Ventisei manifestanti uccisi/e, 761 arresti arbitrari, 142 casi di maltrattamento, 65 di sparizioni e 10 di violenza sessuale. In un video, trasmesso sui social network, è possibile ascoltare membri dell’ESMAD – polizia antisommossa – che dicono di “fare quello che vogliono” alle detenute. Questi sono i dati drammatici, forniti dalle organizzazioni locali per i diritti umani e risalenti a 48 ore fa, della repressione delle proteste iniziate il 28 aprile in Colombia.
Gli esperti in verifiche digitali di Amnesty International hanno convalidato e diffuso immagini sull’uso non necessario ed eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza incaricate di controllare lo svolgimento delle proteste: un modus operandi che, secondo l’organizzazione per i diritti umani, non è sporadico ma costante e che è causa di crimini di diritto internazionale.
Amnesty International è in grado di confermare che in diversi casi le forze di sicurezza hanno usato armi letali e hanno fatto ricorso indiscriminato ad armi non letali come gas lacrimogeni e cannoni ad acqua.
Le forze di sicurezza hanno usato fucili Galil Tavorn il 30 aprile a Cali e armi semi-automatiche il 2 maggio a Popayán. Il 1° maggio a Bogotá sono stati sparati proiettili veri da un blindato.
Di tutto questo non si parla nei media, nessuna condanna, né dall'UE, né dal governo italiano, delle continue violazioni dei diritti umani in Colombia, dove ogni anno vengono ammazzati/e centinaia di attivisti/e sociali.
Eppure proprio l’Italia ha addestrato le FF.AA. colombiane, così come ha fatto per l'Egitto, e in entrambi i casi, ma ce ne sono tanti altri, il silenzio è complice.
Nessun commento:
Posta un commento