Ad una anno dall’esplodere
dell’emergenza pandemia possiamo affermare che a fronte
dell’amplificazione degli attacchi da parte dei governi borghesi e di questo
stato alla nostra condizione di lavoro e di vita più in generale, le donne proletarie
non hanno mai abbandonato la lotta, L'emergenza coronavirus ha posto in maniera ancora più netta e senza scampo che questo sistema capitalista è la causa e il cancro
dell'umanità, e che le donne non hanno da aspettarsi niente da esso ma hanno da
rompere le catene che si fanno sempre più strette. La gestione poi della pandemia ha messo ancora
di più in luce l’orrore di questo sistema capitalista, il doppio sfruttamento e
oppressione delle donne, un sistema che ti chiude in casa spesso col
tuo assassino, che usa la
pandemia non per dare vere risposte ai tragici problemi della sanità, della
salute e sicurezza sui posti di lavoro, della condizione degli anziani, ma per
accentuare lo scaricamento sulle donne dell'assistenza, della cura, di conciliazione tra
stato/interessi del capitale/famiglia.
E non è un caso che lavoratrici,
operaie, precarie di diversi settori, donne disoccupate, donne migranti, già
nel lockdown sono state una avanguardia di lotta, sono state quelle che hanno
gridato al governo un forte NO ad una condizione di sfruttamento e oppressione
che la pandemia ha aggravato e amplificato e anche se in maniera sparpagliata e
frastagliata hanno comunque resistito e lottato.
Queste lotte sono continuate e stanno
continuando fino ad oggi, rendendo concreto e reale un percorso di lotta
certamente
non facile, né scontato ma che in varie forme
e con diverse iniziative, azioni, mobilitazioni di resistenza,
coraggiose, esemplari, di sfida ha visto la scesa in campo delle
lavoratrici,
delle donne proletarie, dal settore della sanità, supersfruttate e messe a
rischio vita - dalla città emblema della trasformazione criminale della
pandemia
in strage, Milano, al Lazio, ecc.; alle operaie della città dei cortei
di bare
come Bergamo, con le operaie immigrate forti e determinate della
Montello; così
le operaie di alcune fabbriche metalmeccaniche, le operaie della logistica che hanno fatto anche scioperi spontanei durante il lockdown; così le lavoratrici precarie
del sud
in lotta permanente come le lavoratrici degli asili di Taranto o le
lavoratrici
per cui il lockdown ha significato anche perdere lo straccio di lavoro e
salario che avevano, vedi le combattive e resistenti precarie dei
servizi di assistenza nelle scuole di Palermo,
sotto processo per le lotte messe in campo e nuovamente denunciate in
questi
giorni; così le braccianti migranti rappresentate da Campagne in lotta; così le
lavoratrici delle pulizie, delle mense, degli alberghi, dello spettacolo
dal
sud al nord; le lavoratrici del commercio de L'Aquila, dei supermercati
che
hanno continuato a lavorare a rischio; le lavoratrici delle poste, le
lavoratrici della scuola e del pubblico impiego che hanno visto sulla
propria pelle che cosa è realmente lo smart working con tutto quello che
comporta in termini di più oppressione e rischio anche sul piano della
salute
piscofisica.
Un punto importante di confluenza e
collegamento reale di tutte le denunce, delle istanze di lotta, delle lotte
reali messe in campo, vi è stato con le assemblee nazionali donne/lavoratrici fatte a settembre, novembre 2020, a febbraio '21, fino a quella del 9 aprile
scorso; attraversando anche alcune tappe significative, come la giornata di azione
del 15 gennaio; il protagonismo delle lavoratrici, in particolare di alcuni
settori, nello sciopero del 29 gennaio. La tappa più importante per le donne è stato lo sciopero delle
donne dell’8 marzo, in cui, quest'anno, vi sono stati elementi nuovi e in sviluppo.
In primis l'estensione dello sciopero a nuove realtà di
donne proletarie; nelle realtà lavorative dove in particolare siamo
intervenute non abbiamo appiattito la lotta, le ragioni dello sciopero sulle
vertenze in corso ma abbiamo portato
nella denuncia, nelle parole d’ordine, nella lotta la necessità della battaglia generale delle donne, perchè “tutta la vita deve
cambiare” contro ogni sfruttamento e oppressione che in questo sistema
capitalistico è a 360 gradi.
Nella piattaforma diffusa nello sciopero
dell’8 marzo abbiamo posto la necessità che le donne lavoratrici, proletarie
impugnino anche la battaglia per la salute e sicurezza sui posti di lavoro e
per la salute e difesa della vita più in generale, rafforzino questa lotta
laddove già si mette in campo. Alcuni punti della piattaforma:
- Aumento delle pause, riduzione dei
ritmi e dei carichi di lavoro nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro (in
particolare ora per l’uso continuo di mascherine);
- Condizioni di lavoro e ambienti di
lavoro (compreso servizi igienici – vicini alla postazione lavorativa) a tutela
della salute, anche riproduttiva, delle donne e della dignità delle
lavoratrici; garantire misure sanitarie anticovid e distanziamento
- No ad interventi: smart working –
bonus casalinghe, ecc. - che vogliono conciliare famiglia e lavoro, aggravando
il doppio lavoro delle donne;
- In agricoltura No all’uso di prodotti tossici; strutture
mediche vicino ai luoghi di lavoro;
- Accesso gratuito ai servizi sanitari,
aumento di asili e servizi di assistenza anziani gratuiti;
- Diritto di aborto libero, gratuito e
assistito, in tutte le strutture pubbliche, abolizione dell’obiezione di
coscienza; contraccettivi gratuiti - potenziamento della ricerca per
contraccettivi sicuri per la salute.
- Libertà, accesso a misure alternative
per le donne/proletarie detenute, come tutela del diritto alla salute/anticovid, alla genitorialità, e come difesa dalle violenze, abusi sessuali in
carcere che colpiscono immigrate, soggettività trans, ecc.;
Istanze di lotta e per la lotta che sono anche il frutto di inchieste dirette
tra le operaie, le lavoratrici come quelle di alcuni anni fa che abbiamo fatto
tra le operaie della Fiat Sata di Melfi e dell’Amadori o
come quelle più recenti con le combattive operaie della Montello di Bergamo,
sfruttate e soggette a discriminazioni di genere, che, come le operaie della Brambo, della Evoca, in parte hanno scioperato, contrastando il pesante clima di ricatto padronale e anche contro le condizioni
da vero e proprio moderno medioevo in cui lavorano in fabbrica, un lavoro
“sporco e brutto” hanno detto le operaie perché sui nastri trasportatori passa di tutto: materiali
pericolosi, siringhe, con orari pesanti, senza ausili protettivi sufficienti, di pause, bagni in condizioni pessime, mensa non adeguata… e oggi
ancora più a rischio con il covid e in una
situazione a serissimo rischio, in cui screening di massa periodici e la vaccinazione per tutte restano un miraggio.
Cosi tra le operaie
dell’Evoca dove i metodi di usura scientifica sulle linee di montaggio per
ottenere il massimo di efficienza nella produzione alla catena e per produrre più velocemente abbassa altrettanto
velocemente la soglia anagrafica, si estende la massa delle
operaie con disturbi e limitazioni ancora in giovane età. E per chi non regge i
ritmi, fiom fim uilm hanno pensato all'esodo incentivato 'volontario".
Le
lotta messa in campo verso le lavoratrici della scuola in città come
Milano a
Palermo tra le lavoratrici docenti e ATA, dallo sciopero del 29 gennaio
all’8 marzo, nonostante la gravissima
esclusione dallo sciopero delle donne del settore scuola, ha messo in luce come la pandemia ha scoperchiato i guasti prodotti da anni di
politiche di
tagli alla scuola, nessuna soluzione reale dei problemi pregressi e
strutturali
come il reperimento di spazi per permettere a tutti gli studenti di
seguire in
presenza. Abbiamo detto: No alla DAD né alla Didattica integrata che vogliono rendere
strutturali, potenziamento dei mezzi di trasporto, ripristino del
servizio
di medicina scolastica, tamponi periodici per studenti e personale, piano di
vaccinazione con chiara informazione e seria distribuzione ed erogazione
(vaccinazione oggi bloccata al personale della scuola, vaccinato di
fatto a metà); no ai profitti
capitalistici sulla pelle dei
lavoratori e delle masse popolari, da parte dei governi che pongono come
sostanzialmente come unica soluzione la chiusura parziale o totale delle
scuole.
Le
precarie dei servizi essenziali come
quelle di Palermo che stanno lottando da anni per riavere il loro lavoro e per un reddito mentre lottano per rientrare al lavoro che hanno
perso da mesi non solo per le scellerate politiche di tagli e
smantellamento
dei governi nazionale e regionale ai servizi pubblici ma anche a causa
della
pandemia, per cui le scuole si
chiudono a alcuni lavori materialmente non si possono svolgere se non in
presenza, sono scese in lotta e protesta
facendo sit in anche all'Assessorato della sanità per chiedere con forza
misure serie sul fronte salute e sicurezza per le scuole e non solo.
La
lotta delle precarie di Taranto, da
prendere anche come esempio e da generalizzare, che nella lotta che
stanno facendo anche per l'internalizzazione del servizio di ausiliariato
nelle scuole, hanno posto pure istanze di lotta per la salute e
sicurezza ponendo dei punti precisi come
1) pur con gli asili chiusi, le
lavoratrici ausiliarie possono lavorare all'interno per fare con accuratezza
pulizie straordinarie (anche di mobili/strutture varie/centinaia e centinaia di
giocattoli, ecc.
2) sanificazione degli ambienti - si sottolinea che la
chiusura degli asili avvantaggia questo lavoro, permettendo alle lavoratrici di
rispettare al massimo il distanziamento che nella ordinaria attività con asili
aperti, non è possibile;
2) utilizzare una parte dei giorni di
chiusura per fare corsi di aggiornamento e formazione
professionale on line sulla sicurezza, per la
situazione della epidemia...
La forza del messaggio dello sciopero
delle donne è entrata anche nelle carceri dove alcune donne detenute lo hanno fatto
nelle forme possibili, come è avvenuto per esempio a Trieste. In un‘istituzione classista e
patriarcalista come il carcere la pandemia ha inasprito di molto le condizioni
già dure delle donne detenute; ma da Pozzuoli a Rebibbia, da Latina a Vigevano,
da Torino a Trieste ecc. le donne detenute hanno fatto emergere, con le denunce
e la cruda evidenza dei fatti, con la lotta e la solidarietà, unita alle
proteste fuori dal carcere, che è giusto e necessario ribellarsi!
Molteplici sono i rigetti delle
pratiche per le misure alternative, anche per le detenute che per legge
ne
avrebbero diritto. L‘assistenza sanitaria e psicologica è inadeguata o
inesistente, le strutture in cui
le detenute sono costrette a vivere sono per lo più fatiscenti, carenti
di
servizi igienici, e l‘acqua calda è un miraggio, come pure, spesso, il
rispetto
delle regole sulle ore d’aria, e di apertura. Le donne detenute chiedono
tamponi periodici e chiare informazioni sulla vaccinazione che mancano
assolutamente.
Ora, mentre le lotte delle lavoratrici continuano, occorre estendere
il lavoro d’inchiesta per
trarre anche nuovi elementi reali per le lotte da mettere in campo, per rafforzarle, collegarle, estenderle, anche sul piano specifico della salute e sicurezza, come per
far uscire settori di lavoratrici dalla invisibilità, vedi per esempio
le tante
lavoratrici migranti del settore agricolo.
La lotta per la nostra salute e
sicurezza e in difesa della nostra vita più in generale, le lavoratrici, le
donne proletarie non possono e non devono delegarla a nessuno ma prenderla
nelle proprie mani. Non possiamo e non vogliamo tornare alla “normalità”!
La questione, in ogni ambito della condizione della maggioranza delle donne, è rivoluzione o
“normalità”. Non più come prima!
La crisi pandemica ed economica sta
mostrando ancora di più la necessità, per un avanzamento generale della lotta
delle donne sui diversi piani, della comprensione dell'emergenza del femminismo proletario.