17/02/22

Formazione Operaia - Lenin: Sui sindacati, gli scioperi... - 2° parte

L’unione degli operai nella lotta contro il capitalismo

Riportiamo molte parti del secondo capitolo di questo importante opuscolo che raccoglie vari scritti di Lenin, questo (contenuto nel Progetto e illustrazione del programma del partito socialdemocratico) fu scritto in carcere tra il 1895 e il 1896, con inchiostro simpatico in mezzo alle righe di un giornale.

Invitiamo gli operai, tutti i lettori e lettrici a leggerlo tutto e con attenzione, perchè anche se è più lungo del precedente testo, contiene analisi e posizioni illustrate in modo molto chiaro che ogni operaio, lavoratore, lavoratrice può riscontrare anche oggi nella sua realtà.

LA NECESSITA’ DELL’UNIONE DEGLI OPERAI

Dal testo di Lenin:

“...l’operaio isolato – scrive Lenin – è impotente e inerme di fronte al capitalista… L’operaio deve ricercare, a qualunque costo, i mezzi per opporre resistenza al capitalista, per difendersi. E questo mezzo lo trova nell’unione. Impotente se isolato, l’operaio diviene una forza quando si unisce ai propri compagni; allora può lottare contro il capitalista e opporgli resistenza.
L’unione diventa una necessità per l’operaio dinanzi a cui già sta il grande capitale. Ma è possibile unire una massa di persone estranee tra loro, anche se lavorano nella stessa fabbrica? Il programma indica le condizioni che preparano gli operai all’unione e sviluppano in loro la capacità e l’attitudine a unirsi. Esse sono:…

il lavoro collettivo di centinaia e migliaia di operai educa, di per sé, gli operai alla comune discussione delle proprie esigenze, all’azione comune, mettendo in luce l’identità della situazione e degli interessi di tutta la massa operaia.
…le continue peregrinazioni di fabbrica in fabbrica educano gli operai a prender contatto con le condizioni e gli ordinamenti delle diverse fabbriche, a paragonarli, a persuadersi che esiste un identico sfruttamento in tutte le fabbriche, ad assimilare l’esperienza degli altri operai nei loro conflitti col capitalista, e consolidano così la compattezza e la solidarietà degli operai.


…queste condizioni, nel loro complesso, hanno fatto sì che la nascita delle grandi fabbriche e officine generasse l’unione degli operai... Quanto più vigoroso è lo sviluppo delle grandi fabbriche e officine, tanto più frequenti, energici e tenaci diventano gli scioperi, giacché quanto più opprimente è il giogo del capitalismo, tanto più necessaria è la resistenza comune degli operai… quanto più il capitalismo si sviluppa e gli scioperi diventano frequenti, tanto più lo sciopero (isolato) si rivela un’arma inadeguata. I fabbricanti prendono contro gli scioperi provvedimenti comuni: stipulano tra loro un’alleanza, assumono operai in altre località, ricorrono all’appoggio del potere statale, che li aiuta a spezzare la resistenza degli operai. Contro gli operai non v’è più soltanto il singolo proprietario della singola fabbrica; contro di loro vi è tutta la classe dei capitalisti, sostenuta dal governo... ottenendo dal governo leggi antioperaie, trasferendo le fabbriche e le officine in località più remote, ricorrendo al lavoro a domicilio e a mille altri raggiri e sotterfugi a danno degli operai.

.L’unione degli operai di una singola fabbrica, di un singolo ramo dell’industria, si rivela inadeguata a resistere a tutta la classe dei capitalisti; diventa assolutamente indispensabile l’azione comune di tutta la classe degli operai. Così, dalle rivolte operaie isolate nasce la lotta di tutta la classe operaia. La lotta degli operai contro i fabbricanti si trasforma in lotta di classe. Tutti i fabbricanti sono uniti dallo stesso interesse di asservire gli operai e di retribuirli il meno possibile… Anche gli operai sono uniti dal comune interesse di non lasciarsi schiacciare dal capitale, di difendere il proprio diritto alla vita e a un’esistenza umana…

…Ci domandiamo adesso quale significato questa lotta assume per tutto il popolo e per tutti i lavoratori… Il numero di coloro che vivono di lavoro salariato aumenta rapidamente… Il dominio del capitale sul lavoro si estende alla massa della popolazione… Le grandi fabbriche portano al massimo grado di sviluppo lo sfruttamento del lavoro salariato, che è alla base della società contemporanea. Tutti i metodi di sfruttamento applicati da tutti i capitalisti in tutti i rami dell’industria… nell’interno della fabbrica, vengono riuniti, potenziati, resi norma costante, estesi a tutti gli aspetti del lavoro e della vita dell’operaio, creano tutto un ordinamento, un sistema organico mediante il quale il capitalista sfrutta fino all’ultimo sangue l’operaio.
Spieghiamoci con un esempio: sempre e dappertutto, chiunque venga assunto a un lavoro, si riposa, non lavora nel giorno festivo, se questa festività è celebrata nel luogo in cui egli vive. Assolutamente diversa è la situazione nella fabbrica: assumendo il lavoratore, la fabbrica ne dispone a proprio arbitrio, senza tener assolutamente conto delle abitudini dell’operaio, del suo consueto modo di vita, della sua situazione familiare, delle sue esigenze intellettuali. La fabbrica esonera l’operaio dal lavoro solo quando ciò è per essa necessario, costringendolo a uniformare alle proprie esigenze tutta la sua vita, costringendolo a frazionare il riposo e, col sistema dei turni, a lavorare di notte e nei giorni festivi. Tutti gli abusi che si possono immaginare per quanto concerne l’orario di lavoro, la fabbrica li mette in pratica e inoltre introduce proprie «norme», propri «regolamenti» che sono obbligatori per ogni operaio. Il regolamento interno della fabbrica è architettato in modo tale che consente di spremere dall’operaio tutta la quantità di lavoro che egli può dare, di spremere l’operaio quanto più rapidamente è possibile per poi buttarlo sul lastrico!… La fabbrica pretende che l’operaio rinunci alla propria volontà; essa impone una disciplina, costringendo l’operaio a iniziare il lavoro e a interromperlo al suono della campana, si arroga il diritto di punire l’operaio, e per ogni infrazione alle norme da essa stabilite gli infligge una multa o gli impone una trattenuta sul salario. L’operaio diviene così un pezzo di un’immensa macchina; egli deve essere altrettanto cieco nell’ubbidienza, sottomesso e privo di volontà, quanto la stessa macchina.
(Altro) esempio. Chiunque venga assunto a un lavoro, ogni qualvolta è insoddisfatto del padrone, fa ricorso al tribunale o alle autorità. Sia le autorità che il tribunale risolvono di solito la vertenza a vantaggio del padrone, gli tengono bordone; tuttavia questo favoreggiamento degli interessi padronali non si fonda su una norma generale o sulla legge, ma soltanto sul servilismo di taluni funzionari… Ogni singolo caso di una siffatta ingiustizia dipende da ogni singolo conflitto tra operaio e padrone, da ogni singolo funzionario. La fabbrica invece riunisce una tale massa di operai, porta le vessazioni a un tale grado, che diventa impossibile sceverare ogni singolo caso. Si creano norme generali, si elabora una legge sui rapporti tra gli operai e i fabbricanti, una legge obbligatoria per tutti, dove il favoreggiamento degli interessi padronali è sancito dal potere statale. All’ingiustizia di taluni funzionari si sostituisce l’ingiustizia della stessa legge. Si hanno, per esempio, norme secondo le quali in caso di assenza ingiustificata l’operaio non solo perde il salario, ma deve pagare anche una multa, mentre se il padrone manda a spasso un operaio non deve pagargli nulla. Così, il padrone può licenziare l’operaio per una risposta insolente, ma l’operaio non può andarsene per la stessa ragione…

Tutti questi esempi dimostrano come la fabbrica intensifichi lo sfruttamento degli operai e lo renda generale, erigendolo a «sistema»... L’operaio comprende di non essere oppresso da un solo capitalista ma da tutta la classe dei capitalisti, perché in tutte le fabbriche vige lo stesso sistema di sfruttamento; nessun capitalista può sottrarsi a questo sistema: se egli, per esempio, volesse abbreviare il tempo di lavoro, dovrebbe vendere le merci a un prezzo più alto del suo vicino, del fabbricante che costringe l’operaio a lavorare più a lungo, pagandogli lo stesso salario. Se vuole migliorare la propria situazione, l’operaio deve oggi lottare contro tutta la struttura sociale fondata sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Contro l’operaio non v’è più la singola ingiustizia di un qualsiasi funzionario, ma l’ingiustizia dello stesso potere statale… La lotta degli operai di fabbrica contro i fabbricanti si trasforma quindi ineluttabilmente nella lotta contro tutta la classe dei capitalisti, contro l’intiera struttura sociale fondata sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Perciò la lotta degli operai assume un significato sociale, diventa una lotta in nome di tutti i lavoratori, contro tutte le classi che vivono del lavoro altrui. Perciò la lotta degli operai… è l’alba dell’emancipazione degli operai...”

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Lenin spiega quanto sia indispensabile per gli operai la loro unità per essere una forza contro i capitalisti e contro il governo. Solo attraverso questa unità gli operai passano da essere singoli individui sfruttati ad essere una classe che si oppone e può vincere nello scontro quotidiano contro la classe dei padroni.

D‘altra parte è lo stesso capitale creando grandi industrie, concentrando sempre più lavoratori nella stessa fabbrica, ma anche applicando le stesse leggi di sfruttamento in ogni posto di lavoro, spinge all’unità non solo nella singola fabbrica ma sempre più tra lavoratori di differenti fabbriche.

Questa verità storicamente dimostrata e sempre più attuale, è un’altra ragione della lotta che devono fare gli operai contro i piani di riduzione del numero degli operai, di spezzettamento della realtà lavorativa – non solo perchè questi piani portano a licenziamenti, aumento dello sfruttamento di chi resta, pressione per abbassare i salari, ma anche perchè il “numero conta” (come dice Marx) e i padroni vogliono spezzare la forza degli operai e fiaccare la coscienza operaia. – In questo testo si comprende quanto sono stupidi quei piccolo borghesi che hanno in odio, guardano con sgomento le grandi fabbriche; questi non vedono o, meglio, non vogliono vedere che oltre il concentrato di sfruttamento, oltre la sintesi di tutti gli attacchi, gli abusi che la grande fabbrica produce, fino a farne un “sistema organico“, c’è la costruzione di una unione maggiore degli operai; della serie: il capitale concentrando i lavoratori si dà la zappa sui piedi.

Lenin spiega come il lavoro in comune degli operai sia un valore verso l’unione dei lavoratori. Per esempio, al di là delle ricadute negative (su limiti di orari inesistenti, danni alla salute, riduzione del salario, ecc.) l’altra conseguenza nefasta del lavoro in smart working è che viene spezzata quella comunanza di lavoro tra i lavoratori e le lavoratrici che inevitabilmente riduce le possibilità di lotta.

Così come Lenin mostra l’altro lato dei trasferimenti degli operai da una fabbrica ad un’altra, in cui insieme all’aspetto di forti ricadute negative, vi è però un aspetto positivo: acquisire una visione ampia dello sfruttamento, che è appunto un sistema identico, un ordinamento esistente dal nord al sud;prendere contatto con altri operai, altre lotte, altre esperienze. Questo oltre che unire ancora di più gli operai, è un elemento di emancipazione – e pensiamo alle donne quanto (nonostante tutto il brutto del trasferimenti) questo aiuterebbe nell’emancipazione, nel rallentare le catene familiari).

L’importanza dell’unità è una verità che anche oggi ogni operaio può constatare. Essere coscienti di questo e perseguire questa unità è ciò che gli operai più coscienti devono fare, contrastando un atteggiamento spontaneo, che ritroviamo oggi in varie realtà di lavoro, di sfiducia, critica moralista verso i propri compagni di lavoro, che porta a volte alla rassegnazione sulla impossibilità di una lotta comune. Questo atteggiamento è impotente: guarda gli operai come individui e non come un corpo unico, che solo nell’unità e nella lotta cresce e si trasforma. In questo senso vale più una lotta anche se ancora piccola o anche non vincente che tanti discorsi o prediche.

Nella crisi del sindacato, nelle fabbriche soprattutto, si sono riprodotte tra i lavoratori situazioni e concezioni “antiche”, quasi degli albori del movimento operaio. Questo è bene averne coscienza, per capire come operare, per “ricominciare” a volte. E’ diventato frequente perfino nelle grandi fabbriche che l’operaio sia retrocesso come coscienza e comportamento a lamentele e rabbia individuale. Ma l’operaio da solo è impotente di fronte al padrone e quindi l’unione con gli altri operai è il primo passo da fare.

I sindacati attuali oltre il danno enorme che fa attualmente nel non difendere il lavoro, le condizioni di lavoro, il salario degli operai e nel far passare i piani dei padroni, ha fatto in tutti questi decenni un danno ancora maggiore nel far retrocedere la coscienza dell’operaio a una concezione del sindacato al massimo ad personam, per risolvere miseri problemi individuali. Questi sindacati hanno ucciso la lotta e l’unità degli operai come classe.

Combattere questa attitudine è il problema principale che un sindacato di classe ha davanti e deve affrontare.

Nello stesso tempo è contro l’unità dei lavoratori un altro atteggiamento, questo più cosciente e alimentato anche da dirigenti di sindacati di base, di considerare la propria lotta, il livello di forza raggiunto nel proprio posto di lavoro con uno spirito “aristocratico” verso altri lavoratori e realtà. Questo atteggiamento è quantomeno miope. Come spiega bene Lenin, i padroni si uniscono contro gli operai, e gli operai necessariamente devono unirsi contro i padroni. E’ una guerra di classe quella che la classe capitalista, nel suo complesso, porta avanti per difendere e aumentare i suoi profitti e costruisce per essa un fronte, con governo, Stato, forze di repressione, stampa/tv, intellettuali al suo fianco. Contro tutto questo non basta certo una singola lotta anche se dura, forte, né basta una lotta di un solo settore dei lavoratori, occorre che anche gli operai facciano la loro guerra di classe e costruiscano la loro unità e il loro fronte. Quindi il giusto atteggiamento, di cui sia pur pochi esempi ci sono, è di aiuto verso le realtà lavorative più deboli, più arretrate; di vedere la propria esperienza di lotta, i risultati che si è riusciti a conquistare, non come “propri”, ma al servizio dell’unità e della discesa in lotta di tutti i lavoratori.

(CONTINUA GIOVEDI' PROSSIMO) 

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