11/04/21

Report dal presidio al carcere femminile di Rebibbia


Una bella giornata quella sotto il carcere femminile di Roma Rebibbia, densa di solidarietà.

Nonostante le minacce delle guardie di far loro rapporto, le detenute ci hanno accolto unite, con entusiasmo e sorellanza, sventolando fazzoletti e panni dalle celle ed aggiornandoci della gravissima situazione all’interno. Le donne contagiate sono già un centinaio, su circa 300 donne recluse. Hanno detto: “vogliono farci morire qua dentro!”

Ad ogni dedica, intervento, canzone non smettevano di ringraziarci.

Eravamo una sessantina, ed era bellissimo unire le nostre voci alle loro.

Non ci sono luoghi idonei per la separazione delle detenute positive da quelle negative. Alcune fra le positive vengono ospitate al piano terra mentre le docce sono al terzo piano, quindi ricevono una fornitura di acqua calda in bacinelle. Una condizione intollerabile, determinata dal fatto che le detenute sono sempre oltre il limite di capienza previsto. Se le detenute contagiate utilizzano a turno le stesse tre docce è chiaro che le patologie infettive si diffondono più velocemente.

In un‘istituzione classista e patriarcalista come il carcere la pandemia ha inasprito di molto le condizioni già dure delle donne detenute.

Al completo isolamento si aggiunge l’impossibilità di aver cura della propria persona, la mancanza di acqua, l’impossibilità di curarsi, per il mancato ricovero anche di chi versa in gravi condizioni. Le celle sono fatiscenti, umide, manca l’aria, manca il cielo.

A ciò si aggiungono le minacce di sanzioni per chi protesta o solidarizza con chi protesta per difendere il diritto alla salute e alla vita di tutte e tutti. Ma le detenute anche questa volta sono state unite. Sanno che alcune sono indagate per le proteste dell’anno scorso, ma non si sono fatte intimidire da chi ha tutto l’interesse nel dividerle. Sanno che la loro vita conta più di un materasso bruciato.

Al presidio è intervenuta per le detenute trans, una rappresentante dell’associazione “Libellula”. Sono circa una ventina, stanno al reparto G8, che è un reparto riservato alle persone trans, ma stanno alla sezione maschile di Rebibbia per mancato adeguamento dei loro documenti. Sono al 90% immigrate, provenienti dal latino-america, e di loro da un anno non si sa più niente, le visite sono vietate anche alle operatrici. Una giovane trans, che aveva chiesto di stare in cella singola per sfuggire alla transfobia, è stata messa nella sezione di Alta Sicurezza con le politiche. Qui il suo intervento:

A lei abbiamo fatto anche una breve intervista per conoscere meglio la condizione delle soggettività trans detenute:

Al presidio è intervenuta anche una familiare, con un intervento molto toccante, di cui siamo riuscite a registrarne una parte.

È la figlia di G. donna 65enne tradotta in carcere in piena pandemia per un ritardo del suo avvocato nel presentare ricorso avverso la sentenza di 1 grado che l'ha condannata a 3 anni e mezzo di carcere.

G. in carcere ci entra il 26 gennaio e qui prende il covid. Viene messa in isolamento in una cella 3 metri x 3 con solo una branda e un wc. Le è stata data una bacinella e una piastra sulla quale scalda l'acqua che poi si versa addosso per lavarsi, con due bottiglie di plastica tagliate a metà. Senza acqua, senza potersi fare una doccia, senza mai guardare il cielo perché l'ora d'aria in isolamento viene soppressa e la finestra inquadra il muro, senza affetti perché le visite sono bloccate dai decreti, senza parlare con nessuna perché anche le malate Covid non possono vedersi tra loro.

Qui una parte dell’intervento della figlia:

"se ci vedono alle finestre ci fanno rapporto", così ci hanno detto le detenute.

Ma la polizia non ha fermato né le nostre né le loro voci, ci hanno ringraziato fino alla fine del presidio e noi abbiamo portato loro la nostra piena e incondizionata solidarietà, perché chi ha difeso la propria vita non si processa. Chi dovrebbe sedere sul banco degli imputati sono stato e padroni, che si sono arricchiti sulla nostra pelle, che hanno trasformato la pandemia in strage, le carceri in focolai e non solo di covid, ma anche di rivolte. 40 anni di continui tagli alle spese sociali, alla scuola, alla sanità hanno fatto il paio con aumenti progressivi della spesa pubblica per la difesa e la “sicurezza”, ossia soldi pubblici sottratti alla tutela della salute per finanziare guerre e repressione, per permettere a poche persone di continuare ad arricchirsi indisturbate sulla pelle di miliardi di persone, facendo delle carceri discariche sociali, criminalizzando povertà e dissenso.

Il distanziamento sociale necessario per evitare il contagio è preso a pretesto per impedire di manifestare. Non vale né in carcere né in altri luoghi di maggiore sfruttamento, come nelle fabbriche o nei magazzini, dove se ci si ammala e si muore poco importa, c'è sempre l'esercito industriale di riserva. Questo si chiama imperialismo e contro di esso è giusto e necessario ribellarsi! E’ giusto ribellarsi a chi mette in pericolo la nostra vita, la nostra salute! Sul posto di lavoro o in carcere siamo della stessa classe, quella degli sfruttati e degli oppressi, e fra questi le donne sono doppiamente oppresse e sfruttate. Ed hanno doppie, triple ragioni per ribellarsi.

A loro va tutto il nostro sostegno e la nostra solidarietà, a loro abbiamo portato la solidarietà anche di altre detenute ed i saluti e il sostegno del Mfpr Milano (che riportiamo sotto) e dell’assemblea donne/lavoratrici combattive

In questa epoca di pandemia dove in ogni luogo si subisce una repressione violenta ed ingiusta:  per chi è fuori vuol dire vivere distanti e separati, ma per chi subisce la galera  si deve accettare che vengano ammassati corpi, nessuna misura prevista per diminuire la popolazione carceraria. Oggi da più parti ci si "allarma" perché i focolai nelle carceri si stanno diffondendo e ci si sbraccia perché i detenuti vengano vaccinati: peccato che allarmi ed appelli vengano da rappresentanti di istituzioni che ben avrebbero potuto/dovuto dare soluzioni. annullato, negato, ogni prigioniero/a prova l'odio di questo sistema fallito che ci regala morte in tutte le sue forme.
Per questo e per la libertà che tutti noi ci meritiamo, vogliamo salutare e sostenere la giornata di  lotta e di denuncia delle condizioni sempre più disperate ed ingiuste di oggi a Roma in solidarietà con le detenute.
Tutta la nostra solidarietà e vicinanza, le compagne MFPR di Milano 

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