti sociali e dell'opposizione politica e sociale. A Torino vi è stata ed è in corso una grande operazione repressiva contro il Centro sociale Askatasuna, contro il movimento No Tav, contro gli studenti antifascisti e solidali con la Palestina, contro tutti gli attivisti sociali che svolgono la loro attività nei quartieri più disagiati, come barriera di Milano. E quindi è diventata una sorta di città pilota del moderno fascismo, dello Stato di polizia e dell'unità tra le forze politiche e sociali che sostengono lo Stato e i governi, e oggi questo governo.
L’intervista ad Alessandra è importante perché esprime compiutamente il livello di sopruso e anche le riflessioni su di esso che possono essere fatte; essa inquadra il clima complessivo di repressione di ogni forma di dissenso che c'è non solo nelle Università, a Torino, ma nel paese in generale e analizza gli aspetti di anti costituzionalità dell'azione e provvedimenti del governo.
Lo Stato borghese, la forma politica-istituzionale di esso, la forma repressiva di esso, è di fatto il nemico principale se si vuole realmente lottare contro il capitalismo, l'imperialismo, i padroni, i ricchi, i governi, gli apparati del consenso intorno a tutto questo, per cambiare lo stato di cose in una prospettiva di alternativa, di governo, di Stato, di società.
Alessandra Algostino - Quello che è successo a Torino in questo ultimo mese e mezzo, senza salire più indietro nel tempo, è grave. L'Università sta diventando un luogo sempre più di tensioni; ma, devo dire la verità, anche luogo di reazioni positive, nel senso che c'è una forte partecipazione da parte della componente studentesca in reazione agli episodi che sono successi.
Il primo episodio di questo autunno universitario abbastanza caldo è quello del 27 ottobre quando, in occasione di un'iniziativa del Fuan, che è il gruppo universitario di estrema destra, con la presenza dell'assessore regionale di Fratelli d'Italia, viene impedito agli studenti di contestare questa iniziativa pubblica. Anzi, c'è un intervento della celere in tenuta antisommossa all'interno dei locali universitari con connesso intervento violento nei confronti degli studenti presenti.
Sono immagini queste che hanno colpito anche tutti noi docenti dell'università, così come tutti gli studenti - la maggior parte di essi - che non hanno partecipato alle contestazioni; perché vedere la celere in tenuta antisommossa all'interno dei locali universitari dove di solito tutti noi studiamo, lavoriamo, è stata una scena abbastanza inquietante. C'è stata dopo un'Assemblea partecipatissima, un'Aula magna stracolma di studenti, un’ assemblea all'insegna dell'antifascismo, molto intensa, molto viva. Dopodiché noi abbiamo cercato di chiedere spiegazioni anche al rettore su quanto era successo, di informarci sulla presenza del Fuan all'interno dell'università. Ma adesso non mi fermerei su questi aspetti
Veniamo a quello che è successo martedì scorso, il 5 dicembre. Di nuovo c'è stata una presenza massiccia delle forze dell'ordine, giunte preventivamente sul posto, senza che vi fosse alcun problema di ordine pubblico; abbiamo capito dopo che erano lì per proteggere un volantinaggio sempre del Fuan, almeno così supponiamo. C'è stata, quindi, una contestazione da parte di un presidio antifascista nei confronti del Fuan. La situazione sembrava anche abbastanza tranquilla, poi ad un certo punto c'è stata questa carica improvvisa, a freddo, delle forze di polizia in cui sono stati coinvolti gli studenti, e anche noi che come docenti ci eravamo identificati in precedenza con la comandante della piazza ed eravamo lì proprio per cercare di impedire che si replicasse quanto era accaduto il 27 ottobre.
Ecco, questo episodio è parte di un clima all'interno del contesto universitario, ma non solo del contesto universitario, direi in senso più ampio. A Torino c'è un clima preoccupante, un clima molto teso, dove si susseguono questi interventi da parte delle forze dell'ordine che restringono sempre di più quelli che sono gli spazi di manifestazione del dissenso. C'era stato un analogo intervento, molto criticato anche a livello politico, anche a livello nazionale, il 3 ottobre, quando gli studenti contestavano la presenza della Presidente del Consiglio, cioè la chiusura degli spazi di contestazione, degli spazi di espressione del dissenso.
A me pare che questi episodi siano tutti elementi che tracciano un pò un quadro di quello che è un attacco a una delle caratteristiche essenziali della democrazia. Io insegno diritto costituzionale e continuo a ricordare ai miei studenti che la nostra democrazia non è una democrazia qualsiasi. La democrazia vive attraverso delle aggettivazioni. La nostra democrazia in particolar modo è una democrazia conflittuale e pluralista, oltre che, ovviamente, sociale. Conflittuale e pluralista significa che riconosce il conflitto e che riconosce il pluralismo e il dissenso come valori. Anzi direi che non può esistere una democrazia senza conflitto, la democrazia senza conflitto è un ossimoro. La tendenza a negare invece, a neutralizzare, la presenza del conflitto, a partire ovviamente da quella che è una delle sue massime espressioni, cioè il conflitto sociale, è una tendenza che viene da lontano. Basta ricordare quanto diceva la commissione trilaterale nel ‘75 a proposito dell'eccesso di democrazia, o ancora la JP Morgan nel report del 2013. Quindi una tendenza a restringere questi spazi, a neutralizzare il conflitto sociale nel nome di un "pensiero unico", di una logica che, come vediamo con la guerra in Ucraina, ma anche con quanto succede in Palestina, a Gaza, è una logica sempre più dicotomica, cioè una logica amico/nemico, dove chi dissente è il nemico. E il nemico viene non solo marginalizzato ma anche in un certo modo criminalizzato e delegittimato ed espulso da quello che è lo spazio politico.
A me pare che si possono individuare all'interno di questo quadro repressivo una serie di elementi che, se volete, provo a sintetizzarli brevemente.
Controinformazione rossoperaia - Sì. Volevo però farti una domanda. A Torino sia la polizia sia la Procura, sia una parte della magistratura, sono sempre state caratterizzate da un eccesso di atteggiamento repressivo, criminalizzante, ecc., che si è espresso chiaramente soprattutto rispetto al movimento No Tav e ora molto anche verso il dissenso nelle università, verso gli studenti. Quindi questo c'era già prima. Però secondo te, quanto e come incide ora la presenza di questo governo, del governo Meloni, in questa fase di repressione.
Alessandra Algostino - Possiamo dire che Torino è un pò da alcuni anni un laboratorio politico, proprio come dicevi tu, con la repressione del movimento No Tav, per cui qualsiasi reato, anche il più insignificante, venisse compiuto da un appartenente al movimento No Tav, seguiva la repressione; il movimento No Tav è stato in questo senso perseguitato sia attraverso un abuso di quelli che sono gli strumenti penali, un sovradimensionamento delle fattispecie penali sia attraverso l'utilizzo di strumenti di tipo civile, di tipo amministrativo. Per cui c'è questo, cioè Torino come laboratorio, ma penso anche al ricorso al testo unico di pubblica sicurezza del ‘31 con le ordinanze prefettizie per limitare la libertà di circolazione, ordinanze d'urgenza che si sono susseguite dal 2011 ad oggi, quindi per ben 10 anni. Sono stati un pò sperimentati vari strumenti per restringere sempre lo spazio del dissenso, della contestazione.
Possiamo dire, per ritornare alla tua domanda, che con il governo Meloni forse c'è stata una legittimazione ancora maggiore rispetto a tutto questo filone repressivo, anche proprio rispetto alla gestione della piazza. In questo autunno a Torino è un continuo di episodi come quelli che sono successi al campus, all'università.
Peraltro, a me pare di scorgere un filo nero di repressione del dissenso che va avanti da parecchi anni, cioè si sussegue. Pensiamo ad esempio ai decreti sicurezza. Insomma di decreto sicurezza in decreto sicurezza lo spazio del dissenso si è venuto restringendo. Prima dei decreti sicurezza ci sono quelli legati alla legislazione antiterrorismo dopo il 2001, questi sono bipartisan o tripartisan; pensiamo ai decreti Minniti, pensiamo alla legge del governo Berlusconi del 2009, poi ci sono stati i decreti Salvini, il decreto Salvini 1, il decreto Salvini bis.
Anche qui, forse questo governo si inserisce in linea di continuità ma approfondisce quello che è il solco. Il primo atto di questo governo, non a caso, è stato proprio l'adozione di quello che è il decreto "rave", un decreto che tende appunto a punire in misura maggiore quelli che sono reati legati alla protesta sociale, al conflitto sociale, come ad esempio le occupazioni di terreni, di luoghi, ecc. Adesso è allo studio un nuovo decreto sicurezza, ci sono delle bozze. Questo governo si è poi distinto per l'adozione di vari decreti in materia di immigrazione. Questo filone è stato perseguito con particolare energia da questo governo, però è un filone che è parte della storia degli ultimi anni che ci racconta di uno scivolamento in senso autoritario della democrazia.
Quello che viene fuori nel ragionamento che stavamo facendo adesso, cioè la legislazione in materia di decreti sicurezza, è forse proprio un cambiamento del concetto di "sicurezza", nel senso che la sicurezza come ordine pubblico viene sempre più a contrapporsi all'idea di sicurezza dei diritti che era poi il senso della dichiarazione francese del 1789, cioè la sicurezza era concepita allora come terreno di garanzia dei diritti; poi, dopo la Costituzione del ‘48, come terreno di garanzia anche dei diritti in senso sociale, cioè come "sicurezza sociale", pensiamo anche, ad esempio, alla sicurezza sul lavoro. Oggi invece diventa una sicurezza intesa come "ordine pubblico" nel cui nome restringere i diritti.
Poi possiamo citare come elementi di questo filone nero della repressione il ricorso, ad esempio, alla categoria dell'emergenza, dell'eccezione; un'idea della "normalizzazione dell'emergenza" che porta a un indebolimento nella garanzia dei diritti. Ma pensiamo ancora all'utilizzo nei rapporti di lavoro, nei licenziamenti delle sanzioni disciplinari, pensiamo a quello che sta accadendo adesso al diritto di sciopero. Giusto oggi leggevo di una nuova precettazione dei lavoratori, questa è una pesante restrizione alle possibilità di espressione proprio del conflitto sociale. O pensiamo alla repressione delle azioni condotte dagli appartenenti a Extinction Rebellion, a Fridays for Future, a Ultima generazione. Si assiste ad un utilizzo dello strumento penale o delle misure di prevenzione, delle misure di sicurezza proprio in chiave di repressione del dissenso, cioè non è più tollerata nessuna azione sostanzialmente di contestazione, che sia nei luoghi di lavoro, che sia nelle università, che sia da parte degli attivisti per il clima o che sia, ad esempio - perché questo è un altro filone - un'azione in solidarietà. Pensiamo alla criminalizzazione della solidarietà. La solidarietà, che è un principio costituzionale, articolo 2 della Costituzione, oggi sta diventando un'azione da perseguire con strumenti penali e amministrativi. Anche qui la storia è lunga.
Questi strumenti vengono inaspriti ulteriormente dal governo Meloni. Ma pensiamo anche al codice di condotta di Minniti, ad esempio, che sostanzialmente è un codice contro le ONG che salvano vite in mare, al decreto Salvini bis. Poi c'è il decreto Piantedosi, per arrivare al governo Meloni.
E’ un quadro complessivo, questo della repressione del dissenso, fatto di tanti elementi e tra questi elementi c'è anche sempre di più la chiusura proprio degli spazi di libertà, di costruzione del sapere critico. E qui mi riferisco a quelle che sono le riforme che toccano la scuola, ma anche le riforme che toccano l'università e che, sempre più, le rendono non strumenti che creano una formazione plurale, capacità di ragionamento critico, di ragionare in senso complesso considerando le diverse variabili e con un approccio storico, ma sono sempre più appiattiti sul presente e finalizzati a una riproduzione di quello che è l'esistente.
Ecco, questi sono altri elementi che ipotecano nel futuro quella che è la possibilità di esprimere il dissenso imponendo proprio in radice la possibilità che si si formi un sapere critico.
Controinformazione rossoperaia - Sono molto d'accordo. Noi quando si è formato questo governo abbiamo detto che ci sono elementi di continuità con tutti i governi precedenti – fino a quello precedente Draghi - ma ci sono elementi specifici che non vanno assolutamente sottovalutati, perché appunto, come dicevi anche tu, vengono creati provvedimenti, decreti, ecc. che prima potevano essere di eccezione, ora sono la normalità e quindi la legittimazione della repressione. Questo crea un clima veramente perverso. Noi lo chiamiamo moderno fascismo. Come giustamente tu hai detto, c'è una logica generale securitaria, qualsiasi cosa è improntata e vuole alimentare questa logica, perfino alcuni interventi che vengono presentati dal governo come risposta a problematiche gravi - che possono essere Caivano, i femminicidi - per esempio il "Codice rosso", in effetti anche questi rientrano fino in fondo in questa logica securitaria.
Alessandra Algostino - Secondo me una delle altre linee che fanno parte di questo quadro molto fosco - un quadro nero lo definirei in tutti i sensi - è quella della criminalizzazione sostanzialmente della povertà, delle diseguaglianze, l'affrontare questioni che richiederebbero politiche tese all'emancipazione sociale con strumenti invece, anche qui, repressivi. E’ quello che possiamo chiamare l'approccio del populismo penale o del panpenalismo, in cui ad ogni cosa si dà una risposta in chiave appunto penale, repressiva, dimenticando completamente - volutamente, è ovvio - che in questi casi il discorso dovrebbe essere un discorso che tenta di rimuovere quelle che sono le radici della diseguaglianza. E questo lo dico da costituzionalista, perché la nostra Costituzione ha nel suo cuore questo progetto, nell'articolo 3 comma 2, di emancipazione, emancipazione personale ed emancipazione sociale, questo è il modo di affrontare le varie diseguaglianze che si registrano all'interno del paese; così come in base a questi parametri costituzionali dovrebbe essere data una risposta ai conflitti nel mondo del lavoro, perché anche nel mondo del lavoro la stessa risposta è una risposta di tipo repressivo.
Quindi assolutamente mi trovo molto d'accordo su questo punto. Definirei questo periodo in cui stiamo vivendo, la conformazione oggi della nostra forma di Stato, come un neoliberismo autoritario, nel senso che questi due elementi si combinano insieme. Neoliberismo che non viene messo in discussione, per cui alle diseguaglianze sociali non viene data una risposta in chiave redistributiva ad esempio, ma viene data una risposta appunto in chiave repressiva. A me pare che questo sia la chiave di lettura, ahimè, dell'epoca attuale. Una chiave di lettura che ha ovviamente una specificità italiana, ma che, come deriva in senso autoritario, è una tendenza globale.
In Italia c'è anche il problema adesso di questa riforma costituzionale che potrebbe segnare anche dal punto di vista istituzionale una forte ulteriore, perché abbiamo già un processo di verticalizzazione del potere in atto, concentrazione di potere.
Controinformazione rossoperaia - Infatti volevo appunto chiederti su questa questione del Premierato che, appunto, è esplicitamente anticostituzionale - come peraltro tutte una serie di provvedimenti, per esempio quelli verso i migranti, per cui viene stabilita una tassa per non andare nei CPR, mentre contemporaneamente viene fatto l'accordo con l’Albania, anche questo, io credo, un pò fuori dai principi della Costituzione; così la gestione del carcere per cui ora si decide, per esempio, di mettere in carcere anche le donne incinte e chi ha bambini fino a tre anni, cosa che esisteva ma che non è stata per tanti anni applicata - quindi, in un certo senso, questa del Premierato è un pò una sintesi di tutta questa azione anticostituzionale
Alessandra Algostino - C'è una combinazione che secondo me è una combinazione letale, quella tra il premierato e il progetto di autonomia differenziata. Insieme, il premiato e l’autonomia differenziata possono proprio svuotare e neutralizzare quello che è il senso della Costituzione. All'inizio di questa chiacchierata parlavamo di democrazia come conflittuale, pluralista, dove ho aggiunto anche sociale. Ecco, se il il Premierato svuota il senso proprio della democrazia conflittuale e pluralista perché diventa una democrazia di tipo decidente, basata sulla figura, sulla scelta del capo, quindi con una rappresentanza che è di tipo identitario, non è più una rappresentanza di tipo plurale e conflittuale; dal lato poi dell'autonomia differenziata si svuota tutto quello che è il senso della democrazia sociale, cioè la garanzia su base di universalità e su base di uguaglianza di quelli che sono i diritti sociali. Senza diritti sociali non c'è progetto di emancipazione, si svuota proprio il senso del progetto costituzionale. Così come attraverso il Premierato si viene ad incidere su quello che è il senso della sovranità popolare ai sensi della Costituzione: che la sovranità popolare va intesa come partecipazione ma come partecipazione effettiva. Cioè quando si dice che la sovranità popolare appartiene al popolo, questo è contrario all'idea della delega, dell'affidamento ad un uomo o a una donna sola al comando. Implica invece una partecipazione effettiva, quella che Rosa Luxemburg definiva “il potente movimento delle masse” come elemento costitutivo e fondamentale della democrazia.
Per cui, ahimè, noi stiamo assistendo ad un progetto di svuotamento in senso lato della Costituzione. Questo diciamo dal punto di vista della democrazia.
Ma tu prima facevi l'esempio dei migranti. La nostra Costituzione riconosce il diritto d'asilo, con una norma molto ampia, a colui il quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche, e prevede l'asilo nel territorio della Repubblica - tra l'altro, nel territorio della Repubblica, quindi non in Albania ma nel territorio italiano. E’ una norma che viene svuotata da tutto il processo - al di là di queste ultime idee di mercificazione della libertà personale - è svuotata dal complessivo processo di esternalizzazione delle frontiere. E anche qui viene poi accadere uno dei capisaldi della Costituzione, ma in generale del costituzionalismo, cioè l'idea di diritti come diritti della persona umana che appartengono a chiunque. Ma se i diritti non sono riconosciuti a chiunque, non sono più diritti, sono dei privilegi.
Cioè viene a svuotarsi proprio quella che è l'essenza del costituzionalismo come limitazione del potere, come garanzia dei diritti. Secondo me, questo possiamo inserirlo in un contesto più ampio in cui il costituzionalismo si situa nel conflitto che attraversa poi la storia intorno all'eguaglianza, dalla parte dell'emancipazione contro la parte del dominio, del potere.
Controinformazione rossoperaia - Parliamo di un altro fronte, cioè il fronte dei mass media, dei giornali, delle tv, che, chiaramente non è una sorpresa, che siano al servizio di chi ha il potere e quindi di chi sta al governo, però anche questo fronte sta veramente snaturando l'aspetto del giornalismo, dell'informazione, della comunicazione. Cioè sta stravolgendo i fatti.
Quindi, in un certo senso, anche questo fronte, stampa e Tv, sta accompagnando questo processo anticostituzionale. Lo vediamo soprattutto rispetto ai migranti, ma ora anche rispetto alla Palestina, per cui chi è il criminale, oppressore viene fatto passare come vittima e chi è veramente vittima, chi viene ucciso, massacrato, viene presentato come addirittura terrorista. Ora su questo fronte ci sono state voci di forte dissenso anche da parte di costituzionalisti, però mi sembra ancora marginale. Come la vedi tu? Ed è possibile che da parte di ambiti di professori, giuristi, costituzionalisti, si levi la voce?
Alessandra Algostino - E' sempre più difficile, anche in ambito accademico, assumere delle posizioni, per così dire, controcorrente o divergenti. C'è un'omologazione sempre più forte e questo si avverte, come dicevi tu prima, nell'informazione, ma si avverte, ad esempio, proprio anche all'interno del mondo accademico. Penso alla difficoltà che abbiamo incontrato come costituzionalisti più critici nel prendere una posizione diversa per quanto concerne la guerra in Ucraina, ad esempio.
Come costituzionalisti critici noi abbiamo rivendicato quella che è la necessità di rispettare il principio pacifista della Costituzione, cioè l'articolo 11 della Costituzione, il ripudio della guerra, e quindi di intervenire per un "cessate il fuoco", per un'insistenza su quello che è il canale diplomatico esprimendoci contro, ad esempio, l'invio nelle armi all'Ucraina. E’ stato molto difficile trovare spazio di ascolto e possibilità di discutere, proprio anche a partire dall'interpretazione dell'articolo 11 della Costituzione, su una contrarietà all'invio delle armi in Ucraina. E penso anche alle critiche pesanti con cui è stato attaccato l'appello, che personalmente anch'io ho sottoscritto, di oltre 4500 accademici che chiede il "cessate il fuoco" a Gaza, che riconosce, situa quanto sta accadendo adesso a Gaza nella storia, quindi ripartendo dal ‘48, ragionando di colonialismo, ragionando di apartheid. E chiede anche questo che è stato uno dei punti più controversi: di interrompere tutti i rapporti con le istituzioni universitarie israeliane che sono in parte compromesse con quanto sta accadendo, con gli apparati militari israeliani. Non ovviamente un boicottaggio delle persone, ma un boicottaggio delle istituzioni compromesse con gli apparati.
Ecco, discutere e prendere posizioni di questo tipo sta diventando sempre più difficile anche all'interno dell'Accademia. Gli attacchi conseguenti sono attacchi violenti. E questo senza dubbio è un altro indice della chiusura degli spazi di pluralismo, di pluralismo politico, di democrazia alla fine.
Controinformazione rossoperaia - Per questo noi diciamo che ogni voce di dissenzienti, ogni voce di resistenza, di critica - noi pensiamo anche di lotta - chiaramente è importante, proprio per rompere questa uniformità che va sempre peggio. In questo senso va valorizzata la risposta degli studenti, come nel caso specifico di Torino. Avevo letto che a seguito di quanto è successo al campus Einaudi stavate facendo una denuncia-querela. E così?
Alessandra Algostino -Sono stata proprio oggi dall'avvocato per firmare la mia querela. La mia collega ed io, ma anche la studentessa che ha avuto il braccio rotto e 30 giorni di prognosi stiamo presentando querela e quindi assolutamente sì. Questa è una risposta. Poi la risposta, diciamo politica che stiamo anche dando a questi fatti, è la costituzione di un coordinamento antifascista universitario in cui sono presenti docenti, studenti e personale dell'università e che presenteremo proprio martedì prossimo in una conferenza stampa in rettorato; un coordinamento, col quale vogliamo rivendicare quella che è la presenza proprio antifascista all'interno degli spazi universitari. Quindi un'azione, una battaglia culturale all'interno dell'università, ma anche una forma di vigilanza democratica su quella che è la presenza di gruppi fascisti o neofascisti all'interno dell'università, interpretando quello che è il fascismo e l'antifascismo ma, come dire, attualizzato, quindi cercando di organizzare iniziative che si oppongano a ogni forma di sopraffazione, che sia di genere, sessista, classista, ecc... E cerchiamo proprio di mettere al centro l'idea dell'antifascismo come elemento che attraversa tutta la Costituzione, quindi la lotta contro tutte queste forme di dominio e di sopraffazione, rivendicando che l'università rimanga un luogo di discussione libera di sapere critico, di dissenso, ecc. Insomma, al di là delle risposte giudiziarie, stiamo cercando di dare una risposta che faccia sentire anche la voce dei valori antifascisti.
Controinformazione rossoperaia - Mi sembra importante che questa iniziativa vada poi generalizzata anche nelle altre città, nelle altre università. Chiaramente la seguiremo e se ci saranno materiali li vorremmo avere in maniera da portarli anche in altre città.
Bene, ti ringrazio molto per questa intervista, un forte saluto a te e anche alla docente Alice Cauduro, anch'essa colpita dalla carica della polizia, alla studentessa a cui è stato rotto un braccio, a tutti gli studenti e studentesse antifasciste.
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