Il 7 aprile 1944 sul ponte dell'Industria (un ponte metallico che collega i quartieri Ostiense e Portuense, chiamato dai romani “ponte di ferro”) una folla di donne e ragazzini dà l'assalto al forno Tesei, dove è anche un deposito di pane per i rifornimenti alle truppe tedesche di stanza a Roma. Intervengono SS e militi della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), dieci donne vengono afferrate di forza, portate sul ponte e abbattute a raffiche di mitra contro la spalletta di ferro.
Sul luogo dell'eccidio è stata
fatta deporre nel 1997 dall'amministrazione comunale una lapide commemorativa,
per iniziativa della ex-partigiana dei GAP e poi parlamentare Carla Capponi
(1918-2000) e in seguito all’inchiesta “Donne senza nome” del giornalista e storico
della Resistenza Cesare De Simone, che ha recuperato la memoria dell'eccidio e
restituito i nomi alle vittime.
L’inchiesta di De Simone parte dal ritrovamento di un mattinale di polizia che recita così: «Ieri, a motivo di un assalto al forno Tesei in via B. Baldini, zona Portuense, da parte di una folla giunta anche dai quartieri adiacenti, è intervenuto un reparto della polizia germanica riportando l'ordine. Dieci donne, sobillatrici dei disordini, sono state fucilate sul ponte dell'Industria»
Si chiamavano Falsetti Clorinda, Ferracci Italia, Ferrante Elvira, Fiorentino Eulalia, Giardini Elettra Maria, Izzi Assunta Maria, Loggreolo Silvia, Pellegrini Esperia, Piazza Concetta, Pistolesi Arialda le 10 donne assassinate dalla rappresaglia nazifascista il 7 aprile 1944 al ponte di ferro a Roma.
«Quando entrai alla Camera, nel '48,
organizzai un comizio unitario delle donne elette, ne facevano parte anche le
democristiane, e prendemmo l'iniziativa di mettere una lapide sul ponte di
ferro. La scritta non la ricordo, diceva comunque che lì i tedeschi avevano
fucilato dieci romane, dieci madri di famiglia che chiedevano pane. Ma i nomi
non c'erano, non li avevamo neppure allora. Era una lapide modesta, di pietra
da pochi soldi; due o tre anni dopo qualcuno di notte la fracassò, fascisti
credo, e da allora delle dieci donne s'è persa ogni memoria » (
Così rievoca l’eccidio nelle
sue memorie pubblicate nel 2000, Carla Capponi:
«Le donne dei quartieri Ostiense, Portuense e
Garbatella avevano scoperto che il forno panificava pane bianco e aveva grossi
depositi di farina. Decisero di assaltare il deposito che apparentemente non
sembrava presidiato dalle truppe tedesche. Il direttore del forno, forse
d'accordo con quelle disperate o per evitare danni ai macchinari, lasciò che
entrassero e si impossessassero di piccoli quantitativi di pane e farina. Qualcuno
invece chiamò la polizia tedesca, e molti soldati della Wehrmacht giunsero
quando le donne erano ancora sul posto con il loro bottino di pane e farina. Alla
vista dei soldati nazisti cercarono di fuggire, ma quelli bloccarono il ponte
mentre altri si disposero sulla strada: strette tra i due blocchi, le donne si
videro senza scampo e qualcuna fuggì lungo il fiume scendendo sull'argine,
mentre altre lasciarono cadere a terra il loro bottino e si arresero urlando e
implorando. Ne catturarono dieci, le disposero contro la ringhiera del ponte,
il viso rivolto al fiume sotto di loro. Si era fatto silenzio, si udivano solo
gli ordini secchi del caporale che preparava l'eccidio. Qualcuna pregava, ma
non osavano voltarsi a guardare gli aguzzini, che le tennero in attesa fino a
quando non riuscirono ad allontanare le altre e a far chiudere le finestre di
una casetta costruita al limite del ponte. Alcuni tedeschi si posero dietro le
donne, poi le abbatterono con mossa repentina "come si ammazzano le bestie
al macello": così mi avrebbe detto una compagna della Garbatella tanti
anni dopo, quando volli che una lapide le ricordasse sul luogo del loro
martirio. Le dieci donne furono lasciate a terra tra le pagnotte abbandonate e
la farina intrisa di sangue. Il ponte fu presidiato per tutto il giorno,
impedendo che i cadaveri venissero rimossi; durante la notte furono trasportati
all'obitorio dove avvenne la triste cerimonia del riconoscimento da parte dei
parenti.»
Roma era al
settimo mese d’assedio nazista (nonché al quinto anno di guerra) ed i viveri,
peraltro scarsissimi, venivano distribuiti soltanto previa esibizione di una
tessera annonaria. Con l’acuirsi della crisi, la già precaria situazione alimentare
della capitale si aggravò ulteriormente in seguito all'ordinanza emessa il 26
marzo 1944 dal generale Kurt
Mälzer, comandante della città di Roma durante
l'occupazione: la razione giornaliera di pane destinata ai civili venne ridotta
da un etto e mezzo ad un etto soltanto.
La prima protesta di donne contro la riduzione della
razione di pane ebbe luogo il 1º aprile al forno Tosti (quartiere Appio); il 6
aprile a Borgo Pio un camion carico di
pane scortato da militi fascisti fu preso d'assalto da una folla affamata e disperata.
Quel venerdì
di Pasqua del ’44 un gruppetto di donne marciò sul molino Tesei, favorito anche
dalla complicità del direttore italiano del magazzino che, probabilmente con un
espediente, aveva dirottato ad altre mansioni i vigilanti tedeschi; le donne riuscirono
quindi ad impossessarsi di alcuni sacchi di farina e di qualche chilo di pane
ma, tradite evidentemente dalla spiata di qualcuno, vennero scoperte ed
inseguite dalle Camicie Nere fasciste e dai vigilanti delle SS. Una decina di
loro vennero catturate proprio sulla sponda del Tevere. Alcuni soldati
portarono una delle donne sotto il ponte, sulla sponda del fiume, e la
violentarono. Poi, ancora seminuda e sotto choc, la assassinarono con un colpo
di pistola alla testa. Le altre nove, furono schierate lungo il ponte e trucidate
a raffiche di mitra. Sulle campate metalliche del ponte sembra sia ancora
possibile rintracciare i fori di alcuni proiettili.
I corpi delle
donne vennero lasciati in terra sotto la vigilanza dei soldati tedeschi e dei
repubblichini fascisti fino alla mattina seguente. Accanto ai corpi sanguinanti
venne posto un cartello nel quale si parlava di quella strage definendola un esempio di ciò che, da allora, sarebbe potuto
accadere alla popolazione che avesse osato effettuare ulteriori assalti a forni
e negozi. Addirittura i militi fascisti, da una parte e dall'altra del ponte,
costringevano i passanti ad attraversare lo stesso guardando i corpi delle dieci
donne uccise.
Soltanto a
tarda sera, come fu successivamente riferito allo storico Cesare De Simone dall’allora
giovanissimo parroco di San Benedetto all’Ostiense, alcune suore riuscirono a
posare accanto ai corpi delle candele e dei fiori.
Queste sono le
parole che il parroco riferì a De Simone: «Sì, le ho viste. Ho visto quelle dieci
donne. O meglio, ho visto i loro corpi. Ero in chiesa e con dei parrocchiani
stavo portando via le macerie dopo un bombardamento. Di corsa, erano arrivate
delle donne che si erano messe a gridare che dovevo correre perché al forno
Tesei, le SS avevano preso dieci donne e le stavano per fucilare. Era, lo
ricordo bene, il 7 aprile. Corsi e arrivai sul ponte. Le SS mi fermarono e poi
arrivò anche uno della Brigata Nera con una "M" rossa sul basco. Mi
dissero che tutto era inutile perché le donne erano già state fucilate. Poi, mi
portarono sotto il ponte e potei benedire quella creatura tutta nuda ammazzata
sul posto»
A
partire dalla seconda metà di aprile si intensificarono gli episodi di attacchi
ai forni o ai trasporti del pane. Un telegramma del prefetto al capo della
polizia datato 21 aprile menziona «manifestazioni alquanto vivaci da parte di
donne per mancanza di pane» in cui un forno era stato assaltato «con
asportazione anche di denaro»; altre informative di polizia nel mese di maggio
segnalano «incidenti davanti a molti forni provocati da gruppi di donne e
bambini», fra cui i due più gravi si verificarono in via Nomentana (un forno
assaltato da cui vennero asportati ottocento chili di pane, pasta e farina) e
in via San Francesco a Ripa in Trastevere (un tentato assalto).
L'episodio più noto si
verificò il 3 maggio, quando fu assaltato a un forno in via del Badile, al Tiburtino
Terzo: un milite della PAI (Polizia dell’Africa italiana) uccise
Caterina Martinelli, una madre di sette figli che stava scappando dopo essersi
impossessata di una pagnotta. Un rapporto del vice capo di polizia Cerruti
indirizzato al ministro degli interni della RSI Buffarini Guidi, datato 15
maggio, esprime preoccupazione per la situazione dell'ordine pubblico,
menzionando fra l'altro recenti «episodi sporadici di assalti ai forni». Dopo
l'uccisione della Martinelli, comunque, gli assalti videro protagonisti gruppi
meno numerosi, che attaccavano soprattutto le piccole consegne alle panetterie.
Dall’8 aprile
1944 non si sa che fine abbiano fatto i corpi delle dieci donne uccise:
secondo il racconto di Pericle Santini, un operaio lattoniere che lavorava nel
suo sfascio sulle rive del Tevere e che, assieme ad altri operai, fu costretto
sotto la minaccia dei mitra tedeschi, a caricare i dieci corpi su un camion,
questi furono seppelliti in una fossa comune al cimitero del Verano.
Malgrado si
conoscano i nomi delle donne non si è mai riusciti a risalire alle loro
origini: probabilmente si trattava di donne registrate all’anagrafe con il
cognome del marito, oppure arrivate a Roma da sfollate
da qualche paesino e, quindi, non registrate all'anagrafe romana.
Sull’eccidio delle 10 donne, oltre all’inchiesta
di De Simone, si trova traccia in 2 cortometraggi di Emanuela Giordano (“Le
ragazze del ponte” e “7 Aprile 1944 – Storie di donne senza storia”) e in uno
spettacolo teatrale (“I dieci angeli del ponte”) scritto da Alessia Bellotto e
da Paolo Buglioni, ma nessun libro di storia ne parla tuttora.
Spetta a
noi, alle donne proletarie conservarne e tramandarne la memoria, spetta alle
nuove partigiane riscrivere la storia
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