Anche in questi giorni sono proseguite imponenti manifestazioni delle donne turche, in diretta continuità con le manifestazioni dell’8 marzo, contro il governo del despota Erdogan, contro le sue politiche che attaccano apertamente le donne, i loro diritti, la loro stessa vita.
La Convenzione di Istanbul promossa nel 2011 dal Consiglio d’Europa per prevenire e contrastare la violenza contro le donne, gli stupri coniugali e le mutilazioni genitali femminili ebbe come primo paese firmatario la Turchia e, complessivamente, fu firmato da 45 paesi e dall’Unione europea.
Il governo di Erdogan non aveva esitato ad usare strumentalmente, in maniera odiosa, le donne per i propri scopi di politica internazionale quando voleva accreditarsi agli occhi dei governi europei come avamposto di difesa dei diritti delle donne per poter entrare a far parte dell’Eu.
Ora, in una situazione in cui a livello europeo la Turchia viene considerata partner importante dai paesi imperialisti nello scacchiere di guerra nell'area, e Erdogan vuole rafforzare il suo potere all'interno dando maggiore peso alle forze conservatrici integraliste, il governo turco ha deciso di ritirare la firma dalla Convenzione di Istanbul.
Questo pone altrettanto chiaramente che non saranno certo i paesi imperialisti europei, la UE a sostenere la lotta delle donne turche, essi al massimo faranno qualche dichiarazione che non smuove nulla, ricevendo anche "schiaffi in faccia" come è successo l'altro giorno alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen,
Questo è avvenuto in una situazione in cui le condizioni di vita delle donne, soprattutto con la pandemia in corso, sono peggiorate sensibilmente in tutti i paesi, sia nel quotidiano sia soprattutto in termini di femminicidi efferati da parte di partner ed ex partner, di stupri e in termini di attacchi ideologici alla libertà di scelta delle donne in tutti i campi. Nel classico copione seguito dai governi di tutti i paesi che necessitano di un ruolo subordinato da "angelo del focolare" della donna su cui scaricare il peso della cura familiare e della riproduzione della forza lavoro, come puntello al mantenimento dello stato di cose esistenti. Gli attacchi al diritto d’aborto non si sono mai fermati, come in Polonia, spandendo a piene mani un humus reazionario, da moderno medioevo.
In questo contesto e clima si inserisce la decisione del governo turco, che può diventare un'apripista per altri paesi in cui l'intreccio pernicioso tra religione fondamentalista e governi che del fondamentalismo religioso non mancherà di produrre atti legislativi con cui si vuole riportare indietro la ruota della storia per le donne. In questo la religione, come sentimento popolare, c’entra molto poco, molto invece c’entra la natura fascista di Stati e governi.
La lotta delle donne turche parla a tutte le donne ed è la nostra lotta.
Le donne turche immediatamente scese in lotta contro la decisione del governo Erdogan hanno molto bene spiegato come questa scelta sia una dichiarazione di guerra contro le donne, un via libera alla legittimazione di femminicidi e stupri e hanno espresso chiaramente che non permetteranno che questo avvenga “Noi fermeremo il femminicidio”; “noi indietro non torniamo”. E’ una lotta anche per noi, per tutte le donne del mondo.
Avrebbe meritato maggiore e migliore sostegno da parte dei movimenti delle donne in questo paese. La solidarietà internazionale ed internazionalista serve, in questo caso, alle donne turche ma serve anche alle proletarie, alle donne che vivono in Italia, per comprendere e prendere saldamente nelle proprie mani la difesa dei propri diritti, la difesa quotidiana dagli attacchi pratici, ideologici con cui si vogliono continuamente riportare le donne a una condizione da moderno medioevo. Fa comprendere concretamente che bisogna rovesciare questa società che porta sfruttamento, oppressione, sino alla morte più efferata.
Negli ultimi anni le grandi manifestazioni delle donne a livello mondiale contribuiscono a far avanzare in determinazione le lotte delle donne nei singoli paesi, ma anche a delimitare il campo, a definire che movimento delle donne serve, oggi e per quale scopo.
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